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2. LE AZIENDE DI GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI: INQUADRAMENTO

3.3 Problematiche di governance nella gestione dei servizi pubblici locali

3.3.1 I gruppi di aziende

La presenza dei gruppi di aziende caratterizza fortemente l’attuale panorama economico nazionale ed internazionale, in risposta all’aumento della complessità dell’ambiente esterno. Tale fenomeno chiama le imprese non solo ad accrescere le proprie dimensioni per competere a livello globale, ma anche a ricercare una significativa diversificazione produttiva per ridurre i rischi connessi alla gestione e soddisfare al meglio le mutevoli esigenze degli stakeholder.

Sul concetto di gruppo si sono espressi autorevolmente numerosi studiosi di Economia Aziendale133: in questa sede giova richiamare brevemente alcuni caratteri del fenomeno di aggregazione alla luce dei succitati studi. Il gruppo, pur essendo formato da aziende diverse tra loro, può essere visto come un’azienda unica134, che opera secondo una propria strategia, senza per Bulmer, commentando l’esito di un progetto pilota nel campo dei servizi sociali, propone di sostituire l’offerta pubblica con quella totalmente privata, assegnando agli utenti dei “budget” da spendere secondo le loro preferenze. In tal modo, secondo l’autrice, non solo si migliorerebbe, grazie ad una maggiore personalizzazione, la soddisfazione dell’utente, ma si ridurrebbero anche i costi a carico dei pubblici poteri. Per approfondimenti si consulti BULMER F., A new model for public services, Economic affairs, volume n. 28, issue n. 1, Blackwell, Oxford, 2008, pagg. 47-51.

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Ci si riferisce, tra gli altri, ai contributi di CASSANDRO P. E., I gruppi aziendali, Cacucci, Bari, 1954; AZZINI L., I gruppi, Giuffrè, Milano, 1968; PAGANELLI O., Il bilancio di gruppo, Azzoguidi, Bologna, 1968, PISONI P., Gruppi aziendali e bilanci di gruppo, Giuffrè, Milano, 1983; BRUNETTI G. (a cura di), Il bilancio consolidato, VII direttiva comunitaria e principi contabili, Cedam, Padova, 1985; TERZANI S., Il bilancio consolidato, Cedam, Padova, 1992; PASSAPONTI B., I gruppi e le altre aggregazioni aziendali, Giuffrè, Milano, 1994; SARCONE S., I gruppi aziendali. Strutture e bilanci consolidati, Giappichelli, Torino, 1999.

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questo far venire meno l’autonomia giuridica dei soggetti che lo compongono.

A ben vedere, quindi, elemento essenziale per la costituzione di un gruppo è sicuramente la presenza di una pluralità di imprese, che devono tuttavia avere un indirizzo comune, devono cioè essere guidate da un soggetto economico unitario: esso, ravvisabile nella holding del gruppo, assume un ruolo di guida nella gestione dell’aggregato.

La presenza di diverse aziende, che fanno capo ad un soggetto economico unitario, tuttavia, è condizione necessaria ma non sufficiente, in quanto elemento fondamentale per poter parlare di gruppo è la presenza di un disegno strategico comune: “È questo orientamento strategico unitario,

che si traduce nella acquisizione e gestione comuni delle risorse aziendali strategiche, che può fornire una chiave di lettura ed uno strumento utile per l’individuazione del gruppo d’imprese e dei suoi confini, anche indipendentemente dall’insieme dei vincoli di natura formale che collega tra di loro più aziende”135.

Tale impostazione, condivisa dalla moderna dottrina, è sicuramente in linea con gli orientamenti dei principi contabili internazionali in tema di controllo: essi individuano la presenza di un gruppo laddove un’azienda sia in grado di determinare le politiche gestionali di un’altra, indipendentemente dalla presenza di un legame partecipativo tra di esse136. La possibilità di determinare le strategie fondamentali, da parte di un soggetto economico, su una pluralità di imprese, appare l’elemento nobile che caratterizza i gruppi.

La presenza di un unitario soggetto economico, quindi, non elimina l’autonomia giuridica delle singole aziende, pur andando inevitabilmente ad incidere sull’autonomia gestionale delle stesse: a tal proposito giova osservare come, in realtà, si riscontrino diversi livelli di “ingerenza” da parte della holding nell’attività delle proprie consociate. È quindi possibile che il soggetto economico si limiti, per propria volontà o per oggettive difficoltà operative, a definire linee strategiche comuni, lasciando libertà alle singole imprese di intraprendere i cammini ritenuti più opportuni per sviluppare tali orientamenti strategici. Altre volte la holding può decidere di incidere direttamente sulla gestione delle proprie consociate, riducendo al minimo la loro autonomia: ciò spesso avviene nei confronti delle aziende che giocano un ruolo chiave all’interno del gruppo.

La strategia impostata dal soggetto economico, esattamente come accade per una singola

entità economica di grado superiore rispetto alle aziende e della quale le aziende sono i cardini su cui si fonda”. Cfr. PASSAPONTI B., I gruppi e le altre aggregazioni aziendali, op. cit., pag. 111.

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Cfr. D’AMICO L., La formazione dei gruppi: aspetti economico aziendali, in MARCHI L., ZAVANI M. (a cura di), Economia dei gruppi e bilancio consolidato. Una interpretazione degli andamenti economici e finanziari, Giappichelli, Torino, 2004, pag. 5.

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Se in passato per poter parlare di gruppo era necessaria la presenza di legami partecipativi tra le imprese (e, ad oggi, tale rimane l’impostazione della normativa civilistica nazionale in materia), lo IAS 27 definisce il controllo come “il potere di determinare le politiche amministrative e gestionali di un’entità, al fine di ottenere i benefici dalle sue attività”, indipendentemente dalla presenza di legami finanziari.

impresa, deve garantire innanzitutto la sopravvivenza del gruppo, attraverso il raggiungimento dell’economicità, strumento chiave per consentire allo stesso di perseguire il soddisfacimento dei bisogni umani. Occorre osservare che, considerando tale tipologia di aggregazione, il concetto di economicità assume una valenza duplice: accanto all’economicità sovraziendale137 deve essere considerata quella delle singole unità componenti. Si parla in questo caso di economicità dentro il

gruppo, quando un’azienda è in grado di sopravvivere in quanto opera in collaborazione con le

altre, e di economicità in funzione del gruppo, quando un’impresa, pur in presenza di difetti di ordine combinatorio, sistematico e di composizione, viene mantenuta in vita dalla holding in virtù del ruolo strategico da essa svolta all’interno dell’aggregazione138.

La genesi del fenomeno dei gruppi è legata a cause eterogenee, che tuttavia possono essere ricondotte a due motivazioni generali139:

• motivazioni di natura economico aziendale; • motivazioni di natura contingente.

Tra le motivazioni di natura economico aziendale si ritrova certamente la possibilità di sfruttare il cosiddetto “effetto leva azionario”: grazie a tale fenomeno è possibile per la holding assumere il controllo di un’ampia gamma di risorse produttive, riducendo fortemente il capitale di rischio impiegato. Grazie alla presenza di partecipazioni indirette140 il soggetto economico riduce il capitale investito nell’operazione di ampliamento, coinvolgendo nel finanziamento gli azionisti di minoranza che, pur non avendo la capacità di influenzare le scelte dell’azienda, ne sopportano il rischio apportando capitale. Tale facoltà di ridurre il rischio in capo alla holding cresce con l’aumentare dei livelli societari, con l’ingresso di un numero sempre maggiore di soci di minoranza sui quali “scaricare” parte del rischio e far pesare una parte sempre crescente dell’onere di finanziamento141.

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Sul tema dell’economicità sovraziendale Onida sottolinea che “un’azienda di gruppo […] può operare in conformità ad una convenienza che trascende la sua ristretta economia, incentrandosi in quella del gruppo”. Cfr. ONIDA P., Economia d’azienda, op. cit., pag. 85.

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Per approfondimenti si consulti SARCONE S., I gruppi aziendali, op. cit., pagg. 9-10.

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Sul punto si vedano, in particolare, LATTANZI N., Differenti prospettive di interpretazione del processo di genesi del gruppo di imprese: un confronto fra logica e finalità, in BALZARINI P., CARCANO G., MUCCIARELLI C. (a cura di), Gruppi di società, Giuffrè, Milano, 1996, pagg. 1473-1489; D’AMICO L., La formazione dei gruppi: aspetti economico aziendali, in MARCHI L., ZAVANI M. (a cura di), Economia dei gruppi e bilancio consolidato, op. cit., pagg. 5-9; PICCIOTTO L., I gruppi come fattispecie di aggregazione, in SORCI C., FALDETTA G., I gruppi come strumenti di governo delle aziende, Giuffrè, Milano, 2008, pagg. 63-81; CORONELLA S., Aggregazioni e gruppi di aziende. Caratteristiche e finalità, Rirea, Roma, 2009.

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Si parla di controllo tramite partecipazione diretta quando un’impresa A detiene una quota del capitale di un’impresa B tale da controllarne la gestione. In presenza di partecipazione indiretta, l’impresa A può giungere a indirizzare la gestione di una impresa C, pur non avendo quote del suo capitale: ciò è possibile grazie ad una partecipazione diretta in una società intermedia B, che a sua volta partecipa direttamente C. Infine, per completezza, si ha una partecipazione reciproca quando A detiene una quota di B, e B a sua volta partecipa al capitale di A. Sul tema dello sviluppo aziendale per mezzo delle partecipazioni, e sui relativi riflessi di bilancio, si veda RISALITI G., Partecipazioni e sviluppo aziendale: profili strategici e di bilancio, Giuffrè, Milano, 2004.

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La creazione di un gruppo consente, inoltre, di beneficiare di effetti positivi in tema di ricorso

al credito: l’aggregazione può ricorrere al capitale di terzi tramite la pluralità delle aziende

componenti, aumentando la capacità di indebitamento. Occorre osservare, tuttavia, che con il moltiplicarsi del fenomeno dei gruppi ormai gli intermediari finanziari concedono credito valutando la redditività e la solidità patrimoniale dell’intero gruppo e non solo quella dell’impresa richiedente. Ancora, ricorrendo alla struttura di gruppo, è possibile sincronizzare i cicli di investimento-realizzo delle singole consociate, generando un positivo cash-flow utilizzabile per il finanziamento della gestione.

Ulteriori vantaggi di natura economico aziendale sono connessi alla possibilità di cogliere i vantaggi legati all’accrescimento delle dimensioni, in termini di economie di scale, economie di scopo, mantenendo tuttavia una forma flessibile, meno soggetta a problematiche di tipo organizzativo e strutturale e maggiormente in grado di rispondere alle sollecitazioni dell’ambiente esterno, grazie all’indipendenza giuridica delle singole consociate. Lo sfruttamento della concentrazione produttiva può avvenire in senso orizzontale, quando le aziende operano nella produzione di beni similari: ciò consente di migliorare la posizione di mercato, riducendo la concorrenza. L’integrazione può anche essere di tipo verticale, quando le consociate operano in segmenti diversi di un unico processo produttivo, in modo tale da migliorare l’approvvigionamento di materie e la capacità di penetrazione sui mercati, la riduzione dei costi attraverso la specializzazione. Occorre infine notare che la concentrazione può anche essere di tipo diversificato, laddove il gruppo intenda ampliare la propria attività entrando in nuove aree di business, cercando per tale via di incrementare la solidità e la redditività dell’aggregato e di ridurre il rischio economico.

La genesi delle aggregazioni può avvenire anche ai fini dell’internazionalizzazione, con l’acquisizione di imprese operanti all’estero o l’impianto di nuove imprese in altri paesi, in modo tale da migliorare la penetrazione sul mercato locale, o ridurre i costi per l’ottenimento dei fattori produttivi (quali materie prime o personale). Ancora, l’internazionalizzazione può essere strumento per superare barriere protezionistiche, di tipo giuridico o più semplicemente “nazionalistico”.

La creazione di gruppi può favorire anche la diffusione delle tecnologie e del know-how, attraverso il confronto tra esperienze di aziende diverse, magari operanti in altri paesi, in modo tale che le innovazioni di ogni singola consociata possano divenire da subito patrimonio dell’intera aggregazione. Un discorso del tutto analogo vale anche per la variabile umana, laddove sia possibile essere interpretata positivamente, seppur con cautela. Nel corso dell’accennato processo, infatti, non solo molti rischi si annullano ed altri diminuiscono, ma anche l’azienda è in grado di assumere una posizione attiva, combattendo i fenomeni portatori dei rischi prima ancora che questi abbiano la possibilità di manifestarsi”. Cfr. BERTINI U., Introduzione allo studio dei rischi in economia aziendale, Cursi, Pisa, 1969, pagg. 213-214.

riallocare efficacemente le risorse più qualificate a presidio delle attività strategiche per il gruppo. Non solo, ma con un monitoraggio delle conoscenze e competenze dei singoli manager sarà possibile creare percorsi di carriera più confacenti alle loro caratteristiche, all’interno delle aziende componenti il gruppo.

L’appartenenza ad un gruppo consente anche l’utilizzo di canali distributivi comuni, anche per la commercializzazione di prodotti diversi, con una notevole riduzione dei connessi costi.

Relativamente alle motivazioni di natura contingente, occorre notare che le aggregazioni possono formarsi per lo sfruttamento di opportunità offerte dalla legislazione, legate ad esempio all’utilizzo di finanziamenti agevolati per particolari tipologie di imprese o per aziende che sorgono in aree depresse.

Ancora, è possibile che la nascita di un gruppo avvenga al fine di “eludere” specifiche

normative, ad esempio in tema di costituzione di una posizione dominante: la presenza di una

pluralità di soggetti, legati da relazioni complesse, può rendere più occulto il tentativo di eliminare la concorrenza. In tema di fenomeni elusivi, non si può non sottolineare che molto spesso la logica di gruppo consente in maniera più agevole annacquamenti reddituali, spalmando l’imponibile tra le diverse società e rendendo più difficile l’accertamento delle imposte dovute; il fenomeno di internazionalizzazione funge poi da catalizzatore a tali comportamenti, laddove si noti che molte holding vengono “strategicamente” posizionate in paesi a bassa imposizione fiscale.

I gruppi hanno spesso una genesi assai complessa, di conseguenza le diverse motivazioni descritte molto spesso coesistono tra loro, senza che l’una possa prevalere sull’altra. A livello generale appare consigliabile la prevalenza di vantaggi di natura economico aziendale, dato che le motivazioni di natura contingente sono spesso di breve respiro, e possono venire meno, ad esempio, in seguito a repentini cambiamenti legislativi; in più, la prevalenza di queste ultime potrebbe portare alla creazione di aggregazioni incoerenti, per le quali l’impostazione di una strategia organica e le politiche di coordinamento potrebbero risultare assai complessi, vanificando i vantaggi acquisiti.

Tabella 3.2. - Principali motivazioni alla base della genesi dei gruppi aziendali

Motivazioni di natura economico-aziendale Motivazioni di natura contingente

• "effetto leva azionario"; • ricorso al credito;

• accrescimento delle dimensioni; • internazionalizzazione;

• diffusione delle tecnologie e del know how; • utilizzo di canali distributivi comuni.

• sfruttamento di opportunità offerte dalla legislazione; • "elusione" di specifiche normative.

Dare vita ad una classificazione dei gruppi non è cosa agevole, tuttavia è possibile individuare alcune specifiche tipologie, quali142:

• gruppi economici, finanziari e misti. I primi sono caratterizzati dalla tendenziale omogeneità delle attività svolte, unite da forti legami tecnico-produttivi, mentre nei secondi le consociate svolgono attività eterogenee, e di conseguenza vi è una netta prevalenza di relazioni di tipo patrimonial-finanziario. Se, quindi, nel caso di gruppi economici l’impostazione di una strategia unitaria è più agevole ed è più semplice sfruttare i vantaggi competitivi legati a processi produttivi simili, nel secondo caso la definizione di linee strategiche comuni è più difficoltosa, la holding spesso detiene le partecipazioni e le singole aziende operano in modo disgiunto l’una dall’altra. Nella realtà, tuttavia, è difficile individuare gruppi strettamente dell’uno o dell’altro tipo, essendovi una predominanza di gruppi misti, che rappresentano una configurazione intermedia tra le due citate; è il caso ad esempio di un’aggregazione di tipo finanziario, che opera in diversi settori, nel quale l’omogeneità tecnico-produttiva è riscontrabile in alcuni rami di attività svolta, facenti capo a sub-holding;

• gruppi orizzontali, verticali e conglomerati. Nei primi le aziende operano nel medesimo settore ed applicano processi produttivi affini, mirati a creare prodotti simili tra loro, al fine di rafforzare la presenza del gruppo sul mercato in oggetto, mentre nei secondi occupano fasi diverse di un medesimo processo produttivo, mettendo in luce una forte complementarietà delle attività svolte. I gruppi conglomerati sono invece composti da aziende che operano in settori diversi, nei quali non vi sono strutture produttive complementari tra loro: eventualmente tali omogeneità sono ravvisabili solo tra alcune consociate. Essi sono la risultante di politiche di concentrazione o diversificazione, volte a ridurre il rischio d’impresa;

• gruppi nazionali, internazionali e multinazionali. La differenza in tal caso è data dall’ambito di operatività, legato o meno alla presenza in uno o più paesi. L’individuazione dei gruppi multinazionali non è agevole, mancando parametri oggettivi per definirla: in termini generali si può affermare che “i caratteri che

qualificano un gruppo multinazionale sono, pertanto, il controllo di una pluralità di aziende presenti in diversi paesi, l’attuazione di una strategia comune che ponga in risalto l’unitarietà della direzione del gruppo fondandosi sull’integrazione delle politiche di gestione nazionali e sul coordinamento delle differenti funzioni, ed infine, il

142

Per approfondimenti si veda PICCIOTTO L., I gruppi come fattispecie di aggregazione, in SORCI C., FALDETTA G., I gruppi come strumenti di governo delle aziende, op. cit., pagg. 88-97.

perseguimento di una reale integrazione dei mercati stranieri”143;

• gruppi pubblici e privati. Ciò che rileva, in tal caso, è la presenza di un soggetto economico pubblico o privato. A ben vedere, non è sufficiente osservare la natura giuridica dell’impresa capogruppo, dato che, ad esempio, gli enti locali possono creare holding giuridicamente rispondenti alle regole del diritto privato, ma di fatto espressione di una volontà pubblica: appare quindi opportuno riferirsi alla natura del soggetto economico.

In conclusione di trattazione appaiono opportune alcune brevi riflessioni riguardanti l’oggetto di analisi del presente lavoro, ovvero i gruppi pubblici locali144. La loro genesi, seppur non possono essere misconosciute le succitate motivazioni di tipo economico aziendale, appare legata più alla volontà del legislatore che a quella di sfruttare i vantaggi offerti dall’aggregazione: non a caso la proliferazione delle società, per quanto oggi molti enti siano in grado di capirne e sfruttarne le potenzialità, ha avuto origine su impulso normativo.

Diretta conseguenza di quanto affermato è la forte eterogeneità dell’attività svolta all’interno di tali gruppi, aventi evidentemente natura pubblica e valenza nazionale (o meglio, prevalentemente locale): il fenomeno aggregativo su base legislativa ha portato alla costituzione di gruppi prevalentemente di tipo misto e conglomerato, nei quali il comune-holding molto spesso non è in grado di definire puntuali strategie unitarie, con la conseguenza di una forte autonomia delle consociate. L’attività delle stesse consociate, pur non volendo negare la possibilità di dar vita a sinergie145, appare fortemente dissimile (si pensi che in tali gruppi coesistono società operanti in settori eterogenei, da quello energetico a quello aeroportuale, fieristico o culturale) e difficile da integrare.

3.3.2 La governance esterna dell’ente locale sulle aziende di gestione dei servizi