2. LE AZIENDE DI GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI: INQUADRAMENTO
3.3 Problematiche di governance nella gestione dei servizi pubblici locali
3.3.3 La governance interna all’azienda di gestione dei servizi pubblici locali
Gli interventi posti in essere dagli enti locali a partire dagli anni Novanta hanno posto sempre maggiore attenzione nei confronti delle forme di tipo societario. Tale scelta è legata alla flessibilità richiesta da produzioni complesse e capillari, ma anche alla disciplina normativa, che a partire dai primi anni del XXI secolo ha consentito alle sole società di capitali la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica: solo con la riforma del 2008, che ancora deve dispiegare i suoi effetti, tale comparto è stato aperto ad ogni impresa, indipendentemente dalla forma giuridica.
La scelta societaria, inoltre è favorita dall’ampia gamma di strumenti di reperimento di mezzi
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Sui limiti informativi del bilancio d’esercizio si veda, tra gli altri, CARAMIELLO C., DI LAZZARO F., FIORI G., Indici di bilancio. Strumenti per l’analisi della gestione aziendale, Giuffrè, Milano, 2003.
finanziari garantita (si può far ricorso ad aumenti di capitale, prestiti obbligazionari, credito bancario e altri), oltre che dalla spiccata indipendenza consentita dalla personalità giuridica e dall’autonomia gestionale, organizzativa e contabile. Ancora, essa si presta meglio di altre forme a raggiungere dimensioni tali da garantire aumenti di efficienza tramite lo sfruttamento delle economie di scala: tale caratteristica è assai vantaggiosa laddove si voglia operare su bacini ampi, partecipando cioè a gare bandite da diversi enti locali. Infine, grazie alla presenza di soci privati, le società riescono ad ottenere conoscenze e capacità manageriali che altre forme di gestione pubblicistiche, ancora troppo legate a logiche di tipo burocratico, non riescono facilmente ad conseguire.
La scelta di una forma societaria è tutt’altro che irrilevante quando si considera il modello di governance interna da adottare per l’azienda. Proprio in tema di governance nelle società è intervenuto il legislatore con il Decreto Legislativo 17 Gennaio 2003, n. 6 (successivamente modificato dal Decreto Legislativo 6 Febbraio 2004, n. 37), introducendo modelli ulteriori rispetto a quello tradizionalmente adottato nelle imprese italiane, mutuandoli dall’esperienza di altri Paesi.
Il problema della governance all’interno delle singole aziende viene solitamente fatto risalire al processo di crescita dimensionale delle imprese, con conseguente ingresso di professionalità manageriali che assumono la direzione dell’azienda stessa, in quanto i soggetti proprietari prendono atto di non avere le competenze necessarie per poter gestire l’accresciuta complessità di quest’ultima. Si viene così a creare una scissione tra soggetti proprietari, non in grado di gestire autonomamente l’azienda, e manager, chiamati, in virtù delle loro competenze professionali, a guidare la società nell’interesse dei detentori del capitale.
In tale ottica si pone quindi il problema di adottare adeguati strumenti a favore degli shareholder, in modo tale da garantire loro la possibilità di indirizzare la gestione ed evitare che i manager operino, sfruttando le inevitabili asimmetrie informative, perseguendo fini propri154.
Da ciò deriva l’importanza di adottare un adeguato modello di governance, che consenta la tutela dei diversi interessi dei soggetti in gioco. La nuova normativa, la quale, come già ricordato, ha introdotto due nuovi modelli, si ispira a tre principi cardine155:
• una maggiore tutela degli azionisti di minoranza, tramite modalità più agevoli di partecipazione all’assemblea, eliminazione di ostacoli ad azioni legali contro gli amministratori, miglioramento delle informazioni;
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Per approfondimenti sulla nascita della corporate governance si vedano GROSSI G. (a cura di), La corporate governance delle società miste, op. cit., pagg. 1-16 e BARBAGALLO B., L’azienda ente locale tra prospettive di outsourcing dei servizi pubblici locali e difficoltà di governance, Quaderno Monografico della Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale n. 60, 2007, Rirea, Roma, pagg. 11-15.
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• un innalzamento degli standard di diligenza, responsabilità e indipendenza degli amministratori;
• il potenziamento dei sistemi di controllo interno.
A tal fine il legislatore, con la succitata riforma, ha messo a disposizione dei soggetti proprietari tre modelli di governance: tradizionale, dualistico e monistico156.
• Il modello tradizionale è sicuramente il più diffuso nel nostro Paese (non a caso esso è anche detto modello “latino”, per la sua diffusione nei paesi del sud Europa). In esso il supremo organo volitivo è l’assemblea dei soci, dove siedono i portatori di capitale. Tale assemblea nomina il consiglio d’amministrazione oppure l’amministratore unico, al quale spetta il compito di gestire l’azienda secondo gli indirizzi dell’assemblea. Quest’ultima nomina anche il collegio sindacale, che ha fondamentali compiti di vigilanza. I suoi membri devono essere in possesso di precisi requisiti di indipendenza definiti dal Codice Civile157. Esso verifica la conformità sostanziale della gestione (pur non potendo sindacare le ragioni di convenienza che ispirano le scelte imprenditoriali) nei confronti della Legge, dello statuto e dell’interesse sociale. In più tale organo vigila sulla correttezza delle procedure decisionali verso il conseguimento degli obiettivi dell’azienda. Infine, ad esso può essere assegnato il compito di dar vita ad un controllo contabile: ciò è possibile solo qualora la società non sia quotata o tenuta alla redazione di un bilancio consolidato. Nel caso in cui al collegio sindacale sia affidato anche il controllo contabile, tutti i suoi membri devono essere iscritti all’albo dei revisori dei conti. Qualora non si possa o non si voglia ricorrere a questa soluzione, il controllo contabile deve essere assegnato ad un revisore contabile o ad una società di revisione (soluzione, quest’ultima, sempre obbligatoria se l’azienda è quotata in borsa).
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Per approfondimenti sul tema si rimanda a PRESTI G., RESCIGNO M., Corso di diritto commerciale, Zanichelli, Bologna, 2007, pagg. 125 e segg.
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Con riferimento a ciò, il novellato articolo 2409 septiesdecies parla di assenza di legami di coniugio o di parentela entro il quarto grado con gli altri amministratori della società ovvero con quelli delle società da essa controllate, ed assenza di rapporti di lavoro, di consulenza, di prestazione d’opera retribuita ovvero altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza.
Figura 3.4. - Il modello tradizionale
• Il modello dualistico prevede la presenza di tre organi: l’assemblea dei soci, il consiglio di gestione ed il consiglio di sorveglianza. L’assemblea dei soci nomina il consiglio di sorveglianza e, solo per la prima volta, il consiglio di gestione, che in seguito verrà sempre scelto dal consiglio di sorveglianza. Il consiglio di gestione, composto da almeno due membri (del quale non possono far parte i membri del consiglio di sorveglianza) assume funzioni di direzione come avviene per il consiglio d’amministrazione nel modello precedentemente descritto. La novità più rilevante è sicuramente la presenza di un consiglio di sorveglianza, con le funzioni di controllo sulla gestione già assegnate al collegio sindacale, alle quali si uniscono, tuttavia, alcune funzioni tipiche dell’assemblea nel modello tradizionale, quali ad esempio:
Ø nomina e revoca dei membri dell’organo di direzione (consiglio di gestione), nonché determinazione della loro retribuzione;
Ø proposta di azione di responsabilità nei confronti del consiglio di gestione;
Ø approvazione del bilancio;
Ø possibilità (se prevista dallo statuto) di deliberare sui piani strategici, industriali e finanziari definiti dal consiglio di gestione.
L’assemblea, alla quale resta la funzione di indirizzo, risulta di fatto spogliata di parte delle proprie competenze, assegnate ora al consiglio di sorveglianza. Il compito di controllo contabile è obbligatoriamente da assegnarsi ad un revisore o ad una società di revisione. La novità fondamentale del modello dualistico consiste quindi nell’allontanare i proprietari dalla gestione, assegnandola a professionisti: tuttavia, se i primi sono adeguatamente rappresentati nel consiglio di sorveglianza, il loro ruolo di controllo sull’organo di direzione risulta potenziato. Il modello dualistico appare adeguato qualora l’azienda voglia coinvolgere nella gestione anche soggetti non proprietari, ma comunque
rilevanti per la vita della stessa: non a caso in Germania, Paese nel quale tale modello è sorto, nel consiglio di sorveglianza sono spesso rappresentati i dipendenti dell’impresa. Figura 3.5. - Il modello dualistico
• Il modello monistico prevede la presenza di un’assemblea dei soci, quale organo volitivo, che nomina un consiglio d’amministrazione (non è invece ammessa la nomina di un amministratore unico). Quest’ultimo organo svolge la funzione gestionale ed in più nomina, al proprio interno, un comitato di controllo, tra gli amministratori non esecutivi; almeno un terzo dei membri del comitato deve essere in possesso degli specifici requisiti di indipendenza (rispetto agli amministratori esecutivi) previsti dal Codice Civile ed almeno uno di essi deve essere iscritto all’albo dei revisori contabili. Il comitato detiene compiti di controllo analoghi a quelli spettanti al collegio sindacale. Il controllo contabile deve essere assegnato ad un revisore o ad una società di revisione. Tale modello, a fronte di controlli sull’andamento della gestione a favore dei proprietari meno stringenti, ha il pregio della semplicità e della flessibilità, consentendo una più facile circolazione dell’informazione e una maggiore trasparenza tra organo di amministrazione e di controllo. Si tratta di un modello sorto nei paesi anglosassoni, nei quali si evidenzia una netta separazione tra proprietà e gestione (non a caso le grandi corporate sono sorte proprio negli Stati Uniti). Ai manager, figure portatrici di forti competenze professionali, spetta il compito di dirigere l’azienda per la massimizzazione del valore a favore degli azionisti, che non sono coinvolti nella gestione: tale obiettivo di fondo rende meno importante la partecipazione di diversi stakeholder, come invece poteva accadere nel modello dualistico.
Figura 3.6. - Il modello monistico
I tre modelli hanno quindi logiche di funzionamento diverse tra loro: a seconda dell’obiettivo che si vuole ottenere (semplicità, coinvolgimento di diversi stakeholder, mantenimento di poteri forti di controllo in capo ai soggetti proprietari...) l’azienda avrà a disposizione utili strumenti per tutelare gli interessi ritenuti principali.
Tabella 3.3. - I modelli di governance per le società alla luce del Decreto Legislativo 17 Gennaio
2003, n. 6, modificato dal Decreto Legislativo 6 Febbraio 2004, n. 37
Tipo di Modello Funzione Volitiva Funzione Gestionale Funzione di
Controllo Logica di funzionamento
Modello Tradizionale Assemblea dei soci Consiglio di amministrazione o Amministratore unico Collegio sindacale
Forte potere di indirizzo in capo ai proprietari sull’operato dei manager
Modello Dualistico Assemblea dei soci – Consiglio di sorveglianza Consiglio di gestione Consiglio di sorveglianza
Attività di indirizzo e controllo sull’operato dei manager, affidata a professionisti che esprimono gli interessi
dei proprietari e di altri stakeholder rilevanti Modello Monistico Assemblea dei soci Consiglio di amministrazione Comitato di controllo
Gestione e controllo affidati a professionisti, riduzione dell’influenza dei proprietari, semplicità e flessibilità
Relativamente alle aziende pubbliche non costituite in forma societaria, le problematiche di governance interna tendono a semplificarsi, grazie all’intervento dell’ente locale. Si deve infatti notare che la minor autonomia dal punto di vista giuridico, organizzativo, gestionale e contabile si riflette anche sul tema del governo delle relazioni tra i soggetti interni all’azienda, proprio perché tali relazioni vengono regolamentate in modo pervasivo dall’ente locale stesso. La definizione degli organi aziendali, la loro nomina, la regolamentazione dei loro rapporti spetta all’amministrazione territoriale, che esercita quindi un’influenza assai rilevante sulle dinamiche interne all’azienda, cosa che non era in grado di fare in presenza di modelli di tipo societario.
Le situazioni appena descritte sono ravvisabili soprattutto nel campo dei servizi pubblici privi di rilevanza economia, nei quali prevalgono ancora gestioni dirette da parte dell’ente locale o mediate da aziende speciali o istituzioni, organismi, come si diceva, sui quali l’amministrazione esercita una forte ingerenza.
Le problematiche di governance tendono quindi a ridursi qualora vi sia ricorso a forme “in house”, per le quali è la stessa Legge a richiedere la presenza del requisito del “controllo analogo”, che fa sì che l’azienda creata non sia altro che una mera articolazione funzionale dell’amministrazione158.
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Circa l’opportunità di gestire “in house” un determinato servizio o di assegnarlo a un soggetto terzo, Leland e Smirnova, sulla base di un’analisi della letteratura sul tema, affermano che “contracting out is likely to be better than direct government provision if most of the following circumstances are met: (1) performance can be measured and evaluated, (2) there is enough competition among potential providers, (3) private providers have greater economies of scale, (4) the task being performed can be specified in a contract, and (5) the task is not central to the agency’s mission”. Cfr. LELAND S., SMIRNOVA O., Reassessing privatization strategies 25 years later: revisiting Perry and Babitsky’s comparative performance study of urban bus transit services, Public administration review, volume n. 69, issue n. 5, Blackwell, Oxford, 2009, pag. 856.