CAPITOLO III – PROFILI DI DIRITTO COMPARATO
1.4 Dalla fase zero alla fase sei
Il mobbing non è un evento stabile ed omogeneo ma è un processo in continua evoluzione219. Esso non si ripercuote
all’improvviso sulla vittima, ma è un processo articolato che comincia lentamente e in modo subdolo e che spesso manifesta i suoi effetti solo dopo un lungo periodo di tempo. In quanto processo, il mobbing si può suddividere in fasi successive che i ricercatori hanno tentato di elencare con vari modelli, con lo scopo di facilitarne il riconoscimento. Tra tutti i modelli esistenti, uno dei più famosi è il modello a quattro fasi di Leymann220: la prima fase del modello si basa sul presupposto che il conflitto nasce normalmente in tutti i posti di lavoro a causa di scontri di caratteri, di opinioni ed abitudini diverse, a causa di invidia o competizione. Tale conflitto è latente poiché non viene ancora esplicitato da nessuna azione o frase. Esso diviene mobbing solo se non viene risolto e se comunque diviene continuativo per almeno sei mesi.
La seconda fase è quella in cui ha inizio il mobbing vero e proprio e il conseguente terrore psicologico. Il conflitto quotidiano matura e diviene continuativo, vengono definiti e cristallizzati i ruoli di mobber e di vittima, il mobber agisce in modo sistematico ed intenzionale con strategie persecutorie ed il mobbizzato subisce la stigmatizzazione collettiva.
La terza fase si verifica nel momento in cui il mobbing trascende i limiti dell’ufficio/reparto in cui è nato e diventa di dominio pubblico. La vittima comincia ad accusare problemi di salute e si assenta ripetutamente dal lavoro per malesseri o
219 H. EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, op. cit., p. 18.
220 H. LEYMANN, Mobbing and Psychological Terror at Workplaces, op.
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visite mediche. Inoltre, manifesta un calo di rendimento così da dare il via ad indagini da parte dell’Amministrazione del Personale. Quest’ultima può arrivare a considerare l’elemento dannoso e dispendioso per l’azienda e decidere di eliminarlo anche attraverso azioni non propriamente legali, con l’obiettivo di portarlo alle dimissioni spontanee.
La quarta fase prevede l’esclusione della vittima dal mondo del lavoro, per licenziamento o per dimissioni. Nei casi più gravi e violenti si verificano suicidi oppure aggressioni verso il mobber. E’ l’ultimo stadio dell’azione mobbizzante poiché il mobbing raggiunge il suo scopo.
Il modello di Leymann è puramente descrittivo: esso presenta dei limiti, rintracciabili sia nella mancanza della dimensione soggettiva della vittima, sia nella mancanza di relazione logica tra le fasi (necessaria per parlare di “processo”). Inoltre, Leymann sembra basarsi sulla realtà svedese e tedesca221, non permettendo l’applicazione del suo modello ad una realtà culturale e sociale come quella italiana, la quale presenta, rispetto agli altri paesi europei, delle peculiarità. In quest’ottica il modello di Leymann appare impreciso ed incompleto, lasciando aperti molti quesiti.
Per tale motivo Ege ha elaborato una variante del modello leymanniano, legando logicamente e cronologicamente ogni singola fase a quella precedente e alla successiva. Il modello di Ege222 appare, così, molto più ricco, chiaro e fluido e
maggiormente adeguato alla situazione italiana. Qui, infatti, la
221 H. EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, Franco Angeli, Milano
2003, p. 18
222H. EGE, La valutazione peritale del danno da mobbing, op. cit., p.
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conflittualità tra i lavoratori viene considerata una condizione normale di lavoro, per cui, a differenza di ciò che sostiene Leymann, il conflitto quotidiano non può costituire il punto di partenza del mobbing. A questo proposito, Ege, antepone alle sei fasi di cui dovremo dar conto, la c.d. “condizione zero”: essa, appunto, non è una fase vera e propria ma una pre-fase, che non è ancora mobbing, in cui i soggetti sono in competizione l’uno con l’altro. Lo scopo del conflitto non è la “distruzione” dell’altro ma la volontà di prevalere rispetto al resto del gruppo. Si tratta, in sostanza, di una conflittualità generalizzata (tutti contro tutti), senza la designazione di una vittima precisa in cui l’ ostilità non è latente poiché si manifesta (saltuariamente) attraverso piccoli diverbi, discussioni o ripicche. Nessuna azienda italiana sfugge a questa situazione, che rappresenta pertanto la regola e costituisce terreno fertile per l’emergere del fenomeno223.
La fase I è quella del “conflitto mirato”: l’ostilità si concentra verso una determinata persona e lo scopo non è più quello di emergere ma quello di distruggere l’avversario. Il conflitto fisiologico di base, dunque, prende una svolta, non è più una situazione stagnante, ma assume una determinata direzione. Inoltre, il conflitto non è più oggettivo e limitato al lavoro, ma sempre più si incanala verso argomenti privati224.
E’ nella fase II che ha inizio il mobbing: gli attacchi non causano ancora sintomi o malattie di tipo psico-somatico sulla vittima,
223 H. EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, op. cit., p. 19. 224 H. EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, op. cit., p. 19.
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ma tuttavia le suscitano un senso di disagio e fastidio. Le relazioni tra vittima e mobber si inaspriscono225.
I primi sintomi psico-somatici connotano la fase III nella quale il mobbizzato inizia a manifestare particolari disturbi, quali ad esempio, insonnia, insicurezza, problemi digestivi, isolamento ecc226.
La fase IV è denominata “errori ed abusi dell’amministrazione del personale”: il caso di mobbing trascende i limiti dell’ufficio in cui è nato e diventa di pubblico dominio. Spesso sono gli errori di valutazione da parte dell’ufficio del personale a favorire il fenomeno. La vittima, infatti, già dalla precedente fase, si assenta molte volte dal lavoro per visite mediche o malesseri e questo può indurre l’amministrazione del personale a dare il via ad indagini. A causa della mancata conoscenza del fenomeno di cui il lavoratore è vittima, l’ufficio può decidere erroneamente di eliminarlo227.
La fase V è quella del serio aggravamento della salute psico- fisica della vittima: le continue vessazioni nell’ambiente lavorativo provocano nel mobbizzato un aggravamento delle sue condizioni di salute. Egli entra in uno stato di disperazione e depressione e spesso ricorre all’uso di psicofarmaci e terapie228.
L’ultima fase, la fase VI, nella quale si ha l’esclusione dal mondo del lavoro della vittima229, rappresenta l’ultimo stadio del
225 H. EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, op. cit., p. 19-20. 226 H. EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, op. cit., p. 20. 227 H. EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, op. cit., pp. 20-21. 228 H. EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, op. cit., p. 21. 229 H. EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, op. cit., p. 21.
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mobbing. La disperazione e la sofferenza del mobbizzato è talmente grave che decide volontariamente di dare le dimissioni o di ricorrere al pre-pensionamento. Nei casi più gravi di depressione, possono verificarsi atti tragici, quali il suicidio o addirittura l’assassinio del mobber. L’esclusione della vittima dal contesto lavorativo può attuarsi anche tramite il licenziamento. In tutte queste ipotesi il mobbing raggiunge il suo scopo.