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La catastrofe di Marcinelle e i cambiamenti nella comunità italiana

3.2 I fatti dell’8 agosto

La catastrofe di Marcinelle avviene l’8 agosto del 1956, presso la miniera del Bois Du Cazier. La miniera si trova nella periferia meridionale di Charleroi, con un’estensione di 875 ettari.27 Le vene di carbone sono presenti oltre i mille metri sotto la superficie, per questo motivo viene costruito un nuovo pozzo che sarebbe dovuto arrivare a 1175 metri di profondità, che però non entra in funzione. Lo sfruttamento intensivo della miniera non è accompagnato da un’adeguata modernizzazione delle strutture e dei sistemi di sicurezza. Nel 1955 la miniera produce 170.557 tonnellate di carbone, vi lavorano 725 operai ma non ha ancora meccanizzato il trasporto del carbone e le strutture erano in legno. Gli ingegneri considerano la miniera un luogo pericoloso, dove «non si poteva lavorare con l’elettricità, perché questa era di terza categoria, dove c’era più gas, più grisou».28

La zona di Charleroi è nota per il frequente numero di incidenti, a causa della quantità abbondante di acqua e gas presenti nel sottosuolo. Marcinelle rappresenta l’apice di questa realtà.29

All’interno delle gallerie sono usate strutture di legno e i vagoni sono trainati da uomini o cavalli, ma non sono ancora mossi elettricamente. La mancanza d’intervento di fronte alla vetustà della stessa è dettata dalla consapevolezza della crisi del settore minerario che avrebbe portato di lì a poco alla chiusura della totalità delle miniere della Vallonia.. La miniera ha una produzione modesta: nel 1955 sono estratte 170.557 tonnellate di carbone per un impiego di 725 operai (una grande miniera in media impiegava 7000 operai). 30

27 Inizialmente è data in concessione alla società Douairière Desmanet de Nivelles, nel 1822. È abbandonata pochi anni dopo, nel 1898, perché considerata poco redditizia. La miniera diviene nuovamente produttiva a partire dal 1899, quando la Société Anonyme des Charbonnages du Bois

du Cazier acquisisce la concessione e intensifica la sua produttività È questa società che

modernizza la miniera, ne estende la superficie e cerca il carbone a nuove profondità. In Forti A.,

Da Roma a Marcinelle, cit, 2004.

28Urbano Ciacci, Bois du Cazier, 2010

29 Forti A., Joosten C., Cazier judiciaire, Marcinelle chronique d’une catastrophe annoncée, Luc Pire, Chauveid, Staveolt, 2006

30 Seghetto A., italiani in Belgio, in Affari sociali internazionali, anno XII, Francoangeli, n. 2, 1987.

L’8 agosto del 1956 all’inizio del primo turno di lavoro, si recano a lavoro 274 operai, che raggiungono le postazioni di lavoro nei diversi piani della miniera. Alle 8.10, a causa di una difficoltà di comunicazione tra due lavoratori, l’ascensore è attivato in anticipo e il vagoncino adibito al trasporto del carbone, che non è stato posizionato correttamente, finisce contro la parete e trancia le tubature dell’olio, i fili elettrici e il condotto per l’aria compressa. È possibile che ci sia stata una difficoltà di comunicazione tra Mauroy, il macchinista, e Iannetta, l’addetto alle manovre dell’ascensore, oppure che l’operaio abbia dimenticato di assicurare con i fermi il vagone. Secondo la commissione parlamentare d’inchiesta il disastro è causato da un’incomprensione tra due addetti alle macchine:

Secondo il battitore di superficie un accordo telefonico del modello prestabilito sarebbe stato deciso tra l’aiuto montacarichi e lui e avrebbe ricevuto il segnale di partenza che doveva eseguire. Ma in quel momento secondo l’addetto al montacarichi, che sarebbe andato a spostare di 40 metri dalla sua posizione di lavoro un carello da legna che lo ostacolava nell’invio, egli sarebbe stato così assente nel momento in cui questo accordo telefonico sarebbe stato deciso ma al suo ritorno non avrebbe ricevuto alcuna informazione o ne avrebbe ricevuta una errata.31

Secondo questa prima ricostruzione è un errore umano all’origine della catastrofe, ricostruzione confermata in sede processuale. Il processo penale doveva invece accertare la responsabilità delle società carbonifere, se avevano aumentato l’entità dei danni, tralasciando la manutenzione e le misure di sicurezza. Urbano Ciacci, chef-pourion della miniera del Cazier ai tempi della catastrofe, sostiene che, oltre l’episodio del carrello, nella miniera doveva essersi verificata qualche anomalia perché il responsabile della mattina aveva seguito un iter diverso da quello giornaliero:

Dicono che è stato un carrello messo male, che hanno mandato via l’operaio in America, per coprirlo all’indomani l’hanno spedito… Questo qui (indica una foto appesa nella stanza dedicata alla commemorazione dei defunti, ndr) era il capo come ho fatto io per diciotto anni, in mancanza di un ingegnere siamo

31 Atti della Commissione d’inchiesta, in Di Giangregorio La catastrofe di Marcinelle Bois du

Cazier, 8 agosto 1956, Gruppo alpini “medaglia d’Oro Gino Campomizzi” Castel di Ieri A.N.A.

noi che abbiamo la responsabilità. Era lui che faceva il turno del mattino e noi siamo abituati a scendere verso le 8:45, 8:30, delle volte alle 9:00, scendiamo insieme, andiamo a visitare un cantiere, questo qui si è preso dentro32, è morto,

non è mai più rimontato, si vede che c’era qualcosa che non funzionava, prima di andare a dirlo ad un ingegnere, un direttore hanno chiamato lo chef-

pourion. C’era qualcosa che non andava, non il carrello o queste cose…[…] il

carrello che ha preso tutto, tubi, cavi elettrici, tubi di olio, le pompe idrauliche, ma lì non possono stare i tubi perché quando noi scendiamo se scoppia un tubo è come una mitraglia. La pressione, quasi 200 kg di pressione, ti bucano come una pallottola. E poi come fa il vagone a prenderli che sono messi dietro? È questo che la gente non sa…i tubi erano dietro le lamiere…33

Le scintille dei cavi elettrici fanno prendere fuoco all’olio nebulizzato che, spinto dall’aria compressa, raggiunse in pochissimo tempo le gallerie, incendiando le armature in legno. Dopo pochi minuti sette operai che sono riusciti a uscire dalla miniera, danno l’allarme. L’incendio raggiunge velocemente il pozzo d’uscita e le condotte d’aria fanno disperdere l’anidride carbonica per tutta la miniera. I soccorsi provano ad aprire un varco attraverso il pozzo in costruzione ma il fumo e il calore sono tali da rendere impossibile le manovre di recupero. L’incendio si propaga velocemente e alle dieci del mattino gli ascensori crollano perché i cavi che li sostenevano si sono spezzati per il calore. Questo fatto rende la miniera temporaneamente inaccessibile. Durante la prima giornata di soccorsi l’ingegnere Calicis e il minatore Angelo Galvan si recano dentro la miniera con una squadra di soccorso. Iniziano le azioni di salvataggio e, alla fine del primo giorno, sono messi in salvo in tutto tredici operai, mentre vengono riportati in superficie i primi nove morti. Galvan partecipa a tutte le operazioni di salvataggio. Durante il processo racconta l’impossibilità dei soccorsi:

Era il 13 agosto. Per raggiungere la galleria centrale di 835 metri, sono passato da una comunicazione che arrivava alle scuderie. Lì, l’incendio non aveva preso, ma il fumo era così denso che abbiamo dovuto avanzare seguendo i binari. All’altezza di 4 Paumes abbiamo trovato i primi morti e il primo, all’inizio della galleria, era il mio compagno, Eugéne Bohen, chef-porione di giorno al pozzo d’entrata dell’aria.34

32 E’ rimasto intrappolato dentro. 33 Urbano Ciacci, Marcinelle, 2010.

Le fiamme sono definitivamente spente solo al mattino seguente, quando nella miniera erano ancora intrappolati 253 minatori.35 La temperatura all’interno della miniera è altissima e il fumo così denso che, per riuscire a esaminare tutti i piani in cerca dei superstiti, s’impiegano due settimane, durante le quali si alternano le squadre di salvataggio alla ricerca di superstiti. Con maschere antigas, scendono nella miniera gruppi di salvataggio, con turni di tre ore senza interruzione. Nonostante la determinazione però, con il passare dei giorni diventa sempre più evidente che ci sono pochissime speranze di trovare ancora qualcuno vivo. Alla fine il verdetto definitivo è annunciato il 22 agosto quando anche l’ultimo piano della miniera, quello a più di 1.000 metri di profondità, fu esplorato. È lo stesso Galvan a comunicare la notizia: «Tutti cadaveri».36 Il bilancio è tragico: 262 morti, di cui 136 italiani. Gli italiani morti al Bois du Cazier lasciavano 183 vedove e più di 400 orfani. Senza dubbio l’elenco dei morti dimostra il grado di disperazione della nostra nazione, data l’elevata quantità di italiani presenti. Non a caso, infatti, Marcinelle rappresenta la composizione geografica della disperazione italiana, com’è rintracciabile osservando la provenienza geografica dei morti, per lo più meridionali, di cui ventidue Abruzzesi, specchio di un sud d’Italia ancora escluso dagli effetti benefici della ripresa.

Durante i lavori di soccorso tutta la popolazione del Bois du Cazier, per lo più composta dai parenti delle vittime e dagli altri minatori accorsi a soccorrere i colleghi, rimane arrampicata sui terril37 a guardare il fumo uscire dai pozzi. Oltre le massime cariche istituzionali, anche il re Baldovino raggiunge il luogo del disastro e vi torna successivamente, intrattenendosi a parlare con le squadre di salvataggio. Per tutto il Belgio, la catastrofe di Marcinelle permette un brusco risveglio, dato che la cittadinanza si accorge dell’entità della presenza italiana in Belgio (circa 300.000 uomini) e delle loro condizioni di vita: Costretti alle baracche, isolati dai centri urbani, e protagonisti, negli ultimi dieci anni, del decollo dell’economia italiana e alla ripresa di quella belga.Il Vaticano invia il Patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII a

35 Forti Alein, Da Roma a Marcinelle, cit. 36 Ibidem

37 I Terrill erano le discariche dove erano gettati gli scarti del carbone accumulati attorno alla miniera che creavano delle piccole colline alte qualche decina di metri.

dare conforto ai parenti delle vittime. Il vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Saragat, dichiara la propria vicinanza alle famiglie con la consapevolezza che «Questa tragedia del lavoro debba richiamare le organizzazioni responsabili all’attuazione severa di quelle norme di sicurezza che sono garanzia della vita dei lavoratori». Arrivano le reazioni concertate del ministero del Lavoro e di quello degli Esteri: il ministro Vigorelli dispone affinché gli uffici forniscano tutto il sostegno possibile a favore dei familiari delle vittime; l’onorevole Del Bo, sottosegretario degli Esteri per l’emigrazione, parte immediatamente per il Bois du Cazier.

Nei momenti successivi alla catastrofe non mancano promesse d’aiuto nei confronti dei familiari. Il ministro Vigorelli impegna il Governo a «Adottare tutti i provvedimenti che, nel limite del possibile, possono prevenire il ripetersi di questi incidenti».38 L’interesse istituzionale è dettato anche dalla consapevolezza che questa tragedia avrebbe scatenato notevoli polemiche sulla gestione dei flussi migratori e sulle condizioni di vita degli italiani all’estero. Difatti, il «Bollettino quindicinale dell’emigrazione», accusa il Governo di proporre interventi poco risolutivi, dettati più dalla necessità di contenere l’indignazione dei familiari delle vittime, che da un articolato intervento politico: in un articolo del settembre del ’56, il Bollettino accusa il governo italiano di demagogia, le minacce del ministro italiano, di rimpatriare i minatori italiani suonavano come semplice retorica.

Si è ventilato il rimpatrio obbligatorio dei minatori dalle micidiali miniere belghe; ma cosa intende e può fare il governo italiano per garantire loro un pane che in quelle essi, a rischio mortale, purtroppo avevano assicurato? […] Allora è prevedibile che tutto rimarrà nello stato di prima non appena la commozione suscitata dall’immane tragedia sarà sfumata nel rapido oblio che l’incalzare frenetico delle umane vicende ci impone.39

Vigorelli, appena rientrato a Roma, incontra il Presidente del Consiglio Segni e espone al Senato la situazione dopo l’incidente e il confronto avvenuto con le istituzioni belghe, annunciando che è prevalsa la volontà di un’azione congiunta, al fine di migliorare le condizioni di vita degli italiani impiegati nelle miniere, rivedendo i parametri di sicurezza e le condizioni di vita:

38 Di Giangregorio M., La catastrofe di Marcinelle, cit., p. 85

39 Bollettino quindicinale dell’emigrazione, La catastrofe di Marcinelle, anno X, n. 16-17, 10 settembre 1956, p. 238.

La sicurezza e le condizioni di lavoro, i criteri di retribuzione, la diretta vigilanza dei nostri minatori e la loro assistenza per le malattie sociali e particolarmente della silicosi, il grave problema degli alloggi, sono stati considerati in un’atmosfera di reciproca comprensione e fiducia nello sforzo di superare le difficoltà.40

L’episodio ha riaperto in Italia il dibattito sulle istituzioni preposte al controllo dell’emigrazione italiana, confronto mai concluso che vedeva schieramenti politici contrapposti con letture del fenomeno migratorio diametralmente opposte. Questa distanza politica, insieme all’opposizione del Ministero del Lavoro e di quello degli Affari Esteri, impedisce la creazione di un’istituzione unica e centralizzata che possa intervenire in maniera forte e coerente nella gestione dei flussi:

Soprattutto in coincidenza con episodi quali gli incidenti sul lavoro (tra tutti quello di Marcinelle), nel dibattito politico la responsabilità dei disagi e delle tragedie legate all’emigrazione veniva spesso associata alla frammentazione e alla burocratizzazione degli apparati pubblici. Sistematicamente, però, tutti i tentativi di accentramento delle competenze istituzionali fallirono.41

Contemporaneamente, il primo ministro belga, Achille Van Acker, indice una giornata di lutto nazionale e promette l’assistenza necessaria per i parenti dei minatori rimasti uccisi. Le operazioni di salvataggio iniziano dopo ventiquattro ore perché la temperatura della miniera è troppo alta ed era impossibile pensare di intervenire prima che l’incendio si plachi. Dal giorno successivo all’incidente per le due settimane seguenti si recuperano i cadaveri dei minatori rimasti coinvolti:

Il giorno della catastrofe sono andato a vedere con mio padre: «papà c’è stata una catastrofe a Marcinelle». Il fatto è che siamo venuti quasi tutti insieme con questi ragazzi. Si conoscevano. Siamo venuti e c’erano fiamme da tutte le parti. Qua c’era il fuoco. La gente era davanti la porta, davanti al portone di ferro. La gente gridava. Ce ne erano sopra, nel terril. E purtroppo la catastrofa era là, era già tardi. E dopo la catastrofa ci hanno riconosciuto che siamo italiani. Banda di Merda! Tu te lo immagini? Tu che vedi quel pannello là, ti ritrovi qua, umiliato, da ‘sta banda di merda. Ma no che mi hanno dato loro da mangiare con il sudore dei miei genitori e noi che abbiamo lavorato, se ci

40Atti parlamentari, in Di Giangregorio M., La catastrofe di Marcinelle negli atti parlamentari, Gruppo alpini “medaglia d’Oro Gino Campomizzi” Castel di Ieri A.N.A. Sezione Abruzzi, L’Aquila, Stampato in proprio, Luglio 2008.

abbiamo una casetta. Cioè, non voglio dire che, ma accoglienza non ne abbiamo avuta, quel poco che abbiamo ce lo siamo fatto noi. Ci abbiamo sempre la tassa di soggiorno, siamo mica belgi.42

Le operazioni di salvataggio incontrano alcune difficoltà: le comunicazioni tra i piani della miniera sono impossibili poiché i cavi telefonici sono stati tranciati. Non ci sono mezzi per entrare velocemente dentro la miniera, poiché il pozzo principale è bloccato dall’ascensore e quello secondario è sbarrato per sicurezza. Una volta entrati, l’alta temperatura e l’acqua rendono difficoltosa la ricerca dei superstiti. Infine all’interno della miniera non sono presenti gli strumenti necessari ad intervenire in situazioni così estreme: mancavano maschere per l’ossigeno e tute ignifughe che, per quanto sono inviate celermente, ritardano ulteriormente i lavori di soccorso. Alcuni minatori partecipano alle manovre di recupero fino agli inizi di settembre:

Dall’8 agosto mattina, quando il fuoco è scoppiato alla 8.10 nel pozzo del Cazier, sono rimasto chiuso per due mesi nella “Centrale di Salvataggio” insieme con gli altri 17 soccorritori, per tutto il tempo cioè che è stato necessario per raggiungere la galleria più profonda, a 1035 metri. E trovare tutti morti. Fu un colpo terribile per noi […] I primi giorni è stato pesantissimo, avevo il cuore che voleva scoppiare, prima per la paura e poi per il dolore. Si scendeva ma non si sapeva se si tornava su. Poi a vedere tutto quel disastro, tutti gli amici… Pensavamo che una volta o l’altra toccava anche a noi. Poi a poco a poco (ci facevano delle iniezioni ma quelle credo che erano per le infezioni) ci siamo abituati.43

I minatori che compongono le squadre di salvataggio fanno parte della “Centrale du sauvetage”. Gli addetti al salvataggio rimangono chiusi nel centro per tutta la durata dei soccorsi, probabilmente anche per evitare che rilascino dichiarazioni sulla reale situazione dentro la miniera:

42 Giuseppe Barone, Marcinelle, 2012.

Non si vedeva più niente. Fumo. Ma chi scende? Tutti. Siamo andati a 1.035 con l’ingegnere. Con l’ascensore. L’ingegnere voleva uscire ma noi si sapeva. Con i grossi fari antifumo che non si vedeva niente. Ed io ho detto “no, io non esco!” e l’altro neanche. Abbiamo tirato l’ingegnere dietro, abbiamo suonato quattro colpi, e abbiamo montato su. Quando abbiamo montato su abbiamo passato il livello 975 dove aveva successo la disgrazia, abbiamo visto tutto rosso! Tutto rosso! […] Cinque gironi dopo le radio dicevano ancora c’è ancora speranza a 1.035 metri e noi si andava giù, si andava a impacchettare i cadaveri.44

Durante i soccorsi si distinguono alcuni uomini per la costanza con la quale si dedicano alle operazioni di recupero. I soccorritori ufficiali sono diciotto, anche se due di loro non reggono allo stress della situazione e chiedono di essere sollevati dall’incarico. Angelo Galvan, soccorritore a Marcinelle, racconta che alcuni minatori fiamminghi erano arrivati per offrire aiuto ma che erano rimasti talmente impressionati dalle condizioni dei cadaveri. I morti erano stati sfigurati dai gas e ovunque c’erano i segni dell’incendio.

Fino a 715, a 775, tutte le parti è entrato il fuoco. Che montava su al ritorno dell’aria. Siamo entrati per il foraky45 anche noi, io [Galavan] e il direttore Calisis. Io davanti e il direttore dietro, e dietro portava un picco. Perché nel foraky c’era una galleria alta 80 cm, si doveva camminare a quatti quatti. A un certo momento c’era una porta, un piccola porta di legno, e là i primi morti che abbiamo trovato erano lì, nella galleria, c’era prima il cavallo e poi due morti tutti sfatti.46

Per i soccorritori si tratta di un atto di solidarietà e di affetto nei confronti dei colleghi e dei parenti delle vittime. La consapevolezza dell’impossibilità di trovare superstiti non impedisce alle squadre di continuare il loro giro nel tentativo di restituire ai familiari almeno i corpi delle vittime.

I soccorsi sono difficili sia fisicamente, per via delle pessime condizioni della miniera, sia emotivamente, per via dei legami che legavano i soccorritori alle

44 Intervista ad Angelo Galvan, in Giannotti G., Marcinelle, memorie del sottosuolo, in «La storia siamo noi», serie di documentari televisivi, produzione Raieducational.

45 Il Foraky era il pozzo in via di costruzione, così chiamato dal nome della ditta che lo stava costruendo. La struttura era ancora incompleta. Venne utilizzato dai soccorritori perché, essendo la struttura più moderna, aveva resistito alle fiamme. Il pozzo non entrò mai in funzione.

vittime: molti di loro, infatti, erano colleghi e amici. I ritrovamenti dei cadaveri segnano la vita dei soccorritori tanto che alcuni di loro decidono di non ricominciare a lavorare al Bois du Cazier: «Dopo la catastrofe sono andato a lavorare in un’altra miniera, qui vicino, perché quando scendevo qui vedevo i fantasmi dei miei amici, e rischiavo di diventare pazzo».47 La gravità dell’evento è tale che molti minatori si recano a Marcinelle per partecipare ai lavori di soccorso. Nelle squadre sono inseriti solo i minatori più esperti, anche se tutti i minatori, anche i più giovani, hanno intuito subito che non c’erano molte possibilità di ritrovare minatori vivi.

La seconda volta siamo scesi con l’ingegnere Calicis e con due amici

sauveteurs, siamo andati a 1035, allora abbiamo visto fumo soltanto. Noi ci

aveva i fari speciali per il fumo, e si sentiva gente che gridavano un po’ più il là del pozzo e che stavano morendo. L’ingegnere voleva uscire, invece noialtri no, che eravamo abituati come salvataggio. […] montando un po’ più su con l’ascensore e passando da 975, abbiamo visto tutto rosso, tutto rosso, una fiamma rossa che montava da tutte le parti su nel ritorno dell’aria. Non sapevo che era. Arrivando su al giorno, ho visto che avevo tutti i peli delle mani già