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Marcinelle: la discrasia temporale e gli effetti reali ed immaginar

La catastrofe di Marcinelle e i cambiamenti nella comunità italiana

3.1 Marcinelle: la discrasia temporale e gli effetti reali ed immaginar

La catastrofe di Marcinelle è considerata dai membri della comunità italiana l’episodio che stravolge la loro realtà e che permette l’inizio di un percorso positivo. L’entità del disastro e la sua risonanza mediatica portano all’attenzione delle istituzioni e della società una realtà che fino a quel momento è stata volontariamente taciuta dalle società carbonifere, per evitare disordini interni e, soprattutto, eccessiva attenzione del mondo sindacale. Di conseguenza, nella memoria dei protagonisti è merito della catastrofe avere rilevato un problema che fino a quel momento le istituzioni avevano fatto finta di non vedere. L’episodio ha diverse chiavi di lettura, differenti per le istituzioni, per i testimoni e per i media. È certo che, una delle conseguenze della catastrofe è stata la rimodulazione dei rapporti di potere tra l’Italia e il Belgio, poiché il dibattito pubblico sollevato permetteva all’Italia di ridiscutere i termini degli accordi da una posizione di maggiore forza.

Le istituzioni hanno tentato di fare dell’episodio lo spartiacque della storia dell’emigrazione italiana in Belgio, ma l’importanza di questo episodio non è da ascriversi ad una sorta di cesura storica, non segna il cambiamento delle condizioni di vita dei lavoratori italiani in Belgio. Da un punto di vista di diritto del lavoro, anzi, l’esito del processo conferma lo straordinario potere della lobby carbonifera e la convenienza a mantenere inalterate le condizioni lavorative.1

Non è nemmeno l’aspetto tragico a rendere Marcinelle tanto importante: negli anni precedenti alla catastrofe nelle miniere belghe sono avvenute oltre trenta catastrofi, i morti tra i lavoratori stranieri superano le centinaia. Le invalidità causate dalle malattie professionali colpivano la maggior parte dei lavoratori. La gravità delle condizioni di lavoro degli italiani in Belgio era nota alle istituzioni italiane, tanto che, a seguito di un incidente nella miniera di Rieu du coeur, a

Quaregnon, l’8 febbraio 1956, che causa la morte di sette operai italiani, il governo italiano decide di bloccare l’invio di minatori, in attesa di ricontrattare i termini del trattato. È la posizione di forza che l’Italia ha assunto a seguito della ripresa economica interna che le permette di aumentare le pretese nella contrattazione degli accordi bilaterali: la diatriba va avanti per più di un anno ma i Paesi non arrivano all’applicazione di un nuovo trattato perché, contemporaneamente, la crisi del settore carbonifero aveva diminuito la necessità di manodopera nel settore e la nascita della Cee (1957) ha spostato il dibattito sulla libera circolazione commerciale ad un piano internazionale.2

Sebbene la storiografia sia concorde con la mancanza di effetti immediati della catastrofe sulla realtà dei migranti in Belgio,3le istituzioni dei due Paesi cercano di attribuire a posteriori alla catastrofe un ruolo chiave per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli italiani in Belgio, per giustificare la loro ignavia davanti le pessime condizioni di vita dei lavoratori stranieri. Per questo motivo cercano di dare al 1956 un ruolo di svolta nelle condizioni sociali e lavorative degli italiani. In realtà le fonti e le testimonianze concordano nell’ammettere che i cambiamenti nella realtà lavorativa degli emigrati non sono immediati, anzi avvengono molto tempo dopo la strage:

”Marcinelle” viene sempre presentata come una frattura ma io non ci credo troppo. È stata forse una frattura nel senso che i belgi hanno scoperto che gli italiani esistevano, quello si, perché bisogna immaginare che vivevano nei campi, fuori città, nascosti, li avevano fatti scendere dai treni di notte, nelle stazioni merci, e dunque non si era consapevoli davvero della presenza degli italiani. Ma nel 1956 salta agli occhi che esistono, vivono, lavorano, etc. Ma per le condizioni di lavoro non credo che le cose siano cambiate perché queste miniere erano molto vecchie, e dunque perché ci sono stati questi problemi a Marcinelle? Perché i padroni non volevano investire in una struttura che doveva chiudere dopo poco tempo, lo sapevano benissimo. Già alla fine degli anni ’40 abbiamo delle prove che il Patronato belga sa benissimo che le miniere stanno per chiudere e dunque non era interessante dal punto di vista economico fare degli investimenti in quelle strutture vecchie.4

2 A.A.V.V., Bruxelles, 150 ans d’immigration, dossier pédagogique pour formateurs, Carhop, Bruxelles, s.a., in Cahier 8.

3 Fortì, Da Roma a Marcinelle, Bois du Cazier asbl, Martinelle, 2004. 4 Anna Morelli, Bruxelles, 2010.

Nel breve periodo, gli effetti sulla gestione delle miniere sono pochi, probabilmente anche a causa dell’esito del processo che condanna le società carbonifere a un misero risarcimento. La lobby del carbone costata che il risarcimento dovuto ai familiari delle vittime è comunque minore delle spese di adeguamento delle norme di sicurezza all’interno della miniera, pertanto non si impegna mai a pieno nella messa in sicurezza delle miniere. Oltre la consapevolezza del proprio potere, capace di influenzare gli esiti processuali, l’industria carbonifera è consapevole che il proprio settore aveva cominciato la propria parabola discendente: le miniere belghe sarebbero state chiuse nel giro di pochi anni, motivo per il quale investire sulla loro manutenzione sembra una spesa inutile. Inoltre, le società carbonifere sono consapevoli che la manodopera straniera è legata al lavoro nei pozzi di estrazione dal permesso di soggiorno temporaneo, che non permette di cambiare lavoro se non dopo cinque anni consecutivi dello stesso. Di conseguenza, dopo Marcinelle gli italiani continuano ad emigrare in Belgio, prima come minatori e poi come manodopera non specializzata.5

Ciononostante sarebbe riduttivo sostenere che la catastrofe non ha alcun effetto per la comunità italiana in Belgio. Innanzitutto Marcinelle permise agli italiani in Belgio di acquisire consapevolezza della loro esistenza come comunità e non singoli gruppi o famiglie. È merito delle difficoltà incontrate nel percorso migratorio se gli italiani imparano a riconoscersi come gruppo e a difendersi. In questo senso, la catastrofe di Marcinelle dà loro un’identità collettiva bene definita e immediatamente riconoscibile:

La generazione proveniente dall’Italia, strettamente vincolata per giurisprudenza per l’immaginario all’orizzonte (il lavoro in miniera), concepisce se stessa come parte collettiva di uno scambio che si mostra ineguale perché non realmente negoziabile dagli emigranti. La condizione degli emigranti era quella di una manodopera considerata “temporanea” e sottoposta allo strettissimo vincolo della libertà personale (il principale criterio distintivo si stabilisce tra titolari di un permesso di lavoro di tipo “B”, valido per un solo anno, o di tipo “A”, dopo cinque anni). In un simile contesto, caratterizzato da estrema durezza, sia sul posto di lavoro che nelle condizioni

5 Bevilacqua P., De Clementi, Franzina, Storia d’emigrazione italiana, Partenze, Donzelli, Roma, 2002

di alloggio (sovente erano baracche di guerra), il primo imperativo era evidentemente quello di imparare a sopravvivere. Questi anni erano caratterizzati anche delle grandi stragi minerarie. Ed è attorno ai propri morti operai che quella prima generazione di lavoratori imparò a riconoscersi come collettività italiana, sino a conquistarsi un profilo transnazionale, italo-belga, nel lutto pubblico di Marcinelle.6

Dal punto di vista dell’integrazione sociale, l’incidente accelera il percorso di reciproco riconoscimento tra i due gruppi, aumentando le possibilità d’iterazione fuori dal contesto lavorativo. Marcinelle è un episodio importante per la creazione della storia della comunità italiana nel Belgio: l’alto numero di persone coinvolte; la consapevolezza da parte della società civile belga della quantità di stranieri presenti in Belgio e della loro importanza per lo sviluppo economico del Paese; il ruolo della televisione nella diffusione della notizia, sono tutti fattori che permettono la diffusione mediatica e capillare della notizia e il conseguente impatto emotivo tra le popolazioni di entrambe le nazioni. Le dimensioni del disastro incontrano la cassa di risonanza della televisione pubblica, nessuno rimane all’oscuro dell’evento:

Non fa meraviglia che la catastrofe di Marcinelle resti ancora oggi così profondamente impressa nella memoria, viste le sue dimensioni e la commozione e lo slancio di solidarietà che suscitò. Ma all’epoca, al di là del suo aspetto tragico, essa fu percepita come un terribile rivelatore. È rivelatore, da una parte dei limiti ormai raggiunti da un’industria condannata, e dall’altra dall’assenza di una vera e propria politica per l’immigrazione da parte dello stato belga.7

La catastrofe da visibilità agli emigrati, fino a quel momento isolati dalla società belga, che aveva potuto ignorare la loro presenza. Con Marcinelle, la RTBT, televisione sperimentale belga, che trasmette solo un paio d’ore al giorno, per la prima volta lascia aperti gli studi, riprendendo i vari momenti dei soccorsi e mandandoli in onda immediatamente. La presenza della televisione amplifica la diffusione della notizia, impedendo di fatto che si continui a ignorare la realtà del lavoro in miniera e le condizioni di vita che i lavoratori accettavano. La società

6 Canovi A., L’immagine degli italiani in Belgio, appunti geostorici, cit., p. 10 7 Fortì A., Da Roma a Marcinelle, cit., p. 60.

civile belga deve ammettere il comportamento scorretto delle società carbonifere e la connivenza delle istituzioni.

L’8 agosto 1956 segna, infatti, un punto cardine del rapporto tra media e comunità italiana locale. Nella catastrofe del Bois du Cazier oltre la metà delle vittime furono italiane. Il Belgio prende finalmente atto della presenza italiana nella società civile belga. Questo battesimo funereo fa scrivere nei quotidiani: «désormais, ils sont des nôtres!».8

L’apertura della società civile permette la velocizzazione del processo d’integrazione degli italiani emigrati. Dopo la catastrofe diminuiscono gli episodi di razzismo nei confronti degli italiani, sia per il riconoscimento del loro sacrificio, sia per l’arrivo di nuovi stranieri, provenienti da Paesi economicamente più arretrati, che vanno sostituendo gli italiani nelle miniere. Dopo Marcinelle gli italiani cominciano un percorso d’interazione con i belgi, aumentano le pressioni per avere migliori condizioni di vita:

Era triste, noi eramo tutti a lutto. Noi ascoltavamo alla radio che t’anno televisione non ce ne era, compravamo i giornali, tutta quella gente, dietro le grate, era troppo triste. Si, dietro i cancelli che aspettavano, terribile. Nel lavoro delle mine ci stavano gli incidenti, c’erano sempre. Era una cosa quasi normale. Per quello che ci ha colpito è che i minatori morti erano tanti. Una tragedia vero…200 di cui 106 italiani. Tutti abbiamo avuto pena, ma non solo gli italiani anche i belgi, nella sciagura è come se ci è stata un’unione. Si, credo che ci abbia avvicinato ancora di più. È stata una cosa abbastanza forte.9 I cambiamenti nella realtà mineraria belga non avvengono solo a causa di Marcinelle, anzi è verosimile credere che Marcinelle rappresenti solo il pretesto per attuare una serie di trasformazioni che erano ormai inevitabili: la crisi del settore carbonifero europeo, la concorrenza americana e la nascita di standard europei di produzione costringono le società carbonifere belghe a ripensare la propria organizzazione produttiva. Nel mercato mondiale la concorrenza del carbone americano è pressante e la Ceca chiedeva al Belgio di rendere le proprie miniere più competitive o di eliminarle dal mercato in modo da non rallentare la produzione del vecchio continente. In questo senso l’istituzione europea aveva

8 Caprarelli Le commemorazioni di Marcinelle: 50 anni di memoria, in «Archivio storico dell'emigrazione italiana», 3, 1 (2007), pp. 169-175.

stanziato 475 miliardi di franchi belgi per l’adeguamento delle misure di sicurezza e per rendere le miniere belghe competitive a livello europeo, in modo da proporre prezzi concorrenziali (almeno inferiori del 20%).10

Inoltre le istituzioni italiane sono sempre meno interessate all’emigrazione come sfogo occupazionale, grazie alla ripresa economica che sta avvenendo in patria. Gli italiani in Belgio subiscono la concorrenza degli altri stranieri, arrivati successivamente e provenienti da contesti ancora più poveri di quello italiano. La loro presenza in Belgio da più tempo gli ha permesso di conoscere la lingua e inserirsi in alcuni ambiti di socializzazione, accedendo più facilmente in quei luoghi, quali fabbriche e scuole, nelle quali stava nascendo la protesta contro le discriminazioni di classe. Tutti questi fattori, quindi, agirono sull’integrazione a prescindere dalla catastrofe del Bois du Cazier. Ciononostante questa divenne simbolica del cambiamento sociale e istituzionale nei confronti dell’emigrazione italiana in Belgio.

I flussi si mantennero tuttavia continui e regolari fino alla catastrofe mineraria di Marcinelle che, […]colpì duramente l’opinione pubblica, spegnendo definitivamente ogni entusiasmo verso l’emigrazione italiana in Belgio. Percepita come sacrificio collettivo, la tragedia di Marcinelle segnò la fine dell’immigrazione ufficiale e degli accordi bilaterali tra il Belgio e l’Italia. Ma se il governo belga non faticò a trovare altri mercati per l’importazione organizzata della manodopera, firmando accordi bilaterali prima con la Spagna e la Grecia, poi con il Marocco e la Turchia, la storia dell’emigrazione italiana in Belgio non si è fermata al 1956. Nella seconda metà degli anni ’50 e nel corso di tutto il decennio successivo, i flussi migratori familiari e individuali continuarono ad alimentare la comunità italiana del Belgio fino a raggiungere la cifra di 300.000 individui nel 1970.11

Gli stessi testimoni vivono il ricordo della catastrofe come il momento di abbattimento delle barriere tra immigrati e nativi, l’episodio a seguito del quale continuare la discriminazione nei confronti degli italiani sarebbe stato un atteggiamento di connivenza con le istituzioni che li avevano costretti a quelle condizioni di vita:

10 Bollettino quindicinale dell’emigrazione, Il problema delle miniere belghe, Anno XI, n. 21, 10 novembre 1957, pp. 323-333.

11 F. Cumuli, Dai campi al sottosuolo. Reclutamento e strategie di adattamento al lavoro dei

minatori italiani in Belgio, «Storicamente», 5 (2009), in http://www.storicamente.org/07_dossier/emigrazione-italiana-in-belgio.htm

Dopo di Marcinelle, quella tragedia che sono morti tanti italiani, e si è presa coscienza degli italiani che erano e ci è stato che tanto l’Italia tanto il Belgio hanno visto che c’era un’emigrazione viva… Non lo potrò mai dimenticare, perché lavoravo ed eravamo tutti vicino la radio, che a quel momento lì la televisione, si c’era la televisione ma a quei tempi chi vuoi che l’aveva? E lì sono stati tanti italiani, 146 italiani morti e si è preso coscienza lì sono cambiate molte cose.12

Senza dubbio quindi Marcinelle ha effetti meno immediati e più sociali che economici. Questa realtà però si scontra con la memoria dell’episodio nei racconti dei protagonisti. Le istituzioni cercarono di attribuire a Marcinelle l’effetto di un cambiamento radicale nella vita degli emigranti per giustificare la mancanza di interventi precedenti sulla realtà dei lavoratori. Sebbene questo non avvenga nella realtà, è interessante però vedere che, dai protagonisti della vicenda, viene accettata in qualche modo la versione istituzionale e viene vissuto l’incidente come un momento di cambiamento. Nelle testimonianze raccolte, infatti, Marcinelle assume i contorni delle discrasie temporali tipiche degli eventi traumatici nelle comunità piccole.13 Avviene nella narrazione una vera e propria dissonanza tra ciò che realmente accade e ciò che è raccontato dai testimoni. Tale è la portata del disastro del Bois du Cazier, tale è l’impatto emotivo che questo ha avuto sui minatori, che per loro è la catastrofe ad avere portato alla chiusura delle frontiere e alla fine degli accordi bilaterali. I due episodi (sospensione dell’emigrazione: marzo 1956; catastrofe di Marcinelle: agosto 1956) sebbene avvengano a distanza di mesi, nella memoria dei protagonisti vengono fusi in unico episodio, vengono legati insieme in un rapporto di causa ed effetto. Si tratta di un particolare avvenimento:

La memoria collettiva addensa una singolare convergenza di racconti

sbagliati, invenzioni, leggende, che vanno da ricostruzioni immaginarie della

dinamica dell’evento fino addirittura al suo spostamento da un contesto storico a un altro. […] Si tratta di un fenomeno troppo coerente e diffuso per poterlo attribuire al cattivo funzionamento della memoria dei singoli.14

12 Giuseppe Chiodo, Tilleul, 2012

13 Per lo studio delle discrasie nella storia orale di vedano: Contini G., La memoria divisa, Rizzoli Editore, Milano 1997; Contini G., Martini A. Verba manent. L’uso delle fonti orali in storiografia, Nuova Italia Scientifica ed., Roma 1993. Halbawachs M., La memoria collettiva, Unicopli Ed. Milano 2001; Portelli, A., Storia orale, in “Quaderni storici”, Il Mulino, Bologna, 2005; ed altri. 14 Portelli, Storie Orali, cit., pp.25-26.

La catastrofe del Bois du Cazier, per gli italiani in Belgio, è fondamentale per la costruzione della loro storia e rappresenta un episodio-chiave per la comprensione della loro esperienza migratoria. Per questa ragione, a distanza di anni, la narrazione collettiva gli ha attribuito questo ruolo di cesura nell’evoluzione della propria realtà. I cambiamenti che effettivamente avvengono nella vita delle comunità, che sono da attribuire ad una serie di fattori più complessi (crisi del settore carbonifero; espansione del settore della siderurgia pesante; spostamento di alcuni immigrati nei centri urbani; apertura di partiti e sindacati agli stranieri; influenza delle istituzioni internazionali nella gestione dei lavoratori stranieri) vengono riportati nella memoria ad un singolo episodio che da solo origina tutta una serie di cambiamenti. In primo luogo, Marcinelle deve avere una conseguenza perché altrimenti significherebbe che le istituzioni dei due paesi sono rimaste sorde di fronte ad un episodio di tale gravità. Per questo bisogno, nella ricostruzione della memoria, nella quasi totalità delle testimonianze raccolte la catastrofe è considerata precedente alla chiusura degli accordi bilaterali e all’origine della fine dell’emigrazione ufficiale. Per gli ex-minatori è la catastrofe che ha portato alla chiusura dell’emigrazione dall’Italia, chiusura voluta dalle istituzioni italiane per proteggere i loro connazionali.

Non è stato facile, per fare la vita da immigrato ella [la moglie] è rimasta più, io un po’ di meno. È andata bene nell'integrarsi con i Belgi. Beh, quando c'è stata questa tragedia allora il governo non ha mandato più la manodopera nelle miniere, perché era stato un episodi grave, allora il Belgio si è rivolto alle altre nazioni: greci, spagnoli, turchi. No, i turchi sono arrivati nel 1962. Noi ci siamo integrati nell’immigrazione italiana, hai capito? In Belgio è stato molto più facile.15

Questa discrasia deriva dal bisogno dei protagonisti di attribuire una risposta forte ad un episodio tragico, in modo da rintracciare una forma di tutela nei loro confronti da parte dei Governi. In questo modo, la chiusura delle miniere “successiva” alla catastrofe, permette loro di perdonare le istituzioni che hanno lasciato che le società carbonifere mantenessero questa realtà così disdicevole, “solo” perché non ne sono consapevoli. Marcinelle denuncia una realtà terribile

che loro reputano sconosciuta agli occhi della politica che, immediatamente, reagisce impedendo i perpetuarsi di tale realtà

Tutti piangevano. Tutti gridavano. Io non ero di turno perché qui facevo la notte. C’era la griglia piena di gente: genitori, figli. Era davvero una catastrofe. Poi ho lavorato altri due anni sempre con una tristezza. Mi sembrava di vedere i cadaveri, i morti, tutti gli italiani, dappertutto. Tutti gli italiani che conoscevo. Poi hanno chiuso l’emigrazione. Che dovevano fare?16 Per i minatori non è l’incidente in sé ad essere grave, ma per la sua entità. Gli incidenti minerari sono considerati normali dai minatori. Inoltre, difficilmente nei loro racconti si mostra risentimento per le società carbonifere e per le condizioni di lavoro, piuttosto sembra condivisa l’idea della responsabilità personale e dell’errore umano. Ciononostante nei loro racconti rimane la sensazione di ingiustizia, probabilmente perché la loro ricostruzione degli eventi avviene nel presente, a seguito di una campagna mediatica costituita da articoli di giornale, documentari, commemorazioni, che hanno creato in loro un ricordo collettivo leggermente diverso dalla loro percezione iniziale dei fatti. Inoltre, l’intenzione delle società carbonifere di trovare un capro espiatorio, si è dimostrata vincente: molti minatori sostengono che è l’addetto alle macchine, l’italiano Iannetta, il responsabile dell’accaduto e che è stato protetto dai proprietari della miniera:

L’ho visto il fumo di Martinelle. La miniera ha bruciato per quindici giorni e quindici notti. Il cancello fu subito chiuso. Solitamente dopo un incidente, i responsabili dei lavori annunciavano ai familiari quanti minatori fossero morti, quanti feriti, quanti sopravvissuti; quella volta fu diverso: nessuno si pronunciava e capimmo subito che si trattava di qualcosa di grave. Per