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La catastrofe di Marcinelle e i cambiamenti nella comunità italiana

3.3 Il processo di Marcinelle

Dopo la catastrofe di Marcinelle iniziano i procedimenti giudiziari e le interrogazioni parlamentari, con l’intenzione di chiarire le cause del disastro. Il Governo belga avvia immediatamente un’inchiesta governativa (il regio decreto è in data 26/08/1956), con lo scopo di verificare la responsabilità della società carbonifera rispetto alla tragedia. La commissione d’inchiesta è composta da venticinque membri, tra cui cinque del Corps des Mines, e cinque rappresentanti dei sindacati. Le ricostruzioni della commissione deve ratificare l’atrocità dell’accaduto. Durante i lavori, gli ingegneri testimoniano che:

L’incendio sotterraneo che si è dichiarato 8.8.1956, alle ore 8:10, nella sede Saint Charles delle miniere di Bois du Cazier, ha provocato per intossicazione da ossido di carbonio la morte di 261 delle 274 persone che erano occupate in quel momento nei lavori sotterranei e di una persona che vi è scesa dopo il momento dell’incidente, da ricordare 136 italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 5 francesi, 3 ungheresi, 1 inglese, 1olandese, 1 russo , 1 ucraino. I corpi ritrovati il 9 dicembre 1957 sono come pietrificati o mummificati. La carne è ridotta i polvere e mescolata con la terra e con il ghiaione. Gli scheletri sono relativamente completi. Le ossa essiccate. Sono stati trovati frammenti di tessuto, pezzi di cuoio, fibbie, cinture, sandali di caucciù leggermente fusi, bidoni sgualciti, oggetti personali come orologi, fedi, lampade elettriche numerate in pessimo stato. 72

72 I dati sono stati raccolti presso l’archivio del Cenforsoc di Charleroi, nel fondo di Jaques Moins contenente le carte del processo per la catastrofe del Bois du Cazier.

I lavori della commissione si concludono nello stesso anno. La commissione considera solo la causa tecnica della sciagura e non si pronuncia sulle responsabilità politiche. Sebbene nella ricostruzione dei fatti sia messa in evidenza la gravità dell’accaduto, viene dato maggior peso alla responsabilità individuale, scagionando ogni possibile considerazione che avrebbe nuociuto alla miniera e alla sua gestione. Negli atti della commissione sono presenti alcune note di minoranza, le più significative sono due: la nota dei rappresentanti sindacali e quella degli ingegneri delle federazioni minerarie. La prima, firmata dai cinque membri della commissione rappresentanti delle associazioni sindacali (Balasse, Beeken, Dethier, Fiévez e Vandendriessche) vuole evidenziare «il carattere vetusto e pericoloso degli impianti causa originale della sciagura»73 e condannare la gestione delle concessioni, come quelle del Bois du Cazier, che non sono in grado di assicurare impianti moderni ed efficienti ai propri lavoratori. La seconda nota di minoranza è firmata dagli ingegneri Dessales e Dupont, che per prima cosa si oppongono alla decisione di ratificare le decisioni a maggioranza all’interno della commissione, in quanto questo metodo a loro avviso svilisce il carattere scientifico delle loro rilevazioni. Successivamente la nota evidenza il carattere «inevitabile» dell’incendio e la violenza della sua propagazione, tale per cui non era possibile contrastarlo nemmeno con i più moderni impianti. Alle conclusioni inoltre sono allegate le riflessioni dei rappresentanti dei minatori e di quelli della Federazione carbonifera belga, entrambe ovviamente tese a rilevare la divergenza di interpretazione dei fatti di Marcinelle.

L’esito dei lavori della commissione non ha peso nel processo. Nel 1958 viene depositato il rapporto giudiziario. Il collegio di difesa chiede al professore Max Cosyns74 di partecipare alla ricostruzione dei fatti, in modo da aumentare la loro credibilità attraverso un parere autorevole. I periti, alla fine dell’inchiesta, decidono il rinvio a giudizio di cinque persone, considerate responsabili della sicurezza della miniera:

73 AA. VV., Marcinelle, 1956-2006, Da 50 anni nel profondo del cuore, cit., p. 17.

74 Professore di fisica e chimica presso l’Università libera di Bruxelles, molto rinomato in quel periodo.

In realtà abbiamo perseguito l’ingegnere che era il responsabile dei lavori sul fondo della mina, le chef general, l’ispettore […] che era un funzionario inviato dallo stato che verifica la sicurezza nella mina. È una figura che è stata creata all’epoca di Napoleone, poiché in Belgio esiste molto ancora della legislazione francese dell’epoca napoleonica. Questo ispettore ha un ruolo molto importante per il controllo della sicurezza. […]. La responsabilità della mancanza di sicurezza era del funzionario dello stato che avrebbe dovuto sorvegliare. Ma all’epoca si lasciavano passare tante cose, e poi all’epoca era un comparto che cominciava ad andare male e si cominciava a parlare della chiusura delle mine, quindi i proprietari non investivano più. Oppure creavano dei pozzi nuovi, a Marcinelle stavano preparando un pozzo nuovo che non è mai stato usato, ma i vecchi pozzi venivano lasciati com’erano, in alcune si usavano ancora i cavalli invece dei vagoni, non uscivano mai dalla miniera e diventavano ciechi75.

Il processo inizia nel 1959. La catastrofe è avvenuta già da tre anni per cui il dibattimento ha un’attenzione mediatica minore di quella prevista. Anche la maggior parte dei quotidiani seguono con meno enfasi gli avvenimenti. Solo il «Drapeau Rouge» del PcB e il «Peuple» continuano sino alla fine a riportare nei quotidiani i vari momenti del dibattimento. L’accusa è composta da più parti civili: l’avvocato Evaldre è in rappresentanza delle vittime; l’avv. Nassaux della centrale dei minatori; l’avv. Lebeau per i minatori indipendenti della Centrale cristiana e dall’Italia il patronato Inca invia l’avv. Martino del Rio e l’avv. Jaques Moins76. Si trattava di ingaggi gratuiti, poiché i sindacati belgi nei giorni del processo mostrano poco interesse. Restano quindi a occuparsi della vicenda giovani avvocati che facevano parte delle associazioni e che offrivano il loro lavoro a titolo gratuito, riconducendolo alla battaglia politica di cui facevano parte.

Io sono intervenuto senza remunerazione, perché era partito da un ingaggio di tipo politico, io ero a sinistra, al PSE, e poi all’epoca ero un giovane avvocato, avevo 30 anni e quindi, “ero minuscolo in rapporto ai giganti dei sindacati”. Ma i sindacati hanno seguito il processo senza veramente prenderne parte.

75 Jacques Moins, Bruxelles, 2010.

76 Durante il processo dall’Italia arriva anche il Leo Leone, cugino dell’allora Presidente della Repubblica e penalista famoso. L’avvocato era originario dell’Abbruzzo, la regione che aveva dato il maggior contributo in termini di morti durante la catastrofe. Dalla collaborazione tra Moins e Leone nascono le recriminatorie processuali, visionabili in lingua originale presso il fondo «Moins», depositato all’archivio del Cenforsoc.

Sono stati essenzialmente un’associazione sociale belga di sinistra e l’INCA.77

Nello stesso anno, il 22 marzo, sono riportati alla luce gli ultimi corpi dalla miniera. Le istituzioni sono più interessate agli esiti della vicenda perché avrebbero potuto influenzare lo sfruttamento delle risorse minerarie e la conseguente accelerazione della chiusura del settore. In quegli anni la Ceca convoca una conferenza sulla sicurezza sul lavoro nella quale vengono dettate regole più ferree per la sicurezza dei lavoratori e la crisi del settore minerario belga è in aumento. Le società carbonifere quindi hanno interesse a che il processo non entri nel merito della gestione generale della sicurezza in miniera, proprio per evitare che i costi per l’adeguamento degli impianti li renda poco convenienti prima del tempo. Contemporaneamente il processo rappresenta un’occasione di riscatto per i minatori e gli emigrati, che trovano uno spazio per costruire un’identità e una battaglia comuni.

A costituirsi parte civile sono 195 tra familiari e superstiti, di cui 108 italiani. L’azione legale a favore dei familiari è intrapresa del patronato italiano Inca,78 nato appena due anni prima. Il presidente dell’associazione, Giovanni Roveda, e il vicepresidente, Bruno Widmar, giungono in Belgio e affidano alla sede belga il compito di sostenere i familiari delle vittime.79 L’Inca si costituisce parte civile e accusa le associazioni carbonifere di non avere adottato norme di sicurezza sufficienti ad evitare la strage. Le varie associazioni mirano a fare del processo un momento mediatico importante, volto a scardinare il sistema vessatorio delle società carbonifere, che da tempo non rispettavano le norme di sicurezza e approfittavano dei propri lavoratori nell’ignavia istituzionale. Dall’altra parte le associazioni carbonifere, ben consapevoli dei rischi a cui vanno incontro, cercano di evitare le responsabilità più pesanti:

Tutto fu messo in opera dai padroni dell’industria di carbone e dall’amministrazione belga delle miniere, per impedire qualsiasi condanna. La collusione tra gli “esperti” e la direzione delle miniere fu evidente. Gli “esperti” indicati dal tribunale, erano gli stessi ingegneri che avevano

77 Jacques Moins, Bruxelles, 2010.

78 Inca (Istituto Nazionale Confederale di Assistenza) costituito in Belgio nel 1957.

preparato i rapporti per la compagnia… e uno degli esperti, considerato come un rappresentante dell’amministrazione ricevette dopo il processo un posto di direzione nella stessa compagnia della miniera! Il procuratore era inoltre il fratello del direttore della compagnia!80

Durante il processo sono ascoltati sia i tecnici per la ricostruzione della dinamica degli incidenti, che i minatori sopravvissuti. In particolare il minatore Iannetta, addetto al carico degli ascensori e imputato principale in quanto responsabile dell’errore umano alla base della catastrofe, viene chiamato a raccontare i fatti. L’imputato, nella sua testimonianza cerca di scagionarsi:

Mentre il vagonetto che spingevo era quasi inserito nella gabbia e quello vuoto era uscito solo in parte, senza preavviso la macchina si è messa in movimento con forza rimanendo incastrata un metro e mezzo, due metri più in alto. I vagonetti hanno strappato le putrelle di ferro che servivano da guida. Immediatamente ho sentito un rumore sordo e ho cominciato a notare che il fuoco scendeva per la gabbia e che una densa fumata nera stava invadendo il sistema di invio.81

Nelle varie testimonianze si evidenzia una difficoltà di comunicazione tra Iannetta e il tiratore di superficie Mauroy, che sostiene che non riuscivano a capirsi per via della differenza linguistica. L’episodio è considerato l’origine della sciagura. E’ strano però che non viene indagata la presenza di due minatori incapaci di comunicare tra di loro in due punti così cruciali della miniera. Non è considerato l’aspetto della formazione al lavoro o della preparazione del personale: vengono divise le responsabilità tra due operai evidentemente inadatti al ruolo che ricoprivano. Il tribunale sceglie di non entrare nel merito della gestione delle miniere da parte della Società carbonifera e di non considerare il dibattito morale ed etico che la catastrofe aveva causato nell’opinione pubblica, senza di conseguenza soddisfare le esigenze dai familiari delle vittime che speravano che la sentenza facesse emergere i problemi più profondi legati alle realtà minerarie.

80 Morelli A., Gli italiani del Belgio, cit., p.122. 81 Di Stefano P. La catastrofa, cit., p. 27.

La catastrofe del 8 agosto 1956 di Bois du Cazier a Marcinelle, ha causato nella popolazione non soltanto del paese nero ma anche del Belgio intero e all’estero, un’emozione profonda; le opere di salvataggio sono state seguite con angoscia; la stampa, la televisione, la radio durante le lunghe giornate hanno alimentato delle speranze e fatto condividere dei timori. In breve, Marcinelle ha segnato profondamente gli spiriti. È compito del Tribunale, per giudicare questo grave avvenimento, evitare ogni reazione sentimentale, di non considerare le campagne condotte da certi uomini politici a mezzo stampa con lo scopo di fare pressione sui magistrati; questi devono rispondere dei loro giudizi soltanto di fronte alla loro coscienza. Tali modi di fare sono ancora più fuori luogo se si pensa che queste persone sembrano ignorare che il giorno 8 agosto 1956, a Marcinelle, c’erano soltanto dei valorosi minatori che lottavano contro la morte e altri che rischiavano la vita per salvarli.

Le società carbonifere impostano la propria difesa cercando un capro espiatorio e provando a dimostrare l’imprevedibilità dell’incidente e delle sue conseguenze, utilizzando ogni strategia possibile per scagionarsi da un eventuale coinvolgimento.82 L’accusa invece si era rafforzata grazie a una fitta rete di solidarietà che rende ancora più simbolico il processo. Gli avvocati vogliono dimostrare che le cause reali dell’incidente sono da rintracciare nella mancanza delle più basilari norme di sicurezza e che, quindi, la responsabilità è delle associazioni carbonifere e del Corps des Mines. Durante il processo quindi vengono chiamati i tecnici a testimoniare sulle condizioni della miniera, sulla struttura elettrica e sui condotti di aria condizionata e gas.83 L’accusa cerca di dimostrare la vecchiaia degli impianti, la mancanza delle strutture di manutenzione e, soprattutto, l’assenza di momenti di formazione professionale per minatori, che avrebbero ridotto il rischio di incidenti per incomprensioni. In particolare, il dibattito verte intorno al posizionamento dei cavi elettrici, che per i tecnici non andavano posizionati vicini all’olio pressurizzato e all’aria compressa, mentre per gli ingegneri della miniera erano collocati in modo corretto.

82 AA. VV., Marcinelle, 1956-2006, Da 50 anni nel profondo del cuore, cit., p. 37.

83 L’intera documentazione è oggi depositata presso l’archivio del Cenforsoc, al quale l’Avv. Moins ha lasciato in eredità i propri archivi.

Il vagone incastrato ha strappato le condutture dell’elettricità e dell’aria compressa, e in oltre c’era un vecchio sistema di canalizzazione dell’olio. Era un sistema folle perché metteva vicino le condotte dell’olio, dell’aria compressa e dell’elettricità.84

Questa diatriba, già presente nelle conclusioni dell’inchiesta parlamentare, si era conclusa con le note di minoranza degli ingegneri che negavano ogni possibilità di prevedere il pericolo nella vicinanza di olio e cavi elettrici. Durante il processo l’ingegnere Eugéne ribadisce di avere deciso lui di posizionare lì i cavi:

Mai pensato che potessero essere un pericolo. Né in seno alla miniera né tra i funzionari dell’Administration des mines che controllava è mai venuto in mente che la collocazione dei cavi elettrici come possibile fonte di calore vicino alle tubature dell’olio fosse un problema. […] le nostre conoscenze di allora, e anche quelle di oggi se devo dire la verità, non ci portavano a pensare che l’olio bruciasse. E anche all’università nessuno ha fatto studi o tesi sull’infiammabilità dell’olio.85

Durante il processo è sempre più evidente l’impreparazione dei tecnici della miniera sia nella gestione della quotidianità che del periodo. Dalle perizie viene rivelata la mancanza di estintori nel livello dell’incendio. Anche la tempestività dell’intervento dei soccorsi viene messa in dubbio, così come l’opportunità delle scelte prese dal dott. Calicis, direttore della miniera. Durante i soccorsi, infatti, il direttore non ha chiesto immediatamente l’intervento del centro dei soccorsi, non conoscendo la reale entità dei danni. Solo dopo la sua discesa in miniera, verso mezzogiorno, ha costatato la gravità e chiesto l’intervento sia del centro di soccorso delle miniere che dei vigili del fuoco.86

La sentenza di primo grado però finisce con l’assoluzione degli imputati con l’attribuzione all’accidentalità dell’accaduto. In più di un’occasione il presidente Mayence è sembrato interessato a difendere gli interessi delle società carbonifere. La federazione carbonifera e le associazioni degli ingegneri festeggiano la sentenza che però non soddisfa l’accusa e le associazioni dei minatori. Anche il partito comunista non è soddisfatto del risultato e chiede un’interrogazione

84 Jacques Moins, Bruxelles, 2010. 85 Di Stefano P., La catastrofa, cit., p. 179 86 AA.VV., Marcinelle, 1956-2006, cit.

parlamentare nella quale accusa la commissione d’inchiesta governativa di avere mancato di obiettività, avendo voluto inserire nella commissione membri dei

corps des mines, a cui erano affiliati gli imputati.

Nel febbraio del 1960 inizia il processo in corte d’appello. Gli imputati sono i due ingegneri responsabili del disguido all’origine dell’incendio: l’ingegnere del pozzo Calefice e l’addetto all’ascensore Iannetta. Iannetta però si era trasferito in Canada, secondo alcune testimonianze con la complicità della società carbonifera. La sentenza punisce Calefice a sei mesi di prigione, mentre assolve qualunque responsabile tra i dirigenti, la cui condanna avrebbe potuto mettere in crisi il sistema carbonifero.87 Per l’avvocato Moins il tribunale non voleva coinvolgere nella sentenza i funzionali statali per non creare un pericoloso e dispendioso precedente.

In appello è stato condannato l’ingegnere del fondo, che secondo noi era il meno responsabile ed il più simpatico tra gli imputati. A mio avviso, e ciò lo trovo scandaloso, ciò dipese dal fatto che l’ingegnere era assunto dalla miniera, e condannare un funzionario dello Stato sarebbe stato come condannare lo stato stesso. Così ai parenti delle vittime venne indennizzato solo il danno materiale, cioè la perdita di salario. Se fosse stato condannato lo Stato avrebbe dovuto pagare anche i danni morali.88

La Corte di Cassazione si pronuncia nel 1961, confermando l’unica condanna del precedente procedimento. L’esito del processo ha accontentato i corps des

mines, attribuendo la responsabilità dell’evento all’ingegnere, quindi

all’organizzazione interna della miniera, alla gestione del personale e non coinvolgendo l’ente di controllo o le istituzioni nazionali preposte. Ciononostante, il peso del processo, il nuovo interesse dell’opinione pubblica per la situazione delle miniere belghe, l’attenzione delle associazioni politiche e sindacali e le disposizioni europee modificano, negli anni successivi, le regole del lavoro in miniera. Nel giro di qualche anno aumentano le norme di sicurezza e viene vietato

87La sentenza della corte d’appello fu pronunciata il 2 febbraio 1961, Forti, , Cazier judiciaire,

Marcinelle chronique d’une catastrophe annoncée, Luc Pire, Chauveid, Staveolt, 2006

l’impiego di olio pressurizzato negli impianti sotterranei89. L’avvocato Moins ha definito il processo come la “crudele cartina di tornasole” in cui il profitto vince sul diritto alla vita dei lavoratori:

Non si può misurare meglio l’implacabile necessità economica che spingeva degli uomini a separarsi dalle proprie famiglie, dal loro ambiente per trovare un lavoro, i disagi che pativano.90

La compagnia mineraria paga ai parenti delle vittime il dovuto dell’assicurazione più un rimborso per danni morali di 1.000 franchi belgi, equivalente a meno dello stipendio di una settimana di lavoro. La storica Anna Morelli suggerisce una lettura diversa e imputa alla logica economica e alla potenza delle associazioni carbonifere l’esito del processo:

Il processo intentato dai parenti delle vittime di Marcinelle fu dunque un fallimento. Molte speranze si erano accese per questo processo, che fu molto seguito dalla stampa nazionale ma soprattutto nella regione di Charleroi. Doveva essere un processo alle condizioni di lavoro imposte dalla logica del profitto e alle responsabilità padronali riguardo le troppo numerose catastrofi mortali nell’industria del carbone. Si sperava molto nella condanna dei “criminali”, ma i rapporti di forza tra i lavoratori –per lo più immigrati- e il padronato dell’industria di estrazione non permettevano una valutazione seria delle colpe. La strategia dei padroni di fronti ai gravi incidenti di lavoro era già fissata da decine di anni. […] Gli unici colpevoli degli incidenti devono dunque essere le vittime stesse od altri operai che sono stati “imprudenti”.91

Gli incartamenti del processo sono stati a lungo tenuti nascosti. L’acquisizione delle carte processuali ha permesso di corroborare le tesi degli storici. Infatti, secondo le ricostruzioni storiografiche, il processo avrebbe potuto condurre alla dimostrazione dell’indolenza delle associazioni carbonifere:

Al processo 195 donne, bambini o parenti delle vittime erano costituiti parte civile. Erano difesi da un collettivo d’avvocati vicini al Partito comunista e sostenuti da varie associazioni italiane e dalla “Centrale des mineurs” di Charleroi. Gli avvocati chiesero i danni non solo ai proprietari della miniera,

89 Jacques Moins, il processo, in AAVV., Marcinelle, 1956-2006, Da 50 anni nel profondo del

cuore, Cgil, Ediesse, 2006

90 AA. VV., Marcinelle, 1956-2006, cit., p. 44. 91 Morelli A., Gli italiani del Belgio, cit., p.123.

ma anche allo stato belga. Dagli atti processuali si evince chiaramente il bassissimo livello di sicurezza della miniera, chiaramente insufficiente e in secondo piano rispetto al rendimento. In molte miniere dell’epoca “l’uso” permetteva di trasgredire senza troppi limiti ai regolamenti di sicurezza. Lo stesso Parlamento belga decretò che se si fosse applicato il regolamento gran parte delle miniere belghe avrebbero dovuto fermare la produzione di carbone.92

La catastrofe, che poteva essere evitata con una maggiore attenzione alle norme di sicurezza, è stata doppiamente dolorosa perché dimostra la potenza delle associazioni carbonifere per le quali non c’è nessuna punizione o complicazione. Il processo, concentrandosi sugli aspetti tecnici dell’accaduto, non entra mai nel