2.2.3 La terraferma veneziana 1 Marghera
2.2.3.2 Favaro Veneto
L'iperurbanizzazione degli anni '70 come abbiamo visto nel caso del Veneto ha comportato la nascita della città diffusa, nel contesto di Marghera ha significato la perdita di aree verdi a discapito di una cementificazione pressante, e nel caso di Favaro Veneto, come anticipato nel capitolo 1.3, ha costituito la principale causa di periodico allagamento del quartiere più antico (Fig.12). Stessa sorte si può attribuire alla periferia mestrina, dove i comitati spontanei sorgono già nei primi anni del 2000.
A Favaro Veneto, nell'area attigua a Via Passo Cereda, qualcosa non va già nel Gennaio 1989. Il sig. Zabeo e altri sette residenti, porgono all'attenzione del
Consiglio di Quartiere 10 la richiesta di intervenire «con posa in opera di pozzetti di raccolta, relativi scarichi di acqua piovana ed asfaltatura». Un piccolo passo crea gli albori per una collaborazione futura: «abbiamo iniziato a far squadra, ad avere una certa credibilità tra di noi.»162 Con il passare degli anni, gli
episodi di allagamento aumentano e si intensificano (Fig.13), e per questo iniziano a sorgere vari comitati spontanei, ma la cui esistenza si dissolve in pochi giorni, con lo scomparire dell'emergenza.
Di fatto, quel che è sempre mancato, è stata l'assenza del protrarsi della determinazione necessaria al risolvimento del problema. È in quel momento che il sig. Zabeo decide che «io, noi... Io dico noi, ecco, abbiamo deciso di far qualcosa stavolta di più serio»163. La volontà
di cambiare quella situazione che si trascinava da anni, mista al diritto di esigere dall'amministrazione un aiuto concreto e risolutivo, il credere di poterci riuscire, sfociano nella nascita del Comitato Allagati di Favaro Veneto. Il fondatore e organizzatore è, appunto, Fabrizio Zabeo, che sostiene il necessario “verticismo” nei comitati: «[...] perché ti dà l'organizzazione, ma deve esserci anche perché [il comitato] deve resistere allo scopo[...]».
«Credo nelle persone»164, mi confida con tono sicuro. Nonostante il fatto
che due dei primi membri, si siano allontanati poco dopo: uno per una
162Zabeo Fabrizio, intervista dell'11 Luglio 2015, via Passo Cereda 5, Favaro Veneto (VE) 163Ibidem
164Zabeo Fabrizio, intervista del 25 Luglio 2015, via Passo Cereda 5, Favaro Veneto (VE)
Fig. 13 Allagamento Favaro Settembre 2007 © Fabrizio Zabeo
conflittualità troppo marcata verso l'amministrazione (che il sig. Zabeo definisce «croce rossa», in quanto è da ritenere sia responsabile per i danni, sia al tempo stesso l'organo che potrà risolverli); l'altro perché unitosi al comitato per secondi fini di natura politicoeconomica (sperava nell'ottenimento di un campo da
calcio). Il sig. Zabeo crede nelle «colonne portanti» del comitato, perché «da solo, non fai niente. E soprattutto no' sta voer far tuto ti. [...] ognuno è la [...] colonna portante di un qualcosa che, se funziona, va benissimo [...]»165. Spende parole di ammirazione e gratitudine per ogni singola persona che l'ha aiutato a portare avanti ciò in cui credeva. Solo per citarne alcuni: Alessandro Pattaro, l'ingegnere volenteroso di fornire la sua conoscenza tecnicoscientifica; Massimo Bonella, il vicino di casa conosciuto fin dalla giovinezza, diventato giornalista e che con dei reportage ha offerto spazio di divulgazione nel suo canale Pianeta Oggi Tv166;
Maria Giovanna Lazzarin, la docente cofondatrice di storiAmestre167 nonché
allagata. Ma ci sono anche gli «anzianotti»168, pensionati che non possono
sostenere grandi impegni, ma che fiduciosi e altruisti vogliono comunque aiutare, e diventano i fidati ricercatori e custodi di rassegna stampa di interesse nazionale e locale in merito ad allagamenti ed alluvioni. Il comitato ha collaborato con altre associazioni e comitati sul problema comune degli allagamenti (ad esempio il Comitato CateneValleselle), inoltre si è impegnato nel far confluire tale problematica a livelli più generali e alti, tramite la partecipazione al Forum per il Contratto di Fiume MarzenegoOsellino. Si è avvalso inoltre della collaborazione del professore di economia e attivista ambientale Michele Boato, fondatore e direttore dell'Ecoistituto del Veneto Alex Langer169, con cui a sua volta ha collaborato nella rivista Terra e Aqua.
165Ibidem
166http://www.pianetaoggitv.net/
167«L’associazione storiAmestre nasce nel 1988 come spazio di mutuo scambio e di mutuo apprendimento tra storici e storiche, archivisti, insegnanti impegnati nel Movimento di cooperazione educativa, urbanisti provenienti dall’esperienza di Urbanistica democratica» (http://storiamestre.it/)
168Zabeo Fabrizio, intervista citata. 169http://www.ecoistitutoitalia.org
Il comitato si consolida dopo i severi allagamenti del 1617 Settembre 2006 e del 26 Settembre 2007. Il primo +40 cm ed il secondo +80 cm, il che significava per il sig. Zabeo avere l'acqua alta fino al tavolo della taverna. Volendo sintetizzare: la cementificazione ed il conseguente alzamento del piano di campagna vanno sommati all'intubazione dei fossi e all'asfaltatura sopra di essi (per adibirli a parcheggi). La mancanza di capacità di scolo della rete fognaria, fossi quasi scomparsi, l'assenza degli operatori alle idrovore di Campalto, completano il quadro della concatenazione di cause da cui scaturiscono gli allagamenti.
Risolvere una tale situazione richiede una vasta gamma di conoscenze, e presuppone tuttavia il rapportarsi a molteplici interlocutori pubblici, che intervenendo possono porre in sicurezza idraulica l'area. Il problema maggiore è costituito dal tipo di intervento che gli enti coinvolti opteranno di effettuare. Ad esempio, si chiede il sig. Zabeo nei riguardi di Veritas: «Perché prima di fare la “finta” depurazione170 spendendo 2.3milioni, non avete investito 84mila euro per fare un'altra botte a sifone?». Perché gli enti competenti non hanno considerato il problema da un punto di vista olistico, non hanno dialogato tra loro, e hanno dotato di tre idrovore il territorio inutilmente, perché l'acqua aspirata confluisce nella fossa Pagana171, la cui capacità di ricezione era fortemente limitata. Da parte del comitato, allora, emerge chiaramente una forte intenzione di risolvere il problema, smarcandosi dalla politica, e riuscendo a tessere una fibra sociale in modo da costituire un legame comunitario, sulle cui basi formare un comitato che non emerga solo nel momento in cui l'esigenza appare, ma che si elevi a voce di un dialogo costante con le istituzioni, vincolate dal patto politico con la cittadinanza. «PRESTO, BENE e SUBITO non esiste e per questo motivo abbiamo creduto e collaborato consapevoli che TUTTI ASSIEME riusciremo a MIGLIORARE ed invertire il degrado IDRICO della nostra zona»172. 170Progetto di fitodepurazione realizzato da Veritas nel 2006 171«[...] uno scolo della campagna lungo 3,5 Km che scorre tra Favaro Veneto e Campalto e attualmente va a depositarsi nel bacino dell’idrovora di Campalto e da lì viene immesso nel MarzenegoOsellino» (http://www.ilfiumemarzenego.it/lafossapaganaunalungastoria/) 172http://www.favaro269.pv3.it/pages/home/chisiamo.php (ultima consultazione 12 agosto
«Io voglio scomparire con il problema»173. È una volontà ricorrente nelle
parole del fondatore, che si estendono all'apoliticità che caratterizza il comitato. La neutralità, infatti, allontana sospetti su ogni possibile secondo fine e soprattutto permette di proseguire il dialogo con il succedersi del colore politico di turno alla municipalità. Il problema di Favaro Veneto, risolto al 33%174, è un problema condiviso a livello nazionale. «In un francobollo c'è la storia italiana»175. La cattiva gestione del territorio e delle sue risorse, sono storia nota nel nostro paese. Tuttavia, un'ombra oscura spesso si cela nel malgoverno, compromesso da conseguenze di interessi economici nascosti. Le grandi opere ne costituiscono l'evidenza, ed un esempio sarà fornito con il caso del Mo.S.E, di cui tratterò nel capitolo 2.2.4.4.
2.2.4 Venezia e la laguna
Ora lasciamoci alle spalle la terraferma, ed approdiamo a Venezia, per cercare di inquadrare l'evoluzione territoriale e paesaggistica che ha coinvolto il sistema città laguna. Prima ritengo utile, però, anteporre un sintetico richiamo sulle caratteristiche geomorfiche del contesto di nostro interesse.La laguna salmastra di Venezia (Fig.14) è un bacino di circa 550 Km², situato tra la foce a nord del Sile (Piave Vecchia) e la foce a sud del Brenta (Brondolo), delimitato da un cordone litoraneo intermezzato da tre bocche di porto (Lido, Malamocco, Chioggia) che consentono lo scambio acqueo tra ambiente lagunare e
marittimo, generando in tal maniera il fenomeno della marea. 2015) 173Ibidem 174Ibidem 175Ibidem Fig.14 Laguna di Venezia ©Associazione Aliusmodi
L'ambiente lagunare è composto da elementi che ne caratterizzano la morfologia e le dinamiche: • Il cordone litoraneo è un rettilineo di terre emerse, lungo circa 60 km, che funge da spartiacque tra la laguna e il mare e che coinvolge diversi lidi che nel tempo si sono via via assottigliati, perdendo dune, spiagge e aree boschive. • Le bocche di porto sono aperture del cordone litoraneo, di una lunghezza complessiva approssimativa di 1,5 km. Un tempo più numerose, ad oggi se ne sono conservate tre: Bocca di Lido, Bocca di Malamocco e Bocca di Chioggia. Attualmente sono ancora in corso i lavori per l'installazione di varchi, moli e paratoie mobili sommergibili previsti dal progetto di salvaguardia lagunare Mo.S.E. In riferimento a questa grande opera, spenderò qualche pagina a breve.
• I canali sono le vie tramite cui il flusso e il riflusso d'acqua è consentito. I canali naturali hanno una profondità massima che in genere non supera i 2,5 metri, e il loro corso è prettamente curvilineo. I canali artificiali invece, raggiungono con il MargheraMalamocco una profondità massima di circa 15 metri ed il loro corso è rettilineo.
• I bassifondi sono le aree in cui la depressione del fondale raggiunge i massimi livelli.
• Le barene, come suggerisce il veneziano antico “baro”176 cioè terra incolta, sono porzioni di territorio erboso lagunare che solo con l'alta marea vengono sommerse. La loro rilevanza è contraddistinta sia dal punto di vista ecologico, in quanto creano un habitat per particolari specie di flora e fauna, sia dal punto di vista idrodinamico, poiché agevolando la propagazione della marea contribuiscono al ricambio idrico, al tempo stesso riducono l'impatto del modo ondoso e contengono la dispersione dei sedimenti. Per quanto riguarda le barene artificiali, invece, il discorso
176http://www.treccani.it/vocabolario/barena/
Boerio G., Dizionario del dialetto veneziano, Editore Andrea Santini e Figlio, Venezia, 1829, p.40
è ben diverso, in quanto sono state create con dei resti di scavi ed altri detriti, e la questione sulla loro funzionalità ed efficacia è tutt'ora dibattuta. Un richiamo a tale dibattito verrà proposto nei capitoli successivi.
• I ghebi177 sono piccoli rivi, modesti canali naturali che si diramano sopratutto sulle barene (Fig.15), ed il loro volume idrico troppo scarso non è mai idoneo alla navigazione. • I chiari sono spesso la parte terminale dei ghebi, ovvero degli specchi d'acqua disposti sulle barene, e possono anche essere formati dall'acqua lagunare stessa o da acqua piovana. • Le velme sono porzioni lagunari sommerse, e presenti lungo le rive dei canali e dei ghebi. Sono prive di vegetazione e sono visibili solo in caso di bassa marea. “Velma”178 è una voce di origine veneziana, che deriva dalla forma alterata di “melma”, e proprio per la caratteristica delle velme ad essere quasi sempre sommerse ne deriva la loro accezione simile a “laguna viva”.
• Le isole sono di origine naturale o artificiale. Nel caso delle prime, la loro formazione è da ritrovarsi in accumuli di detriti fluviali oppure in residui di cordone litoraneo. Le isole artificiali, invece, sono state costruite dal XIX secolo. Ne sono un esempio le varie isole la cui denominazione incomincia per “sacca” (Sacca Fisola, Sacca di S. Biagio, Sacca Sessola179 –
la quale prende questo nome a causa della sua forma, rassomigliante alla paletta di legno che i veneziani usavano per gettare l'acqua fuori dall'imbarcazione) e le “casse di colmata” (generate dagli anni '60 su superfici su cui previamente sorgevano barene naturali, tramite l'ammassamento di detriti derivanti dallo scavo del canale Malamocco Marghera. Tali isole artificiali hanno fortemente influenzato
177Ivi, p. 249
178http://www.treccani.it/vocabolario/velma/ (ultima consultazione 5 Agosto 2015) Boerio G., Dizionario...op. cit., p.707
negativamente il ricambio idrico lagunare, e proprio per questo si è intervenuti successivamente per il ripristino delle condizioni idrodinamiche favorevoli).
• Le valli da pesca sono zone delimitate della laguna e protette dalla marea, adibite ad itticoltura. Detengono un importante interesse storico e folklorico, in quanto fin da tempi remoti in queste aree si praticava la pesca tradizionale e la caccia. L'abitazione consueta era costituita da un casón – cioè una struttura di paglia e pertiche – affiancato spesso da una cavána – ricovero per imbarcazioni.
2.2.4.1 Il porto fuori dalla città
Dopo questa breve panoramica sulla composizione e sulle dinamiche che coinvolgono il contesto lagunare, vediamo ora l'evoluzione del contesto urbano. Le diverse fasi180 attraversate dalla città di Venezia si accomunano a quelle delle altre città marittime italiane di rilievo, come Genova e Napoli. La prima fase del suo sviluppo si può definire come “città portuale primitiva”, in quanto è caratterizzata da un'unione poco distinta tra porto e città. Con i primi del '900, 180Vallega A., “Urbanizzazione diffusa e urbanizzazione orientata”, in Detragiache A. (a cura di), Dalla città diffusa alla città diramata, Milano, Franco Angeli, 2003 pp.109112 Fig. 15 Barene, Velme e Ghebi ©Archivio Magistrato alle Acque di veneziaConsorzio Venezia NuovaVenezia – come il resto del Veneto – vede la creazione dei poli industriali. In questo contesto, la città marittima vede l'ampliamento del porto oltre i confini urbani, e in questo modo viene a crearsi l'iniziale differenziazione tra zona abitata e zona portuale, delineando così Venezia in una “città portuale in espansione”.
Un'ulteriore spinta in questa direzione si ha per tutta la prima metà dello scorso secolo: a causa degli ingenti traffici mercantili per l'approvvigionamento di fonti energetiche, come carbone e petrolio, e alla crescente importanza economica dell'industria in espansione, aree speciali oltre alla città e al porto stesso vengono riservate per questo genere di attività. Venezia attraversa così la fase di “moderna città portuale”. Nel ventennio '60'80, si assiste all'“abbandono del waterfront”, ovvero quella tendenza a costituire siti industriali in aree extraurbane, e al contempo dirigere i traffici mercantili verso nuove strutture tecnologicamente più attrezzate. Proprio per questa ragione dagli anni '70 si assiste all'ultima fase, cioè la volontà di riutilizzare le strutture antiche per adibirle ad altro uso, ecco perché quest'ultimo frangente viene denominato “ristrutturazione del waterfront”.