Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex
D.M. 270/2004)
in Antropologia culturale, etnologia ed
etnolinguistica
Tesi di Laurea
«Perché ci credo». Venezia e i
paesaggi contesi.
Emersione ed implicazioni di conflitti
socio-ambientali a Venezia
Relatore
Ch. Prof. Francesco Vallerani
Laureanda
Moira Tegon
817808
Anno Accademico
2014 / 2015
Indice 1. Introduzione al paesaggio 2 1.1 Perché il paesaggio? 2 1.2 Dalla natura, all'ambiente al paesaggio 3 1.2.1 La natura 4 1.2.2 L'ambiente 6 1.2.3 Il paesaggio 18 1.3 I paesaggi di Marta e Fabrizio 23 2. Venezia: tempi e spazi di un paesaggio 43 2.1 Dalle origini alla metà del XX secolo 43 2.1.1 Tra mito e realtà 43 2.1.2 Dai Longobardi al 1204 44 2.1.3 Splendore e decadenza 49 2.1.4 Dal tremendo zorno al 1917 55 2.1.5 Il primo dopoguerra e Marghera 58 2.2 Dalla metà del XX ad oggi 61 2.2.1 Paesaggio e ambiente nel Diritto 61 2.2.2 Trasformazioni del paesaggio veneto 69 2.2.3 La terraferma veneziana 74 2.2.3.1 Marghera 74 2.2.3.2 Favaro Veneto 77 2.2.4 Venezia e la laguna 81 2.2.4.1 Il porto fuori dalla città 84 2.2.4.2 Canali navigabili ed erosione 85 2.2.4.3 Il remote sensing e Venezia 89 2.2.4.4 1966 e Mo.S.E. 93 2.2.4.5 30milioni vs 50mila 103 3. Conflitti socioambientali 116 3.1 Tra informazione, apprendimento ed azione 116 3.2 Cittadinanza attiva a Venezia 128 3.2.1 Comitato No Grandi Navi 128 3.2.2 Spiazziverdi 135 3.2.3 Poveglia per tutti 140 4. Conclusioni 143 Bibliografia 147
1. Introduzione al paesaggio
1.1 Perché il paesaggio?
L'obiettivo generale di questa tesi è cercare di comprendere i motivi e le modalità tramite le quali a livello sociale si svolge il processo di ancoraggio emotivo ai luoghi, in concomitanza all'autoapprendimento scaturito dall'azione di cura del paesaggio. L'indagine si avvale di un'etnografia basata sul segmento sociale di comitati e associazioni costituiti da cittadini del comune e della provincia di Venezia, che volontariamente si attivano per la tutela dei luoghi. Luoghi che analiticamente possiamo distinguere in contesti ambientali dove interagiscono elementi naturali e azioni antropiche, a cui si sovrappongono rappresentazioni e percezioni pensate e sentite dell'ambiente, a cui si aggiunge l'insieme di pratiche singole e collettive che si svolgono nei peculiari contesti territoriali. Un insieme di elementi che va a determinare una complessa realtà geoantropica. Si tratta, perciò, di luoghi costruiti socialmente tramite relazioni territoriali e sociali che non solo rinsaldano il legame comunitario, ma che consentono la genesi di una forma identitaria più intima e circoscritta.Luoghi creati ed abitati culturalmente che, adottando una prospettiva politica, possiamo metaforicamente considerare palcoscenici interattivi, in cui il conflitto sociale e decisionale intessuto nella comunità si rende manifesto. Buoni esempi ne possono essere, appunto, l'insorgere di conflitti ambientali e l'ideazione di strategie alternative, volte a incentivare un uso del territorio e delle sue risorse, per così dire, più a misura d'uomo. Pertanto, la scelta dello studio e dell'analisi del paesaggio come momento di definizione culturale di sentimenti e conoscenza, permette di comprendere più adeguatamente la cornice in cui inserire l'azione svolta dalla cittadinanza attiva impegnata nella doppia attività di opposizione e salvaguardia del paesaggio – a cui spesso si aggiunge un terzo intento, che possiamo definire propositivo.
ricerca può fornire un terreno di indagine sociale di ampio respiro, coinvolgendo Geografia, Antropologia, Sociologia, Storia, Diritto, Politica ed Economia. Il valore aggiunto dell'interdisciplinarità, infatti, risulta essere fondamentale. La multidimensionalità intrinseca al paesaggio non può essere affrontata esclusivamente tramite un approccio di tipo umanistico. Poiché un tale studio sia davvero efficace è richiesto un adeguato approfondimento da parte di più aree scientifiche. Ecco perché risultano imprescindibili i contributi di Geografia, Fisica, Ecologia, Biologia e Ingegneria. Solo con il continuo dialogo e l'immancabile integrazione tra le diverse discipline si potrà aspirare ad una visione quanto più olistica possibile.
1.2 Dalla natura, all'ambiente, al paesaggio
Cercando di definire il paesaggio come oggetto di studio, ritengo che prima di tutto sia necessario anteporre una breve premessa. Infatti, nel linguaggio comune, a volte impreciso e polisemantico, si tende a sovrapporre o ad usare indistintamente “natura”, “ambiente” e “paesaggio”, utilizzandoli come sinonimi. Eppure questi termini significano cose diverse, sebbene abbiano talvolta dei punti in comune piuttosto notevoli. Questi riferimenti affioreranno ricorsivamente nella trattazione, perciò per cercare di fare chiarezza fin da subito, propongo un'analisi etimologica dei termini; dopodiché ritengo appropriato scindere l'uso dei termini dall'ambito colloquiale dall'ambito scientifico; conseguentemente sottolineo la distinzione che corre tra le plurime definizioni dei termini suddetti, in base al diverso significato ed utilizzo in contesti di area scientifica e di area umanistica, giungendo così al cuore dell'oggetto di studio scevro di ambiguità.
1.2.1. La natura
Nella lingua italiana, cercare di definire esaustivamente il significato di “natura” è un compito che pone una serie di difficoltà, innanzitutto perché ci si accorge che in realtà di significato non ce n'è solo uno, ma ve ne sono molti. Perciò, procedendo con ordine, innanzitutto sarà bene analizzare l'etimologia, dopodiché i significati. s.f. dal latino natura, collegato a natus. SIGNIFICATO l'insieme delle cose e degli esseri che compongono l'universo; sostanza costitutiva, sorta, qualità, indole; energia vitale dell'universo; nel linguaggio popolare, parti genitali esterne, soprattutto femminili.1 natura s. f. [lat. nat raū , der. di natus, part. pass. di nasci «nascere»]. 2 “Natura” deriva da “nascere”, qualcosa che si genera e che si può quindi tradurre in un processo. Ora diamo un breve sguardo al significato. Osservando la def. 1 riportata in nota3, sia il punto a. che il punto b. connotano la naturacome una forza operante ed attiva. Questo coincide con il risultato dell'analisi etimologica. Secondariamente, la natura assume il ruolo di una realtà oggettiva, a cui l'uomo dedica il proprio studio (e sorge spontaneo chiedersi se la natura sia davvero una realtà oggettiva, indipendente dall'osservatore e smarcata da ogni interpretazione culturale); di seguito si cita l'impegno propriamente umano per 1 AA.VV., Dizionario Etimologico, Milano, Rusconi, 2004, p.663 2 http://www.treccani.it/vocabolario/natura/, grassetto mio, (data ultima consultazione 21/05/2015)
3 1. Il sistema totale degli esseri viventi, animali e vegetali, e delle cose inanimate, che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi. Quindi: a. La volontà stessa di ordine che si manifesta in quelle leggi, come principio vivo e operante, forza generatrice di tutte le cose (in questo senso può essere personificata, e scritta quindi con iniziale maiuscola)[...]. b. L’universo considerato nei suoi fenomeni, nelle sue attività, nel suo ordine, come una realtà oggettiva che l’uomo contempla, studia, modifica [...] diritto di
n., o naturale, l’insieme dei principî giuridici fondamentali anteriori a qualsiasi sistema
giuridico positivo [...]; in altri casi le leggi stesse sono invece intese come dominate da una causalità quasi meccanica (in opposizione a spirito, libertà, personalità): la lotta dell’uomo
contro la n., contro le forze (o contro le forze avverse) della natura. Considerando la natura
come una realtà che preesiste all’opera dell’uomo e può da questa essere modificata attraverso il lavoro, l’educazione, l’arte, l’incivilimento, ecc.: allo stato di n., di materie prime che non hanno subìto elaborazione da parte dell’uomo (con altro sign. nella storia del pensiero filosofico, stato di n., condizione ipotetica degli uomini prima della costituzione di un’organizzazione politica e statuale: in tale senso, natura, nel linguaggio dell’antropologia, si oppone al concetto di cultura)[...].
dominare tale realtà o sfuggirle; e infine si connota la natura come lo stato primigenio dell'umanità, ancora privo di costruzioni culturali: la classica dicotomia tra natura e cultura.
Quindi, la distinzione di “natura” tra scienze naturali e scienze sociali è quanto segue. Nelle scienze naturali indica l'insieme delle attività e degli elementi che costituiscono quella che vien detta “realtà oggettiva”, il dato percepibile e pensabile, nonché analizzabile fisicamente. Nelle scienze sociali, e più precisamente in Antropologia, “natura” corrisponde a un presunto stadio iniziale dell'umanità, a un insieme di caratteristiche che distinguerebbero la specie umana prima che le forme culturali si generassero e modificassero la specie stessa e la società.
Ma ecco comparire il primo nodo della matassa: «[...] Molto spesso la natura è intesa come «ambiente» il cui equilibrio originario non può essere alterato senza danno per l’uomo e per la vita in genere: la protezione, la difesa, la
conservazione della n.[...]».4
A cui ne segue immancabilmente un altro: «[...] In senso ancor più ristretto, con riferimento a luoghi in cui siano stati meno operanti la presenza e l’intervento dell’uomo: vivere in mezzo alla n., ricrearsi a contatto della n.; senso
della n., sentimento della bellezza di luoghi e paesaggi; con determinazioni, per
indicare particolari aspetti di un paesaggio: la n. selvaggia, orrida, o dolce,
intatta, incontaminata di un luogo».5
“Natura” in un sol colpo, diventa sinonimo di “ambiente” e di “paesaggio”. È corretta quest'identificazione? E se non lo è, quali errori si commettono nel trattare tali termini come equivalenti? Proprio per trovare risposte a queste domande iniziali, nei capitoli successivi vedremo se i tre termini possano realmente considerarsi sinonimi, e se ciò non sia possibile, cosa li differenzia.
Intanto, Tim Ingold, uno dei più noti antropologi sociali contemporanei, ci
4 Ibidem 5 Ibidem
fornisce un primo suggerimento: «[...] the distinction between environment and nature corresponds to the difference in perspective between seeing ourselves as beings within a world and as beings without it».6
1.2.2 L'ambiente
Per cercare di comprendere meglio la distinzione tra “natura” e “ambiente”, ora mi concentrerò nel definire la parola prima a livello etimologico, poi esaminandola a livello di significato.
Il termine italiano “ambiente” deriva dal latino ambiens, entis, participio presente del verbo ambire, che significa "andare intorno, circondare". Il prefisso amb [...] indica un percorso circolare: “tutt’intorno, in tondo, da ambo i lati”. Anche in altre lingue europee, la parola "ambiente" richiama l'idea di circolarità [...]. Ciò aggiunge al termine una connotazione dinamica, nonostante la lingua abbia perso nell’uso questa sfumatura originaria.7
Ne deduco che l'ambiente è principalmente una relazione: un nesso tra noi stessi e ciò che ci circonda e ci include. Un legame che si instaura tra osservatore ed osservato, sia a livello fisico che a livello di rapporto. Nell'uso dell'italiano corrente, “ambiente” si distingue per almeno quattro riferimenti, uno generale e strettamente correlato all'etimologia stessa: «spazio che circonda una cosa o una persona e in cui questa si muove o vive[...]»8, a cui seguono significati specifici di scienze naturali 9. In questo caso, “ambiente” denota un 6 Ingold T., The Perception of the Environment, Londra – New York, Routledge, 2000, p. 20 7 http://www.fondoambiente.it/upload/oggetti/Definizione_ambiente.pdf (ultima consultazione 21/05/2015) 8 http://www.treccani.it/vocabolario/ambiente/ (ultima consultazione 21/05/2015)
9 b. In biologia, l’insieme delle condizioni fisicochimiche (temperatura, illuminazione, presenza di sali nell’acqua e nel terreno, ecc.) e biologiche (presenza di altri organismi), in cui si può svolgere la vita degli esseri viventi: a. terrestre, marino, d’acqua dolce, ecc.; le
relazioni tra organismi e ambiente, oggetto di studio dell’ecologia. Con sign. più concr., la
natura, come luogo più o meno circoscritto in cui si svolge la vita dell’uomo, degli animali, delle piante, con i suoi aspetti di paesaggio, le sue risorse, i suoi equilibrî, considerata sia in sé stessa sia nelle trasformazioni operate dall’uomo e nei nuovi equilibrî che ne sono risultati, e come patrimonio da conservare proteggendolo dalla distruzione, dalla degradazione, dall’inquinamento […] c. In geologia, insieme dei caratteri fisici, chimici e biologici che intervengono nel processo di formazione e di trasformazione delle rocce (a. plutonico o
assieme di condizioni fisicochimicobiologiche, le relazioni tra i diversi elementi biologici e fisici, ed inoltre lo spazio in cui la vita prospera ed opera.
Per quanto riguarda le scienze sociali, “ambiente” si rende utile nel suo senso figurato e rievoca quel significato di inclusione e relazionalità emersi dall'etimologia 10. L'ambiente, infatti, diventa il contesto sociale in cui l'individuo
cresce e apprende, o il gruppo sociale con cui si ha un legame di comunanza. Appare evidente, anche in questo caso, che il termine “ambiente” sia applicabile e utilizzabile con accezioni davvero varie, e ciò ne impedisce una sua definizione univoca. Come suddetto, infatti, la def. 1 e la def. 2 si rivolgono rispettivamente a scienze fisiche e a scienze sociali, a riprova dell'interdisciplinarità annunciata, la quale necessita approfondimenti da svolgersi in parallelo tra le diverse scienze, sempre in continuo dialogo.
Procedendo con ordine, inizio con il problematizzare l'ambiente entro il quadro di riferimento di scienze ambientali, indagando perciò l'ambiente da un punto di vista prevalentemente fisicobiologico, che tornerà utile nel momento in cui la riflessione tratterà dell'ambiente nel contesto di scienze sociali.
Scopriamo che l'ambiente è un dato unitario composto da una molteplicità, infatti: «nel campo degli studi scientifici ambientali si è ormai fatta strada una nozione sistemica di ambiente, articolata in quattro sottosistemi: la ipoabissale, a. di sedimentazione, ecc.). d. In chimica, complesso di condizioni fisicochimiche in cui si produce o che sono necessarie al prodursi di un determinato fenomeno: a. acido, a. alcalino, a. saturo, ecc. […]. 10 2. fig. Complesso di condizioni sociali, culturali e morali nel quale una persona si trova e sviluppa la propria personalità, o in cui, più genericam., si trova a vivere: ragazzi cresciuti in ambienti degradati; il collegio fu per lui un a. sano e accogliente; trovarsi nel proprio a., o fuori del proprio a.; risentire le influenze dell’a. esterno; cambiare ambiente; anche, l’insieme delle persone da cui si è abitualmente circondati: l’a. domestico, l’a. di lavoro (per un altro sign. di questa espressione, v. oltre); un a. allegro, simpatico, antipatico; se ne andò di lì per levarsi da quell’ambiente. In senso più ampio, insieme di persone aventi comuni interessi, idee, tendenze, o svolgenti una stessa attività: un a. conservatore, tradizionalista; nel linguaggio giornalistico, a. politico, centro, luogo, organo in cui si svolge attività politica (e le persone che ne fanno parte), soprattutto in quanto siano fonti d’informazione (in tale caso, l’aggettivo può anche mancare: la notizia proviene da a. bene informati). […] ◆ ambientàccio, ambiente sociale, o luogo di ritrovo, o gruppo di persone poco raccomandabili.
biosfera, la geosfera, la sociosfera e la tecnosfera»11. L'approccio sistemico
applicato all'ambiente, implica che questo «oggetto di studio non si riferisce più ai singoli elementi o ai singoli luoghi ma viene sempre più indirizzato alle complesse realtà che caratterizzano gli ambienti terrestri»12. Dove per “biosfera”
si intende una fascia del pianeta compresa tra gli oceani e i primi strati dell'atmosfera in cui le condizioni ambientali rendono possibile la vita; “geosfera” è l'insieme degli strati terrestri che compongono il pianeta; “sociosfera” o “antroposfera” è la parte di biosfera in cui si colloca la specie umana e le sue attività; “tecnosfera” indica il processo ed i risultati dell'azione della tecnica dell'uomo e delle tecnologie di cui egli si serve per intervenire nell'ambiente modificandolo.
Proprio per questo suo costituirsi come sistema complesso, l'ambiente diventa oggetto di studio interdisciplinare e destinatario della valutazione di criteri soggettivi, poiché: «l'importanza dell'osservatore, già rilevata nella psicologia della percezione, è ancora maggiore nella ricerca sistemica e, in modo particolare, quando si ha a che fare con “megasistemi”, o largescale systems»13.
Perciò, possiamo affermare che “ambiente” non equivale solamente a “natura”. Infatti, il termine in analisi non comprende solo ecosistemi e biomi che consentono agli organismi di vivere e svilupparsi e le relazioni che intercorrono tra essi, ma include anche il ruolo e le conseguenze dell'antropizzazione.
Possiamo parlare di ambiente naturale in termini sistemici, eppure è essenziale ricordare che un tale sistema è autopoietico ma non è autosufficiente, perché questa caratteristica lo accomuna esattamente all'uomo. A ben vedere, infatti, cosa può realmente dirsi autosufficiente? Esiste una fitta rete di necessità che tiene collegato il mondo, e come illustrerò in seguito un legame di necessità imprescindibile e determinante unisce l'uomo all'ambiente, sotto vari profili. Per comprendere meglio successivamente il nesso fondamentale uomoambiente, mi 11 Chiapponi M., Ambiente: gestione e strategia. Un contributo alla teoria della progettazione ambientale, Milano, Feltrinelli, 1989, p.13 12 Paolillo A. (a cura di) “Ecologia e territorio ”, in Luoghi ritrovati. Itinerari di geografia umana tra natura era e paesaggio, Vidor, ISTHAR, 2013 p.46 13 Ivi, p.36
soffermo un attimo ad analizzare che tipo di legame di necessità soggiace all'ambiente naturale14.
È risaputo che ciò che consente la vita sulla Terra, ad esempio, è innanzitutto l'esistenza del Sole, in concomitanza con l'adeguata distanza tra il pianeta e la stella. Il perché è presto detto. Il Sole è una stella che racchiude in sé e propaga nel sistema solare un'enorme energia: basti pensare che al suo interno la temperatura raggiunta si aggira intorno ai 15 milioni di gradi centigradi. Con un viaggio di 8 minuti e 32 secondi le radiazioni solari entrano in contatto con l'atmosfera terrestre: una parte viene riflessa nello spazio, un'altra parte trattenuta dall'alta atmosfera, mentre la parte più consistente ricade nella bassa atmosfera riscaldando la superficie terrestre. I gas dell'atmosfera trattengono parte delle radiazioni in uscita, costituendo così il noto “effetto serra”, che impedisce alla Terra di raffreddarsi oltremodo. Tenendo conto della variabilità produttiva dell'energia solare è utile notare che il cambiamento climatico, e fenomeni annessi, ne sono in buona parte un diretto discendente. Da queste premesse risulta chiaro come il sistema ambiente sia subordinato alla relazione con le radiazioni solari da cui dipende. In sintesi possiamo concludere che l'ambiente trae vita dalla luce solare, la quale consente l'adeguato riscaldamento del pianeta, ne permette i processi fisicochimici, favorisce l'esistenza della biosfera e della biodiversità e le interrelazioni tra di esse.
Ora permaniamo nel nostro pianeta e facciamo un piccolo passo avanti. Dopo aver appurato che l'ambiente naturale non è un sistema autosufficiente, andiamo a considerare nel dettaglio come quest'insufficienza sia presente anche negli organismi. Sempre considerando l'esempio dell'energia solare, vediamo come essa venga distribuita tra gli organismi.
Il processo si può così schematizzare: gli organismi vegetali si “cibano” della luce solare, la fotosintesi (respirazione cellulare), che garantisce loro l'energia necessaria alla sopravvivenza e allo sviluppo; gli organismi erbivori si
cibano di quelli vegetali, e in questo modo l'energia chimica incorporata dai vegetali si trasferisce agli erbivori; l'ulteriore passaggio di tale energia avviene dagli organismi erbivori a quelli carnivori, poiché i primi costituiscono l'alimento dei secondi; nei processi di decomposizione ulteriori organismi acquistano nutrimento, ottenendo così – al pari degli altri – la possibilità di colmare i bisogni energetici del proprio organismo. Grazie alla catena alimentare possiamo notare, ancora una volta, come la vita stessa sia costituita dall'interdipendenza e dallo scambio reciproco tra i diversi elementi naturali. Abbiamo visto che gli organismi si nutrono di altri per sostentarsi, ed in questa macrocategoria va necessariamente inserito anche l'uomo, nonostante il perpetuarsi del dibattito circa la classificazione su base alimentare della specie umana (l'uomo è un onnivoro o un erbivoro?). Tale argomento è non solo contemporaneo15, ma a livello divulgativo e mediatico è soprattutto recente
l'incalzare massiccio di tesi che scientificamente e non tendono a confutare la concettualizzazione dell'uomo come onnivoro, favorendo pratiche nutrizionali vegetariane e dimostrando a volte la salubrità di un regime alimentare “erbivoro”, a volte la sostenibilità ambientale di tale regime, a volte la matrice etica che vi soggiace. Quel che è evidente è che, onnivoro o erbivoro che sia, l'uomo non è un organismo autotrofo (ovvero che ricavi il proprio nutrimento per costituire da sé la propria materia organica). Ragione per cui, per assicurarsi l'esistenza, l'uomo abbisogna degli altri esseri viventi, ma non solo. Infatti, da queste premesse, risulta lampante come la vita dell'uomo non sarebbe possibile senza l'esistenza dell'ambiente biologico stesso, il quale fornisce sia l'habitat, sia le risorse naturali indispensabili, sia la biodiversità di cui l'uomo si nutre. La relazione uomo – ambiente è contrassegnata, come appena visto, da un'inseparabile integrazione e reciprocità. Eppure, per una sorta di dualità cartesiana, la visione classica di questo rapporto ha previsto fin dai suoi albori la separazione tra il soggetto e l'oggetto come due entità distinte e
15 Per una panoramica storica del vegetarianismo dalla Grecia Antica ad oggi cft. Joy Mannucci E., La cena di Pitagora, Roma, Carocci, 2008
indipendenti, legate da un rapporto di potere asimmetrico: l'uomo vittima di una natura terribile e indomabile che genera disastri, o l'uomo padrone incontrastato della natura di cui dispone a proprio piacimento.
Ed in effetti quest'ultima visione esclusivamente antropocentrica è la più emblematica ancora oggi, e genera conseguenze di differente gravità, che passano dal generare inquinamento gettando una singola bottiglietta di plastica nel fiume, al crearsi di un enorme vortice di plastiche nell'Oceano Pacifico, il Great Pacific Garbage Patch16. Così, come affetta da una forma di schizofrenia, l'umanità si serve della natura e dell'ambiente per sostentarsi e perseguire le finalità della propria esistenza, ma al tempo stesso tende a distruggere la sua unica fonte di vita: l'ambiente biologico, la sua casa. Una casa del tutto particolare, dotata di una vita tanto fragile quanto irruenta, e che presenta al suo interno un'eterogeneità di stanze, che definiamo come ecosfera. L'ecosfera è l'insieme degli ecosistemi della Terra, ed è l'oggetto di studio di una scienza naturale nata a metà dell'Ottocento: l'ecologia. L'approccio preferenziale di tale disciplina prevede che gli ecosistemi e gli organismi che ne fanno parte siano da interpretarsi come un sistema integrato; dunque la ricerca scientifica si sofferma di consueto a studiare le relazioni esistenti tra gli elementi che costituiscono tale sistema, o una porzione dello stesso. Ricordandoci dell'epoca in cui questa scienza fiorì, può essere utile cercare di capire quale sia stato il suo sviluppo nella contemporaneità, visto che tutto si evolve, sia la scienza, sia il suo oggetto di studio. Infatti: «[...] soprattutto negli ultimi decenni, con il manifestarsi in modo sempre più massiccio e palese 16 Noto anche come Pacific Trash Vortex, è un ammasso fluttuante di plastiche che si concentra nel grande Vortice del Pacifico, e per le sue notevoli dimensioni (stimate tra i 400.000 km² e i 6 milioni km²) viene anche definito come Garbage Patch State. Questa massa di immondizia è causata dall'inadeguato smaltimento della plastica che utilizziamo, che per il 10% confluisce nelle acque mondiali. Convogliato dalle correnti oceaniche, l'agglomerato di plastiche si concentra nel Nord del Pacifico, ma è visibile solo per il 30%. Il 70%, infatti, è sommerso. A causa della fotodegradazione, la plastica si scompone in parti microscopiche, ovviamente non biodegradabili. Le microplastiche sprofondano nell'oceano e dalla fauna ittica vengono scambiate per microplancton, di cui si nutrono, dunque vengono ingerite e si depositano nell'organismo, trasportandosi pericolosamente lungo la catena alimentare, fino all'uomo.
dei problemi ambientali, [...] l'ecologia conosce un grande sviluppo anche in collegamento con le scienze sociali»17. Questa disciplina attualmente si concentra
nell'analizzare comunità di organismi che interagiscono tra loro convivendo nello stesso ambiente. Tale parte dell'ecosistema è definito biotopo18, cioè il
luogo in cui energia solare, fattori atmosferici, biocenosi (cioè l'insieme degli organismi viventi: fitocenosi – vegetali; organismi autotrofi – autosufficienti; organismi eterotrofi – si cibano di altri organismi) ed elementi abiotici (terreno, rocce...) convergono, risultano interdipendenti tra loro e consentono l'esistenza di una o più specie animali e/o vegetali. Ci sono biotopi aridi, in presenza di deserti; umidi, in presenza di corsi d'acqua; ripariali, in prossimità di paludi; marini, includono le varietà di biotopi presenti in aree marittime. Ci sono, inoltre, biotopi intermedi, come le zone di laguna salmastra che sono del tutto caratteristici poiché si basano sul precario e mutevole equilibrio di un ambiente in costante mutamento. Questo è il caso della laguna veneziana, di cui tratterò nel capitolo 2. E così, dopo aver tenuto fede all'interdisciplinarità annunciata nel capitolo 1.1 ed esordendo con apporti di Scienze della Terra, il nostro cammino prosegue rivolgendo ora il suo sguardo alle scienze sociali, in particolare all'Antropologia19.
Stando al senso figurato di “ambiente” utilizzato nelle scienze sociali, dunque connotante il contesto sociale di riferimento, risulta chiaro che lo studio dell'ambiente possa collocarsi agli albori della disciplina antropologica stessa. Infatti, che cos'è questo studio, se non lo studio delle varie forme culturali e sociali dell'uomo? Eppure, come richiamato dall'etimologia del termine, “ambiente” sta a “relazione”, e dunque segnala un rapporto che si instaura tra almeno due elementi, non autonomi l'uno dall'altro. Uno degli antropologi sociali contemporanei più influenti nello studio etnografico e nella teorizzazione
17 Bagliani M., Dansero E., Politiche per l'ambiente, UTET, Torino, 2011, p.31 18 Paolillo A. (a cura di), “Ecologia e territorio”, in op. cit., pp.5253
19 Uno dei contributi più celebri in Antropologia riguardo lo studio uomoambiente è Lanternari V, Ecoantropologia. Dall'ingerenza ecologica alla svolta eticoculturale, Bari, Dedalo, 2003
del nesso uomoambiente, è sicuramente Tim Ingold, che spiega: «For if every organism is not so much a discrete entity as a node in a field of relationships, then we have to think in a new way not only about the interdependence of organisms and their environments but also about their evolution.»20
Studiare l'ambiente, significa perciò studiare le percezioni dell'uomo nell'ambiente, e le relazioni che egli intraprende nell'ambiente stesso. La maniera più adeguata in cui riuscire a conciliare biologia e psicologia, nello studio delle percezioni umane dell'ambiente, sta proprio al centro dell'approccio che Ingold stesso definisce come ecology of life21. Se la mente non è uno strato aggiunto al corpo e non è delimitata da esso, se la percezione è data dall'organismo considerandolo come un'unità sinergica con il suo ambiente, ne deriva che la differenza tra osservatore ed osservato non c'è, così come non c'è distinzione tra l'individuo e il mondo. Infatti: «We do not, in other words, have to think of mind or consciousness as a layer of being over and above that of the life of organisms, in order to account for their creative involvement in the world.» 22 E perciò si tratta di «a process in real time: a process, that is, of growth or development». 23 Proprio per questo, la percezione dell'ambiente viene a
costituirsi come un approccio ecologicorelazionale, che come abbiamo visto Ingold definisce ecology of life, poiché indaga la relazione che coinvolge ciò che comunemente distinguiamo in organismo e ambiente, cogliendolo nel suo svolgersi in divenire. Punto fondamentale di questa teoria è, infatti,
20 Ingold T., The Perception...op. cit., p. 4
21 Un approccio che per Ingold scaturisce dal superamento del dualismo cartesiano mente corpo. Tale approccio si innesta sulla teoria della percezione psicologica di James Gibson, secondo cui la percezione non è data dall'attività di una di una mente in un corpo, ma è il risultato di un organismo coinvolto nell'ambiente. Inoltre, ecology of life richiama all'antropologia di Gregory Bateson, visto che considera la mente non un oggetto limitato al corpo, ma un processo formato dal corollario di interazioni socioambientali. Uno degli scritti teorici più importanti di Bateson è infatti Steps to an Ecology of Mind, un'opera del 1972 che si avvale di vari saggi di Antropologia, Psichiatria, Cibernetica ed Epistemologia dell'autore, per lo studio della mente e dell'evoluzione delle idee. 22 Ingold Tim, The Perception...op. cit., p.19 23 Ivi, p.20
l'interpretazione della vita come un processo di relazioni. Infatti, se consideriamo i criteri per definire un atto processuale ci accorgiamo che, poiché si possa dire che qualcosa accada, vada situato nel tempo, e se questo è situato nel tempo non può mancare di spazio. Così, ogni processo essendo subordinato a tempo e spazio, ha il suo contesto, e perciò la sua storicità. L'ambiente, avendo la sua storicità e andando a costituire il mondo, possiamo dire che sia abitato; la natura, invece, è priva di tale storicità perché con tale termine non si definisce un intreccio di relazioni, ma si vuole designare una realtà di cui il soggetto non fa parte.
Un ulteriore spinta nell'analisi porta Ingold a concludere che: «An approach that is genuinely ecological, in my view, is one that would ground human intention and action within the context of an ongoing and mutually constitutive engagement between people and their environments».24
E dunque, alla base della classica dicotomia occidentale tra natura e cultura che ha contrassegnato l'antropologia fin dalla sua alba , non sta una diversa rappresentazione di un dato oggettivo mediante la costruzione culturale che, potremmo a buon titolo separare in occidentale ed extraoccidentale, bensì: […] two ways of apprehending it, only one of which (the Western) may be characterised as the construction of a view, that is, as a process of mental representation. As for the other, apprehending the world is not a matter of construction but of engagement, not of building but of dwelling, not of making a view of the world but of taking up a view in it.25
Lo studio della rappresentazione dello spazio, in Occidente, ha avuto il suo grande sviluppo con la cartografia e la disciplina geografica. È rilevante ricordare che gli albori di Geografia e Antropologia richiamano alla stessa logica: sono entrambe scienze consolidatesi tra il XIX e il XX secolo, e i cui sviluppi sono stati incentivati da ragioni collegate alle mire espansionistiche occidentali. Infatti, l'Antropologia si pose a servigio dell'impero britannico e dell'impero francese, applicandosi nello studio delle società culturalmente altre per rendere
24 Ivi, p. 27 25 Ivi, p. 42
più efficiente il controllo colono sulle popolazioni natie. La Geografia trovò altresì il suo fondamento in ambito politicomilitare: l'esplorazione e la rappresentazione dello spazio tramite la cartografia sottendono alla conoscenza e al controllo degli elementi geografici del territorio, utili anche per formulare strategie militari. Sebbene lo studio della rappresentazione dello spazio e dell'ambiente sia originario della disciplina geografica, le concezioni di spazio e ambiente si sono evolute e modificate nel tempo all'interno della disciplina stessa. La Geografia, dapprima ancorata al paradigma positivistarealista con la scuola del geografo tedesco Friedrich Ratzel (Antropogeografia, 1881, 1891), intrappolava il nesso uomoambiente in modo deterministico: lo «spazio vitale», ovvero il territorio occupato da una società necessario per la sua sussistenza, era ritenuto capace di influenzare direttamente e necessariamente il comportamento dell'uomo. Il successo o l'insuccesso delle comunità umane si basava, in ultima analisi, sulle caratteristiche ecologiche del territorio e sulle sue risorse. Un cambio di paradigma avvenne con il geografo francese Paul Vidal de la Blanche (Principi di Geografia Umana, 1926) grazie a cui si deve il superamento del determinismo tedesco: è l'«ambiente vitale«, in questo caso, ad essere condizionato dalle pratiche antropiche e ad essere modellato in base alle esigenze umane. Se in Germania le teorie di Ratzel si rendevano utili a Bismark (primo cancelliere dell'Impero tedesco) per legittimare il dominio territoriale e assecondarne l'espansione, in Francia, con de la Blanche, «era necessario trovare una corrente di pensiero capace di fermare la concezione espansionistica del vicino stato, senza però compromettere le mire espansionistiche francesi»26,
giustificando la colonizzazione in Asia e Africa in quanto opera tesa al “migliorare” le società “primitive” e al tempo stesso deplorando la Germania per estendere il suo dominio in Alsazia e Lorena, abitate invece da società occidentali considerate già acculturate.
Dalle teorie di de la Blanche, il geografo Lucien Gallois (Régions naturelles
et noms de pays. Etude sur la région parisienne, 1908) pose le basi per un diverso 26 Paolillo A. (a cura di), Luoghi... op. cit., p.30
approccio allo studio del territorio: la Geografia regionale. Essa interpretava una delimitata porzione di spazio considerando le sue caratteristiche ambientali unite all'influenza antropica, all'organizzazione e all'evoluzione territoriale. La metodologia, in parte applicata ancora oggi, prevedeva di definire l'area di studio tramite la collocazione geografica e toponimica, successivamente esaminare l'aspetto fisico della porzione interessata, e dedicarsi all'analisi dei fattori antropici quali la struttura agraria, la struttura urbana e le unità produttive.
Dopo la metà del '900 vengono elaborate tre nuove articolazioni disciplinari, pur sempre di impronta normativa: Spatial science, neopositivista perché interessata allo studio dei rapporti spaziali senza considerare i fattori culturali e soggettivi; geografie del comportamento, applicate soprattutto in contesti di rischio di disastri ambientali e artificiali (sebbene ormai la distinzione sia sbiadita) per comprendere la risposta comportamentale delle popolazioni coinvolte; geografie della percezione, che indagano la relazione uomoluogo dal punto di vista della rappresentazione cognitiva.
Complici alcune diramazioni della ricerca filosofica novecentesca, attenta all'interpretazione dell'esperienza soggettiva dell'esserci nel mondo27, tra gli anni
'60 e '70 un nuovo approccio geografico cercò di restituire al soggetto l'importanza di cui in precedenza era stato privato: la Geografia umanistica. Questo fondamentale conferimento implicò la considerazione dell'uomo come soggetto dipendente dal contesto storicoculturale vissuto. Pertanto, per questo approccio geografico, assunsero particolare rilevanza gli aspetti simbolico culturali. Per il geografo umanista, infatti,
l'oggetto di indagine geografica è proprio il declinarsi della soggettività nella costruzione del rapporto col Territorio. Il recupero degli spazi di ambiguità, di polisemia, di interpretazione degli eventi; la rivalutazione di “oggetti sociali” importanti come i valori e le norme sociali, le tradizioni culturali, le
27 Le branche filosofiche a cui mi riferisco sono: fenomenologia, cioè l'esperienza del soggetto nel mondo, il cui capostipite fu il filosofo tedesco Husserl E. (Meditazioni Cartesiane, 1931); esistenzialismo, cioè una variegata riflessione sull'esperienza di vita, di cui Heidegger M. (Essere e Tempo, 1927) può essere considerato un illustre contributore.
pratiche condivise […].28
Così Geografia e Antropologia si incontrano. Infatti, il compito dell'Antropologia, per Ingold e per i sostenitori dell'approccio ecologico relazionale, non è quello di affrontare lo studio dell'ambiente sottoponendolo al vaglio delle diverse costruzioni culturali del concetto di natura, ma quello di cominciare a delineare la propria ricerca intorno al nesso indissolubile uomo ambiente, non indagando le rappresentazioni altrui come costrutti, ma come prospettive che scaturiscono dall'abitare il mondo ed esperirlo in quanto soggetti non esterni all'ambiente stesso.
In short, through the practical activities of hunting and gathering, the environment – including the landscape with its fauna and flora – enters directly into the constitution of persons, not only as a source of nourishment but also as a source of knowledge. But reciprocally, persons enter actively into the constitution of their environments. They do so, however, from within.29
Dimorare nell'ambiente non significa solo conoscerlo traendone nutrimento, ma significa anche viverlo mediante rielaborazioni come miti, racconti e canti. Raccontare, infatti:
is not like unfurling a tapestry to cover up the world, it is rather a way of guiding the attention of listeners or readers into it. A person who can ‘tell’ is one who is perceptually attuned to picking up information in the environment that others, less skilled in the tasks of perception, might miss, and the teller, in rendering his knowledge explicit, conducts the attention of his audience along the same paths as his own.30
Dalla Geografia umanistica, lo spazio si evolve fino a connotare un territorio organizzato dalla comunità antropica come luogo vissuto, rappresentato e interiorizzato. Il territorio diventa «uno spazio mentale e culturale prima ancora che fisico»31. Viene così a prender forma quello che in Antropologia e in Geografia umana si intende per paesaggio. 28 Pezzullo L., “Verso una geografia degli spazi vissuti”, in Paolillo A. (a cura di), op. cit., p.134 29 Ivi, p. 57 30 Ivi, p.190 31 Ivi, p.137
1.2.3 Il paesaggio
Il sostantivo “paesaggio” è derivato da “paese”, che ha la sua origine etimologica dal francese paysage.32 Il suo impiego nell'uso della lingua italiana si contraddistingue per la connotazione di panorami, vedute, bellezze naturali; un particolare genere di pittura e fotografia con tematica paesaggistica; un attributo che si conferisce ad un elemento geografico che presenta caratteristiche peculiari o ricorsive. Il paesaggio, come visto, nella lingua italiana non è l'ambiente, ma – forse – una parte di esso.
Fatta chiarezza sulla distinzione dei significati nell'uso dell'italiano comune, chiediamoci allora che cos'è e che importanza riveste questo concetto in ambito accademico nelle scienze sociali, con particolare attenzione all'Antropologia e alla Geografia umana.
Se riprendiamo le fila della teoria di Ingold33 possiamo capire nel dettaglio che:
• “paesaggio” non è sinonimo di “terra”. Quest'ultimo, infatti, può essere considerato alla stregua di un'unità di misura astratta, quantitativa e omogenea, utile nel momento in cui ci si chieda quanto è vasto un appezzamento di terra, ad esempio. Il paesaggio, al contrario, è determinato, visibile, è colmo di differenze poiché è eterogeneo. Richiamarsi al concetto di paesaggio risulta adeguato, perciò, se ci si ponga una domanda qualitativa: che cos'è questo?.
• “paesaggio” non è sinonimo di “natura”. La natura, posto che sia una realtà “là fuori”, è ciò che dovrebbe fornire la risposta più semplice e per contrasto a ciò che per paesaggio si dovrebbe intendere. Infatti, se la natura è il dato fisico reale, allora il paesaggio è la costruzione culturale di ciò che la realtà fisica va a tradursi in simbologia e relazionalità. Ma ciò, insiste Ingold, non è affatto vero, poiché a tale concezione si perpetua l'antica distinzione tra mente – corpo, soggetto – oggetto, significato – materia. La natura non è il paesaggio, semplicemente perché nel
32 http://www.treccani.it/vocabolario/paesaggio/ (data ultima consultazione 21/05/2015) 33 Ingold T., The Perception...op. cit., capitolo 11
paesaggio ogni componente avvolge con la propria essenza la totalità delle sue relazioni con ogni altro elemento.
• “paesaggio” non è sinonimo di “posto”. Un posto ha un centro, o più esattamente, un posto è un punto nello spazio, dunque è un centro. Il paesaggio, invece, non ha confini. Nel senso che ogni elemento naturale o antropico che segnali la delimitazione del territorio, contribuendo a definire un confine, è esso stesso parte costituente del paesaggio.
• “paesaggio” non è sinonimo di “spazio”. Spazio è un concetto vuoto, utilizzato per esempio nella cartografia e dalla geografia in generale, che tramite i loro strumenti e metodologie delimitano ed analizzano diverse aree di estensione della superficie terrestre. Il cartografo risulta essere
oltre allo spazio, e la cartografia si rende utile nel momento in cui si
necessiti di collocare un elemento entro uno spazio di riferimento. “Spazio” non è un ambiente vissuto, infatti non si vive nello “spazio”, ma si vive nel paesaggio ognuno con le proprie caratteristiche morfologiche, biologiche ed antropiche. Il senso del paesaggio, perciò, scaturisce da esso stesso, non è qualcosa di fittizio che va ad apporsi in aggiunta a una indeterminata parte di mondo. Riassumendo: «It is from this relational context of people’s engagement with the world, in the business of dwelling, that each place draws its unique significance.»34 Il paesaggio è costituito a livello fisico dall'ambiente,
dall'ecosistema, dai confini e le frontiere, dal territorio e le risorse, dall'insediamento, dalla casa. A livello sociale, invece, contribuiscono a creare il pesaggio relazioni e costruzioni collettive intra e interindividuali. Ognuno di questi elementi determina la formazione di ciò che viene chiamato “paesaggio” o “paesaggio culturale”.
Questa fruttuosa interpretazione del paesaggio si fonda su il cosiddetto approccio ecologicorelazionale. Un approccio che:
[…] ridefinisce il paesaggio (intendendo anche un paesaggio «urbano»)
come prodotto della sintesi fra un dato naturale e una percezione sensoriale. Non esiste un «paesaggio» in senso oggettivo e indipendente da un osservatore che considera tale una determinata porzione di territorio. Solo l'ambiente naturale è oggettivamente «dato», nei termini di un frammento di realtà esterna che giace semplicemente là […].35
Pertanto, il paesaggio viene a connotarsi come un luogo di significato denso e imprescindibile. Ciò è reso possibile grazie ad: «un processo sociale profondo per il quale sulla struttura fisica, ecologica, di un luogo, viene proiettata e saldata una particolare struttura di sentimento»36.
Il paesaggio è un oggetto di studio che in Geografia ha subito profonde mutazioni durante la sua evoluzione: se per la Geografia fisica il paesaggio rappresentava una mera funzionalità fisica, con la Geografia umanista il paesaggio diviene luogo di interazione tra uomo e natura, fino ad approdare ad una concezione “semantica” del paesaggio con la Geografia culturale. In questo caso, il paesaggio è «significante e significato delle interazioni sociali umane. La cultura si iscrive nel territorio, ed il paesaggio diviene oggetto, espressione e giustificazione dei processi economici, sociali e simbolici che ad esso sono sottesi e l'hanno “informato” di sé»37. Per questa ragione Denis Cosgrove, uno dei
maggiori geografi contemporanei, afferma che «all landscapes are symbolic, they express 'a presistent desire to make the earth over in the image of some heaven', and they undergo change because they are expressions of society, itself making history throught time»38.
Un ruolo considerevole, nell'affrontare il paesaggio come oggetto di studio, è ricoperto della Psicologia. La psicologia ambientale, sorta negli anni '60, inizialmente fu indirizzata allo studio delle mappe mentali, all'orientamento spaziale e ai comportamenti individuali e collettivi relativi alla spazialità (territorialità, distanze sociali...). Grazie a questi studi emerse che la valutazione 35 Ligi G., Antropologia dei disastri, Roma, GLF editori Laterza, 2009, p. 49 36 Ivi, p. 51 37 Pezzullo L., op. cit., p.139 38 Cosgrove D., Social formation and symbolic landscape, Wisconsin, The University of Wisconsin Press, 1998, p.35
psicologica dell'ambiente da parte del soggetto implica, spesso inconsciamente, il vaglio di alcuni criteri culturalmente trasmessi, come ad esempio l'assenza o la scarsità di ostacoli, la sensazione di avere il controllo in base a una visuale grandangolo, e così via. Ricerche più recenti si sono soffermate, invece, sullo studio dell'affettività in ambito territoriale. L'attaccamento39 al luogo è un settore di studi davvero fecondo, in cui Psicologia e Geografia umanistica si incontrano per indagare come avvenga e cosa comporti il place attachment. Questo filone di studi si ricollega altresì al sense of home, cioè all'attaccamento alla casa, nonché all'atto di abitare. Comunemente inteso, quasi intuitivo, il verbo “abitare” non abbisogna di particolari spiegazioni. Eppure se ci si interroga sul senso profondo del termine, la nostra sicurezza può vacillare. “Abitare”40 deriva dal latino
habitare (frequentativo di habere, cioè avere) che richiama diversi campi
semantici: tenere, avere, stare, dimorare. In questo senso è importante notare come «[...] l'azione di abitare oltre a essere di per sé un'abitudine, sia anche intimamente legata all'assunzione di certe abitudini, certi “habitus”41 specifici e
localizzati»42. Perciò l'attaccamento al luogo e l'abitare sono intimamente
collegate con processi sociali e culturali. Infatti «la consapevolezza dell'abitare si nutre di conoscenza del senso dei luoghi a cui si sente di appartenere, e ciò al di là dell'appropriazione fisica dello spazio, diventando appartenenza culturale»43. Il rischio di perdere un luogo, e ancor di più la sua effettiva perdita, può comportare un trauma individuale e/o collettivo. Ciò consiste nella «[...] perdita 39 Cfr. Giani Gallino T., Luoghi di attaccamento, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007 40 http://www.treccani.it/vocabolario/abitare/ 41 Il fortunato concetto di habitus in Antropologia è stato introdotto dall'antropologo francese Marcel Mauss, nel saggio “Les Techniques du Corps” in Journal de Psychologie, XXXII, ne, 34, 15 Marzo 15 Aprile 1936. Partendo dalla considerazione che presso società extraoccidentali il modo di nuotare, il modo di camminare, ecc, può differire, Mauss comprende che alla base di questa diversità vi sono delle tecniche somatiche apprese culturalmente, che rappresentano l'arte culturale di utilizzare il – ed essere nel – corpo (e nel mondo). I successivi sviluppi di questo concetto hanno generato la nozione di embodiement, ovvero “incorporazione”: il soggetto e l'oggetto della rappresentazione e dell'esperienza sono inscindibili, la distinzione tra mente e corpo non sussiste.
42 Ligi G., La casa Saami. Antropologia dello spazio domestico in Lapponia, Torino, Il Segnalibro, 2003, p.116
43 Vallerani F., Italia desnuda: percorsi di resistenza nel Paese del cemento, Milano, Unicopoli, 2013, p.36
del territorio, e la conseguente rottura psicologica della “matrice geografica” di appartenenza [...]»44. Vacilla – o si frattura il sense of place, il senso del luogo, cioè il vissuto soggettivo relativo all'abitare un territorio organizzato indagando l'aspetto emotivo, semantico, e di place attachment. Le cause sono molte e di varia natura, possono comprendere disastri45, guerre, operazioni di resettlements46, processi decisionali topdown (interventi sul territorio che nella fase decisionale non hanno coinvolto la popolazione locale), migrazione volontaria o forzata. Perdere il proprio spazio di vita, ovvero il luogo interiorizzato, ha fondamentalmente tre ripercussioni. La crisi della denominazione riguarda il nominare, ovvero il portare all'esistenza, l'identificare. Abbandonando il proprio territorio si perdono tracce di storia e tradizione, si lasciano i luoghi conosciuti, perciò quella sensazione di famigliarità viene perduta, e con essa la capacità di definire il nuovo territorio. A questo, si accompagna la crisi della strutturazione, ovvero l'ambiente entro cui la comunità svolgeva la propria esistenza e ordinava la propria quotidianità viene a mancare. Mancando la struttura, l'individuo o la comunità devono in qualche modo adeguarsi a territori già organizzati dalla comunità ospitante, e in questo consiste la crisi della reificazione. La somma di queste tre crisi genera l'impossibilità di pensare il mondo, e soprattutto di pensarsi nel mondo: anomia, depressione, angoscia e displacement scaturiscono proprio dallo spazio di vita che ora non c'è più, e che non può essere ripristinato. La città, la valle, la fascia 44 Pezzullo L., Verso una...op. cit., p.143 45 Un caso a noi vicino è quello della tragedia del Vajont: la notte del 9 Ottobre 1963 una frana proveniente dal monte Toc crollò all'interno della diga del torrente Vajont. Un'incontrollabile massa di acqua, fango e rocce si abbatté repentina sul centro abitato, e provocò la morte di 1910 persone (di cui 1450 a Longarone, che non era stata evacuata). Con i primi raggi della mattina, ci si rese conto delle proporzioni del disastro: la valle era ormai irriconoscibile, e i paesi sfigurati per sempre. Ebbe così inizio l'opera di costruzione di un nuovo centro urbano a Longarone, che però non tenne conto delle necessità degli abitanti, delle ferite mai rimarginate, della rottura dell'ordine sociale, e della perdita di senso del luogo. Ciò rese impossibile la ricostruzione. Favero G. (a cura di) Vajont. Una tragedia italiana, Corriere della Sera, 2013 Merlin T., Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont, Sommacampagna (VR), Cierre Edizioni, 2001 46 Ridislocazione forzata per vari motivi, ad esempio la ristrutturazione urbana o la messa in sicurezza di una comunità da un contesto pericoloso.
costiera, ecc, ovvero il Luogo a cui non si può più far fisicamente ritorno, diventa un luogo mentale, custodito nella memoria; altresì, esso stesso, diventa un “luogo” temporale: il giorno del disastro, della migrazione, insomma il giorno della scomparsa del Luogo, crea una frattura cronologica, uno spartiacque tra il prima e il dopo l'accadimento, diventa perciò un evento segnatempo.
Dunque, riconsiderando l'evoluzione nella disciplina geografica del legame antropico con l'ambiente, possiamo definire il paesaggio come […] l'insieme dei luoghi senza i quali non si può vivere, composto da risorse materiali e legami sentimentali; è l'habitat, rifugio, protezione dai pericoli, supporto alla soddisfazione esistenziale. Lo sfondo del vivere quotidiano è vitale, essenziale, irrinunciabile.47
1.3 I paesaggi di Marta e Fabrizio
Tenendo conto dei ricordi, delle speranze, delle lotte, e delle aspettative di chi abita un luogo, è possibile riscontrare come quello che ad occhi estranei ed esterni pare un semplice ambiente dotato di certe caratteristiche morfologiche, in realtà sia molto di più che un banale panorama che accidentalmente fa da sfondo alle esistenze che vi prosperano e vi scorrono. Tramite le interazioni sociali di cui l'ambiente stesso è la culla, rinforzate da rappresentazioni enarrazioni sul proprio contesto di vita, ogni luogo rievoca quel tipico processo
culturale che trasfigura un ambiente apparentemente neutro, in un luogo colmo di significati, senso, e ideologie diverse, che spesso giungono allo scontro.
Uno scontro che può giocarsi in più ambiti e in più partite, a livello sociale, etico, politico ed economico. La voce del contrasto può essere singola o collettiva, ma se essa è collettiva significa che qualcosa vi è di comune nella protesta. Di nuovo, anche in questo caso le motivazioni che possono far aggregare le persone sono di varia natura, ma chiaro e determinato dev'essere
l'oggetto del contendere e lo scopo per cui lo si fa. Se anche solo uno di questi due elementi manca, manca altresì quell'apparente omogeneità che sembra avvolgere e coordinare associazioni, movimenti e comitati, impegnati nel concretizzare la propria volontà.
Nel capitolo 3 affronterò nel dettaglio questo argomento, ma ciò che mi preme sottoporre all'attenzione ora, è che un conflitto racchiude in sé molteplici elementi, è multidimensionale e proprio per questo può essere assunto come luogo privilegiato di analisi e indagine sociale. Parlando per metafore, un conflitto manifesto è un fiore vivace, che attrae l'attenzione. Questo fiore, proprio per la sua caratteristica di attirare l'attenzione su di sé, spesso elude dalla visuale il contesto in cui esso stesso è sbocciato. Eppure importante è sia notare la composizione dei suoi petali, sia accorgersi di come il fiore stia su un ramo d'albero, e scorrendo lo sguardo sulla lunghezza di quest'ultimo, capire che il ramo abbia origine da un tronco, le cui molteplici radici risultano relativamente nascoste in quanto abbarbicate nel terreno. Fuori di metafora, se si cerca di contestualizzare il conflitto, è necessario comprendere il contesto sociale, storico e geografico in cui esso attecchisce, conoscere le persone che vi prendono parte, perché tramite i loro atti e le loro narrazioni, è possibile andare oltre al fiore, oltre all'albero, e scorgere il paesaggio.
Proprio per questa ragione ho scelto di affrontare la questione del paesaggio da un punto di vista, oserei dire, privilegiato. Poiché interessandomi dei conflitti ambientali e delle pratiche di salvaguardia del territorio di Venezia, ho avuto modo di ragionare sulla struttura di sentimento che lega le persone al territorio, ma non solo. Infatti, tramite le interviste svolte con alcuni informatori appartenenti ad associazioni e comitati, è emerso con evidenza il sostrato ineludibile su cui poggia il conflitto o l'interesse ambientale. Un sostrato formato da racconti di vita, al tempo stesso intriso di idee etiche e politiche, se non addirittura spirituali.
particolarmente in presenza di conflitti interculturali e ambientali che evidenziano gli articolati significati che gruppi diversi di attori territoriali attribuiscono all'organizzazione di spazio e tempo, ma anche alle risorse quotidiane e alle scelte esistenziali.48
In ultima analisi, interessarsi ad un conflitto o ad un interesse ambientale, implica un'indagine e un'interpretazione olistiche, e ciò si traduce nel privilegio di scorgere e conoscere visioni del mondo, nel mondo.
Le Weltanschauung che ho avuto modo di conoscere maggiormente sono quelle di Marta Canino (Comitato No Grandi Navi) e di Fabrizio Zabeo (Comitato Allagati di Favaro). La loro partecipazione ai rispettivi comitati implica in entrambi i casi una convinta messa in pratica della loro filosofia di vita. Proprio per questa ragione inserirò questa tematica nel capitolo 3, riguardante la cittadinanza attiva e l'emersione di associazioni e comitati. Dopo questa breve premessa, riprendendo le fila del discorso torniamo ad interessarci ai motivi e alle modalità tramite i quali un ambiente “neutro” venga trasformato in un paesaggio culturale carico di significato. Per far questo, trovo di esemplare importanza riportare la viva voce di chi il paesaggio lo vive e lo crea. È il 12 Luglio, tardo pomeriggio, a Venezia fa molto caldo ma l'afa è solo lieve. Attendo Marta Canino in Fondamenta dei Toffetti per svolgere un'intervista. Il portone di legno verde scuro sigilla l'entrata di Ca' Bembo, una delle sedi storiche dell'Università Ca' Foscari. Abbiamo appuntamento nel giardino della sede, occupato da un gruppo di studenti Li.S.C.49, gli #invendibili,
di cui lei fa parte, e che si batte contro la vendita degli edifici storici
48 Vallerani F., “Il territorio tra oggettività geografica e contesto di identità”, in Favero M. (a cura di) Ripensare il Veneto, Venezia, Regione Veneto, 2006, p.33 49 Li.S.C. (Lista dei Saperi Critici) è il collettivo universitario dell'Università Ca' Foscari che, tramite un approccio attivo di politica dal basso, cerca di divulgare e mobilitare gli studenti per ottenere un dibattito con le istituzioni, riguardo all'ampliamento della partecipazione politica degli studenti nell'amministrazione dell'ateneo. I temi principali su cui il collettivo fa perno sono: residenzialità, mobilità, mense, diritto allo studio, qualità dello studio, sedi universitarie e spazi per gli studenti, trasparenza e controllo sulla gestione dei fondi e sulle scelte dell'ateneo.
dell'Università: Ca' Cappello, Palazzo Cosulich, “Ca' Tortuga” in Calle dei Guardiani, e Ca' Bembo.
Lungo la calle, turisti mezzi nudi passeggiano guardando distrattamente le case veneziane affacciate al canale. Danno l'impressione di non capire cosa vedono, e mantengono un passo adeguato per un museo troppo grande da visitare in poco tempo. Tra i turisti, ecco farsi largo una ragazza abbronzata, sportiva, e dai lunghi capelli castani. È Marta. Tiene al guinzaglio la sua Luma, un'energica cagnolina di undici anni dal manto nero lucente e con qualche tratto bianco d'anzianità. Marta, in un gioco da equilibrista, regge al contempo un toast fumante, un bicchierino di plastica con salsa rosa, e una bottiglia di birra chiara, sul cui vetro pullulano goccioline di condensa. Lo noto già dal suo modo di muoversi nello spazio: il suo passo sicuro, il suo sguardo fermo, il modo di indossare un vestitino di cotone scuro e le infradito, non possono in alcun modo paragonarsi ai turisti di poco prima. Marta, in quello spazio pubblico, è nell'intimità di casa sua.
Come mi dirà in seguito, infatti, «l'attitude veneziana»50, come
scherzosamente l'ha definita lei, è
MC: «[...] quel modo di viver la città che è un po', sì, particolare. [...] i veneziani, [...], tu non li vedi tanto in giro, perché infatti passano la maggior
parte del tempo conoscendo gli angoli, le callette più nascoste della città dove si riparano dal resto del mondo, non essendo spazi per giovani...[...].. la tua vita è in strada, ma in luoghi molto nascosti, inaccessibili di solito alle
persone [...] e la stessa cosa vale quando sei più grande […].»51
Nascondersi nella propria culla per sfuggire agli altri. In questo caso, gli altri sono i trenta milioni52 di turisti all'anno che invadono Venezia. Si rafforza, tra i
veneziani, perciò, un modo di vivere la città lontano dallo sguardo estraneo, proteggendosi, rinforzando il legame sociale e identitario, rifacendosi alla
50 Canino Marta, intervista effettuata il 10 Luglio 2015, cortile grande Ca' Foscari (VE) 51 Canino Marta, intervista effettuata il 12 Luglio 2015, giardino di Ca' Bembo (VE)
52 Per un dettaglio riguardo alle statistiche di turismo incoming, consultare il sito dell'Agenzia di Promozione Turistica della Provincia di Venezia http://www.turismovenezia.it/Dati statistici314698.html