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«Perché ci credo». Venezia e i paesaggi contesi.

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex

D.M. 270/2004)

in Antropologia culturale, etnologia ed

etnolinguistica

Tesi di Laurea

«Perché ci credo». Venezia e i

paesaggi contesi.

Emersione ed implicazioni di conflitti

socio-ambientali a Venezia

Relatore

Ch. Prof. Francesco Vallerani

Laureanda

Moira Tegon

817808

Anno Accademico

2014 / 2015

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Indice 1.  Introduzione al paesaggio 2 1.1  Perché il paesaggio? 2 1.2  Dalla natura, all'ambiente al paesaggio 3 1.2.1 La natura 4 1.2.2  L'ambiente 6 1.2.3  Il paesaggio 18 1.3  I paesaggi di Marta e Fabrizio 23 2. Venezia: tempi e spazi di un paesaggio 43 2.1 Dalle origini alla metà del XX secolo 43 2.1.1 Tra mito e realtà 43 2.1.2 Dai Longobardi al 1204 44 2.1.3 Splendore e decadenza 49 2.1.4 Dal tremendo zorno al 1917 55 2.1.5 Il primo dopoguerra e Marghera 58 2.2 Dalla metà del XX ad oggi 61 2.2.1  Paesaggio e ambiente nel Diritto 61 2.2.2  Trasformazioni del paesaggio veneto 69 2.2.3 La terraferma veneziana 74 2.2.3.1   Marghera  74 2.2.3.2   Favaro Veneto 77 2.2.4 Venezia e la laguna 81 2.2.4.1   Il porto fuori dalla città 84 2.2.4.2   Canali navigabili ed erosione 85 2.2.4.3   Il remote sensing e Venezia 89 2.2.4.4   1966 e Mo.S.E. 93 2.2.4.5   30milioni vs 50mila 103 3. Conflitti socio­ambientali         116 3.1 Tra informazione, apprendimento ed azione 116 3.2 Cittadinanza attiva a Venezia 128 3.2.1  Comitato No Grandi Navi 128 3.2.2  Spiazziverdi 135 3.2.3  Poveglia per tutti 140 4. Conclusioni 143 Bibliografia 147

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1. Introduzione al paesaggio

1.1 Perché il paesaggio?

L'obiettivo generale di questa tesi è cercare di comprendere i motivi e le modalità tramite le quali a livello sociale si svolge il processo di ancoraggio emotivo ai luoghi, in concomitanza all'autoapprendimento scaturito dall'azione di cura del paesaggio. L'indagine si avvale di un'etnografia basata sul segmento sociale   di   comitati   e   associazioni   costituiti   da   cittadini   del   comune   e   della provincia di Venezia, che volontariamente si attivano per la tutela dei luoghi. Luoghi   che   analiticamente   possiamo   distinguere   in   contesti   ambientali   dove interagiscono   elementi   naturali   e   azioni   antropiche,   a   cui   si   sovrappongono rappresentazioni e percezioni pensate e sentite dell'ambiente, a cui si aggiunge l'insieme di pratiche singole e collettive che si svolgono nei peculiari contesti territoriali. Un insieme di elementi che va a determinare una complessa realtà geoantropica. Si tratta, perciò, di luoghi costruiti socialmente tramite relazioni territoriali   e   sociali   che   non   solo   rinsaldano   il   legame   comunitario,   ma   che consentono la genesi di una forma identitaria più intima e circoscritta.

Luoghi   creati   ed   abitati   culturalmente   che,   adottando   una   prospettiva politica, possiamo metaforicamente considerare palcoscenici interattivi, in cui il conflitto sociale e decisionale intessuto nella comunità si rende manifesto. Buoni esempi   ne   possono   essere,   appunto,   l'insorgere   di   conflitti   ambientali   e l'ideazione di strategie alternative, volte a incentivare un uso del territorio e delle sue risorse, per così dire, più a misura d'uomo. Pertanto, la scelta dello studio  e  dell'analisi  del  paesaggio come momento di definizione culturale di sentimenti e conoscenza, permette di comprendere più adeguatamente la cornice in cui inserire l'azione svolta dalla cittadinanza attiva impegnata nella doppia attività di opposizione e salvaguardia del paesaggio – a cui spesso si aggiunge un terzo intento, che possiamo definire propositivo.

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ricerca può fornire un terreno di indagine sociale di ampio respiro, coinvolgendo Geografia,   Antropologia,   Sociologia,   Storia,   Diritto,   Politica   ed   Economia.   Il valore aggiunto dell'interdisciplinarità, infatti, risulta essere fondamentale. La multi­dimensionalità   intrinseca   al   paesaggio   non   può   essere   affrontata esclusivamente tramite un approccio di tipo umanistico. Poiché un tale studio sia davvero efficace è richiesto un adeguato approfondimento da parte di più aree scientifiche.   Ecco   perché   risultano   imprescindibili   i   contributi   di   Geografia, Fisica,   Ecologia,   Biologia   e   Ingegneria.   Solo   con   il   continuo   dialogo   e l'immancabile   integrazione   tra   le   diverse   discipline   si   potrà   aspirare   ad   una visione quanto più olistica possibile. 

1.2 Dalla natura, all'ambiente, al paesaggio

Cercando  di  definire   il  paesaggio  come   oggetto  di   studio,   ritengo  che prima   di   tutto   sia   necessario   anteporre   una   breve   premessa.   Infatti,   nel linguaggio comune, a volte impreciso e polisemantico, si tende a sovrapporre o ad usare indistintamente “natura”, “ambiente” e “paesaggio”, utilizzandoli come sinonimi.   Eppure   questi   termini   significano   cose   diverse,   sebbene   abbiano talvolta dei punti in comune piuttosto notevoli. Questi riferimenti affioreranno ricorsivamente   nella   trattazione,   perciò   per   cercare   di   fare   chiarezza   fin   da subito,   propongo   un'analisi   etimologica   dei   termini;   dopodiché   ritengo appropriato   scindere   l'uso   dei   termini   dall'ambito   colloquiale   dall'ambito scientifico; conseguentemente sottolineo la distinzione che corre tra le plurime definizioni   dei   termini   suddetti,   in   base   al   diverso   significato   ed   utilizzo   in contesti   di   area   scientifica   e   di   area   umanistica,   giungendo   così   al   cuore dell'oggetto di studio scevro di ambiguità.

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1.2.1. La natura

Nella lingua italiana, cercare di definire esaustivamente il significato di “natura” è un compito che pone una serie di difficoltà, innanzitutto perché ci si accorge che in realtà di significato non ce n'è solo uno, ma ve ne sono molti. Perciò, procedendo con ordine, innanzitutto sarà bene analizzare l'etimologia, dopodiché i significati.  s.f. dal latino natura, collegato a natus. SIGNIFICATO l'insieme delle cose e degli esseri che compongono l'universo; sostanza costitutiva, sorta, qualità, indole; energia vitale dell'universo; nel linguaggio popolare, parti genitali esterne, soprattutto femminili.1 natura s. f. [lat. nat raū , der. di natus, part. pass. di nasci «nascere»]. 2  “Natura” deriva da “nascere”, qualcosa che si genera e che si può quindi tradurre in un processo. Ora diamo un breve sguardo al significato. Osservando la  def. 1  riportata in nota3, sia il punto  a.  che il punto  b.  connotano la natura

come una forza operante ed attiva. Questo coincide con il risultato dell'analisi etimologica. Secondariamente, la natura assume il ruolo di una realtà oggettiva, a cui l'uomo dedica il proprio studio (e sorge spontaneo chiedersi se la natura sia davvero una realtà oggettiva, indipendente dall'osservatore e smarcata da ogni interpretazione culturale); di seguito si cita l'impegno propriamente umano per 1 AA.VV., Dizionario Etimologico, Milano, Rusconi, 2004, p.663 2 http://www.treccani.it/vocabolario/natura/, grassetto mio, (data ultima consultazione  21/05/2015)

3 1.  Il   sistema   totale   degli   esseri   viventi,   animali   e   vegetali,   e   delle   cose   inanimate,   che presentano un ordine, realizzano dei tipi e si formano secondo leggi. Quindi: a. La volontà stessa   di   ordine   che   si  manifesta   in   quelle   leggi,   come   principio  vivo   e   operante,   forza generatrice di tutte le cose (in questo senso può essere personificata, e scritta quindi con iniziale maiuscola)[...].  b.  L’universo considerato nei suoi fenomeni, nelle sue attività, nel suo ordine, come una realtà oggettiva che l’uomo contempla, studia, modifica [...] diritto di

n.,   o  naturale,   l’insieme   dei   principî   giuridici   fondamentali   anteriori   a   qualsiasi   sistema

giuridico positivo [...]; in altri casi le leggi stesse sono invece intese come dominate da una causalità quasi meccanica (in opposizione a  spirito,  libertà,  personalità):  la lotta dell’uomo

contro la n., contro le forze (o contro le forze avverse) della natura. Considerando la natura

come   una   realtà   che   preesiste   all’opera   dell’uomo   e   può   da   questa   essere   modificata attraverso il lavoro, l’educazione, l’arte, l’incivilimento, ecc.: allo stato di n., di materie prime che   non   hanno   subìto   elaborazione   da   parte   dell’uomo   (con   altro   sign.   nella   storia   del pensiero filosofico, stato di n., condizione ipotetica degli uomini prima della costituzione di un’organizzazione politica e statuale: in tale senso, natura, nel linguaggio dell’antropologia, si oppone al concetto di cultura)[...].  

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dominare tale realtà o sfuggirle; e infine si connota la natura come lo stato primigenio   dell'umanità,   ancora   privo   di   costruzioni   culturali:   la   classica dicotomia tra natura e cultura.  

Quindi, la distinzione di “natura” tra scienze naturali e scienze sociali è quanto   segue.   Nelle   scienze   naturali   indica   l'insieme   delle   attività   e   degli elementi   che   costituiscono   quella   che   vien   detta   “realtà   oggettiva”,   il   dato percepibile e pensabile, nonché analizzabile fisicamente. Nelle scienze sociali, e più precisamente in Antropologia, “natura” corrisponde a un presunto stadio iniziale   dell'umanità,   a   un   insieme   di   caratteristiche   che   distinguerebbero   la specie  umana  prima che le  forme culturali si  generassero e modificassero la specie stessa e la società.

Ma ecco comparire il primo nodo della matassa: «[...] Molto spesso la natura   è   intesa   come   «ambiente»   il   cui   equilibrio   originario   non   può   essere alterato senza danno per l’uomo e per la vita in genere: la protezione, la difesa, la

conservazione della n.[...]».4

A   cui   ne   segue   immancabilmente   un   altro:   «[...]   In   senso   ancor   più ristretto, con riferimento a luoghi in cui siano stati meno operanti la presenza e l’intervento dell’uomo: vivere in mezzo alla n., ricrearsi a contatto della n.; senso

della n., sentimento della bellezza di luoghi e paesaggi; con determinazioni, per

indicare   particolari   aspetti   di   un   paesaggio:  la   n.  selvaggia,  orrida,   o  dolce,

intatta, incontaminata di un luogo».5 

“Natura” in un sol colpo, diventa sinonimo di “ambiente” e di “paesaggio”. È corretta quest'identificazione? E se non lo è, quali errori si commettono nel trattare   tali   termini   come   equivalenti?   Proprio   per   trovare   risposte   a   queste domande   iniziali,   nei   capitoli   successivi   vedremo   se   i   tre   termini   possano realmente considerarsi sinonimi, e se ciò non sia possibile, cosa li differenzia.

Intanto, Tim Ingold, uno dei più noti antropologi sociali contemporanei, ci

4 Ibidem 5 Ibidem

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fornisce un primo suggerimento: «[...] the distinction between environment and nature corresponds to the difference in perspective between seeing ourselves as beings within a world and as beings without it».6

1.2.2 L'ambiente

Per   cercare   di   comprendere   meglio   la   distinzione   tra   “natura”   e “ambiente”, ora mi concentrerò nel definire la parola prima a livello etimologico, poi esaminandola a livello di significato.

Il termine italiano “ambiente” deriva dal latino  ambiens,  ­entis, participio presente   del   verbo  ambire,  che   significa   "andare   intorno,   circondare".   Il prefisso  amb­  [...] indica un percorso circolare: “tutt’intorno, in tondo, da ambo i lati”. Anche in altre lingue europee, la parola "ambiente" richiama l'idea   di   circolarità   [...].   Ciò   aggiunge   al   termine   una   connotazione dinamica,   nonostante   la   lingua   abbia   perso   nell’uso   questa   sfumatura originaria.7

Ne deduco che l'ambiente è principalmente una relazione: un nesso tra noi   stessi   e   ciò   che   ci   circonda   e   ci  include.   Un   legame   che   si   instaura   tra osservatore ed osservato, sia a livello fisico che a livello di rapporto. Nell'uso dell'italiano  corrente,  “ambiente” si distingue  per almeno quattro  riferimenti, uno generale e strettamente correlato all'etimologia stessa: «spazio che circonda una cosa o una persona e in cui questa si muove o vive[...]»8, a cui seguono significati specifici di scienze naturali  9. In questo caso, “ambiente” denota un 6 Ingold T., The Perception of the Environment, Londra – New York, Routledge, 2000, p. 20 7 http://www.fondoambiente.it/upload/oggetti/Definizione_ambiente.pdf (ultima  consultazione 21/05/2015) 8 http://www.treccani.it/vocabolario/ambiente/ (ultima consultazione 21/05/2015)

9 b.  In   biologia,   l’insieme   delle   condizioni   fisico­chimiche   (temperatura,   illuminazione, presenza di sali nell’acqua e nel terreno, ecc.) e biologiche (presenza di altri organismi), in cui si può svolgere la vita degli esseri viventi:  a.  terrestre,  marino,  d’acqua dolce, ecc.;  le

relazioni tra organismi e ambiente, oggetto di studio dell’ecologia. Con sign. più concr., la

natura, come luogo più o meno circoscritto in cui si svolge la vita dell’uomo, degli animali, delle piante, con i suoi aspetti di paesaggio, le sue risorse, i suoi equilibrî, considerata sia in sé stessa sia nelle trasformazioni operate dall’uomo e nei nuovi equilibrî che ne sono risultati, e   come   patrimonio   da   conservare   proteggendolo   dalla   distruzione,   dalla   degradazione, dall’inquinamento […]  c.  In geologia, insieme dei caratteri fisici, chimici e biologici che intervengono nel processo di formazione e di trasformazione delle rocce (a. plutonico o

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assieme di condizioni fisico­chimico­biologiche, le relazioni tra i diversi elementi biologici e fisici, ed inoltre lo spazio in cui la vita prospera ed opera.

Per quanto riguarda le scienze sociali, “ambiente” si rende utile nel suo senso   figurato   e   rievoca   quel   significato   di   inclusione   e   relazionalità   emersi dall'etimologia 10. L'ambiente, infatti, diventa il contesto sociale in cui l'individuo

cresce e apprende, o il gruppo sociale con cui si ha un legame di comunanza. Appare   evidente,   anche   in   questo   caso,   che   il   termine   “ambiente”   sia applicabile e utilizzabile con accezioni davvero varie, e ciò ne impedisce una sua definizione univoca. Come suddetto, infatti, la  def. 1  e la  def. 2  si rivolgono rispettivamente   a   scienze   fisiche   e   a   scienze   sociali,   a   riprova dell'interdisciplinarità   annunciata,   la   quale   necessita   approfondimenti   da svolgersi in parallelo tra le diverse scienze, sempre in continuo dialogo.

Procedendo con ordine, inizio con il problematizzare l'ambiente entro il quadro di riferimento di scienze ambientali, indagando perciò l'ambiente da un punto di vista prevalentemente fisico­biologico, che tornerà utile nel momento in cui la riflessione tratterà dell'ambiente nel contesto di scienze sociali.

Scopriamo   che   l'ambiente   è   un   dato   unitario   composto   da   una molteplicità, infatti: «nel campo degli studi scientifici ambientali si è ormai fatta strada una nozione sistemica di ambiente, articolata in quattro sottosistemi: la ipoabissale, a. di sedimentazione, ecc.). d. In chimica, complesso di condizioni fisico­chimiche in cui si produce o che sono necessarie al prodursi di un determinato fenomeno: a. acido, a. alcalino, a. saturo, ecc. […]. 10 2. fig. Complesso di condizioni sociali, culturali e morali nel quale una persona si trova e sviluppa la propria personalità, o in cui, più genericam., si trova a vivere: ragazzi cresciuti in ambienti degradati; il collegio fu per lui un a. sano e accogliente; trovarsi nel proprio a., o fuori del proprio a.; risentire le influenze dell’a. esterno; cambiare ambiente; anche, l’insieme delle persone da cui si è abitualmente circondati: l’a. domestico, l’a. di lavoro (per un altro sign. di questa espressione, v. oltre); un a. allegro, simpatico, antipatico; se ne andò di lì per levarsi da quell’ambiente. In senso più ampio, insieme di persone aventi comuni interessi, idee,   tendenze,   o   svolgenti   una   stessa   attività:  un   a.  conservatore,  tradizionalista;   nel linguaggio giornalistico, a. politico, centro, luogo, organo in cui si svolge attività politica (e le persone che ne fanno parte), soprattutto in quanto siano fonti d’informazione (in tale caso, l’aggettivo   può   anche   mancare:  la   notizia   proviene   da   a.  bene   informati).   […]    ◆ ambientàccio,   ambiente   sociale,   o   luogo   di   ritrovo,   o   gruppo   di   persone   poco raccomandabili.

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biosfera,   la   geosfera,   la   sociosfera   e   la   tecnosfera»11.   L'approccio   sistemico

applicato all'ambiente, implica che questo «oggetto di studio non si riferisce più ai   singoli   elementi   o   ai   singoli   luoghi   ma   viene   sempre   più   indirizzato   alle complesse realtà che caratterizzano gli ambienti terrestri»12. Dove per “biosfera”

si   intende   una   fascia   del   pianeta   compresa   tra   gli   oceani   e   i   primi   strati dell'atmosfera   in   cui   le   condizioni   ambientali   rendono   possibile   la   vita; “geosfera”   è   l'insieme   degli   strati   terrestri   che   compongono   il   pianeta; “sociosfera”  o “antroposfera” è la parte di biosfera in cui si colloca la specie umana e le sue attività; “tecnosfera” indica il processo ed i risultati dell'azione della tecnica dell'uomo e delle tecnologie di cui egli si serve per intervenire nell'ambiente modificandolo.

Proprio   per   questo   suo   costituirsi   come   sistema   complesso,   l'ambiente diventa  oggetto di  studio  interdisciplinare e  destinatario  della valutazione di criteri   soggettivi,   poiché:   «l'importanza   dell'osservatore,   già   rilevata   nella psicologia della percezione, è ancora maggiore nella ricerca sistemica e, in modo particolare, quando si ha a che fare con “megasistemi”, o large­scale systems»13.

Perciò, possiamo affermare che “ambiente” non equivale solamente a “natura”. Infatti,   il   termine   in   analisi   non   comprende   solo  ecosistemi   e   biomi   che consentono agli organismi di vivere e svilupparsi e le relazioni che intercorrono tra essi, ma include anche il ruolo e le conseguenze dell'antropizzazione. 

Possiamo   parlare   di   ambiente   naturale   in   termini   sistemici,   eppure   è essenziale ricordare che un tale sistema è autopoietico ma non è autosufficiente, perché questa caratteristica lo accomuna esattamente all'uomo. A ben vedere, infatti, cosa può realmente dirsi autosufficiente? Esiste una fitta rete di necessità che tiene collegato il mondo, e come illustrerò in seguito un legame di necessità imprescindibile e determinante unisce l'uomo all'ambiente, sotto vari profili. Per comprendere meglio successivamente il nesso fondamentale uomo­ambiente, mi 11 Chiapponi M.,  Ambiente: gestione e strategia. Un contributo alla teoria della progettazione ambientale, Milano, Feltrinelli, 1989, p.13 12 Paolillo A. (a cura di) “Ecologia e territorio ”, in Luoghi ritrovati. Itinerari di geografia umana  tra natura era e paesaggio, Vidor, ISTHAR, 2013 p.46 13 Ivi, p.36

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soffermo   un   attimo   ad   analizzare   che   tipo   di   legame   di   necessità   soggiace all'ambiente naturale14.

È   risaputo   che   ciò   che   consente   la   vita   sulla   Terra,   ad   esempio,   è innanzitutto l'esistenza del Sole, in concomitanza con l'adeguata distanza tra il pianeta e la stella. Il perché è presto detto. Il Sole è una stella che racchiude in sé e propaga nel sistema solare un'enorme energia: basti pensare che al suo interno   la   temperatura   raggiunta   si   aggira   intorno   ai   15   milioni   di   gradi centigradi. Con un viaggio di 8 minuti e 32 secondi le radiazioni solari entrano in   contatto   con   l'atmosfera   terrestre:   una   parte   viene   riflessa   nello   spazio, un'altra   parte   trattenuta   dall'alta   atmosfera,   mentre   la   parte   più   consistente ricade   nella   bassa   atmosfera   riscaldando   la   superficie   terrestre.   I   gas dell'atmosfera trattengono parte delle radiazioni in uscita, costituendo così il noto “effetto serra”, che impedisce alla Terra di raffreddarsi oltremodo. Tenendo conto   della   variabilità   produttiva   dell'energia   solare   è   utile   notare   che   il cambiamento climatico, e fenomeni annessi, ne sono in buona parte un diretto discendente. Da queste premesse risulta chiaro come il sistema ambiente sia subordinato   alla  relazione   con  le  radiazioni   solari  da  cui   dipende.   In  sintesi possiamo concludere che l'ambiente trae vita dalla luce solare, la quale consente l'adeguato   riscaldamento   del   pianeta,   ne   permette   i   processi   fisico­chimici, favorisce l'esistenza della biosfera e della biodiversità e le interrelazioni tra di esse.

Ora permaniamo nel nostro pianeta e facciamo un piccolo passo avanti. Dopo aver appurato che l'ambiente naturale non è un sistema autosufficiente, andiamo a considerare nel dettaglio come quest'insufficienza sia presente anche negli   organismi.   Sempre   considerando   l'esempio   dell'energia   solare,   vediamo come essa venga distribuita tra gli organismi.

Il processo si può così schematizzare: gli organismi vegetali si “cibano” della   luce   solare,   la   fotosintesi   (respirazione   cellulare),   che   garantisce   loro l'energia necessaria alla sopravvivenza e allo sviluppo; gli organismi erbivori si

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cibano di quelli vegetali, e in questo modo l'energia chimica incorporata dai vegetali si trasferisce agli erbivori; l'ulteriore passaggio di tale energia avviene dagli organismi erbivori a quelli carnivori, poiché i primi costituiscono l'alimento dei   secondi;   nei   processi   di   decomposizione   ulteriori   organismi   acquistano nutrimento,   ottenendo   così   –   al   pari   degli   altri   –   la   possibilità   di   colmare   i bisogni energetici del proprio organismo. Grazie alla catena alimentare possiamo notare, ancora una volta, come la vita stessa sia costituita dall'interdipendenza e dallo scambio reciproco tra i diversi elementi naturali. Abbiamo visto che gli organismi si nutrono di altri per sostentarsi, ed in questa macrocategoria va necessariamente inserito anche l'uomo, nonostante il perpetuarsi del dibattito circa la classificazione su base alimentare della specie umana   (l'uomo   è   un   onnivoro   o   un   erbivoro?).   Tale   argomento   è   non   solo contemporaneo15,   ma   a   livello   divulgativo   e   mediatico   è   soprattutto   recente

l'incalzare massiccio di tesi che ­ scientificamente e non ­ tendono a confutare la concettualizzazione dell'uomo come onnivoro,   favorendo pratiche nutrizionali vegetariane   e   dimostrando   a   volte   la   salubrità   di   un   regime   alimentare “erbivoro”, a volte la sostenibilità ambientale di tale regime, a volte la matrice etica che vi soggiace. Quel che è evidente è che, onnivoro o erbivoro che sia, l'uomo non è un organismo autotrofo (ovvero che ricavi il proprio nutrimento per costituire da sé la propria materia organica). Ragione per cui, per assicurarsi l'esistenza, l'uomo abbisogna degli altri esseri viventi, ma non solo. Infatti, da queste premesse, risulta lampante come la vita dell'uomo non sarebbe   possibile   senza   l'esistenza   dell'ambiente   biologico   stesso,   il   quale fornisce sia l'habitat, sia le risorse naturali indispensabili, sia la biodiversità di cui   l'uomo   si   nutre.   La   relazione   uomo   –   ambiente   è   contrassegnata,   come appena visto, da un'inseparabile integrazione e reciprocità. Eppure, per una sorta di dualità cartesiana, la visione classica di questo rapporto ha previsto fin dai suoi albori la separazione tra il soggetto e l'oggetto come due entità distinte e

15 Per una panoramica storica del vegetarianismo dalla Grecia Antica ad oggi cft. Joy Mannucci E., La cena di Pitagora, Roma, Carocci, 2008

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indipendenti, legate da un rapporto di potere asimmetrico: l'uomo vittima di una natura terribile e indomabile che genera disastri, o l'uomo padrone incontrastato della natura di cui dispone a proprio piacimento.

Ed in effetti quest'ultima visione esclusivamente antropocentrica è la più emblematica   ancora   oggi,   e   genera   conseguenze   di   differente   gravità,   che passano dal generare inquinamento gettando una singola bottiglietta di plastica nel fiume, al crearsi di un enorme vortice di plastiche nell'Oceano Pacifico, il Great Pacific Garbage Patch16.  Così, come affetta da una forma di schizofrenia, l'umanità si serve della natura e dell'ambiente per sostentarsi e perseguire le finalità della propria esistenza, ma al tempo stesso tende a distruggere la sua unica fonte di vita: l'ambiente biologico, la sua casa. Una casa del tutto particolare, dotata di una vita tanto fragile quanto irruenta, e che presenta al suo interno un'eterogeneità di stanze, che definiamo come ecosfera. L'ecosfera è l'insieme degli ecosistemi della Terra, ed è l'oggetto di   studio   di   una   scienza   naturale   nata   a   metà   dell'Ottocento:   l'ecologia. L'approccio   preferenziale   di   tale   disciplina   prevede   che   gli   ecosistemi   e   gli organismi che ne fanno parte siano da interpretarsi come un sistema integrato; dunque   la   ricerca   scientifica   si   sofferma   di   consueto   a   studiare   le   relazioni esistenti tra gli elementi che costituiscono tale sistema, o una porzione dello stesso.   Ricordandoci   dell'epoca   in   cui   questa   scienza   fiorì,   può   essere   utile cercare di capire quale sia stato il suo sviluppo nella contemporaneità, visto che tutto si evolve, sia la scienza, sia il suo oggetto di studio. Infatti: «[...] soprattutto negli ultimi decenni, con il manifestarsi in modo sempre più massiccio e palese 16 Noto anche come Pacific Trash Vortex, è un ammasso fluttuante di plastiche che si concentra nel grande Vortice del Pacifico, e per le sue notevoli dimensioni (stimate tra i 400.000 km² e i 6 milioni km²) viene anche definito come Garbage Patch State. Questa massa di immondizia è   causata   dall'inadeguato   smaltimento   della   plastica   che   utilizziamo,   che   per   il   10% confluisce   nelle   acque   mondiali.   Convogliato   dalle   correnti   oceaniche,   l'agglomerato   di plastiche si concentra nel Nord del Pacifico, ma è visibile solo per il 30%. Il 70%, infatti, è sommerso. A causa della fotodegradazione, la plastica si scompone in parti microscopiche, ovviamente  non   biodegradabili.   Le  microplastiche   sprofondano  nell'oceano  e  dalla   fauna ittica vengono scambiate per microplancton, di cui si nutrono, dunque vengono ingerite e si depositano nell'organismo, trasportandosi pericolosamente lungo la catena alimentare, fino all'uomo.

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dei problemi ambientali, [...] l'ecologia conosce un grande sviluppo anche in collegamento con le scienze sociali»17. Questa disciplina attualmente si concentra

nell'analizzare   comunità   di   organismi   che   interagiscono   tra   loro   convivendo nello   stesso   ambiente.   Tale   parte   dell'ecosistema   è   definito   biotopo18,   cioè   il

luogo in cui energia solare, fattori atmosferici, biocenosi (cioè l'insieme degli organismi   viventi:   fitocenosi   –   vegetali;   organismi   autotrofi   –   autosufficienti; organismi eterotrofi – si cibano di altri organismi) ed elementi abiotici (terreno, rocce...) convergono, risultano interdipendenti tra loro e consentono l'esistenza di una o più specie animali e/o vegetali. Ci sono biotopi aridi, in presenza di deserti; umidi, in presenza di corsi d'acqua; ripariali, in prossimità di paludi; marini,   includono   le   varietà   di   biotopi   presenti   in   aree   marittime.   Ci   sono, inoltre, biotopi intermedi, come le zone di laguna salmastra che sono del tutto caratteristici poiché si basano sul precario e mutevole equilibrio di un ambiente in costante mutamento. Questo è il caso della laguna veneziana, di cui tratterò nel capitolo 2. E così, dopo aver tenuto fede all'interdisciplinarità annunciata nel capitolo 1.1 ed esordendo con apporti di Scienze della Terra, il nostro cammino prosegue rivolgendo   ora   il   suo   sguardo   alle   scienze   sociali,   in   particolare all'Antropologia19.

Stando  al   senso  figurato   di   “ambiente”   utilizzato   nelle  scienze  sociali, dunque connotante il contesto sociale di riferimento, risulta chiaro che lo studio dell'ambiente possa collocarsi agli albori della disciplina antropologica stessa. Infatti, che cos'è questo studio, se non lo studio delle varie forme culturali e sociali   dell'uomo?   Eppure,   come   richiamato   dall'etimologia   del   termine, “ambiente” sta a “relazione”, e dunque segnala un rapporto che si instaura tra almeno   due   elementi,   non   autonomi   l'uno   dall'altro.   Uno   degli   antropologi sociali contemporanei più influenti nello studio etnografico e nella teorizzazione

17  Bagliani M., Dansero E., Politiche per l'ambiente, UTET, Torino, 2011, p.31 18 Paolillo A. (a cura di), “Ecologia e territorio”, in op. cit., pp.52­53

19 Uno dei contributi più celebri in Antropologia riguardo lo studio uomo­ambiente è Lanternari V, Ecoantropologia. Dall'ingerenza ecologica alla svolta etico­culturale, Bari, Dedalo, 2003

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del nesso uomo­ambiente, è sicuramente Tim Ingold, che spiega: «For if every organism is not so much a discrete entity as a node in a field of relationships, then we have to think in a new way not only about the interdependence of organisms and their environments but also about their evolution.»20

Studiare   l'ambiente,   significa   perciò   studiare   le   percezioni   dell'uomo nell'ambiente,   e   le   relazioni   che   egli   intraprende   nell'ambiente   stesso.   La maniera più  adeguata in cui  riuscire a  conciliare biologia e psicologia,  nello studio delle percezioni umane dell'ambiente, sta proprio al centro dell'approccio che Ingold stesso definisce come ecology of life21. Se la mente non è uno strato aggiunto al corpo e non è delimitata da esso, se la percezione è data dall'organismo considerandolo come un'unità sinergica con il suo ambiente, ne deriva che la differenza tra osservatore ed osservato non c'è, così come non c'è distinzione tra l'individuo e il mondo. Infatti: «We do not, in other words, have to think of mind or consciousness as a layer of being over and above that of the life of organisms, in order to account for their creative involvement in the world.» 22 E perciò si tratta di «a process in real time: a process, that is, of growth or development».  23  Proprio   per   questo,   la   percezione   dell'ambiente   viene   a

costituirsi   come   un   approccio   ecologico­relazionale,   che   come   abbiamo   visto Ingold definisce ecology of life, poiché indaga la relazione che coinvolge ciò che comunemente   distinguiamo   in   organismo   e   ambiente,   cogliendolo   nel   suo svolgersi   in   divenire.   Punto   fondamentale   di   questa   teoria   è,   infatti,

20 Ingold T., The Perception...op. cit., p. 4

21 Un  approccio che per Ingold scaturisce dal superamento del dualismo cartesiano mente­ corpo. Tale approccio si innesta sulla teoria della percezione psicologica di James Gibson, secondo cui la percezione non è data dall'attività di una di una mente in un corpo, ma è il risultato   di   un   organismo   coinvolto   nell'ambiente.   Inoltre,  ecology   of   life  richiama all'antropologia di Gregory Bateson, visto che considera la mente non un oggetto limitato al corpo, ma un processo formato dal corollario di interazioni socio­ambientali. Uno degli scritti teorici più importanti di Bateson è infatti Steps to an Ecology of Mind, un'opera del 1972 che si avvale di vari saggi di Antropologia, Psichiatria, Cibernetica ed Epistemologia dell'autore, per lo studio della mente e dell'evoluzione delle idee. 22 Ingold Tim, The Perception...op. cit., p.19 23 Ivi, p.20

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l'interpretazione   della   vita   come   un   processo   di   relazioni.   Infatti,   se consideriamo i criteri per definire un atto processuale ci accorgiamo che, poiché si possa dire che qualcosa accada, vada situato nel tempo, e se questo è situato nel tempo non può mancare di spazio. Così, ogni processo essendo subordinato a tempo e spazio, ha il suo contesto, e perciò la sua storicità. L'ambiente, avendo la sua storicità e andando a costituire il mondo, possiamo dire che sia abitato; la natura, invece, è priva di tale storicità perché con tale termine non si definisce un intreccio di relazioni, ma si vuole designare una realtà di cui il soggetto non fa parte.

Un   ulteriore   spinta   nell'analisi   porta   Ingold   a   concludere   che:   «An approach that is genuinely ecological, in my view, is one that would ground human  intention   and  action  within  the  context  of  an  ongoing  and  mutually constitutive engagement between people and their environments».24

E   dunque,   alla   base   della   classica   dicotomia   occidentale   tra   natura   e cultura ­ che ha contrassegnato l'antropologia fin dalla sua alba ­, non sta una diversa rappresentazione di un dato oggettivo mediante la costruzione culturale che, potremmo a buon titolo separare in occidentale ed extra­occidentale, bensì: […] two ways of apprehending it, only one of which (the Western) may be characterised as the construction of a view, that is, as a process of mental representation. As for the other, apprehending the world is not a matter of construction  but  of engagement,  not  of building  but  of  dwelling,  not   of making a view of the world but of taking up a view in it.25

Lo studio della rappresentazione dello spazio, in Occidente, ha avuto il suo grande sviluppo con la cartografia e la disciplina geografica.  È rilevante ricordare che gli albori di Geografia e Antropologia richiamano alla stessa logica: sono entrambe scienze consolidatesi tra il XIX e il XX secolo, e i cui sviluppi sono stati   incentivati   da   ragioni   collegate   alle   mire   espansionistiche   occidentali. Infatti,   l'Antropologia   si   pose   a   servigio   dell'impero   britannico   e   dell'impero francese, applicandosi nello studio delle società culturalmente altre per rendere

24 Ivi, p. 27 25 Ivi, p. 42

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più   efficiente   il   controllo   colono   sulle   popolazioni   natie.  La   Geografia   trovò altresì   il   suo   fondamento   in   ambito   politico­militare:   l'esplorazione   e   la rappresentazione dello spazio tramite la cartografia sottendono alla conoscenza e al controllo degli elementi geografici del territorio, utili anche per formulare strategie   militari.   Sebbene   lo   studio   della   rappresentazione   dello   spazio   e dell'ambiente sia originario della disciplina geografica, le concezioni di spazio e ambiente   si   sono   evolute   e   modificate   nel   tempo   all'interno   della   disciplina stessa. La Geografia, dapprima ancorata al paradigma positivista­realista con la scuola   del   geografo   tedesco  Friedrich  Ratzel   (Antropogeografia,   1881,   1891), intrappolava il nesso uomo­ambiente in modo deterministico: lo «spazio vitale», ovvero il territorio occupato da una società necessario per la sua sussistenza, era ritenuto capace di influenzare direttamente e necessariamente il comportamento dell'uomo. Il successo o l'insuccesso delle comunità umane si basava, in ultima analisi, sulle caratteristiche ecologiche del territorio e sulle sue risorse. Un cambio di paradigma avvenne con il geografo francese Paul Vidal de la Blanche (Principi di Geografia Umana, 1926) grazie a cui si deve il superamento del   determinismo   tedesco:   è   l'«ambiente   vitale«,   in   questo   caso,   ad   essere condizionato   dalle   pratiche   antropiche   e   ad   essere   modellato   in   base   alle esigenze umane. Se in Germania le teorie di Ratzel si rendevano utili a Bismark (primo cancelliere dell'Impero tedesco) per legittimare il dominio territoriale e assecondarne l'espansione, in Francia, con de la Blanche, «era necessario trovare una corrente di pensiero capace di fermare la concezione espansionistica del vicino   stato,   senza   però   compromettere   le   mire   espansionistiche   francesi»26,

giustificando   la   colonizzazione   in   Asia   e   Africa   ­   in   quanto   opera   tesa   al “migliorare” le società “primitive” ­ e al tempo stesso deplorando la Germania per   estendere   il   suo   dominio   in   Alsazia   e   Lorena,   abitate   invece   da   società occidentali considerate già acculturate.

Dalle teorie di de la Blanche, il geografo Lucien Gallois (Régions naturelles

et noms de pays. Etude sur la région parisienne, 1908) pose le basi per  un diverso 26 Paolillo A. (a cura di), Luoghi... op. cit., p.30

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approccio allo studio del territorio: la Geografia regionale. Essa interpretava una delimitata   porzione   di   spazio   considerando   le   sue   caratteristiche   ambientali unite all'influenza antropica, all'organizzazione e all'evoluzione territoriale. La metodologia,   in   parte   applicata   ancora   oggi,   prevedeva   di   definire   l'area   di studio   tramite   la   collocazione   geografica   e   toponimica,   successivamente esaminare l'aspetto fisico della porzione interessata, e dedicarsi all'analisi dei fattori   antropici   quali   la   struttura   agraria,   la   struttura   urbana   e   le   unità produttive.

Dopo   la   metà   del   '900   vengono   elaborate   tre   nuove   articolazioni disciplinari, pur sempre di impronta normativa:  Spatial science, neopositivista perché interessata allo studio dei rapporti spaziali senza considerare i fattori culturali   e   soggettivi;   geografie   del   comportamento,   applicate   soprattutto   in contesti di rischio di disastri ambientali e artificiali (sebbene ormai la distinzione sia   sbiadita)   per   comprendere  la   risposta   comportamentale  delle  popolazioni coinvolte; geografie della percezione, che indagano la relazione uomo­luogo dal punto di vista della rappresentazione cognitiva.

Complici alcune diramazioni della ricerca filosofica novecentesca, attenta all'interpretazione dell'esperienza soggettiva dell'esserci nel mondo27, tra gli anni

'60   e   '70   un   nuovo   approccio   geografico   cercò   di   restituire   al   soggetto l'importanza  di  cui in precedenza  era  stato  privato:  la  Geografia umanistica. Questo fondamentale conferimento implicò la considerazione dell'uomo come soggetto dipendente dal contesto storico­culturale vissuto. Pertanto, per questo approccio   geografico,   assunsero   particolare   rilevanza   gli   aspetti   simbolico­ culturali. Per il geografo umanista, infatti,

l'oggetto di indagine geografica è proprio il declinarsi della soggettività nella costruzione del rapporto col Territorio. Il recupero degli spazi di ambiguità, di   polisemia,   di   interpretazione   degli   eventi;   la   rivalutazione   di   “oggetti sociali” importanti come i valori e le norme sociali, le tradizioni culturali, le

27 Le branche filosofiche a cui mi riferisco sono: fenomenologia, cioè l'esperienza del soggetto nel mondo, il cui capostipite fu il filosofo tedesco Husserl E. (Meditazioni Cartesiane, 1931); esistenzialismo,   cioè una variegata riflessione sull'esperienza di vita, di cui Heidegger M. (Essere e Tempo, 1927) può essere considerato un illustre contributore.

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pratiche condivise […].28

Così   Geografia   e   Antropologia   si   incontrano.   Infatti,   il   compito dell'Antropologia,   per   Ingold   e   per   i   sostenitori   dell'approccio   ecologico­ relazionale, non è quello di affrontare lo studio dell'ambiente sottoponendolo al vaglio delle diverse costruzioni culturali del concetto di natura, ma quello di cominciare a delineare la propria ricerca intorno al nesso indissolubile uomo­ ambiente, non indagando le rappresentazioni altrui come costrutti, ma come prospettive che scaturiscono dall'abitare il mondo ed esperirlo in quanto soggetti non esterni all'ambiente stesso.

In   short,   through   the   practical   activities   of   hunting   and   gathering,   the environment – including the landscape with its fauna and flora – enters directly into the constitution of persons, not only as a source of nourishment but also as a source of knowledge. But reciprocally, persons enter actively into   the   constitution   of   their   environments.   They   do   so,   however,   from within.29

Dimorare   nell'ambiente   non   significa   solo   conoscerlo   traendone nutrimento,   ma   significa   anche   viverlo   mediante   rielaborazioni   come   miti, racconti e canti. Raccontare, infatti:

is not like unfurling a tapestry to cover up the world, it is rather a way of guiding the attention of listeners or readers into it. A person who can ‘tell’ is one   who   is   perceptually   attuned   to   picking   up   information   in   the environment that others, less skilled in the tasks of perception, might miss, and the teller, in rendering his knowledge explicit, conducts the attention of his audience along the same paths as his own.30

Dalla   Geografia   umanistica,   lo   spazio   si   evolve   fino   a   connotare   un territorio   organizzato   dalla   comunità   antropica   come   luogo   vissuto, rappresentato   e   interiorizzato.   Il   territorio   diventa   «uno   spazio   mentale   e culturale prima ancora che fisico»31. Viene così a prender forma quello che in Antropologia e in Geografia umana si intende per paesaggio. 28 Pezzullo L., “Verso una geografia degli spazi vissuti”, in Paolillo A. (a cura di), op. cit., p.134 29 Ivi, p. 57 30 Ivi, p.190 31 Ivi, p.137

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1.2.3 Il paesaggio

Il   sostantivo   “paesaggio”   è  derivato  da   “paese”,   che  ha   la  sua   origine etimologica dal francese paysage.32 Il suo impiego nell'uso della lingua italiana si contraddistingue per la connotazione di panorami, vedute, bellezze naturali; un particolare genere di pittura e fotografia con tematica paesaggistica; un attributo che si conferisce ad un elemento geografico che presenta caratteristiche peculiari o ricorsive. Il paesaggio, come visto, nella lingua italiana non è l'ambiente, ma – forse – una parte di esso.

Fatta   chiarezza   sulla   distinzione   dei   significati   nell'uso   dell'italiano comune, chiediamoci allora che cos'è e che importanza riveste questo concetto in ambito   accademico   nelle   scienze   sociali,   con   particolare   attenzione all'Antropologia e alla Geografia umana.

Se riprendiamo le fila della teoria di Ingold33 possiamo capire nel dettaglio che:

• “paesaggio” non è sinonimo di “terra”. Quest'ultimo, infatti, può essere considerato   alla   stregua   di   un'unità   di   misura   astratta,   quantitativa   e omogenea,   utile   nel   momento   in   cui   ci   si   chieda   quanto   è   vasto   un appezzamento   di   terra,   ad   esempio.   Il   paesaggio,   al   contrario,   è determinato,   visibile,   è   colmo   di   differenze   poiché   è   eterogeneo. Richiamarsi   al   concetto   di   paesaggio   risulta   adeguato,   perciò,   se   ci  si ponga una domanda qualitativa: che cos'è questo?.

• “paesaggio” non  è sinonimo di “natura”. La natura, posto che sia una realtà “là fuori”, è ciò che dovrebbe fornire la risposta più semplice e per contrasto a ciò  che  per paesaggio  si dovrebbe  intendere. Infatti, se la natura è il dato fisico reale, allora il paesaggio è la costruzione culturale di ciò che la realtà fisica va a tradursi in simbologia e relazionalità. Ma ciò, insiste Ingold, non è affatto vero, poiché a tale concezione si perpetua l'antica distinzione tra mente – corpo, soggetto – oggetto, significato – materia.   La   natura   non   è   il   paesaggio,   semplicemente   perché   nel

32 http://www.treccani.it/vocabolario/paesaggio/ (data ultima consultazione 21/05/2015) 33 Ingold T., The Perception...op. cit., capitolo 11

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paesaggio   ogni   componente   avvolge  con  la   propria   essenza  la   totalità delle sue relazioni con ogni altro elemento.

• “paesaggio” non  è sinonimo di “posto”. Un posto ha un centro, o più esattamente, un posto è un punto nello spazio, dunque è un centro. Il paesaggio, invece, non ha confini. Nel senso che ogni elemento naturale o antropico   che   segnali   la   delimitazione   del   territorio,   contribuendo   a definire un confine, è esso stesso parte costituente del paesaggio.

• “paesaggio”   non   è   sinonimo   di   “spazio”.   Spazio   è   un   concetto   vuoto, utilizzato per esempio nella cartografia e dalla geografia in generale, che tramite i loro strumenti e metodologie delimitano ed analizzano diverse aree di estensione della superficie terrestre. Il cartografo risulta essere

oltre  allo spazio, e la cartografia si rende utile nel momento in cui si

necessiti   di   collocare   un   elemento   entro   uno   spazio   di   riferimento. “Spazio” non è un ambiente vissuto, infatti non si vive nello “spazio”, ma si vive nel paesaggio ­ ognuno con le proprie caratteristiche morfologiche, biologiche ed antropiche. Il senso del paesaggio, perciò, scaturisce da esso stesso, non è qualcosa di fittizio che va ad apporsi in aggiunta a una indeterminata parte di mondo. Riassumendo:  «It is from this relational context of people’s engagement with the world, in the business of dwelling, that each place draws its unique significance.»34  Il   paesaggio   è   costituito   a   livello   fisico   dall'ambiente,

dall'ecosistema,   dai   confini   e   le   frontiere,   dal   territorio   e   le   risorse, dall'insediamento, dalla casa. A livello sociale, invece, contribuiscono a creare il pesaggio  relazioni  e costruzioni  collettive  intra  e  interindividuali.  Ognuno  di questi elementi determina la formazione di ciò che viene chiamato “paesaggio” o “paesaggio culturale”.

Questa   fruttuosa   interpretazione   del   paesaggio   si   fonda   su   il cosiddetto approccio ecologico­relazionale. Un approccio che:

[…]   ridefinisce   il   paesaggio   (intendendo   anche   un   paesaggio   «urbano»)

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come prodotto della sintesi fra un dato naturale e una percezione sensoriale. Non   esiste   un   «paesaggio»   in   senso   oggettivo   e   indipendente   da   un osservatore che considera tale una determinata porzione di territorio. Solo l'ambiente naturale è oggettivamente «dato», nei termini di un frammento di realtà esterna che giace semplicemente là […].35

Pertanto, il paesaggio viene a connotarsi come un luogo di significato denso e imprescindibile. Ciò è reso possibile grazie ad:  «un  processo sociale profondo   per   il   quale   sulla   struttura   fisica,   ecologica,   di   un   luogo,   viene proiettata e saldata una particolare struttura di sentimento»36.

Il paesaggio è un oggetto di studio che in Geografia ha subito profonde mutazioni   durante   la   sua   evoluzione:   se   per   la   Geografia   fisica   il   paesaggio rappresentava   una   mera   funzionalità   fisica,   con   la   Geografia   umanista   il paesaggio diviene luogo di interazione tra uomo e natura, fino ad approdare ad una concezione “semantica” del paesaggio con la Geografia culturale. In questo caso, il paesaggio è «significante e significato delle interazioni sociali umane. La cultura si iscrive nel territorio, ed il paesaggio diviene oggetto, espressione e giustificazione dei processi economici, sociali e simbolici che ad esso sono sottesi e   l'hanno   “informato”   di   sé»37.   Per   questa   ragione   Denis   Cosgrove,   uno   dei

maggiori geografi contemporanei, afferma che «all landscapes are symbolic, they express 'a presistent desire to make the earth over in the image of some heaven', and they undergo change because they are expressions of society, itself making history throught time»38.

Un   ruolo   considerevole,   nell'affrontare   il   paesaggio   come   oggetto   di studio, è ricoperto della Psicologia. La psicologia ambientale, sorta negli anni '60, inizialmente fu indirizzata allo studio delle mappe mentali, all'orientamento spaziale   e   ai   comportamenti   individuali   e   collettivi   relativi   alla   spazialità (territorialità, distanze sociali...). Grazie a questi studi emerse che la valutazione 35 Ligi G., Antropologia dei disastri, Roma, GLF editori Laterza, 2009, p. 49 36 Ivi, p. 51 37 Pezzullo L., op. cit., p.139 38 Cosgrove D., Social formation and symbolic landscape, Wisconsin, The University of Wisconsin Press, 1998, p.35

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psicologica dell'ambiente da parte del soggetto implica, spesso inconsciamente, il vaglio di alcuni criteri culturalmente trasmessi, come ad esempio l'assenza o la scarsità di  ostacoli, la sensazione  di avere il  controllo  in base  a una visuale grandangolo, e così via. Ricerche più recenti si sono soffermate, invece, sullo studio dell'affettività in ambito territoriale. L'attaccamento39 al luogo è un settore di studi davvero fecondo, in cui Psicologia e Geografia umanistica si incontrano per indagare come avvenga e cosa comporti il place attachment. Questo filone di studi si ricollega altresì al sense of home, cioè all'attaccamento alla casa, nonché all'atto di abitare. Comunemente inteso, quasi intuitivo, il verbo “abitare” non abbisogna di particolari spiegazioni. Eppure se ci si interroga sul senso profondo del   termine,   la   nostra   sicurezza   può   vacillare.   “Abitare”40  deriva   dal   latino

habitare  (frequentativo   di  habere,   cioè   avere)   che   richiama   diversi   campi

semantici: tenere, avere, stare, dimorare. In questo senso è importante notare come «[...] l'azione di abitare oltre a essere di per sé un'abitudine, sia anche intimamente legata all'assunzione di certe abitudini, certi “habitus”41 specifici e

localizzati»42.   Perciò   l'attaccamento   al   luogo   e   l'abitare   sono   intimamente

collegate con processi sociali e culturali. Infatti «la consapevolezza dell'abitare si nutre di conoscenza del senso dei luoghi a cui si sente di appartenere, e ciò al di là dell'appropriazione fisica dello spazio, diventando appartenenza culturale»43. Il rischio di perdere un luogo, e ancor di più la sua effettiva perdita,  può comportare un trauma individuale e/o collettivo. Ciò consiste nella «[...] perdita 39 Cfr. Giani Gallino T., Luoghi di attaccamento, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007 40 http://www.treccani.it/vocabolario/abitare/ 41 Il fortunato concetto di habitus in Antropologia è stato introdotto dall'antropologo francese Marcel Mauss, nel saggio “Les Techniques du Corps” in Journal de Psychologie, XXXII, ne, 3­4, 15 Marzo ­ 15 Aprile 1936. Partendo dalla considerazione che presso società extraoccidentali il modo di nuotare, il modo di camminare, ecc, può differire, Mauss comprende che alla base di   questa   diversità   vi   sono   delle   tecniche   somatiche   apprese   culturalmente,   che rappresentano   l'arte   culturale   di   utilizzare   il   –   ed   essere   nel   –   corpo   (e   nel   mondo).   I successivi sviluppi di questo concetto hanno generato la nozione di  embodiement, ovvero “incorporazione”:   il   soggetto   e   l'oggetto   della   rappresentazione   e   dell'esperienza   sono inscindibili, la distinzione tra mente e corpo non sussiste.

42 Ligi G., La casa Saami. Antropologia dello spazio domestico in Lapponia, Torino, Il Segnalibro,  2003, p.116

43 Vallerani F., Italia desnuda: percorsi di resistenza nel Paese del cemento, Milano, Unicopoli,  2013, p.36

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del territorio, e la conseguente rottura psicologica della “matrice geografica” di appartenenza [...]»44. Vacilla – o si frattura­ il sense of place, il senso del luogo, cioè il vissuto soggettivo relativo all'abitare un territorio organizzato indagando l'aspetto emotivo, semantico, e di place attachment.  Le cause sono molte e di varia natura, possono comprendere disastri45, guerre, operazioni di resettlements46, processi decisionali top­down (interventi sul territorio che nella fase decisionale non hanno coinvolto la popolazione locale), migrazione volontaria o forzata. Perdere il proprio spazio di vita, ovvero il luogo interiorizzato,   ha   fondamentalmente   tre   ripercussioni.   La   crisi   della denominazione   riguarda   il   nominare,   ovvero   il   portare   all'esistenza, l'identificare. Abbandonando il proprio territorio si perdono tracce di storia e tradizione, si lasciano i luoghi conosciuti, perciò quella sensazione di famigliarità viene perduta, e con essa la capacità di definire il nuovo territorio. A questo, si accompagna la crisi della strutturazione, ovvero l'ambiente entro cui la comunità svolgeva la propria esistenza e ordinava la propria quotidianità viene a mancare. Mancando   la   struttura,   l'individuo   o   la   comunità   devono   in   qualche   modo adeguarsi   a   territori   già   organizzati   dalla   comunità   ospitante,   e   in   questo consiste   la   crisi   della   reificazione.   La   somma   di   queste   tre   crisi   genera l'impossibilità di pensare il mondo, e soprattutto di pensarsi nel mondo: anomia, depressione, angoscia e displacement scaturiscono proprio dallo spazio di vita che ora non c'è più, e che non può essere ripristinato. La città, la valle, la fascia 44 Pezzullo L., Verso una...op. cit., p.143 45 Un caso a noi vicino è quello della tragedia del Vajont: la notte del 9 Ottobre 1963 una frana proveniente dal monte Toc crollò all'interno della diga del torrente Vajont. Un'incontrollabile massa di acqua, fango e rocce si abbatté repentina sul centro abitato, e provocò la morte di 1910 persone (di cui 1450 a Longarone, che non era stata evacuata). Con i primi raggi della mattina, ci si rese conto delle proporzioni del disastro: la valle era ormai irriconoscibile, e i paesi sfigurati per sempre. Ebbe così inizio l'opera di costruzione di un nuovo centro urbano a   Longarone,   che   però   non   tenne   conto   delle   necessità   degli   abitanti,   delle   ferite   mai rimarginate, della rottura dell'ordine sociale, e della perdita di senso del luogo. Ciò rese impossibile la ricostruzione.  Favero G. (a cura di) Vajont. Una tragedia italiana, Corriere della Sera, 2013 Merlin T., Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont, Sommacampagna (VR), Cierre Edizioni, 2001 46 Ridislocazione forzata per vari motivi, ad esempio la ristrutturazione urbana o la messa in sicurezza di una comunità da un contesto pericoloso.

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costiera, ecc, ovvero il Luogo a cui non si può più far fisicamente ritorno, diventa un   luogo   mentale,   custodito   nella   memoria;   altresì,   esso   stesso,   diventa   un “luogo” temporale: il giorno del disastro, della migrazione, insomma il giorno della scomparsa del Luogo, crea una frattura cronologica, uno spartiacque tra il prima e il dopo l'accadimento, diventa perciò un evento segnatempo.

Dunque,   riconsiderando   l'evoluzione   nella   disciplina   geografica   del legame antropico con l'ambiente, possiamo definire il paesaggio come  […] l'insieme dei luoghi senza i quali non si può vivere, composto da risorse materiali e legami sentimentali; è l'habitat, rifugio, protezione dai pericoli, supporto alla soddisfazione esistenziale. Lo sfondo del vivere quotidiano è vitale, essenziale, irrinunciabile.47

1.3 I paesaggi di Marta e Fabrizio

Tenendo conto dei ricordi, delle speranze, delle lotte, e delle aspettative di chi abita un luogo, è possibile riscontrare come quello che ad occhi estranei ed esterni pare un semplice ambiente dotato di certe caratteristiche morfologiche, in realtà sia molto di più che un banale panorama che accidentalmente fa da sfondo alle  esistenze che vi prosperano  e  vi scorrono.  Tramite  le interazioni sociali   di   cui   l'ambiente   stesso   è   la   culla,   rinforzate   da   rappresentazioni   e

narrazioni  sul proprio contesto di vita, ogni luogo rievoca quel tipico processo

culturale che trasfigura un ambiente apparentemente neutro, in un luogo colmo di significati, senso, e ideologie diverse, che spesso giungono allo scontro.

Uno   scontro   che   può   giocarsi   in   più   ambiti   e   in   più   partite,   a   livello sociale, etico, politico ed economico. La voce del contrasto può essere singola o collettiva, ma se essa è collettiva significa che qualcosa vi  è di comune nella protesta.   Di   nuovo,   anche   in   questo   caso   le   motivazioni   che   possono   far aggregare le persone sono di varia natura, ma chiaro e determinato dev'essere

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l'oggetto del contendere e lo scopo per cui lo si fa. Se anche solo uno di questi due   elementi   manca,   manca   altresì   quell'apparente   omogeneità   che   sembra avvolgere   e   coordinare   associazioni,   movimenti   e   comitati,   impegnati   nel concretizzare la propria volontà.

Nel capitolo 3 affronterò nel dettaglio questo argomento, ma ciò che mi preme sottoporre all'attenzione ora, è che un conflitto racchiude in sé molteplici elementi, è multidimensionale e proprio per questo può essere assunto come luogo   privilegiato   di   analisi   e   indagine   sociale.   Parlando   per   metafore,   un conflitto   manifesto   è   un   fiore   vivace,   che   attrae   l'attenzione.   Questo   fiore, proprio per la sua caratteristica di attirare l'attenzione su di sé, spesso elude dalla visuale il contesto in cui esso stesso è sbocciato. Eppure importante è sia notare la composizione dei suoi petali, sia accorgersi di come il fiore stia su un ramo d'albero, e scorrendo lo sguardo sulla lunghezza di quest'ultimo, capire che il   ramo   abbia   origine   da   un   tronco,   le   cui   molteplici   radici   risultano relativamente nascoste in quanto abbarbicate nel terreno. Fuori di metafora, se si  cerca  di contestualizzare  il conflitto,   è necessario comprendere il contesto sociale, storico e geografico in cui esso attecchisce, conoscere le persone che vi prendono parte, perché tramite i loro atti e le loro narrazioni, è possibile andare oltre al fiore, oltre all'albero, e scorgere il paesaggio.

Proprio   per   questa   ragione   ho   scelto   di   affrontare   la   questione   del paesaggio da un punto di vista, oserei dire, privilegiato. Poiché interessandomi dei conflitti ambientali e delle pratiche di salvaguardia del territorio di Venezia, ho avuto modo di ragionare sulla struttura di sentimento che lega le persone al territorio, ma non solo. Infatti, tramite le interviste svolte con alcuni informatori appartenenti   ad   associazioni   e   comitati,   è   emerso   con   evidenza   il   sostrato ineludibile su cui poggia il conflitto o l'interesse ambientale. Un sostrato formato da racconti di vita, al tempo stesso intriso di idee etiche e politiche, se non addirittura spirituali. 

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particolarmente in presenza di conflitti interculturali e ambientali che evidenziano   gli   articolati   significati   che   gruppi   diversi   di   attori territoriali   attribuiscono   all'organizzazione   di   spazio   e   tempo,   ma anche alle risorse quotidiane e alle scelte esistenziali.48

In ultima analisi, interessarsi ad un conflitto o ad un interesse ambientale, implica un'indagine e un'interpretazione olistiche, e ciò si traduce nel privilegio di scorgere e conoscere visioni del mondo, nel mondo. 

Le Weltanschauung che ho avuto modo di conoscere maggiormente sono quelle   di   Marta   Canino   (Comitato   No   Grandi   Navi)   e   di   Fabrizio   Zabeo (Comitato   Allagati   di   Favaro).   La   loro   partecipazione   ai   rispettivi   comitati implica in entrambi i casi una convinta messa in pratica della loro filosofia di vita.   Proprio   per   questa   ragione   inserirò   questa   tematica   nel   capitolo   3, riguardante la cittadinanza attiva e l'emersione di associazioni e comitati. Dopo questa breve premessa, riprendendo le fila del discorso torniamo ad interessarci ai motivi e alle modalità tramite i quali un ambiente “neutro” venga trasformato in un paesaggio culturale carico di significato. Per far questo, trovo di esemplare importanza riportare la viva voce di chi il paesaggio lo vive e lo crea. È il 12 Luglio, tardo pomeriggio, a Venezia fa molto caldo ma l'afa è solo lieve.   Attendo   Marta   Canino   in   Fondamenta   dei   Toffetti   per   svolgere un'intervista. Il portone di legno verde scuro sigilla l'entrata di Ca' Bembo, una delle   sedi   storiche   dell'Università   Ca'   Foscari.   Abbiamo   appuntamento   nel giardino della sede, occupato da un gruppo di studenti Li.S.C.49, gli #invendibili,

di   cui   lei   fa   parte,   e   che   si   batte   contro   la   vendita   degli   edifici   storici

48 Vallerani F., “Il territorio tra oggettività geografica e contesto di identità”, in Favero M. (a  cura di) Ripensare il Veneto, Venezia, Regione Veneto, 2006, p.33 49 Li.S.C. (Lista dei Saperi Critici) è il collettivo universitario dell'Università Ca' Foscari che, tramite un approccio attivo di politica dal basso, cerca di divulgare e mobilitare gli studenti per ottenere un dibattito con le istituzioni, riguardo all'ampliamento della partecipazione politica degli studenti nell'amministrazione dell'ateneo. I temi principali su cui il collettivo fa perno  sono:  residenzialità,   mobilità,   mense,   diritto   allo  studio,   qualità   dello  studio,   sedi universitarie e spazi per gli studenti, trasparenza e controllo sulla gestione dei fondi e sulle scelte dell'ateneo.

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dell'Università:   Ca'   Cappello,   Palazzo   Cosulich,   “Ca'   Tortuga”   in   Calle   dei Guardiani, e Ca' Bembo.

Lungo la calle, turisti mezzi nudi passeggiano guardando distrattamente le case veneziane affacciate al canale. Danno l'impressione di non capire cosa vedono,   e   mantengono   un   passo   adeguato   per   un   museo   troppo   grande   da visitare in poco tempo. Tra i turisti, ecco farsi largo una ragazza abbronzata, sportiva, e dai lunghi capelli castani. È Marta. Tiene al guinzaglio la sua Luma, un'energica cagnolina di undici anni dal manto nero lucente e con qualche tratto bianco d'anzianità. Marta, in un gioco da equilibrista, regge al contempo un toast fumante, un bicchierino di plastica con salsa rosa, e una bottiglia di birra chiara, sul cui vetro pullulano goccioline di condensa. Lo noto già dal suo modo di muoversi nello spazio: il suo passo sicuro, il suo   sguardo   fermo,   il   modo   di   indossare   un   vestitino   di   cotone   scuro   e   le infradito,   non   possono   in   alcun   modo   paragonarsi   ai   turisti   di   poco   prima. Marta, in quello spazio pubblico, è nell'intimità di casa sua.

Come   mi   dirà   in   seguito,   infatti,   «l'attitude  veneziana»50,   come

scherzosamente l'ha definita lei, è

MC: «[...] quel modo di viver la città che è un po', sì, particolare. [...] i veneziani, [...], tu non li vedi tanto in giro, perché infatti passano la maggior

parte del tempo conoscendo gli angoli, le callette più nascoste della città dove si riparano dal resto del mondo, non essendo spazi per giovani...[...]..  la tua vita   è   in   strada,   ma   in   luoghi   molto   nascosti,   inaccessibili   di   solito   alle

persone [...] e la stessa cosa vale quando sei più grande […].»51

Nascondersi nella propria culla per sfuggire agli  altri. In questo caso, gli altri sono i trenta milioni52 di turisti all'anno che invadono Venezia. Si rafforza, tra i

veneziani, perciò, un modo di vivere la città lontano dallo sguardo estraneo, proteggendosi,   rinforzando   il   legame   sociale   e   identitario,   rifacendosi   alla

50 Canino Marta, intervista effettuata il 10 Luglio 2015, cortile grande Ca' Foscari (VE) 51 Canino Marta, intervista effettuata il 12 Luglio 2015, giardino di Ca' Bembo (VE)

52 Per un dettaglio riguardo alle statistiche di turismo incoming, consultare il sito dell'Agenzia di   Promozione   Turistica   della   Provincia   di   Venezia   http://www.turismovenezia.it/Dati­ statistici­314698.html

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