Un modello aperto: Costituzione e giurisprudenza costituzionale come ‘arbitri’ della carrera entre liebres y tortugas.
3. La ‘febbre’ di riforma.
3.1. Estatutos de Autonomía e riforma: la volontà del Costituente e le sue interpretazioni.
Cos’è un Estatuto de Autonomía? Secondo il dato costituzionale é la “norma institucional básica de cada Comunidad Autónoma” (art. 147.1 CE).
In Costituzione ne vengono disciplinati i contenuti essenziali120, affinché sia garantito un minimo di omogeneità statutaria121, e le modalità di riforma mediante Legge Organica varata dalle Cortes Generales122 ‒ strumento valido anche per l’approvazione123 ‒ .
Tuttavia, la ‘inclusione’ degli Estatutos de Autonomía (EE.AA.) nella macro- categoria delle leggi organiche non dissipa del tutto la riflessione sulla sua natura e le sue ‘vicende’. Innanzi tutto perché anche in relazione alle leggi organiche la ‘vaghezza’ del Costituente ha lasciato spazio alla giurisprudenza costituzionale, la quale solo successivamente le ha inquadrate come strumento che converte le Cortes in un “constituyente permanente”124; poi perché gli Statuti rappresentano dei casi particolari, e particolareggiati, che richiedono il concorso della volontà non solo statale, ma anche regionale, in virtù di un “principio de copartecipación”125, sul quale
ritorneremo.
È, ovviamente, chiaro che gli Statuti regionali spagnoli non sono Costituzioni di Stati federati. Sebbene la Costituzione li inquadri come “instrumentos claves para pasar de la posibilidad formal a la realidad autonómica concreta”, è pur vero che non
120Art. 147.2 CE: “Los Estatutos de autonomía deberan contener: a) La denominación de la
Comunidad que mejor corresponda a su identidad histórica. b) La delimitación de su territorio c) La denominación, organización y sede de las instituciones autónomas propias d) Las competencias asumidas dentro del marco establecido en la Constitución y las bases para el traspaso de los servicios correspondientes a las mismas”.
121La previsione di una base di contenuti necessari ed obbligatori per tutti gli Statuti non esclude il
fatto che alcune materie possano esser trattate mediante forme ‘extra-statutarie’ come, ad esempio, gli strumenti che la Costituzione offre agli artt. 150.1 e 150.2. Ne rafforza l’idea il fatto che la ‘lista’ dell’art. 147.2 CE non può considerarsi esaustiva. Cfr. Ruiz-Rico Ruiz “La potestà statutaria delle Comunità Autonome in Spagna”, in Gambino S. (coord.), Regionalismo, federalismo, devolution, Milano, 2003.
122Art. 147.3 CE: “La reforma de los Estatutos se ajustará al procedimiento establecido en los mismo
y requierirá, en todo caso, la aprobación por las Cortes Generales, mediante ley orgánica”.
123Art. 81.1 CE: “Son leyes orgánicas las relativas al desarrollo de los derechos fundamentales y de
las libertades públicas, las que aprueben los Estatutos de Autónomia y el régimen electoral general y las demás previstas en Constitución”.
124Così Aguado Renedo C., “De nuevo sobre la naturaleza jurídica del Estatuto de Autonomía, con
motivo de los procesos de reforma”, in Revista Parlamentaria de la Asamblea de Madrid, n. 17/2007, p. 285. Cfr. STC 173/1998.
125Cruz Villalón P., “Comentario al art. 74”, in Muñoz Machado S. (dir.), Comentarios al Estatuto
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opera una “remisión en blanco”126, né dà loro rango costituzionale127. Anzi, la “falta de soberanía plena”128 impone loro il rispetto e l’adeguamento alla Norma fondamentale129.
Lo Statuto, allora, è una previsione costituzionale e l’autonomia non è data solo da esso, ma anche dalla Costituzione; ciò significa che Costituzione e Statuto, nel loro insieme, rappresentano le due norme supreme della Comunità Autonoma130.
È pur vero, però, che trattasi di norme particolari, sottomesse ai limiti ed al rispetto della Costituzione, però, di fatto, di rango superiore alla legislazione ordinaria, probabilmente per sottrarle alla volontà unilaterale delle Cortes in caso di riforma. Addirittura, per alcuni, “normas constitucionales secundarias” o “leyes constitucionales”, del tutto includibili nel ‘blocco di costituzionalità’131.
Quindi, se gli Statuti sono norme previste dalla Costituzione, ma immuni alla volontà unilaterale del legislatore statale, qual è la loro natura? Si tratta di norme statali o autonomiche?
Si tratterebbe di norme ‘ibride’ che hanno sia natura autonomica che statale; delle norme ‘pattate’, per il doppio contributo di azione, tanto nell’approvazione quanto nella riforma ‒ sebbene gli ‘interventi’ del legislatore regionale e di quello centrale si verificano in momenti distinti e non entrano, quindi, in contatto uno con l’altro ‒132.
Ne deriverebbe una sorta di “perequación”133 dei due livelli territoriali e delle loro posizioni, che, forse, nell’ordinamento ‘disaggregato’ spagnolo è più comprensibile
126Cosí García de Enterría E., “El ordenamiento estatal y los ordenamientos autonómicos: sistema de
relaciones”, in Revista de Administración Pública, n. 100-102/1983, pp. 223-225.
127L’art. 27 della LOTC include tra le norme suscettibili di dichiarazione di incostituzionalità anche
gli Statuti autonomini, chiarendo, così, la primazia della Costituzione.
128Così De Vega P., La reforma constitucional y la problemática del poder constituyente, Madrid,
1985, p. 242
129Cfr. STC 32/1981 e STC 18/1982.
130 Cfr. García de Enterría E., “El ordenamiento estatal y los ordenamientos autonómicos: sistema de
relaciones”, cit. L’Autore sostiene lo status di “dogma dominante” della Costituzione all’interno dell’ordinamento (anche autonomico) e chiama a sostegno anche la giurisprudenza costituzionale, la quale (STC 18/1982) afferma che “No es admisible la idea de que, una vez promulgado el Estatuto de Autonomía, es el texto de éste el que unicamente debe ser tenido en cuenta para realizar la labor interpretativa que exige la limitación competencial” (p. 225).
131 Rubio Llorente F., “El Bloque de Constitucionalidad”, cit., p. 30. Secondo l’Autore, alla stessa
maniera in cui la Costituzione ‒ per il suo carattere rigido ‒ non può esser modificata dal legislatore ordinario, gli Statuti di autonomia non possono essere né approvati, né riformati, né derogati per la sola volontà delle Cortes Generales.
132Cfr. Catalá i Bás A.H., “Sobre la polémica en torno al procedimiento de reforma del Estatuto de
Autonomía de la Comunidad Valenciana”, in Revista valenciana d’estudis autonomics, n. 47-48/2005.
133Così Aguado Renedo C., “De nuevo sobre la naturaleza jurídica del Estatuto de Autonomía, con
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dal punto di vista politico che giuridico; effettivamente, “difícilmente puede aplicarse la calificación de «pacto» a lo que resulta un evidente supuesto de sint ut sunt aut non sint, pues o el resultato de la reforma pretendida es el texto articulado que sale de las Cortes Generales, o no hay reforma”134.
Per ciò che riguarda il procedimento di riforma ‒ sul quale ci soffermeremo in questo paragrafo ‒, l’art. 147.3 CE lo rimette alle previsioni formulate da ciascuna Comunità nei progetti statutari135, con il limite già richiamato dell’approvazione da parte delle Cortes Generales. Alle autonomie viene riservato un procedimento più articolato che comprende un referendum popolare136 come forma di garanzia e rigidità ‒ ancora più rigida della stessa Costituzione ‒137.
Nella fase dell’iniziativa di riforma ‒ e, quindi, nell’elaborazione da parte della Comunità del progetto di modifica ‒ spicca il carattere autonomico del processo, per poi lasciare spazio al protagonismo statale che dovrebbe concludersi con il consenso della maggioranza assoluta dei parlamentari, e con conseguente approvazione della federalismos por agregación, en los que la Federación de constituye por la renuncia consciente de su soberanía originaria a favor del ente territorial superioe, y aun ello únicamente en los instantes fundacionales de la misma, pues, inmediatamente a su surgimiento formal, la Federación ha de ocupar una posición superior por fuernza, so pena en caso contrario de estar expuesta a un permanente riesgo de desintegración. Pero esa igual posición no cabe entenderla posible en ningún momento en los sistemas de descentralización por desagregación, como es nuestro caso, pues, en supuestos tales, es la unidad territorial superior la que necesariamente ostenta el protagonismo en el proceso descentralizador, siquiera sea para ordenarlo y subsistir como tal Estado”.
134Così Aguado Renedo C., “De nuevo sobre la naturaleza jurídica del Estatuto de Autonomía, con
motivo de los procesos de reforma”, cit., p. 294. Spiega l’Autore: “A ello nada añade ni quita que las Cortes Generales no pudan, por sí solas, iniciar la reforma del Estatuto,o que puedan las Asambleas retirar el proyecto de reforma si no les convence el cariz que toma su tramitación parlamentaria, o que lo que el Parlamento del Estado apruebe pueda no merecer la ratificación del cuerpo electoral correspondiente a la Comunidad Autónoma en el referéndum que tenga lugar posteriormente en los supuestos que quepa, con lo que tampoco habría reforma: siempre y en todo caso, el único texto estatutario que en su caso puede existir es el emanado por las Cortes Generales como manifestación de una voluntad que, con independencia de su condicionamiento político, jurídicamente sólo a ellas es imputable” (pp. 924-925).
135Esiste un dibattito in dottrina che si interroga se la previsione di riforma debba considerarsi o
meno come contenuto necessario dello Statuto alla stregua dei contenuti enunciati dall’art. 147.2 CE. Il dibattito viene motivato dal fatto che tutte le norme istituzionali basiche dell’ordinamento spagnolo hanno incluso nei rispettivi testi norme e procedimenti di riforma. Cfr. Sanz Pérez A.L., La reforma de los Estatutos de Autonomía, Navarra, 2006. Si veda, inoltre, Yanes Herreros A., “El concepto de reforma estatutaria en la Constitución Española”, in Pau i Vall F. (coord.), Las reformas estatutarias y la articulación territorial del Estado, Barcelona, 2008.
136Cfr. art. 152.2 CE. Il procedimento ben potrebbe estendersi alle autonomie ‘ordinarie’ nel caso in
cui queste lo includessero nel loro testo statutario, così come ha proceduto a fare il nuovo Statuto valenzano (approvato con L.O. 1/2006). Cfr. Sanz Pérez A.L., La reforma de los Estatutos de Autonomía, cit.
137L’art. 167.3 CE, infatti, prevede il ricorso al referendum solo nel caso in cui sia fatta espressa
richiesta della decima parte dei membri di una delle due Camere. Cfr. Castellá Andreu J.M., “Lo Stato di Autonomia del 2006 come (discutibile) strumento per la realizzazione dell’autogoverno della Catalogna”, in Gambino S. (a cura di), Regionalismi e Statuti, cit.
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legge organica. Non proprio un ‘patto’ equo, dunque138, ma forse più un ‘compromesso’ che trova un potenziale limite nell’approvazione imprescindibile da parte del Parlamento nazionale. Un limite quasi ‘paradossale’ diremmo, se si tiene in considerazione il fatto che gli Statuti delle Regioni italiane, assai meno ‘protagonisti’139, conoscono l’unico limite nella “armonia con la Costituzione” (art. 123.1 Cost.), incarnando, così, la “massima espressione dell’autonomia regionale”140, ‘liberati’ dall’approvazione parlamentare centrale141.
Neppure in quest’ultimo caso ‒ ça va sans dire, e a scanso di equivoci ‒ ci troviamo di fronte a fonti ‘sovrane’, bensì a fonti regionali con competenze riservate e specializzate142. Il fatto che non sia (più) prevista la fase parlamentare non fa degli
Statuti regionali italiani delle fonti normative più ‘forti’ di quelle spagnole, le quali, nella ratifica da parte delle Cortes Generales, anzi, trovano a volte un punto di forza di non poco conto143.
3.2. La ‘fiebre’ della riforma: sintomo, cura o malattia?
Si sa, la febbre suole essere quasi sempre un sintomo e quasi mai una malattia in sé. Nell’analisi che ci accingiamo a sviluppare può essere che i paradigmi medici e scientifici, finora universalmente validi, vengano confutati.
Quella che si è verificata in Spagna negli scorsi anni è stata una viva e fervida stagione di riforma che ha riguardato la maggior parte degli Statuti autonomici144. Una tendenza virale, inaugurata dal fallito Plan Ibarretxe e diffusasi soprattutto sugli echi della riforma dello Statuto catalano.
138L’idea di norma ‘pattata’, frutto della ‘collaborazione’ tra Comunità Autonoma e Parlamento
nazionale, allora, potrebbe applicarsi ‒ non senza dubbi ‒ più alla fase di elaborazione che a quella di riforma dello Statuto. Cfr. Cruz Villalón P., “La estructura del Estado, o la curiosidad del jurista persa”, cit.
139Si pensi alla disciplina dei diritti fondamentali, assai differente negli Statuti spagnoli e quelli
italiani. Sul punto si veda Serra E., “L’autonomia ‘di qualità’: i nuovi Statuti e i ‘loro’ diritti. Le esperienze di Spagna e Italia”, in La Cittadinanza Europea, n. 1/2012.
140Così Loprieno D., “Autonomia statutaria e forma di governo”, in Gambino S. (coord.), Diritto
regionale e degli Enti Locali, Milano, 2003, p. 189.
141È chiaro che non si tratta di una ‘delega in bianco’ nei confronti del legislatore statuente
regionale. È per questo che per preservare il principio fondamentale dell’unità e indivisibilità della Repubblica italiana da “eccentriche scelte” si sottopone lo Statuto regionale a meccanismi di garanzia quali il giudizio di costituzionalità ed il referendum (art. 123 Cost., secondo e terzo comma). Cfr. Gambino S., “Autonomie territoriali e riforme”, in Gambino S. (coord.), Regionalismi e statuti, cit., p. 45.
142Si vedano le Sentenze della Corte Costituzionale italiana nn. 372, 378 e 379 del 2004.
143Cfr. Ferraiuolo G., “Italia e Spagna: autonomie statutarie a confronto”, in federalismi.it, n.
25/2006.
144Gli Statuti riformati fino al momento (marzo 2013) sono i seguenti: Comunità Valenzana,
Catalogna, Andalusia, Castiglia e Leon, Isole Baleari e Aragona.
Si rimanda alla pagina web dell’Osservatorio sulle riforme statutarie consultabile all’indirizzo www.aelpa.org.
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Un effetto domino, che non fa altro che perpetuare quella ‘emulazione territoriale’, così caratteristica del regionalismo spagnolo, dinamo inesauribile della competizione tra ‘lepri’ e ‘tartarughe’; “un “mal” necesario para unos, […] una esperanza para otros, o […] una especie de “carrera a obstaculos” por lo que hay que pasar imperativamente, por el simple hecho de que las demás Comunidades reforman sus Estatutos”145.
La febbre è un effetto, una conseguenza di una malattia già in circolo, ma può anche essere l’effetto di una terapia che la malattia cerca di eliminarla, l’effetto di un vaccino con il quale si cerca di immunizzare l’organismo.
La stessa realtà, diverse chiavi di lettura.
Da un punto di vista ‘sintomatico’ significa che alla base di questa virulenta ‘epidemia’ di riforma vi è una faglia strutturale previa. In questo senso, alle ‘aperture’ di un ordinamento ‘decostituzionalizzato’ ha fatto eco una sorta di ‘riserva statutaria’ che, in qualche modo, ha provveduto alla vigenza di un’originale “Constitución territorial”146 con lo sviluppo del processo autonomico e l’assestamento dell’ordinamento regionale. A distanza di più di venticinque anni, la stagione di riforma ha portato ad una vera e propria “refundación del Estado Autonómico”, una “reforma total de los Estatutos, y incluso algo más en algún caso” 147.
A differenza del primordiale processo statuente del 1979, però, questo ‒ non previsto, almeno formalmente ‒ viene portato avanti in un contesto in cui il consenso, politico e istituzionale, si è innegabilmente spezzato lasciando spazio a logiche (stridenti) di confronto e compromesso148.
Se la febbre, invece, è l’effetto di una vaccino, uno stato necessario per restaurare le condizioni di buona salute, allora la ‘febbre’ dell’ordinamento spagnolo potrebbe
145Così Sanz Pérez A.L., La reforma de los Estatutos de Autonomía, cit., p. 28.
146Cruz Villalón P., “La Constitución territorial del Estado”, in Autonomies, n. 13/1991. Nello stesso
senso si veda, inoltre, De Blas Guerrero A., “La reforma de los Estatutos”, El País, 21 maggio 2004.
147Così Cruz Villalón P., “La reforma del Estado de las Autonomías”, in REAF, n. 2/2006, p. 84 e p.
80. Si veda, inoltre, Cano Bueso J., “Hacia una nueva configuración de la Constitución Territorial de España”, in AA.VV., El estatuto de autonomía de Andalucía de 2007, Sevilla, 2008.
148Cfr. Cruz Villalón P., “La reforma del Estado de las Autonomías”, cit., il quale parla di una serie
di “diferencias cualitativas” tra i due processi: il ‘secondo’ darebbe “otro proceso autonómico, poque éste, a diferencia del anterior, no estaba constitucionalmente previsto” (p. 81). Inoltre, “Ya no estamos ante un proceso jurídicamente complejo en el que, en unidad de acto, se esté dando nacimiento a una nueva entidad política, en el seno del Estado, a la vez que se la está dotando de su “norma institucional básica”” (p. 82). Infine, ci sarebbe una differenza dal punto di vista della cultura costituzionale: “El Estado de las Autonomías tiene una história detrás […] Lo que está ocurriendo es, en buena medida, reacción a esa história” (p. 82).
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spiegarsi alla luce della “necesidad de las reformas estatutarias”149. In questo senso, dunque, non una ‘rifondazione’ di un nuovo Estado autonómico, ma un suo indispensabile ‘riassestamento’, incentrato nella difesa della garanzia competenziale regionale e nella rivendicazione una maggiore attività partecipativa150; non “una respuesta a una situación patológica, sino un hecho fisiológico”151.
Si darebbe attuazione, così, all’esigenza delle norme di adattarsi e attualizzarsi allo spazio e al tempo in cui vivono e sono chiamate ad operare, sulla base di una giustificazione democratica che permetta alle generazioni del presente di “decidir sobre su propia organización política, fijada desde la actuación de los padres fundadores”152. Gli Statuti, che “funzionalmente” costituiscono le Norme fondamentali
delle Comunità Autonome153, non sono esenti da questa vocazione.
Le norme istituzionali basiche ‘originarie’ non riflettevano, non più, i cambiamenti di una Spagna che, anche (soprattutto) a livello regionale, era ormai tanto diversa da quella della transizione democratica. Ed è per questo che “reformar los Estatutos ha significado tres cosas: reflejar, encauzar y orientar esos cambios sociales”154.
3.3. Le principali novità delle riforme. Il paradigma catalano. 3.3.1 Il ‘vigore’ delle competenze e la razionalità della giurisprudenza.
Dagli ‘allineamenti’ dei Patti autonomici del 1992 ‒ e la L.O. 9/1992 che ne è derivata ‒ sembrava che la questione delle competenze fosse risolta, di modo che quando iniziò a manifestarsi la ‘febbre’ riformista si pensava che questa non ricadesse nel vortice del cambiamento. Tuttavia, lo scontento delle Comunità Autonome rispetto
149In questo senso Balaguer Callejón, “La reforma del Estatuto de Autonomía de Andalucía en el
contexto de la pluralidad de espacios constitucionales de dimensión europea”, in federalismi.it, n. 4/2008, p. 7.
150In questo senso il processo “destaca la potencialidad integradora de la figura del Estatuto de
Autonomía y su procedimiento de elaboración y de reforma, como forma de expresión de demandas políticas, de contraste de las mismas y de asunción de una posición que contemple y asuma todos los intereses en juego”. Così Roig Molés E., “La reforma del Estado de las Autonomías: ¿ruptura o consolidación del modelo constitucional de 1978?”, in REAF, n. 3/2006, p. 152.
151Così Cascajo Castro J.J., “Sobre la reforma de los Estatutos de autonomía: anotaciones de un
oyente”, in Revista Jurídica de Castilla y León, numero speciale “La reforma de los Estatutos de Autonomía”, 2003, p. 22.
152Solozábal Echevarría J.J., “Las reformas estatutarias y sus límites”, in Cuadernos de Derecho
Público, n. 21/2004, p. 109.
153“Los Estatutos cumplen una función constitucional y son “funcionalmente” las Constituciones del
nivel territorial en el marco de un Derecho Constitucional que se articula en diversos niveles ordenamentales”. Cosí Balaguer Callejón F., Manual de Derecho Constitucional (Vol. I), Madrid, 2008, p. 366.
154Così Zarrías Arévalo G., “Prologo”, in AA.VV., El estatuto de autonomía de Andalucía de 2007,
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alle persistenti interferenze statali attraverso i títulos horizontales155 e la legislazione básica, costantemente ampliata, ‘scoppiò’ in una pronunciata attitudine al rimodellamento del sistema competenziale, vocata a rimediare quella ‘sconfortante’ ‒ dal punto di vista regionale ‒ autonomia “de baja calidad” 156.
Con i primi progetti di riforma ‒ basco e catalano, fondamentalmente ‒ ci si è iniziati ad interrogare non tanto sul profilo formale degli schemi competenziali che questi stavano includendo, quanto sui profili materiali e, cioè, sulla portata delle materie157.
Lo si è fatto con una configurazione delle funzioni competenziali regionali che, in alcuni casi, sembrano ‘restringere’ la sfera di potestà statale per favorire politiche autonomiche proprie delle Comunità Autonome158. Lo dimostra il ricorso a formule
quali “de forma íntegra” che compaiono nei ‘nuovi’ Statuti per ‘blindare’ con ancora più forza, se possibile, la potestà normativa regionale159 ‒ non senza il rischio di
impedire la flessibilità in ambiti che, invece, la richiederebbero ‒.
155In particolare in materia di “bases y coordinación de la planificación general de la actividad
económica” (art. 149.1.13 CE).
156“En la perspectiva de algunas Comunidades Autónomas, se ha producido una contradicción o un
desfase en los últimos años entre el desarrollo progresivo de las estructuras institucionales y del potencial de intervención sobre su territorio, por un lado, y las limitaciones derivadas de la interpretación que el Estado ha realizado de sus competencias. […] Este desfase se ha percibido como un lastre que impide el pleno desarrollo de políticas propias por parte de las Comunidades Autónomas, que hagan posíble una mayor atención a las necesidades de su ciudadanía”. Cosí Balaguer Callejón F., Manual de Derecho Constitucional (Vol. I), cit., p. 375. Si veda, inoltre, l’Informe sobre la reforma de l’Estatut, IEA, 2005.
157 Cfr. Balaguer Callejón F., “Comentario a ‘La reforma de los Estatutos de Autonomía’”, in Viver