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Il Governo ‘dei tecnici’ e le tecniche di ri-centralizzazione nell’ordinamento italiano Reductio ad unum di un’autonomia mai del tutto realizzata(si).

La crisi (d)e l’autonomia

2. Il Governo ‘dei tecnici’ e le tecniche di ri-centralizzazione nell’ordinamento italiano Reductio ad unum di un’autonomia mai del tutto realizzata(si).

Gli effetti della crisi economica non hanno lasciato esente l’ordinamento italiano, nel quale, oltre, ovviamente, ad una ingente emergenza sociale ‒ inflazione, recessione, disoccupazione, calo dei consumi ‒, si sta verificando tutta una serie di cambiamenti significativi a livello istituzionale e, per quel che più ci interessa, nell’assetto di distribuzione territoriale del potere.

La ‘Repubblica delle autonomie’29 sta affrontando la più incombente ‘crisi’, tale da far riflettere sulla tenuta e sulla verosimiglianza dell’art. 5 della nostra Costituzione, il connubio biunivoco tra unità e autonomia, e la coerenza degli sviluppi successivi, catalizzati sostanzialmente con la riforma del Titolo V del 2001.

Quella del regionalismo italiano è una storia lunga, ma incompleta. Uno spartito nel quale si sono alternate, dopo lunghe pause iniziali, semibrevi e crome, scandite a ritmi distinti, prima lenti, poi andanti, poi veloci, per poi ritornare lenti; nell’ottica e nelle intenzioni mutevoli di un compositore ‒ il legislatore costituente, nel momento originario e in quello di riforma ‒ figlio dei tempi, non sempre soddisfatto, o comunque spesso contraddetto, dai virtuosismi dell’esecutore ‒ il giudice delle leggi ‒.

Senza soffermarci con attenzione ‒ non lo richiede l’economia di questo lavoro ‒ sulle ragioni ed i motivi storici che hanno portato al dibattito ed infine alla scelta dell’assetto regionale, basti ricordare che all’indomani della seconda guerra mondiale persistevano “alcuni complessi problemi della società italiana che lo Stato, con la sua amministrazione rigidamente accentrata, non era riuscito a risolvere”30. Attorno a queste problematiche si strutturò l’acceso e complesso dibattito della Costituente che, finalmente, si concluse con la redazione del Titolo V, pacifico compromesso tra le visioni di un mero decentramento amministrativo e quelle più radicali dell’idea federale31.

È d’obbligo spendere qualche riflessione sulla congiuntura attuale che sta attraversando il regionalismo italiano perché, come già si accennava in precedenza, la crisi sta impoverendo anche la nostra Costituzione, nel suo essere ‘viva’ nella soddisfazione e realizzazione dei suoi principi; si sta assistendo, purtroppo, ad uno sconvolgimento dei

29La dizione, sebbene ormai di uso comune e condiviso, è da ricondurre a Groppi T., Olivetti M. (a

cura di), La Repubblica delle autonomie, Torino, 2003.

30Martinez T., Diritto Costituzionale, Milano, 2005, p. 638.

31Cfr., tra i più recenti, Mangiameli S. (a cura di), Regionalismo italiano dall’Unità alla Costituzione

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pubblici poteri, nonché ad “un rivolgimento che va poi a colpire i diritti costituzionali, sottoposti ad uno stress quotidiano al quale non si sa quanto tempo ancora potranno resistere”32.

Nell’ordinamento italiano si intrecciano, da una parte, lo ‘smembramento’ di due istituzioni quali lo Stato sociale e lo Stato nazionale33 e, dall’altro, l’aumento della spesa pubblica, con le conseguenze economiche che ne seguono, con delle implicazioni dirette sull’ente Regione, ormai inquadrato come vorace responsabile di sprechi, corruzione e intercapedini di potere ‒ soprattutto alla luce dei gravi fatti venuti alla luce nella Regione Lazio e nella Regione Lombardia di recente34 ‒. Non è mancato chi, addirittura, ha affermato che in questi ultimi periodi “chi scrive di regioni, autonomie, federalismi […] patisce fortemente la contingenza immediata e si percepisce come chi, travolto da una piena tanto improvvisa quanto devastante, annaspa in un mare di fango, di detriti e di sporcizia”35.

Ma, come si diceva prima, la storia del regionalismo italiano è una storia incompleta e piena di vicissitudini, che, dopo l’attuazione legislativa degli anni ’7036 ‒ che iniziò a dare una qualche sostanza alla forma ‒ non conosce particolari ‘sconvolgimenti’ fino alla metà degli anni ’90, quando un’altra crisi gettò le basi del maggior cambiamento per le istituzioni territoriali del nostro ordinamento. Alla crisi monetaria del ’92 si affiancarono le vicende di corruzione di ‘Tangentopoli’ ed il delicato passaggio dalla c.d. ‘prima’ alla ‘seconda’ Repubblica ‒ che vide, tra le altre cose, anche il sorgere di movimenti politici ‘devolutivi’, quali la Lega Nord ‒, nonché l’ingresso nel macro-sistema economico

32Ruggeri A., “Crisi economica e crisi della Costituzione”, in Consulta On Line, 2012

(www.giurcost.org), p. 15.

33La crisi italiana riflette in generale, secondo autorevole dottrina, “una situazione che deriva dalla

difficoltà insuperabile delle due creature istituzionali tipiche dell’Europa, che in Europa hanno trovato sia teorizzazione astratta che realizzazione concreta: Stato nazionale e Stato sociale. Ambedue di origine europea, ambedue esportate nel mondo nei secoli e nei decenni scorsi dalle armi e dalla cultura europee, ambedue adattate alle concrete esigenze dei diversi paesi di approdo, ambedue infine in crisi proprio nel continente che ad esse fece da culla”. Così Caravita B., “Trasformazioni costituzionali nel Federalizing Process europeo”, in federalismi.it, n. 17/2012, p. 2.

34Si tratta di gravi episodi di peculato e sperpero di denaro pubblico venuti alla luce lungo il corso

dell’ultimo semestre del 2012 per il quale approfondimento si rimanda ai dossier “Regione Lazio, le spese pazze”, su www.repubblica.it e “Scandali Regione Lombardia News” su www.ilfattoquotidiano.it.

35In questi termini Balboni E., Carli M., “Stato senza autonomie e Regioni senza regionalismo”, in

federalismi.it, n. 21/2012, p. 1.

36 Nel 1970 si ebbero le prime elezioni regionali dopodiché con la L. n. 281/1970 venne introdotta la

normativa per l’attuazione ed il funzionamento delle Regioni, mentre qualche anno dopo si procedette al trasferimento organico di funzioni (L. n. 382/1975 e d.p.r. n. 616/1977). Su questo punto cfr. Barbera A., Bassanini F. (a cura di), I nuovi poteri delle Regioni e degli enti locali; commentario al decreto n. 616 di attuazione della legge n. 382, Bologna, 1978.

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europeo siglato a Maastricht. Ed in quel caso, a differenza di quanto sta accadendo oggi, si mise in evidenza “l’inevitabilità di un’azione riformatrice volta ad alleggerire lo Stato”37, con la conseguenza che le competenze centrali vennero trasferite ai livelli sub-statali attraverso la via del ‘federalismo a Costituzione invariata’ delle c.d. Leggi Bassanini38 ‒ alle quali, peraltro, si attribuisce l’introduzione del principio di sussidiarietà, successivamente formalizzato all’art. 118 Cost. ‒ per ‘allentare’ i vincoli ai quali lo Stato veniva sottoposto, seguendo così quella che da alcuni è stata individuata come la strada del “federalismo per abbandono”39.

Ad ogni modo, successivamente, le novità riorganizzative portate avanti nel corso degli anni ’90 soddisfecero il bisogno di armonizzarsi in una “architrave”40 costituzionale con la

riforma del 2001 del Titolo V.

La portata del testo novellato è imponente e realizza per la prima volta al massimo il principio del pluralismo istituzionale racchiuso e promosso dalla Costituzione all’art. 541.

Lo fa, innanzi tutto, con una copernicana novità42, cioè l’equiparazione dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane, delle Regioni e dello Stato come parti uguali delle quali la Repubblica si compone (art. 114 Cost., comma 1). Inoltre, sulla scia di quella tendenza alla valorizzazione delle diversità ‒ della quale si è parlato in precedenza ‒, mediante l’art. 116 Cost., comma 343, si apre l’ordinamento al regionalismo asimmetrico e

37Mangiameli S., “Le Regioni e le riforme: questioni risolte e problemi aperti”, in Mangiameli S. (a

cura di), Il regionalismo italiano tra tradizioni unitarie e processi di federalismo. Contributo allo studio della crisi della forma di Stato in Italia, Milano, 2012, p. 5.

38L. n. 59/1997 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti

locali); L. n. 127/1997 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e controllo); nonché leggi nn. 191/1998 e 50/1999. Sul punto cfr. D’Ignazio G., “L’attuazione del federalismo amministrativo ed il ‘nuovo’ regionalismo”, in Gambino S. (a cura di), Il nuovo ordinamento regionale. Competenze e diritti, Milano, 2003.

39Si veda Pitruzzella G., “Problemi e pericoli del «federalismo fiscale» in Italia”, in Le Regioni, n.

5/2002.

40Così Gambino S., “L’ordinamento repubblicano: fra principi costituzionali e nuovo assetto

territoriale dei poteri”, in Gambino S. (coord.), Diritto regionale e degli Enti Locali, Milano, 2003, p. 5.

41“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che

dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigente dell’autonomia e del decentramento”.

42Sulle novità e la portata della riforma in questione cfr.: Cerulli Irelli V., Pinelli C., Verso il

federalismo. Normazione e amministrazione nella riforma del Titolo V della Costituzione, Bologna, 2004; Caravita B., La Costituzione dopo la riforma del titolo V, Torino, 2002; Tarantini G., Il federalismo a Costituzione variata, Torino, 2002.

43 “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le materie di cui al terzo comma

dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace,. n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 119.

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al “diritto alla differenziazione” delle singole Regioni per cui “l’assetto delle competenze diventa il risultato di un processo non definito in anticipo in modo preciso”44 ‒ sebbene con lacune ed incongruenze procedimentali che a più di dieci anni dall’introduzione (forse) spiegano il limitato ricorso a tale possibilità45 ‒.

Chiaramente, il vulnus del novellato assetto istituzionale è senz’altro il riparto delle competenze (art. 117 Cost.) , ‘federale’ nella forma ‒ per il criterio della ‘residualità’ riferito alla competenza esclusiva delle Regioni (nelle materie, però, non espressamente riservate alla legislazione dello Stato, ex art. 117 Cost., quarto comma) ‒, ma mai del tutto nella sostanza. È quello ‘spartito’ del quale prima si diceva, che nel tempo si è prestato ai virtuosismi e alle variazioni sul tema dell’interprete ‒ il giudice delle leggi ‒ che, con “acrobazie argomentative”, ha proceduto a “ricucire con pazienza certosina il tessuto fatto a brandelli da un linguaggio ora sibillino ed ora palesemente contraddittorio col quale sono stati confezionali gli enunciati del Titolo V dall’autore della riforma del 2001”46.

Sin da subito si è percepito l’intervento attivo della Corte costituzionale sull’assetto competenziale ‘a tinte fosche’, diradate da una giurisprudenza ‘suppletiva’ e integratrice47, molte volte invadente degli spazi di autonomia appena concessi ‒ almeno sulla Carta ‒ alle Regioni, avviando così un meccanismo “patologico di uno strumento [in sè] fisiologico”48.

La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.

44Così D’Ignazio G., “Integrazione europea e tendenze asimmetriche nel ‘neoregionalismo’

italiano”, cit., p.13. Secondo l’Autore, la norma costituzionale dell’art. 1163 offrirebbe il potenziale per un

assetto variabile nel quale oltre alle Regioni speciali, “ci sarebbero delle Regioni ‘semplicemente ordinarie’ che non riterranno conveniente avviare alcuna procedura di differenziazione e delle ‘Regioni differenziate’ ‒ con un diverso grado d differenziazione ‒, che procederanno ad assumere ‘forme e condizioni particolari di autonomia’, anche in modo progressivo” (p.13). Sul tema cfr., inoltre, Palermo F., “Il regionalismo differenziato”, in Groppi T., Olivetti M. (a cura di), La Repubblica delle autonomie, cit.; Ruggeri A., “Prospettive di una «specialità» diffusa delle autonomie regionali”, in Nuove autonomie, n. 6/2000; De Marco E., “Qualche interrogativo sul regionalismo a più velocità”, in Quaderni Costituzionali, n. 2/2003.

45Cfr. Lepore V., “Il principio di differenziazione: analisi teorica ed empirica”, in D’Adamo A.,

Fioriani G., Farina F. (a cura di), Autonomia differenziata e regionalismo differenziato: le tendenze in atto a livello nazionale, Milano, 2010.

46Così Ruggeri A., Salazar C., “Il Governo Monti e la riscrittura del Titolo V: “controriforma” o

manovra gattopardesca”, in www.giurcost.org, 2012, p. 2. Lo scritto riprende una riflessione contenuta in Id., “Il Governo Monti e la “controriforma del Titolo V”, in Martines T., Ruggeri A., Salazar C., Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2012. Sostiene Martinez, in relazione all’apparato dell’art. 117 Costi che “il quadro complessivo, che potrebbe apparire abbastanza chiaro nella sua formulazione astratta, in realtà si complica non appena ci si pone il problema dell’interpretazione delle espressioni linguistiche contenute nella Costituzione, al fine di determinare i poteri reali sia dello Stato che delle Regioni”. Così Martinez T., Diritto Costituzionale, cit., p.677.

47Cfr. sul tema Pioggia A., Vandelli L. (a cura di), La Repubblica delle autonomie nella

giurisprudenza costituzionale, Bologna, 2006.

48Così D’Ambrosio V., “Verso quale federalismo?”, in Rozo Acuña E. (a cura di), Lo Stato e le

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Le ragioni, oltre che dal punto di vista formale, possono rintracciarsi anche dal mutato contesto politico della legislatura post-riforma, avulsa alla stessa, per cui si materializzò “una stasi di fatto da parte del legislatore statale, che privò il regionalismo italiano di una realizzazione concreta, e l’abbandono dello stesso alle miopi visioni dell’apparato burocratico statale, che sarà la causa effettiva dell’incremento del contenzioso innanzi alla Corte costituzionale”49.

Il leitmotiv dell’accentramento delle materie è passato attraverso, principalmente, le ragioni degli interessi unitari50 (interesse nazionale?51) a discapito dello spazio d’azione legislativa delle Regioni, in particolar modo riguardo le competenze concorrenti ‒ e al rispetto dei principi, anche ‘impliciti’, ricavabili in via induttiva dalla legislazione

“infatti, fisiologicamente la Corte è chiamata spesso a risolvere i conflitti di attribuzione e di competenza fra i titolari di poteri normativi; ma l’uso di tale strumento diventa patologico, nel momento in cui non si riescono a individuare altre strade che possano portare alla costruzione di protocolli d’intervento sufficientemente condivisi, per cui soltanto l’uscita da tali protocolli può giustificare l’intervento del giudice costituzionale” (p. 157).

Come sostiene parte della Dottrina, “adottando il punto di vista del giudicato costituzionale […] si potrebbe sostenere che lo Stato ha inteso in modo estensivo le proprie competenze con l’adozione di norme di diritto positivo. Per contro se ne potrebbe dedurre che le Regioni hanno interpretato estesamente le loro competenze, non tanto attraverso il concreto esercizio della potestà legislativa, quanto piuttosto mediante la sua rivendicazione in sede di processo costituzionale”. Così Rivosecchi L., “Gli anni della riscrittura del Titolo V: la giurisprudenza costituzionale 2002-2005”, p.3, relazione presentata al convegno La giustizia costituzionale e il “nuovo” regionalismo, tenutosi a Roma il 29 maggio 2012. Testo disponibile anche su www.issirfa.cnr.it.

49 Mangiameli S., “La nuova parabola del regionalismo italiano: tra crisi istituzionale e necessità di

riforme”, in www.issirfa.cnr.it, 2012, p. 5. Per un’analisi quantitativa sul contenzioso Stato-Regioni cfr. Colasante P., “Dati e tendenze del contenzioso costituzionale fra Stato e Regioni”, in www.issirfa.cnr.it. Si veda, inoltre, la Relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2005, pubblicata su www.cortecostituzionale.it e La giurisprudenza costituzionale nei rapporti Stato-Regioni a seguito di ricorsi statali, del 2006, redatta dal Dipartimento per gli Affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Marcelli F., Giammusso V., “La giurisprudenza costituzionale sulla novella del Titolo V. 5 anni e 500 pronunce”, in Quaderni di documentazione del Senato della Repubblica, n.44/2006.

50Sulle tensioni tra le ragioni dell’autonomia e quelle dell’unità cfr. D’Atena A., “Il principio

unitario nel sistema dei rapporti tra Stato e Regioni”, in Id., Le Regioni dopo il Big Bang. Il viaggio continua, Milano, 2005.

51Il riferimento è al dibattito accesosi in dottrina all’indomani della riforma costituzionale del 2001.

Per sommi capi, Barbera, in un noto articolo, metteva in evidenza come dal testo costituzionale riformato fosse stato eliso qualsiasi riferimento all’interesse nazionale, togliendone al Parlamento le funzioni di custodia per rimetterle interamente nelle mani della Corte costituzionale (Cfr. Barbera A., “Chi è il custode dell’interesse nazionale?”, in Quaderni Costituzionali, n. 1/2001). Alla ‘denuncia’ di Barbera ha risposto la dottrina con diverse posture: per alcuni la Riforma non implica necessariamente la rottura del rapporto collaborativo tra Parlamento e Corte; per altri, invece, gli interessi nazionali, sebbene non espressamente riconosciuti, vengono comunque tutelati attraverso alcune competenze specifiche ed esclusive dello Stato come ad esempio, tra tutte, la determinazione dei livelli essenziali e delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Cfr., rispettivamente, Tosi R., “A proposito dell’interesse nazionale”, in forum costituzionale.it, 2002 e Pinelli C., “I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento comunitario”, in Foro.it, 2001.

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nazionale52 ‒, nonché mediante un ‘depotenziamento’ della loro competenza esclusiva ‒ che non scaturirebbe, dunque, per il solo fatto che la materia in oggetto non sia riconducibile ad una delle materie del secondo e terzo comma dell’art. 117 Cost. ‒53.

Ma, le ‘variazioni sul tema’ più virtuose che la Corte ha ‘eseguito’ sullo ‘spartito’ della riforma del Titolo V sono rappresentate sicuramente dalla giurisprudenza sulle c.d. materie ‘trasversali’ e sulla ‘chiamata in sussidiarietà’.

Nel primo caso, il giudice delle leggi ha ammesso che nell’esercizio di materie ‘trasversali’ ‒ materie ‘al limite’ tra competenza statale e competenza regionale, che non si qualificano mediante un criterio oggettivo in quanto identificano delle finalità54 ‒ “il legislatore ordinario dello Stato [viene messo] in condizione di evadere dalla rigida gabbia dell’enumerazione”55. Lo si è ribadito, ad esempio, in relazione alla tutela della

concorrenza56, dei ‘livelli essenziali’57 o alla tutela dell’ambiente58.

Finalmente, attraverso un’evoluzione giurisprudenziale passata inoltre dalla c.d. ‘chiamata in sussidiarietà’ ‒ che permette allo Stato di ‘attrarre’ a sé, in presenza di esigenze di carattere unitario, non solo le funzioni amministrative, bensì anche quelle legislative ‒59, la tendenza più recente della Consulta sembra prediligere il ‘criterio della

52C. cost. 282/2002. Cfr. D’Atena A., “La Consulta parla … e la riforma del Titolo V entra in vigore.

Note alla sent. Corte Cost. N. 282/2002”, in Giur. Cost., n. 3/2002.

53Si veda C. cost. 370/2003.

54La produzione dottrinaria sulle materie trasversali è molto ampia. Si vedano, tra tutti: D’Atena A.,

“Materie legislative e tipologia delle competenze”, in Quaderni Costituzionali, n. 1/2003; Benelli F., La “smaterializzazione delle materie”. Problemi teorici ed applicativi del nuovo Titolo V, Milano, 2006; Tarchi R. (a cura di), Le competenze normative statali e regionali tra riforme della Costituzione e giurisprudenza costituzionale, Torino, 2006. Bin R., “Prevalenza e «rimaterializzazione delle materie»: scacco matto alle Regioni”, in Le Regioni, n. 6/2009

55Così D’Atena A., “Giustizia costituzionale e autonomie regionali. In tema di applicazione del

nuovo Titolo V”, in www.issirfa.cnr.it, 2006.

56C. cost. 14/2004. 57C. cost. 282/2002.

58C. cost. 407/2009 e 536/2002.

59Il riferimento principale è la sentenza C. cost. 303/2003. Molto è stato scritto da autorevole

dottrina in merito a questo nuova tecnica introdotta dalla giurisprudenza costituzionale, sulla quale per motivi di attinenza con lo scorrimento generale del lavoro non possiamo soffermarci. Tra tutti si vedano: D’Atena A., “L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte Costituzionale”, in Giur. Cost., n. 5/2003; Anzon A., “Flessibilità dell’ordine delle competenze legislative e collaborazione tra Stato e Regioni, in Giur. Cost., n. 5/2003 si vedano, inoltre, Bartole S., “Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale”, in Le Regioni, 2004; Violini L., “I confini della sussidiarietà: potestà legislativa “concorrente”, leale collaborazione e strict scrutiny”; Chessa O., “Sussidiarietà ed esigenze unitarie: modelli giurisprudenziali e modelli teorici a confronto”, tutti in Le Regioni, 2004. Cfr., inoltre, Camerlengo Q., “Dall’amministrazione alla legge, seguendo il principio di sussidiarietà. Riflessioni in merito alla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale”, in Bartole S., “Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale”, in Violini L. (a cura di), Itinerari di sviluppo del regionalismo italiano, Milano, 2005; Picchi M., “La tutela delle istanze unitarie fra interesse nazionale e principio di sussidiarietà”, in www.issirfa.cnr.it, 2012.

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prevalenza’, operando in un certo qual modo “la riedizione post-riforma dell’interesse nazionale, che consente alla Corte di affermare la piena competenza dello Stato senza troppo indugiare in argomentazioni o in valutazioni attorno all’opportunità di predisporre contro tutele che garantiscano, se non le attribuzioni, almeno il ruolo delle Regioni”60.

Si ‘spegne’ così quell’entusiasmo attorno all’idea di ‘federalismo’61 (“immaginario”62) con la quale venne presentata e commentata la riforma costituzionale, sbandierata più che altro per una strumentalizzazione politica e un’enfasi giornalistica; più per convenienza che per consapevolezza .

Se, tuttavia, quanto fin qui illustrato ha rappresentato una dinamica di ‘assestamento’dei poteri, con una tendenza non celata di predominanza del centro sulle periferie, pur sempre, però, rispondente a logiche e soggetti istituzionali endogeni del nostro ordinamento, con l’insorgere della crisi economica e finanziaria, le pressioni di

60Così Benelli F., Bin R., “Prevalenza e “rimaterializzazione delle materie”: scacco matto alle

Regioni”, in Le Regioni, n. 6/2009, p. 1193. Gli Autori partono principalmente dalla giurisprudenza costituzionale del 2009 ( sent. nn. 166 e 169 del 2009) per ricostruire attraverso una riflessione analitica e critica, alla quale si rimanda, gli interventi più salienti del giudice delle leggi post-riforma, dalla quale emerge che “sono molti i profili problematici che scaturiscono da questa nuova fase giurisprudenziale. Essa solo apparentemente si radica alle direttrici sviluppate dai precedenti “storici” relativi all’applicazione del riformato Titolo V, con cui la Corte aveva cercato di delineare un assetto equilibrato e “cooperativo” dei rapporti tra Stato e Regioni: in questa nuova fase, infatti, la Corte sembra propensa a restaurare l’antico privilegio generale per la fonte statale a ridimensionare le implicazioni in termini di codecisione-concorrenza scaturenti dall’applicazione delle materie trasversali e ad introdurre nuovamente ‒ in termini se possibile più centralisti rispetto al pre-riforma ‒ lo stesso limite dell’interesse nazionale” (p. 1186).

61Anche la Corte costituzionale (sent. n. 365/2007) allontana eventuali punti di incontro tra il sitema