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4.2 La figura del prete …

4.2.2 Fede: vocazione o necessità? …

Il Reverendo, pubblicato dapprima il 9 ottobre 1881 nella «Rassegna Settimanale di Politica, Scienze, Lettere ed Arti», rivista fondata e diretta da Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, il racconto fu quindi incluso nelle Novelle rusticane fino dalla prima edizione del 1883.

Il carattere comico del racconto era stato messo in chiaro dal Capuana:

Leggete Il Reverendo, la prima delle novelle rusticane. È una figura altamente comica nel vero senso della parola, cioè di quelle che rasentano il tragico, come le concepivano Molière, Shakespeare, Balzac. Ogni parola che dice è una rivelazione; ogni gesto che fa vi apre un abisso di questo cuore umano dove la bestia ringhia e appetisce più che non si voglia far credere da certi moralisti da strapazzo […]. Il comico che rasenta il tragico è magistralmente concentrato nella chiusa, in quel ragionamento di persona soddisfatta che vorrebbe ora godersi tranquillamente il suo posto al sole guadagnato colle sue ladre pratiche come dicono i contadini laggiù31.

Questo racconto potrebbe essere analizzato tenendo ben presente Don Carlino di De Marchi; mentre la vicenda sembra essere la stessa all'inizio, in Verga si ha un capovolgimento che porta a un epilogo completamente diverso se non opposto.

La novella verghiana si apre con la descrizione del protagonista che mette in chiaro sin dall'inizio la traccia che sarà seguita per tutta la durata del racconto:

Di reverendo non aveva più né la barba lunga, né lo scalpore di zoccolante, ora che si faceva radere ogni domenica, e andava a spasso colla sua bella sottana di panno fine, e il tabarro colle rivolte di seta sul braccio. Allorché guardava i suoi campi, e le sue vigne, e i suoi armenti, e i suoi bifolchi, colle mani in tasca e la pipetta in bocca, se si fosse rammentato del tempo in cui lavava le scodelle ai cappuccini, e che gli avevano messo il saio per carità, si sarebbe fatta la croce con la mano sinistra32.

Si rimanda infatti ad un momento della vita del reverendo in cui tutte le speranze della sua famiglia erano su di lui; particolare che richiama la novella demarchiana sopra citata:

31 Luigi Capuana, Novelle Rusticane, in «Fanfulla della Domenica», 14 gennaio 1883

32 Giovanni Verga, Il reverendo, in Tutte le novelle, a cura di Carla Riccardi, Milano, Mondadori, 1979, p. 229

Il reverendo, da ragazzo, come vedeva suo fratello, quello del lanternone, rompersi la schiena a zappare, e le sorelle che non trovavano marito neanche a regalarle, e la mamma la quale filava al buio per risparmiare l''olio della lucerna, aveva detto: -Io voglio esser prete! - Avevano venduto la mula e il campicello, per mandarlo a scuola, nella speranza che se giungevano ad avere il prete in casa ci avevano meglio della chiusa e della mula33.

Da questo momento in poi però, le due novelle proseguono in modo diverso, poiché si ricorda che nella novella demarchiana la bontà del protagonista non gli permette di continuare sulla sua strada solamente per accontentare ed esaudire i desideri della famiglia, ma ne muore. Risvolto diverso nella novella verghiana, che procede con il protagonista che si fa prete solo per godere delle ricchezze e dei privilegi che questa professione offre pur non avendo la benché minima vocazione.

Grazie al fatto che è un reverendo, il protagonista può frequentare le case più ricche della città e nessuno osa litigare con lui, in quanto è diventato un grande amico delle più alte cariche della giustizia:

Questa era storia che tutti la sapevano, e siccome sapevano che a furia di intrighi e d'abilità era arrivato ad essere 'amico intrinseco del re, del giudice e del capitano d'armi, che aveva la polizia come l' Intendente, e i suoi rapporti arrivavano fino a Napoli senza passar per le mani del Luogotenente, nessuno osava litigare con lui, e allorché gettava gli occhi su di un podere da vendere, o su di un lotto di terre comunali che si affittavano all'asta, gli stessi pezzi grossi del paese, se s'arrischiavano a disputarglielo, lo facevano coi salamecchi, e offrendogli una presa di tabacco34.

In poco tempo, la figura del reverendo si trasforma in uno strozzino crudele, dimentica completamente la sua missione di servo di Dio e si occupa solamente di tutto ciò che riguarda la ricchezza e l'accumulo, non esitando nemmeno quando togliendo le terre ai poveri contadini, priva intere famiglie di una casa e dei beni primari.

Quando è costretto a fare qualche funzione che gli compete, come dire messa o confessare, approfitta di questo per rimproverare i fedeli sempre a suo favore:

Però assolveva, come era obbligo suo; ma nondimeno nella testa di quella gente rozza

33 Ivi, p. 231 34 Ivi, p. 233

restava qualche confusione fra il prete che alzava la mano a benedire in nome di Dio, e il padrone che arruffava i conti, e li mandava via dal podere col sacco vuoto e la falce sotto l'ascella35.

La situazione si complica per lui quando, dopo la rivoluzione del 1860, la situazione cambia radicalmente, i contadini si scagliano contro di lui e il reverendo non riesce più ad ingannarli con tutte le tecniche utilizzate fino a quel momento e si ritrova costretto a fare quello per cui aveva scelto la strada seminariale: dire messe e leggere il breviario.

Un sacerdote non contava più né presso il giudice, né presso il capitano d'armi; adesso non poteva nemmeno far imprigionare con una parolina, se gli mancavano di rispetto, e non era più buono che a dir messa, e confessare, come un servitore del pubblico36.

Palese la differente conclusione tra le due novelle, che presentano la stessa figura e la stessa situazione ma vissuta e affrontata in modi opposti: la bontà e l'onestà di un uomo che, pur di non intraprendere una falsa vocazione solo per ottenere i benefici economici che questa comporta, muore; al capo opposto del filo un uomo che sceglie la medesima strada solo per poter approfittare e dedicarsi all'accumulo della roba, dimenticandosi completamente della grazia di Dio.

È la legge economica che continua a vincere su ogni altro aspetto nel mondo verghiano che propone un'altra figura di religioso nella raccolta Don Candeloro e C. i.: Papa Sisto, apparso dapprima nel «Corriere della Sera» il 28-29, 29-30, 30-31 luglio 1893. Nulla di diverso nel personaggio di questa novella rispetto a quello della precedente; qui un semplice commediante, grazie a delle tattiche ben precise, riesce a sfuggire alla sua drammatica condizione economica trovando riparo in convento e scalando anche la gerarchia, arrivando ad essere persino nominato capo della comunità dei cappuccini. È ancora la condizione economica a costituire l'orizzonte di riferimento del protagonista, Vito Scardo, che è costretto a cercare una soluzione:

Era l'anno della fame per giunta, che i seminati, dal principio, dissero chiaro che si voleva ridere quell'inverno, e tutti quanti, poveri e ricchi, si strappavano i capelli, alla

35 Ivi, p. 236 36 Ivi, p. 237

raccolta37.

La figura del religioso, frate o prete che sia, è sempre guardata con una certa invidia perché c'è la convinzione che dove c'è la mano di Dio non si muore di fame; effettivamente non è sbagliato, poiché i religiosi rimanevano la classe che non subiva mai le carestie o le difficoltà.

Un pezzo di tonaca sulle spalle, una presa di tabacco qua e là, il buon viso e la buona parola, e fra Angelico raccoglieva grano, olio, mosto, senza bisogno di mietere né di vendemmiare, e senza pensare ai guai e a malannate, ché al convento, grazie a Dio, il caldaione era sempre pieno, e i monaci non avevano altro da fare che ringraziare la Provvidenza e correre lesti al refettorio quando suonava la campanella38.

Forte di questa convinzione, Vito Scardo inizia a mettere in moto il suo piano e usa tutte le tecniche possibili per ottenere quello che vuole: si presenta in convento, si dichiara pronto a cambiar vita e inizia il cammino spirituale. Il superiore dei cappuccini sin dall'inizio non è convinto di questa scelta e intuisce quello che sta per succedere, ma nonostante tutto non fa niente per impedirlo e lascia a Vito la possibilità di cambiare; persino quando, pur di entrare in noviziato trova le venti onze di patrimonio che servono in un modo totalmente sconosciuto o comunque non tanto onesto:

A un tratto, corse la voce che guariva asini e muli, con certi rimedi che sapeva lui – e la fede viva. Se mancava la fede, addio virtù dei semplici, e tanto peggio per la bestia che crepava, salute a noi. Poi furono i numeri del lotto che gli vennero in mente, come un'ispirazione del cielo che gli diceva all'orecchio: Escirà il tale, il tale, e il tal altro numero. Veramente a tanta grazia divina recalcitava egli stesso, semplice frate laico, senza neppure gli ordini sacri. Resisteva alla tentazione, si confessava indegno, faceva il sordo o lo scemo, arrivava a tapparsi le orecchie insino […] E le elemosine fioccavano39.

Vito diviene frate e dopo aver compiuto il percorso adatto, torna nel suo paese come fra

37 Giovanni Verga, Papa Sisto, in Tutte le novelle, a cura di Carla Riccardi, Milano, Mondadori, 1979, p. 775

38 Ivi, pp. 775-776 39 Ivi, p. 779

Giobattista da Militello; paziente, egli continua ad attendere assumendo atteggiamenti di bontà, tacendo osserva tutti e studia la sua mossa, che tira fuori nel momento che più gli è favorevole.

Al momento delle elezioni dei superiori, turbati anche dagli eventi esterni che dilaniano il paese e la provincia, i frati danno il voto a fra Giobattista che, raggiunto il suo scopo, può fare tutto quello che preferisce, secondo il suo piacimento:

E fece anche la sua, sbalestrando padre Giuseppe Maria a Sortino. Glielo aveva detto il cuore al poveraccio! - fra Mansueto e altri turbolenti di qua e di là. S'intese pure col Giudice, ora che il buon ordine era tornato in paese, e le autorità si dovevano aiutare a vicenda per rimettere sotto chiave i malviventi sul fare di Scaricalasino, e vivere poi quieti e contenti com'era prima della rivoluzione, ciascuno al suo posto. Vito Scardo rimase alla testa della comunità, temuto e rispettato, un colpo al cerchio, un colpo alla botte, chiudendo un occhio a tempo e luogo, badando a non far ciarlare le male lingue, a proposito della Scaricalasino, o della vedova Brogna, che era gelosa matta.

Tutti contenti e lui pel primo40.

Lo stento quotidiano è il centro dal quale si colloca costantemente il Verga nelle sue costruzioni di artista. Intorno ad esso si sviluppa tutta una psicologia fusa in gesti ed azioni, a cui può mancare la varietà ma non mancano la coerenza e la forza persuasiva; la legge economica muove tutto e la speranza di un futuro migliore senza difficoltà anima lo spirito dei personaggi portandoli a mettere da parte tutto il resto e, come nel caso di queste novelle, a dimenticarsi e ignorare anche la mancanza di rispetto nei confronti della fede e della vocazione reale.

In merito a questo argomento, tra i due autori si possono evincere solo differenze, non solo nell'argomento trattato ma anche negli atteggiamenti affidati ai personaggi; in entrambi i casi sono poveri diavoli che devono riuscire a convivere con la quotidianità fatta di stenti e rinunce. I personaggi demarchiani reagiscono continuando a seguire la loro fede fino alle possibilità più impensabili, tanto da essere addirittura puniti per questo, con la morte; in Verga, si trova l'atteggiamento opposto di chi invece,

noncurante del contesto, trova il modo di rispondere alla durezza della vita e riuscire, più o meno, a portare la situazione a proprio favore.