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4.2 La figura del prete …

4.2.1 Quando la fede incontra la bontà d'animo …

Don Egidio chiamato «Ad audiendum verbum» pubblicato in «Il Focolare» nel 1895 racconta la storia di un sacerdote di un villaggio di montagna, che commette l'unico peccato di avere troppa fede e per questo viene punito e addirittura ne muore per la troppa delusione. Il racconto è narrato da un ragazzo, chierichetto del curato in questione, che lo accompagna in tutti i suoi viaggi e missioni.

La Chiesa di Castagneto in Val Moggia, dove da venticinque anni governava la parrocchia un certo don Egidio, un buon prete piuttosto ignorante, ma di fede sincera, pieno di carità19.

Il parroco è presentato e descritto con le migliori parole, buono, pronto al sacrificio per i suoi fedeli e anche caritatevole e disponibile; avviene una notte che viene mandato a chiamare per recarsi in casa di un vecchio signore che sta per morire, per amministrargli il sacramento dell'estrema unzione e dargli la comunione. La difficoltà viene già preannunciata dal racconto del paesaggio innevato e freddo, quindi non semplice da percorrere:

Da Castagneto alla Vanga colle strade asciutte era di solito un affare non lieve di tre

19 Emilio De Marchi, Don Egidio chiamato «Ad audiendum verbum», in Tutte le opere di Emilio De

quarti d'ora di strada, e la Ca' de' Merli trovavasi un passetto più in là; di notte e colla neve e colle strade rese lisce e sdrucciole come specchi non doveva essere un camminare sulle rose. Ma don Egidio, quando si trattava della salute eterna di un'anima, non stava a guardare il tempo e le strade; e in quanto a me si sa che ai ragazzi piace tutto ciò che esce un po' dall'ordinario.20

E in quella notte di ordinario non ci fu molto: recandosi prima in chiesa per poter prendere le ostie consacrate, il curato si rende conto che a causa della neve, non erano arrivate le ostie, ma, carico di fede non si scoraggia e benedice del pane di grano spiegando al ragazzo che in casi estremi è possibile farlo poiché «è la fede che fa il sacramento...21»

Don Egidio ritornò subito dopo, mise la stola al collo, salì i gradini dell'altare dove depose un non so che di bianco, che poi riconobbi essere una fettuccia di quel pane bianco ch'egli teneva in casa per fornir la zuppa a qualche povera partoriente. […] Don Egidio si raccolse in orazione, alzò gli occhi al crocefisso, fece due o tre volte il segno della croce sulla fettuccia di pane, sulla quale si chinò a mormorare le parole della consacrazione22.

I due personaggi si mettono in cammino, tutto è intriso di fede e di preghiera, la situazione non è delle migliori e dopo aver perso la lanterna e aver sbagliato strada a causa della neve che non permette di vedere chiaramente la via, i due pensano di avere una visione e vedere un angelo che gli indica la strada.

Il prete non riesce più ad andare avanti a causa della stanchezza e:

Posandomi una mano sulla spalla, mi disse: -È il Signore che non vuole che quel povero cristiano muoia senza conforti; ma io Puccin, non posso più venire innanzi. Mi sento un male in tutto il corpo, che mi par quasi di morire. To' la stola e il Santissimo-soggiunse, mettendomi nelle mani il bossolo avvolto nella stola - va dietro quella luce benedetta, di' a quel povero vecchio che l'assolvo di tutti i suoi peccati, e dagli la Comunione23.

Il ragazzo esegue gli ordini del curato e fa come gli ha detto, arriva prima che l'uomo

20 Ivi, p. 428 21 Ivi, p. 430 22 Ivi, p. 429 23 Ivi, pp. 432-433

morisse e rimane a pregare per lui; questo accaduto, insieme all'evento del pane consacrato non piace al vescovo che tramite l'arciprete manda a chiamare:

Don Egidio ad audiendum verbum, cioè a sentire quel che tocca ai ministri di Dio trascurati, ignoranti del loro dovere, che pigliano il sacerdozio come un mestiere e che accomodano i canoni e la liturgia al comodaccio loro24.

Da questo incontro, don Egidio viene accusato di aver peccato di ignoranza o superbia:

-È la pigrizia, don Egidio, è l'amore della carne, è la dissolutezza che fa il servo di Dio pigro e inetto: onde derivano poi i numerosi scandali che tanto amareggiano il cuore del sommo pontefice: e avviene che le anime diventino preda del demonio, che della sonnolenza dei pastori si giova a circuire le povere pecorelle25.

Durante il viaggio di ritorno a casa don Egidio è come tramortito e assente, continua a ripetere in cuor suo le parole che gli erano state dette dall'arciprete, le accuse mosse a un cuore troppo carico di fede e che non corrispondevano affatto a verità; il dispiacere è tale che a un certo punto si accascia a terra. Puccin va a chiamare aiuto, ma per il povero prete non c'è nulla da fare.

Tipico esempio demarchiano in cui si mette in luce l'ingiustizia, che in questo caso colpisce un povero prete che viene accusato di qualcosa che è l'opposto di quello che in realtà è, vengono puniti la buona fede, la bontà e l'altruismo, sentimenti che vengono confusi e scambiati con i loro contrari e, in quanto la cosa è falsa, provocano la morte di un'anima buona.

Un caso diverso ma con la stessa intensità di volontà è invece presentato in un altro racconto, Don Carlino contenuto in Storie di ogni colore del 1885.

È la storia di una famiglia che, come non era raro, destinava l'incarico di prete all'ultimo dei figli per motivi spesso economici. La vocazione dunque non era l'unica cosa che spingeva un ragazzo a seguire la strada del seminario, così come non lo era stata per don Carlino che, nonostante tutto, si trovava a suo agio in questa situazione. Importate per questa novella è anche il contesto familiare, che racconta una famiglia di contadini che a poco a poco perdono la loro fortuna e fanno affidamento solo

24 Ivi, p. 435 25 Ivi, p. 438

sull'incarico del ragazzo che avrebbe dovuto prendere i voti a breve. Il racconto è segnato dalle stagioni che trascorrono e dividono l'inizio della storia dell'ordinazione del prete che a Pasqua avrebbe dovuto celebrare la sua prima messa.

Le donne, che hanno il cuore pieno di profezia, vedevano avvicinare il tempo brutto della miseria e si domandavano segretamente che cosa sarebbe stato di loro se, morti i vecchi, avessero dovuto chiedere la carità di Bista o di Giacomo. Per fortuna c'era don Carlino26.

La nonna del ragazzo è sicuramente quella che più attende con ansia e trepidazione l'arrivo di quel giorno, nutre delle speranze immense nei confronti del giovane anche perché le cose in casa e i rapporti in famiglia non andavano bene

A mente calma presentivano tutti che allo sfacelo della casa il prete sarebbe stato un'àncora di salvezza. Se, com'era probabile, don Carlino diventava presto parroco o prevosto in qualche cura d'importanza, pane e minestra per tutti non sarebbero mai mancati27.

Mentre trascorre i suoi mesi estivi a casa lontano dal seminario avviene che discorrendo con il dottor Della Rocca, don Carlino inizia a vedere con occhi diversi la vita reale e tutte le sue possibilità, che spesso in seminario gli erano state proposte come dei peccati; si aggiunge anche la conoscenza della figlia del dottore, motivi che cambiano la prospettiva di tutto, mettendo in serie difficoltà il ragazzo.

E ne provava un brusco dispetto che non sapeva spiegare a sé stesso. Da qualche tempo non leggeva più i suoi libri prediletti, e smozzicava l'ufficio, quantunque provasse quel morso acerbo che conoscono solo le anime più delicate. L'anima sua si accasciava come un'aquila a cui la tempesta abbia spezzata un'ala, e che si accovaccia nel rotto di una rupe a guardare con bieca invidia lo spazio infinito che si distende di sotto28.

La sofferenza di Carlino sta nella sua onestà e nel voler mantenere le promesse che aveva fatto poiché tutti contavano su di lui, sia per la soddisfazione della nonna, che per le esigenze pratiche del padre che chiedeva soldi in prestito con la promessa di

26 Emilio De Marchi, Don Carlino, in Tutte le opere di Emilio De Marchi, a cura di Giansiro Ferrata, Milano, Mondadori, 1959, vol. I, p. 719

27 Ivi, p. 721 28 Ivi, p. 724

restituirli quando il figlio sarebbe diventato prete.

Ad ottobre, sarebbe dovuto tornare in seminario, il suo animo e i suoi dubbi diventano sempre più preoccupanti, ma non riesce ad avere il coraggio di deludere tutti:

Egli aveva mangiato il frutto del loro lavoro, sempre trattato, sempre servito come un principe, e l'uscir fuori di punto in bianco a dire: Scusate, ma io non voglio farmi più prete... sarebbe stata un'infamia grande. […] Ormai dunque il suo destino era il destino di quella povera casa che si sgretolava29.

Per estremo rispetto verso le aspettative degli altri, Carlino rinuncia alla sua vita e torna in seminario. Arriva la tanto attesa Pasqua e tutti sono eccitati e allegri per l'evento e per la grande fortuna che sta per arrivare nella loro casa, anche la descrizione dell'ambiente circostante è intriso di aggettivi e sostantivi che richiamano la gioia

Il giorno spuntò allegro, sereno. La primavera prometteva per quell'anno una stupenda stagione. Erano fiorite le siepi, e dai solchi bruni spuntava già il grano verde e abbondante. Il giardino era così pieno di fiori, che il profumo saliva fin lassù, alla finestra di don Carlino30.

A questa descrizione subentra immediatamente quella finale, che attraverso il rintocco delle campane informa che Carlino è morto perché malato e anche il finale del racconto lascia intendere che il dispiacere di tutti era legato semplicemente alla speranza, ormai svanita, della ripresa economica che sarebbe avvenuta. Tutti erano tristi tranne la nonna che, conoscendo il segreto della mancata vocazione del giovane, ha preferito che la sua sofferenza cessasse con la morte, piuttosto che prolungarla con l'infelicità di un'intera vita.

La figura del prete in De Marchi appare sempre e comunque in personaggi positivi e buoni d'animo, che purtroppo però escono ugualmente sconfitti dalle leggi dei superiori o da quelle economiche, le quali li imprigionano, in entrambi i casi, in ruoli che non gli appartengono; nessuno dei due è in grado di contrastare ciò e affermarsi per quello che in realtà è.

29 Ivi, p. 725 30 Ivi, p. 728