Questo paragrafo è dedicato a quei personaggi che, pur possedendo grandi ricchezze materiali, non possono evitare situazioni e disgrazie che avvengono a prescindere dal denaro. In entrambi gli autori i personaggi si pongono sempre, rispetto agli altri, su un piano superiore in quanto nobili, o ricchi, ma dimostrano di non avere buon cuore né rispetto, né educazione nei confronti di chi possiede meno di loro, rivelandosi, in taluni casi, villani e insensibili. De Marchi chiarisce bene il suo punto di vista, ponendo nella novella presa in esame l'apparente atteggiamento superiore dei nobili, che poi si rivela invece prepotente e ingrato, in completa opposizione con quello dei poveri villani, che non si sentono affatto in soggezione; Verga invece, presenta la classe dei galantuomini come superiore non solo negli atteggiamenti ma anche nel modo di agire e reagire alle disgrazie della vita, mantenendo sempre lo stesso decoro e orgoglio, tipico della loro condizione sociale.
4.3.1 GLI ZOCCOLI CHE VINCONO SUGLI STIVALETTI
In Zoccoli e stivaletti, contenuto in Nuove storie di ogni colore del 1895, si sviluppa il motivo del confronto tra nobili e contadini, a causa di una occasionale situazione di un incidente di carrozza.
Interessante questa novella per diversi aspetti; è presentata con l'espediente epistolare, per cui solo alla fine del racconto il lettore si rende conto che l'accaduto appena letto è narrato in una lettera della protagonista ad un'amica. L'epilogo del racconto implica anche un cambio di scena, dalla stalla contadina ci si trova nello sfarzoso salone aristocratico dove la protagonista, avvolta nel suo sentimento di superiorità, ricorda gli avvenimenti passati annoiata, in modo indifferente e ingrata verso chi l'ha aiutata. A questo corrisponde anche la scelta dei differenti strati linguistici utilizzati dall'autore
per sottolineare ancora una volta la differenza tra i campagnoli che inseriscono frasi in dialetto e i nobili che parlano oltre la lingua d'uso, anche in francese.
Don Cesare e donna Ines Battini Luziares, dell'aristocrazia milanese, partono per una scampagnata in Brianza, sulla loro carrozza guidata dal conte, ma vengono sorpresi da un fortissimo temporale che li obbliga a chiedere riparo e aiuto a una famiglia di contadini presso una vicina cascina.
Durante il temporale, mentre il conte cerca di limitare i danni alla carrozza e ai cavalli, entrambi non sembrano affatto provenire dall'aristocrazia ma, soprattutto l'uomo, per le bestemmie e le gratifiche di stupida e oca alla moglie potrebbe essere paragonato al più villico dei villici. Il loro atteggiamento rimane per tutto il racconto quello di superiorità, e anche se all'inizio la donna sembra la più sensibile dei due, in realtà si mostrerà dopo abbastanza prepotente e villana.
La donna va a cercare aiuto, ma inutilmente poiché nessuno è disposto, a causa di quel tempo, ad uscire per andare ad aiutare il conte:
Donna Ines provò una gran voglia di piangere. A veder quei villani così duri, così incapaci, così indifferenti per i suoi bisogni sentì tutto il suo sangue mezzo spagnuolo ribollire nelle vene. Capì come nei panni di una Elisabetta d'Inghilterra, o d'una Caterina di Russia si possa in certi momenti commettere una esagerazione; farne, per esempio, impiccare una mezza dozzina. Se si fosse trattato dell'asino o del porco, oh l'avresti veduti ammazzarsi in dieciotto! Ma la pelle dei signori è una cosa che non conta. -Egoisti, poltroni, vendicativi!- Queste parole risuonarono e rimbalzarono come fucilate nel suo cervello fatto irragionevole dal dolore41.
Successivamente arriva il conte con i due cavalli e si scaglia contro la moglie considerata ancora una volta incapace; l'unica cosa che ottengono dalla famiglia della cascina è di mettere al riparo i cavalli.
A questo punto mentre il conte riesce ad ottenere un mezzo per poter tornare a casa, donna Ines viene curata in modo candido e affettuoso dalla più giovane della famiglia contadina, Teresina, la quale la porta in camera, la sveste e la riempie di parole di conforto e incoraggiamenti.
41 Emilio De Marchi, Zoccoli e stivaletti, in Tutte le opere di Emilio De Marchi, a cura di Giansiro Ferrata, Milano, Mondadori, 1959, vol. I, p. 656
– Lei ha bisogno di togliersi di dosso questa roba, seguitò la Teresin. -Madonna dell'aiuto! Par tirata fuori da un pozzo come una secchia. Se non le fa ripugnanza, venga di sopra nella mia stanza, dove potrà almeno levarsi le scarpe e le calze. Canzona? Coi piedi bagnati si va al camposanto. Un paio di calze di filugello le troveremo anche noi e poi le faremo scaldare una goccia di latte, povero il mio bene; intanto il suo uomo (voleva dire il conte) potrà tornare con un'altra carrozza a prenderla42.
La conclusione vede donna Ines che racconta l'avvenimento all'amica tramite una lettera e addirittura descrive la donna che l'ha curata quasi in modo ironico e sempre superiore, poiché questa le ha dato dei consigli, dettati da superstizioni tipiche della gente di campagna, per riuscire ad avere figli; incarica così terze persone, in questo caso probabilmente un prete, di farle avere un libro di devozione come pagamento per le attenzioni che ha ricevuto.
Marcella Cecconi Gorra nel suo saggio43 ha definito questo racconto, «la vendetta di Carliseppe» in richiamo all'altra novella demarchiana; anche qui si presentano entrambi i mondi, quello aristocratico e quello contadino, ma mentre in Carliseppe vinceva quello aristocratico, qui il tutto è narrato da una prospettiva opposta.
Ad avere bisogno sono i signori, costretti a chiedere dei favori ai contadini, che non eseguono gli ordini come gli vengono dati, ma si pongono sullo stesso piano dei conti senza nessun senso di inferiorità rispetto a loro.
A differenza di Carliseppe, che soccombe all'indifferenza del signore che non l'ha nemmeno ricevuto e torna nella sua casa sconsolato e sconfitto, qui sono metaforicamente gli zoccoli a vincere sugli stivaletti.
4.3.2 L'ORGOGLIO NELL'AFFRONTARE LE DISGRAZIE
I galantuomini fu pubblicato dapprima il 26 marzo 1882 sul «Fanfulla della Domenica» e poi compreso nelle Novelle rusticane a partire dalla prima edizione del 1883.
42 Ivi, p. 659
43 Marcella Cecconi Gorra, Il primo De Marchi tra storia, cronaca e poesia, Firenze, La Nuova Italia, 1963, cap. IX
Nelle Novelle rusticane la cura della roba si configura come forma di difesa contro un mondo esterno percepito come minaccia, il quale può ridurre in rovina le fatiche di una vita. D’altra parte gli sconvolgimenti della natura coinvolgono tutti, anche i galantuomini dell’omonima novella, che «son fatti di carne e di ossa come il prossimo44» e devono soccombere.
Il punto di vista che interessa in questa sede è proprio la panoramica che l'autore fa su tutti i galantuomini e sul loro modo di reagire alla disgrazia, differente rispetto agli altri, semplici contadini. Il punto focale sta sulla prepotenza dei galantuomini che, sentendosi superiori, spadroneggiano senza alcuna preoccupazione, non curandosi di mandare sul lastrico le famiglie e dimenticando che le disgrazie possono capitare a tutti.
La storia principale è sicuramente quella di don Piddu che, caduto in disgrazia, si indebita e, come se non bastasse, una discussione con fra Giuseppe segna la sua condanna.
Fra Giuseppe se la legò al dito.-Ah! Avete voluto veder le mie mutande don Piddu? Io vi ridurrò senza mutande e senza camicia45!
E fu così. Fra Giuseppe gettava malelingue sulla famiglia di don Piddu tanto da far sfumare anche il matrimonio della figlia maggiore.
Quello che preoccupa don Piddu non è tanto la disgrazia che si abbatte sulla sua famiglia, quanto la vergogna che deve subire:
Il dì del pignoramento donna Saridda, colle lagrime agli occhi, era andata a chiudere tutte le finestre, perché quelli che son nati col don vanno soggetti anche alla vergogna. Don Piddu quando per carità l'avevano preso sorvegliante alle chiuse del Fiumegrande, nel tempo della messe, che la malaria si mangiava i cristiani, non gli rincresceva della malaria: gli doleva solo che i contadini, allorché questionavano con lui, mettevano da parte il don, e lo trattavano a tu per tu. […] I galantuomini hanno bisogno di tante altre cose, e sono avvezzi in altro modo. I ragazzi di don Marcantonio, quando stavano a ventre vuoto tutto un giorno, non dicevano nulla, ed il più grandicello, se il babbo lo mandava a comprare un pane a credenza, o un fascio di lattughe, ci andava di sera, a
44 Giovanni Verga, I galantuomini, in Tutte le novelle, a cura di Carla Riccardi, Milano, Mondadori, 1979, p. 330
viso basso, nascondendolo sotto il mantello rattoppato46.
L'orgoglio di quella sorta di casta che fa sentire i galantuomini superiori rispetto a tutti gli altri e li porta a comportarsi in modo dignitoso anche di fronte alle disgrazie o ai problemi più gravi; come don Marco quando la lava raggiunse il suo vigneto:
Baciò il rastrello della vigna un'ultima volta prima di abbandonarla e se ne tornò indietro, tirandosi per la cavezza l'asinello. Al nome di Dio! Anche i galantuomini hanno i loro guai, e son fatti di carne e di ossa come il prossimo47.
Don Piddu rimane il personaggio centrale; dopo il pignoramento e la miseria si trova a dover affrontare anche la vergogna della figlia che ha una relazione segreta con il ragazzo della stalla. In occasione della Pasqua:
I galantuomini si riunivano coi loro contadini a confessarsi e sentir le prediche; anzi, facevano loro le spese dl mantenimento, nella speranza che i garzoni si convertissero, se avevano rubato, e restituissero il mal tolto. Quegli otto giorni degli esercizi spirituali, galantuomini e villani tornavano fratelli come al tempo di Adamo ed Eva; e i padroni per umiltà servivano a tavola i garzoni colle loro mani, ché a costoro quella grazia di Dio andava giù di traverso per la soggezione; e nel refettorio, al rumore di tutte quelle mascelle in moto, sembrava che ci fosse una stalla di bestiame, mentre i missionari predicavano l'inferno e il purgatorio48.
Proprio durante questo ritiro, don Piddu, incitato da voci che gli erano arrivate all'orecchio, scappa dal convento e torna a casa sorprendendo la figlia con il ragazzo di stalla; una volta tornato si va a confessare dicendo che ha provato la sensazione di voler uccidere la figlia
Ma il confessore che gli consigliava di offrire a Dio quell'angustia, avrebbe dovuto dirgli:
– Vedete, vossignoria, anche gli altri poveretti, quando gli succede la stessa disgrazia... stanno zitti perché son poveri, e non sanno di lettera, e non sanno sfogarsi altrimenti che coll'andare in galera49!
46 Ivi, p. 333 47 Ivi, p. 335 48 Ivi, p. 336 49 Ivi, p. 337
Ancora una volte e fino alla fine del racconto è posta la differenza tra le due classi, con le stesse sventure e la stessa probabilità di fallimento ma con atteggiamenti diversi.