• Non ci sono risultati.

4.4 Tradizioni popolari e leggende …

4.4.2 Il magico mondo di Verga …

Le tradizioni del popolo hanno sempre affascinato scrittori e artisti, i quali spesso hanno fondato su di esse il motivo principale delle loro opere; non meno Verga, suggestionato dalle ricerche sul folklore siciliano condotte da altri studiosi e, insieme alla sua simpatia verso gli umili, profuse nelle sue opere tantissime tradizioni popolari. Tantissimi sono i temi che, anche se non messi in risalto, si sono susseguiti nel corso di questo lavoro e hanno spiegato la visione dei contadini siciliani sulle tradizioni che riguardano il matrimonio, la situazione di lutto, il corteggiamento e via dicendo. La festa religiosa è uno dei motivi più ricorrenti nelle opere di Verga, il quale se ne serve in modo sempre diverso: a volte ne utilizza la descrizione solamente per accompagnare quella di altri fatti più importanti, altre invece la festa diventa l'argomento principale della sua opera.

Nella credenza popolare, inoltre, ogni essere oppure ogni oggetto assume un significato ben preciso e può essere di buono o cattivo auspicio. Carmelo Ciccia ha esplicitato, nel suo lavoro, questa caratteristica affascinante e difficile da ignorare in tutta l'opera di Verga:

Il popolo crede: anzi ha scoperto dei rimedi per prevenire il male e per debellarlo quando esso sia già venuto, ricorrendo ora alla religione (una religione sui generis, che sarebbe più opportuno chiamare religiosità e che spesso contrasta con la dottrina ufficiale), ora invece a oggetti, azioni e formule di scongiuro, creduti di potere magico e misterioso57.

Spesso però anche l'intervento dei Santi risulta inutile e inefficace di fronte al triste destino riservato ai personaggi, che non hanno via d'uscita se non quella di accettarlo come nella novella L'agonia di un villaggio che apparve dapprima nel messinese «Imparziale. Indicatore Politico Commerciale Quotidiano» il 12 agosto 1886 e poi inserita nella raccolta Vagabondaggio del 1887.

Questa novella racconta degli abitanti di un intero villaggio costretti a lasciare le proprie case e i propri averi a causa dell'eruzione dell'Etna; nonostante ciò, in mezzo al caos generale si vede:

Qualche vecchiarella che attacca un'immagine miracolosa allo stipite della porta o al cancello dell'orto; i monelli che ruzzavano per terra festanti; e sulle porte spalancate delle chiesuole, la statua del santo patrono, luccicante sotto il baldacchino, come un fantasma atterrito, colle candele spente e i fiori di carta dinanzi.58

È presenza costante per tutto il racconto quella dei santi e delle immagini religiose, che danno al lettore un quadro chiaro anche delle speranze e delle credenze dei personaggi descritti; si ha come l'impressione che le statue dei santi partecipino alla disperazione della gente, la quale a sua volta si sente quasi come protetta dalla supervisione delle entità religiose:

Il baldacchino del Santissimo appoggiato al muro, colle aste in fascio; e di faccia la chiesa spalancata, senza lumi, solo un luccichìo di santi dorati in fondo all'altare in lutto; e sopra tutto ciò, sul chiacchierìo, sul frastuono, sui boati del vulcano, la campana che sonava a processione, senza cessare un istante59.

Molto forte anche la descrizione della processione finale, quando ormai non c'è più nulla da fare, i credenti non perdono la fede, anzi, se possibile, è ancora più accentuata

Dal paesetto perduto nell'oscurità giungeva sempre il suono delle campane, e un mormorìo confuso e lamentevole, un formicolìo di lumi che si avvicinavano, come delle lucciole in viaggio. Poi, dalle tenebre della via, sbucò una processione strana, uomini e donne scalzi, picchiandosi il petto, salmodiando sottovoce, con una nota insistente e lagrimosa della quale non si sentiva altro che - Misericordia! Misericordia! - E sul brulicame nero e indistinto di quei penitenti, fra quattro torce a vento fumose, n Cristo di legno, affumicato, rigido, quasi sinistro, barcollante sulle spalle degli uomini che affondavano nella sabbia60.

Ritornando alla festa religiosa come tema principale di qualche novella, La festa dei

58 Giovanni Verga, L'agonia di un villaggio, in Tutte le novelle, a cura di Carla Riccardi, Milano, Mondadori, 1979, p. 558

59 Ivi, p. 559 60 Ivi, p. 560

morti61 è un esempio chiave. Una caratteristica esclusiva della Sicilia è far credere ai bambini, in occasione della Commemorazione dei Defunti, che in quella notte i parenti morti tornino sulla terra per portare dei doni, che quasi sempre sono dolci o giocattoli; si basa su questa tradizione l'intera novella verghiana, secondo la quale durante quella notte dei fantasmi viaggiano nei sogni dei ragazzi che aspettano il loro dono.

L'intero racconto è basato su una leggenda che lo stesso Verga deve aver sentito, seppur in modo molto superficiale, a Paternò, un paese vicino Catania, la quale narrava che alcuni abitanti del paese avevano visto il fantasma di un monaco alzarsi dalla sua tomba e inginocchiarsi; probabilmente la conosceva non benissimo, o forse sì anche se parecchie sono le differenze, infatti mentre la leggenda iniziale narra di un monaco quasi santo, Verga parla del cadavere di un prete che ha ceduto alla tentazione terrena e di quelli di altri peccatori.

Erano defunti d'ogni età e d'ogni sesso; guance ancora azzurrognole, come se fossero state rase ieri l'ultima volta, e bianche forme verginali coperte di fiori; mummie irrigidite nei guardinfanti rigonfi, e toghe corrose che scoprivano le tibie nerastre62.

Tutto il racconto ha un tono macabro: sovrasta il buio e poi d'improvviso ci sono lampi di luce, i personaggi sono teschi descritti in modo lugubre. Come in ogni leggenda che si rispetti, anche questa va avanti per i racconti dei pescatori che vedono le stranezze che avvengono nella tomba sotterranea, o di uomini che si sono avventurati e non sono mai più tornati perché rapiti dall'incantesimo macabro dei morti che riposano nella tomba.

Nessuno prega per le anime di questi defunti e con il passare del tempo:

Le lagrime si asciugarono dietro il loro funebre convoglio; e le mani convulse che composero nella bara le loro spoglie, si stesero ad altre carezze; e le bocche che pareva non dovessero accostarsi ad altri baci, insegnano ora sorridendo a balbettare i loro nomi ai bimbi inginocchiati ai piedi dello stesso letto, colle piccole mani in croce,

61 Il racconto deriva dal rifacimento integrale del bozzetto La camera del prete, edito nella Strenna del

Frou-Frou. Sport e letteratura 1884, Genova, Armanino, pp. 7-8; quindi anche nel settimanale

napoletano «Cronaca Rosa» il 4 maggio 1884 e nella milanese «Illustrazione Popolare» il 18 febbraio 1885.

62 Giovanni Verga, La festa dei morti, in Tutte le novelle, a cura di Carla Riccardi, Milano, Mondadori, 1979, p. 520

perché i buoni morti lascino dei buoni regali ai loro piccoli parenti che non conobbero63.

Alla fine del racconto la modernità irrompe anche in questa leggenda, la chiesetta con la sotterranea tomba viene abbattuta e la macchina a vapore lavora ogni giorno; forse lo stesso Verga vuole dire che queste credenze sono appannaggio di una società arcaica e primitiva e che scompaiono non appena questa si evolve. Racconta anche che quando aprirono le bare non trovarono nulla se non l'indicazione di un'eredità che, ovviamente, nessuno riuscì ad ottenere.

Anche dal numero di novelle prese in esame si nota come il tema delle credenze popolari appartiene molto di più al mondo siciliano che sappiamo essere sempre un po' più arretrato rispetto al resto d'Italia. Molte convinzioni e usanze sono scomparse, ma altre, ancora oggi esistono e regnano nella mentalità di una Sicilia che rimane ancora affascinante per questo.

Tra i due autori ancora una volta delle differenze più o meno significative.

La società, le tradizioni, le varie figure si muovono su uno sfondo che i due autori conoscono bene e al quale sanno rendere giustizia nel migliore dei modi, a volte nello stesso modo, altre in modo diverso ma non per questo meno interessante, anzi.

Capitolo quinto

La critica