4.1 I derisi dalla cattiveria della gente …
4.1.1 I sentimenti che battono la cattiveria …
Utilizzando un'espressione di Silvana Tamiozzo Goldman, si può parlare di «operoso teatrino» nel caso di Emilio De Marchi:
Cioè di quel brulicante affaccendarsi di piccoli personaggi spesso appena abbozzati che popolano le sue forme narrative brevi, significa parlare di un mondo sufficientemente autonomo, che scorre accanto ai romanzi e alle altre sue svariate attività di poligrafo1.
Si ha proprio l'impressione di avere di fronte a sé un vero teatro anche durante la lettura di Storia di Maggiolino e Teresella, apparso sul «Fanfulla della Domenica» nel 1880, inserito poi nella raccolta Sotto gli alberi nel 1882 e infine in Racconti nel 1889.
Racconto che a prima vista può sembrare inutile e banale ma che, come ogni racconto demarchiano, porta con sé una morale. La vicenda si apre con la descrizione di due ragazzi, i cui nomi portano già delle indicazioni contrastanti; Maggiolino, per il diminutivo usato, dà l'idea di una persona piccola ma in realtà ha la caratteristica di essere un ragazzo altissimo, tanto da trovare in questo il motivo principale della derisione da parte di tutti:
Non dubito di raccontarvi come Maggiolino a diciott'anni fosse un coso lungo, insomma un pertichino o, se vi par meglio, un tutt'assieme che stia fra l'obelisco e la canna d'organo. […] Andava spesso colla testa curva sul petto, o quando se ne ricordava, faceva dei sospironi, o si fermava di botto in mezzo alla strada, sotto il sole, fisso a contemplare l'ombra della sua persona, sul terreno, un'ombra maledetta che cresceva, ogni mese, una mezza spanna2.
Innamorato di Teresella, che fisicamente è quanto di più diverso potesse esserci da lui
Egli non aveva ancora finito di crescere e quanto andava su su finché c'era posto, altrettanto la Teresella stava ferma, ostinata alla misura de' suoi dodici anni, sebbene ne avesse diciassette; a far molto essa non si alzava un metro e cinque sopra lo stagno
1 Silvana Tamiozzo Goldman, L'operoso teatrino di Emilio De Marchi, in Emilio De Marchi un
secolo dopo, Atti del convegno a cura di Renzo Cremante, Roma, Edizioni di storia e letteratura,
2005
2 Emilio De Marchi, Storia di Maggiolino e Teresella, in Tutte le opere di Emilio De Marchi, a cura di Giansiro Ferrata, Milano, Mondadori, 1959, vol. I, pp. 580-581
delle oche: una bambola. Un cagnolino a confronto di Maggiolino.3
Delineate le figure, anche in modo ironico da parte dell'autore, si presenta quello che è il vero problema, il mondo circostante ai due che, mentre provano sinceri sentimenti l'un l'altro da tantissimi anni, sono costretti a sopportare la derisione e la cattiveria della società, la quale si prende gioco di loro con battute meschine e comportamenti anche infantili:
I ragazzi di Dolzago, che sono come tutti i ragazzi del mondo, anche nella scuola si alzavano sui banchi e facevano capolino dietro i vetri della finestra per vedere a passare l'anima lunga; lo misuravano col sistema metrico, lo dividevano in oncie e in braccia, e se poi s'imbattevano in lui sulla strada:
-Ohè! Ohè!- gridavano, - i, l, il; i, l, il. […]
Anche le ragazze insieme ai ragazzi non erano più buone verso Teresella: la sera, in chiesa, quando a mezzo del rosario sentivano il rumore de' famosi zoccoli, bastava che una dicesse: Santa Maria, oca pro nobis, perché tutte le altre ripetessero: oca pro nobis.4
Tutto questo provoca addirittura nella ragazza dei sensi di colpa, come se fosse una sua incapacità non essere in grado di crescere al pari del suo innamorato; ricorre persino a tutte le pratiche tanto antiche quanto false per poter guadagnare qualche centimetro di altezza
Per cui la povera bambina pensò di non star tanto a sedere, di non stagnare in casa, ma di darsi moto per l'aia, di correre e di saltare pei vigneti, incespicando, capitombolando, bollandosi il naso e la fronte, che è il gran rimedio suggerito ai ragazzi per diventare grandi. Seguì anche i pareri di una pia vedovella, che aveva medicozzi per tutti i mali e specialmente per quelli che non esistono. Dopo aver recitato per tre volte senza smettere le litanie dei santi, che sono lunghe, trangugiò d'un fiato tre uova nate durante il solstizio d'estate; mangiò tre insalate d'erba costina, ma non ne ricavò nulla, meno la nausea.5
Ovviamente la situazione non giova per nulla ai due innamorati che avrebbero dovuto sposarsi, e tutti gli abitanti del paese aspettano quel giorno come fosse l'arrivo del circo
3 Ivi, pp.581-582 4 Ivi, p. 583 5 Ivi, pp. 582-583
per poter continuare a ridere e a prendere in giro i due ragazzi, che per loro sfortuna erano tanto diversi fisicamente.
Maggiolino non riesce più a sopportare questa situazione e decide di lasciare la ragazza tanto amata, partire per andare via lontano da tutta quella cattiveria e permettere a lei di trovare un ragazzo più adatto. Spesso la cattiveria non conosce limite e quelli che la praticano non si rendono conto degli effetti e delle conseguenze che questa ha sulle persone che la subiscono; in questo caso Teresella ne paga il costo ammalandosi, ma non viene mai abbandonata da Maggiolino che rimane con lei fin quando non guarisce. Paradossale la conclusione per la quale:
A capo di quindici giorni essa cominciò a scendere dal letto: era asciugata, pallida, stremata di forze, ma la febbre l'aveva battuta ed allungata, come un martello sopra un chiodo.6
Il lieto fine arriva per i due innamorati e la lezione viene data agli altri con l'immancabile morale alla fine del racconto:
E quante differenze fra uomini e donne non guarirebbe una febbre d'amore!7
Anche se considerata una semplice novellina senza impegno, scritta per strappare un sorriso a chi la legge, mette in luce l'argomento che si vuole trattare in questo paragrafo, la cattiveria della società ai danni in questo caso dei buoni sentimenti, nonché l'impotenza da parte di chi subisce a fare qualcosa per fare in modo che la situazione muti. Spesso chi ne è vittima si arrende, così come il povero Maggiolino che rinuncia ai suoi sentimenti per porre fine al gioco di burle e di prese in giro che si è formato intorno a loro; alla fine l'amore trionfa e si spera che questa narrazione funga da monito e da insegnamento per chi la legge e per evitare che si ripetano certe situazioni. O almeno questa deve essere stata la speranza di De Marchi, che già all'inizio del racconto anticipa la presenza della morale in conclusione.
6 Ivi, p. 585 7 Ibidem