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Femminismo Orientale e donne d'Oriente: il femminismo italiano e quello in ambito islamico.

III. CLELIA GOLFARELLI E LE DONNE ARABO-MUSULMANE

2.2 Femminismo Orientale e donne d'Oriente: il femminismo italiano e quello in ambito islamico.

Nel giugno dello stesso anno, Clelia Golfarelli torna a riflettere sul rapporto tra Oriente ed Occidente e nello specifico tra i femminismi musulmani e quelli europei. Sulle pagine de «La vita italiana. Rassegna mensile di politica» di Giovanni Preziosi () esce uno scritto intitolato Femminismo Orientale e donne d'Oriente all'interno del quale Clelia si domanda quale tra i femminismi europei possa rivelarsi il più utile per la musulmana:

Ma quale, fra le donne occidentali già in via di affrancarsi dagli inceppi secolari, servì alla musulmana di modello o di guida per meglio muovere alla conquista della propria personalità umana, prima, della

personalità civile, adesso?

Come ho già detto, il femminismo italiano appare agli occhi della maestra fiorentina il movimento che più di altri potrebbe servire da modello per le donne musulmane grazie alla somiglianza tra queste ultime e le coetanee italiane. E tuttavia l'influenza esercitata dall'emancipazionismo nostrano è stata sostanzialmente nulla e Clelia Golfarelli, passando in rassegna i rapporti tra le donne musulmane e le europee (rispettivamente, inglesi, francesi, tedesche ed italiane) ammette che il rinnovamento della donna orientale è avvenuto in linea di massima sulla scia del modello francese327. Un'ammissione non priva di rammarico per la scarsa presenza italiana sui territori

arabi, che altrimenti avrebbe comportato un indubbio beneficio alla musulmana che muoveva i primi passi del proprio percorso di emancipazione. Il femminismo italiano e quello islamico hanno, infatti, secondo Clelia diversi punti di contatto:

327 Le donne francesi furono, effettivamente, quelle che più di altre riuscirono a stabilire stretti contatti con le egiziane riuscendo, ad esempio, ad avere accesso agli harem. A tale proposito fondamentale è lo studio di Irene Fenoglio- Abd El Aal, Défense et illustration de l'Egyptenne : aux débuts d'une expression feminine

[...] fra le europee, la donna italiana era appunto quella che meglio ancora custodiva intatti quei principi su cui le pioniere pure dell'islam intendevano basare le loro rivendicazioni: il sentimento di integrità della famiglia, che la musulmana vuole instaurare sulle basi della monogamia e della parità dei diritti con l'uomo; il ritorno alla sanità dei costumi e della vita privata e pubblica realizzata nei primi tempi dell'Islam; la conquista di tutti i diritti civili derivata dal pieno adempimento dei doveri individuali; il mantenimento della tradizione religiosa e della legge originaria come argine alle deviazioni che di continuo minacciano di sempre più asservire all'occidente la civiltà musulmana e le razze orientali.

Per Clelia Golfarelli, dunque, l'italiana è quella che più di altre assomiglia alla donna musulmana perché osserva tutti quei principi che guidano questa nella rivendicazione dei suoi diritti. Musulmane e italiane muovono, in questa ottica, da una riscoperta della tradizione religiosa a partire dalla quale possono risanare l'istituzione famigliare e i costumi sociali, elevandoli moralmente, mostrandosi così consapevoli che è solo compiendo determinati doveri sociali che è possibile rivendicare e ottenere i propri diritti. La somiglianza tra italiane e musulmane qui affermata porta allora in risalto la concezione del rapporto tra i generi di Clelia Golfarelli, la sua idea di donna, il ruolo che a suo avviso avrebbe dovuto ricoprire all'interno della società e, infine, le sue possibilità di evoluzione ed emancipazione. Idee, queste, che se negli scritti giovanili di Clelia erano rimaste sottintese, si fanno, chiare proprio nel momento del confronto con le donne ed i femminismi musulmani.

Italiana e musulmana corrispondono per Clelia Golfarelli all'immagine di “donna nuova”, espressione della cultura emancipazionista italiana degli inizi del Novecento, a cui Clelia aveva già fatto riferimento per descrivere le convitate all'harem della principessa Tussum328. Si tratta

di una donna fortemente attiva all'interno della società in tutti i suoi ambiti. Se nella famiglia, considerata la dimensione naturale del femminile, la “donna nuova” ha il compito di occuparsi degli uomini -mariti e figli- per ispirare loro buoni sentimenti, nella società, dove la “donna nuova” si fa spazio attraverso attività assistenziali e filantropiche come l'educazione, l'assistenza a donne, bambini, malati e anziani, essa riesce a dimostrare, agli altri come a sé stessa, di saper fare adeguatamente fronte a problemi di respiro sociale su scala internazionale. È questa una concezione della donna connessa a quel singolare progetto di femminismo moderato affermatasi in Italia ai primi del Novecento a cui, come ho cercato di dimostrare nel capitolo precedente, Clelia Golfarelli sembra aver aderito329. Attraverso l'idea di “donna nuova”

328 Cfr. Catia Papa

329 Autodefinitosi femminismo “pratico” o “filantropico”, ed in seguito felicemente definito da Annarita Buttafuoco con l'espressione di “filantropia politica”. Si tratta di un femminismo che, sebbene possa assumere diverse declinazioni a seconda che sia l'espressione di movimenti femministi socialisti o cattolici, tende a valorizzare l'attività femminile e la cooperazione tra donne quale concreta costruzione di percorsi di cittadinanza. All'interno di questa concezione la “donna nuova” rinnova il ruolo che le viene tradizionalmente attribuito per natura in

Clelia Golfarelli osserva e analizza i comportamenti delle coetanee musulmane che si astiene tuttavia dal giudicare. L'Occidente rappresenta anche per lei il gradino più alto della società civile ed il modello a cui ispirarsi nel cammino per lo sviluppo, ma questa ascensione verso un grado di civiltà più evoluto deve avvenire nel rispetto della cultura islamica330. Anzi, affinché il

cambiamento abbia un successo reale, e quindi duraturo nel tempo, è necessario che la musulmana recuperi la tradizione islamica in tutti i suoi aspetti: identità storica, tradizione culturale e fede religiosa. Il velo cessa, allora, di essere il simbolo dello sfruttamento e dell'inferiorità della donna per divenire, piuttosto, quello dell'identità musulmana del passato da opporsi ad un occidente percepito come invadente:

per dimostrare alle illuse e all'occidente che esse ben sapevano quali responsabilità gravi racchiudesse il dono divino della libertà e che non bastava strapparsi il manto ed il velo per conseguirla degnamente e, più ancora, per conservarla, queste pioniere del femminismo musulmano restarono le volontarie recluse degli harem anche per uno squisito senso di simpatia verso tutte quelle correligionarie che non potevano liberarsi ancora. E per tutti questi anni mantennero ancora, quasi come un simbolo ed una promessa di fedeltà al passato, il velo ed il manto tradizionale, muto ed eloquente ammonimento all'audacia di quelle fra loro che tutto avevano creduto vinto col gettare insieme al vento e i costumi della ave e i riguardi del mondo.

L'idea che l'emancipazione della donna musulmana sia realizzabile solo attraverso l'abbandono dei costumi di una cultura maschilista e l'acquisizione di quelli altrui, non trova spazio nel pensiero di Clelia Golfarelli. Gli harem sono “veri e vivaci congressi di donne” in cui le musulmane, come quelle invitate alla festa organizzata nell'harem della principessa Tussum, dibattono sulle competenze specifiche che a loro volta, questa le speranza di chi vede in essa la chiave di accesso per l'ottenimento dei diritti, avrebbe dovuto tradursi in una accesso ai diritti politici. I diritti delle donne -ed in primis quelli civili, premessa necessaria alla partecipazione attiva alla sfera pubblica- diventano allora la diretta conseguenza dei doveri femminili: è solo attraverso la dimostrazione delle proprie capacità e delle proprie responsabilità sociali che le donne possono rivendicare i loro diritti squisitamente politici. In questo discorso, allora, la cittadinanza diventa, per riprendere le parole di Annarita Buttafuoco “riconoscimento e garanzia di diritti, ma anche e soprattutto adesione e disciplina a nuovi doveri”.

330 Parlando dell'istruzione della donna musulmana, Clelia Golfarelli ricorda come questa debba approfittare di ciò che di buono l'occidente mette a disposizione delle popolazioni arabe (scuole, università, libri, ecc.), ma nel rispetto delle differenze: “Dame turche ed egiziane sostennero, sui propri cespi dotali, le spese di mantenimento e d'istruzione di una o più giovinette d'istruzione modesta, scelte fra le migliori per condotta o volontà, nei più rinomati istituti internazionali del Bosforo perché, a corsi compiuti, e con le modifiche inerenti alla diversità dell'ambiente, della religione e del grado di evoluzione, esse diventassero a loro volta educatrici e maestre

dell'adolescenza femminile ottomana”. Allo stesso modo quando in Femminismo orientale e donne d'Oriente Clelia Golfarelli afferma come il femminismo italiano sia quello che meglio di altri avrebbe potuto esercitare la più sana influenza sul femminismo musulmano, non pensa ad imposizione dall'alto di questo modello, ma al contrario ad un modello a cui le musulmane possano ispirarsi nella ricerca della loro propria strada verso l'evoluzione “Ma quale -fra le donne occidentali già in via di svilupparsi dagli inceppi secolari- servì alla musulmana di modello o di guida, per meglio muovere alla conquista della propria personalità umana, prima, della personalità civile adesso ? ”.

condizioni delle loro sorelle nel tentativo di trovare una maniera per migliorarle. È dall'interno degli harem che le musulmane mettono in pratica tutte quelle iniziative volte ad alleviare le sofferenze dei più deboli e all'educazione della donna musulmana.

Paradossalmente, l'adesione ad un femminismo moderato in ambito italiano sembra essere stato ciò che ha permesso a Clelia Golfarelli di sviluppare un atteggiamento di maggiore tolleranza e apertura nell'incontro con l'altro musulmano. Lo spazio concesso alla voce delle donne musulmane l'essersi fatta portavoce per le lettrici ed i lettori italiani delle prime esperienze emancipazioniste egiziane e turche nel rispetto delle loro rivendicazioni trovava una sua ragione nel fatto che Clelia Golfarelli non ha mai abbracciato posizioni apertamente e coerentemente femministe. Al contrario di molte femministe europee che come lei ebbero la possibilità di entrare in contatto con donne musulmane, Clelia Golfarelli non pensava ad una donna politicamente emancipata, ma una donna degna compagna dell'uomo.

2.3 Fuori dall'Harem: l'insuccesso del femminismo in ambito