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PULP FICTION di Quentin Tarantino

TITOLO ORIGINALE: Pulp Fiction; REGIA: Quentin Tarantino; PRODUZIONE: Stati Uniti; NAZIONE: Stati Uniti; ANNO: 1994; GENERE: thriller, humor nero, azione, drammatico,

gangster movie; DURATA: 154’; SCENEGGIATURA: Quentin Tarantino; FOTOGRAFIA: Andrzej Sekula; SCENOGRAFIA: David Wasco; MONTAGGIO: Sally Menke; MUSICHE: AA VV;

CAST: John Travolta, Samuel L. Jackson, Tim Roth, Amanda Plummer.

TRAMA

La trama è costituita dall’intreccio di quattro storie aventi pressoché gli stessi protagonisti, tutte persone che vivono ai margini della legge.

Queste quattro storie di violenza s'intersecano e si mescolano tra loro procedendo in una struttura circolare che si chiude, nel finale, con un ritorno all'inizio.

La prima vicenda vede come protagonisti due rapinatori (T. Roth, A. Plummer) che decidono di derubare la tavola calda nella quale stanno consumando la colazione; la seconda storia coinvolge due sicari (J. Travolta, S. L. Jackson) che sono stati incaricati dal loro boss di recuperare una valigetta preziosa. Li vediamo mentre puliscono la loro auto dal sangue e dalle cervella di un uomo che hanno ammazzato per sbaglio e successivamente vanno a mangiare proprio nella tavola calda della precedente rapina. Il terzo filone narrativo vede uno dei due sicari (J. Travolta) assoldato dal capo per portare fuori a divertirsi la moglie Mia (U. Thurman) che, durante la serata scambia eroina per cocaina e sniffandone una quantità spropositata va in overdose. L’ultima vicenda riguarda il pugile

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Butch (B. Willis) che contravvenendo all’accordo con il boss Marcelus, vince un incontro che doveva perdere e scappa complicando le cose.

Liberamente ispirato ai racconti popolari di ambiente criminale che, negli anni '30 e '40 occupavano le pagine dei pulp magazines, il film di Tarantino mette in scena una storia, anzi più storie, che procedono tutte sul filo conduttore di una pungente ironia, di un sottile umorismo nero e di una contrapposizione continua tra divertente e tragico.

L’INCIPIT

La struttura

L’incipit di Pulp Fiction è suddiviso in tre parti: un primo cartello che contiene l’origine e la definizione del termine pulp, in bianco su fondo nero. La seconda sezione è costituita dalla prima scena che vede inquadrati un uomo e una donna seduti all’interno di una tavola calda mentre fanno colazione e dialogano e l’ultima parte dell’incipit è formata dai titoli di testa, caratterizzati da pesanti lettere arancioni su fondo nero.

Visivo e sonoro

I PARTE

Su fondo nero appare un breve testo di colore bianco che riporta la definizione lessicale del termine pulp. La definizione è estratta dall’ American

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“Pulp 1. A soft, moist, shapeless mass of matter. 2. A magazine or book containing lurid subject matter and being characteristically printed on rough, unfinished paper.”108 (Fig. 19)

II PARTE

Dopo il primo cartello che resta sullo schermo per circa quindici secondi, l’immagine si fa nuovamente nera e poco dopo si apre nell’inquadratura che mostra due ragazzi, un uomo e una donna, seduti mentre fanno colazione in una tavola calda. L’inquadratura resta sempre sulla coppia che discute su qualcosa da fare o da non fare, dopo meno di un minuto di conversazione si capisce subito che i due di professione sono rapinatori e che stanno decidendo sulla prossima rapina da portare a termine. La macchina da presa resta sempre fissa su loro due, escludendo la visione del resto del locale e dei clienti; l’unica figura che vediamo passare due volte è la cameriera che riempie loro le tazze con del nuovo caffè.

Dopo qualche minuto di discussione, l’uomo, stufo ormai di rischiare la pelle per pochi dollari, propone alla donna di svaligiare proprio la caffetteria in cui sono e portare via non solo l’incasso ma anche tutti i portafogli dei clienti. La donna accetta eccitata e i due in pochi secondi, dopo essersi baciati e accordati sulla divisione dei compiti, si alzano in piedi gridando “nessuno si muova questa è una rapina”. La scena si conclude con un fermo immagine sulla coppia che punta le pistole verso i clienti del locale, che però noi non vediamo mai. (Figg. 20-21)

III PARTE

Al fermo immagine si sovrappongono le prime menzioni dei titoli di testa (“MIRAMAX FILM PRESENTS”) in arancione e contemporaneamente iniziano a

108 Pulp: 1. Una massa informe umida e morbida. 2. Una rivista o un libro con contenuto lurido e

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sentirsi le prime note della canzone Misirlou di Dick Dale & his Del-Tone, uno dei brani più significativi e riconoscibili del film.

Successivamente lo schermo si fa di nuovo nero e compaiono altri titoli, sempre di color arancione: “A BAND APART + LOGO” – “AND JERSEY FILMS PRODUCTION” – “A FILM BY QUENTIN TARANTINO”. A questo punto, con uno scorrimento dal basso verso l’alto si fa spazio il titolo: prima compare la parola PULP e subito sotto FICTION, entrambe a caratteri cubitali di un arancione molto intenso, quasi tendente al rosso. La scelta del colore non è casuale: studi psicologici e artistici dimostrano che il giallo, colore da cui deriva l’arancione, è il colore che risulta più disturbante e fastidioso per la nostra mente. Nelle opere d’arte questo colore era spesso simbolo d’instabilità e disturbi della psiche.

Un giallo così intenso è come il suono sempre più acuto di una tromba o quello sempre più assordante di una fanfara. […]

Da un punto di vista psicologico può raffigurare la follia, intesa non come malinconia o ipocondria, ma come accesso di furore, di irrazionalità cieca, di delirio. Un malato infatti aggredisce la gente all’improvviso, getta le cose per terra, disperde inutilmente le sue energie in tutte le direzioni, fino all’esaurimento.

Il giallo si può anche paragonare all’estate morente, che dilapida assurdamente le sue energie nell’incendio delle foglie autunnali, di quelle foglie da cui ormai è scomparsa la quiete dell’azzurro, che è salito in cielo. Nascono così colori folli di energia, ma incapaci di profondità.109

Il titolo risulta quindi molto imponente sullo schermo, ma poco dopo inizia un lento percorso di allontanamento e rimpicciolimento fino alla totale

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sparizione. Mentre la scritta Pulp Fiction si allontana, si sovrappongo in bianco i nomi degli attori principali del cast e completato questo elenco, lo sfondo si fa ancora nero, il titolo è sparito e compaiono altri titoli di testa sempre in arancione, riferiti alle professionalità tecniche del film. Dopo poco la musica cambia, come se si stesse cercando di sintonizzare un’altra stazione radio, e dopo qualche rumore fastidioso si comincia a sentire la canzone

Jungle Boogie dei Kool & The Gang. (Fig. 22)

Il forte disorientamento spettatoriale è accentuato dal fatto che, al concludersi della sequenza dei titoli di testa, il film riprende da un punto di vista completamente diverso. I personaggi non sono gli stessi dell’incipit e la pellicola procede raccontandoci un’altra, differente, storia. Lo spettatore non vede e non può sapere come è andata a finire la rapina, non ha idea di che destino sia toccato alla coppia di malviventi, è già completamente coinvolto in un’altra stravagante e violenta vicenda.

Percezioni e dialettiche audiovisive

Con questo tipo di incipit, il regista vuole collocarci da subito all’interno della storia, all’interno di questa “massa umida morbida e informe” che è Pulp Fiction. Già dalla prima inquadratura, Tarantino cerca di dare una traccia, un aiuto, delle istruzioni allo spettatore. Parte dal significato preciso del termine

pulp, proprio per informare il pubblico, per dargli un’idea di ciò che andrà a

vedere. In questo caso, la primissima parte dell’incipit è di tipo informativo- tematico, cioè ci anticipa la materia, l’argomento di cui tratterà il film e colloca il termine pulp nell’universo concreto, in quanto ci annuncia che definisce il contenuto volgare e “sporco” di una rivista o di un libro, i cosiddetti pulp magazines.

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Dopo questa prima parte introduttiva ed esplicativa, ci si immerge nel cuore dell’azione. Senza alcun tipo di presentazione ci vengono proposti sullo schermo due giovani, di loro non sappiamo niente. Sono colti nella loro quotidianità e stanno facendo colazione in una delle tante tavole calde degli Stati Uniti. Iniziano a parlare e l’uomo si riferisce vagamente ad un comportamento o a un lavoro che vuole smettere di fare mentre la donna cerca in tutti i modi di fargli cambiare idea. Sembrano una coppia normale, lui fuma, lei beve caffè, stanno parlando della loro vita. Ma poco dopo viene svelata allo spettatore la loro professione: sono due rapinatori. La discussione si fa più accesa e interessante; lui è deciso a smettere di derubare ma ha promesso che quello sarà l’ultimo giorno in cui faranno una rapina assieme. Pensano al luogo più adatto per dare l’addio al crimine e dopo qualche riflessione, l’uomo decide di svaligiare proprio la caffetteria dove sono seduti. Alla ragazza si illuminano gli occhi, è molto eccitata e non vuole perdere altro tempo, la rapina si deve fare all’istante. I due si accordano, si baciano, e prima di entrare in azione, si scambiano una tenera frase d’amore “ti amo zucchino mio, ti amo coniglietta mia”.

Neanche il tempo di finire di parlare e sono già scattati in piedi con le pistole puntate gridando a tutti di non muoversi perché stanno per fare una rapina. L’immagine si blocca. Non ci è dato di sapere come andrà la rapina e non possiamo vedere le reazioni dei clienti, possiamo per ora solo immaginare.

Il punto di vista spettatoriale

Come può reagire lo spettatore davanti ad un inizio di questo genere? Non può fare altro che rimanerne shockato, ma nello stesso tempo, tutte le privazioni e le lacune visive e informative che questo incipit presenta, non

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possono fare altro che incuriosirlo. Chi è quella coppia di ladri? Riusciranno a portare a termine la rapina? Saranno davvero capaci di smettere?

Queste e molte altre domande invadono la testa del pubblico, ma purtroppo come ho già detto, non ci è dato di sapere altro; dobbiamo per forza continuare a vedere il film.

Un altro elemento fondamentale dell’esordio, come in molti altri film di Tarantino, pensiamo per esempio alla saga di Kill Bill, è la colonna sonora. In Pulp Fiction immediatamente dopo che Coniglietta e Zucchino si sono alzati e puntano le pistole per la rapina, parte la canzone Misilrou, che con le sue note forti e coinvolgenti (è una canzone popolare di origine greca) descrive perfettamente la carica adrenalinica della scena e fa immedesimare all’istante lo spettatore con i rapinatori. Il suo ritmo incalzante sembra descrivere la tachicardia di quando ci si trova in situazioni altamente adrenaliniche, eccitanti ma rischiose allo stesso tempo, come appunto portare a termine una rapina.

Lo spettatore viene abbandonato nel momento di massima tensione, nell’attimo in cui l’inquadratura si blocca sul fermo immagine, siamo completamente coinvolti nella scena e l’unica cosa che vogliamo è vedere come va a finire. Questa negazione della visione, appena dopo esserci ripresi dallo shock iniziale, ci suscita una forte curiosità e nonostante il nostro disorientamento e un leggero trauma, abbiamo solo voglia di guardare oltre.

Anche il lettering e il colore dei titoli di testa aumentano la nostra sensazione di shock misto a fascinazione. Le lettere cubitali del titolo, tinte di un arancione così accecante e disturbante, che come anticipavo è il colore della psiche malata, che spiccano e quasi si staccano da un fondo così nero, ci danno sensazioni contrastanti: da una parte questo accostamento stridente

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di colori ci invita alla violenza ma dall’altra ne siamo profondamente catturati, quasi ipnotizzati.

Le sensazioni di shock visivo, dunque, ci sono date sia dalla pre-credits sequence sia dai titoli di testa veri e propri. Nel primo caso lo shock deriva da un contrasto: l’atmosfera nel locale è molto tranquilla e i due ragazzi stanno soltanto facendo colazione e chiacchierando, poco dopo il loro dialogo si fa più acceso e scurrile, si scopre che sono due malviventi e in un attimo si alzano per rapinare il bar. Tutto avviene in poco tempo, tutto cambia in pochi minuti e lo spettatore ne rimane shockato proprio perché non ha avuto il tempo di prepararsi, né alcun indizio che potesse anticipargli quello che stava per succedere.

Nel secondo caso, invece, dopo il blocco dell’immagine nel momento culminante della suspence, si fanno spazio dei titoli di testa con due dominanti cromatiche, il nero e l’arancione, che contrapposte creano disturbo, destabilizzazione, disorientamento, ansia e angoscia, creano, insomma, un impatto traumatico nello spettatore, che ne risulta shockato. Lo shock dell’incipit agisce nella psiche dello spettatore a due livelli differenti: in primis quello mentale, in quanto è stato privato della visione e sviluppa una forte attesa verso una continuazione della storia che lo rende impaziente e nervoso e a livello fisico queste sensazioni di estrema curiosità e impazienza lo rendono, di riflesso, fisicamente teso, nervoso e agitato.

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