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PROFONDO ROSSO di Dario Argento

TITOLO ORIGINALE: Profondo Rosso; REGIA: Dario Argento; PRODUZIONE: Italia; NAZIONE:

Italia; ANNO: 1975; GENERE: horror, thriller; DURATA: 127’; SCENEGGIATURA: Dario Argento, Bernardino Zapponi; FOTOGRAFIA: Luigi Kuveiller; SCENOGRAFIA: Giuseppe Bassan; MONTAGGIO: Franco Fraticelli; MUSICHE: Goblin, Giorgio Gaslini; CAST: David Hemmings, Gabriele Lavia, Macha Méril, Daria Niccolodi.

TRAMA

La Dottoressa Ulmann, parapsicologa di origine tedesca, si trova impegnata in una delle sue conferenze e ad un tratto viene in contatto mentale con una presenza diabolica che le annuncia di aver commesso degli omicidi e che è in procinto di ammazzare ancora. La donna, sconvolta, urla e confida al suo collega anche di aver avuto una premonizione sul luogo del delitto e sull’identità del colpevole.

Helga, convinta che nella sala non ci sia più nessuno, non si accorge che invece l’assassino la sta osservando. Tornata a casa la sera comincia a sentire una strana musica infantile e involontariamente apre la porta all’assassino che la ucciderà a colpi di mannaia.

Casualmente un giovane pianista inglese di nome Marc Daly, rincasando assiste all’epilogo dell’omicidio e riesce a scorgere furtivamente dalla finestra di casa di Helga, una figura che si allontana di spalle con un impermeabile scuro.

Il ragazzo dopo l’arrivo della polizia fa la conoscenza di una giornalista Gianna Brezzi, che intrigata dal delitto e affascinata da Marc, decide di aiutarlo con le indagini. I due cercano di rintracciare la provenienza e l’autore dell’unico

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indizio che accomuna tutti gli omicidi: una nenia infantile suonata dal killer prima di ammazzare le sue vittime. Le indagini proseguono per il verso giusto ma ogni qual volta che Marc sembra avvicinarsi alla soluzione, le persone in grado di dargli delle risposte muoiono per mano dell’omicida.

Preso dallo sconforto il giovane decide di porre fine alle sue indagini e partire per la Spagna in compagnia di Gianna. Poco prima della partenza però ha un’illuminazione su un particolare della villa in cui è appena stato a cercare indizi. Non si era accorto che una delle finestre della dimora era murata e vi si reca per scoprire la verità. Con un piccone libera la finestra murata e ci scopre una stanza da pranzo segreta contenente un cadavere mummificato. Marc ormai vicino alla soluzione del mistero, continua le indagini e riesce finalmente a scoprire l’identità del killer: si tratta della madre psicopatica del suo amico Carlo che molti anni prima aveva ucciso il marito perché deciso a ricoverarla in un istituto psichiatrico. Carlo, in età adulta, aveva sempre cercato di proteggere la madre, occultando ogni prova della sua colpevolezza ed era pronto anche a fare fuori Marc e Gianna se fosse stato necessario. Il giovane pianista, appena compresa tutta l’agghiacciante verità, viene sorpreso dall’assassina mentre era tornato nell’appartamento di Helga e dopo una lunga colluttazione la donna muore decapitata per colpa della sua stessa collana che rimane incastrata nelle inferriate dell’ascensore del palazzo.

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L’INCIPIT

La struttura

La struttura dell’incipit di Profondo Rosso è tripartita. Le parte iniziale ospita i primi cartelli dei titoli di testa, la seconda parte mette in scena un delitto consumato nel periodo natalizio in un salotto borghese e viene interrotta dopo qualche istante dalla seconda parte dei titoli di testa che ci forniscono le informazioni tecniche riguardo la realizzazione della pellicola.

Visivo e sonoro

I PARTE

Inizia a suonare il main theme dei Goblin che prende il titolo dal film e su fondo nero compaiono i primi titoli di testa realizzati con sottili e filiformi lettere bianche: “RIZZOLI FILM E SALVATORE ARGENTO PRESENTANO”, “UN FILM DI DARIO ARGENTO” e dopo due nomi del cast appare il titolo “PROFONDO ROSSO”, è realizzato con lo stesso font e occupa il centro dello schermo. Seguono gli altri nomi del cast e le partecipazioni speciali. (Fig. 29)

II PARTE

La musica dei Goblin si abbassa e lascia il posto ad un motivetto infantile cantato dalla voce di un bambino, il titolo della nenia è Mad Puppet’s Laugh. La scena si apre all’interno di un’abitazione borghese, precisamente in una sala da pranzo. Quasi immediatamente si sente l’urlo straziante di una donna e sulla parete di fondo si vedono delle ombre: una persona sta accoltellando ripetutamente un’altra figura ma non ci è permesso vederli.

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La tavola è apparecchiata elegantemente ed è presente anche un albero di Natale che ci fa supporre di trovarci nel periodo delle feste invernali.

Concluso l’omicidio resta solo un’ombra proiettata sulla parete che si incammina fino a sparire.

Dall’alto, d’improvviso, cade a terra davanti alla mdp l’arma del delitto: un grosso coltello da cucina insanguinato. Il coltello giace sul pavimento davanti al nostro sguardo e vediamo avvicinarsi dei piedi di bambino con scarpette nere eleganti e calzettoni bianchi alzati fino al ginocchio. L’incipit si chiude con l’immagine del coltello a terra affiancato dai polpacci immobili di un bambino. La musica infantile sfuma e lascia il posto nuovamente alle note angoscianti e incalzanti della musica dei Goblin. (Figg. 30-31)

III PARTE

I titoli di testa, precedentemente interrotti dalla scena dell’omicidio, riprendono nello stesso stile annunciando i nomi degli addetti al montaggio, alle musiche, ai costumi e nuovamente alla regia. (Fig. 32)

Percezioni e dialettiche audiovisive

Il famoso motivo musicale associato ai titoli di testa del film di Dario Argento s’insinua nell’orecchio dello spettatore provocando immediatamente, ancora prima della comparsa del testo, un’inquietudine e una forte attesa che lo mettono nella posizione mentale di aspettarsi che succeda qualunque cosa nello schermo.

Infatti dopo un breve accenno alla produzione alla regia e dopo la comparsa del titolo principale, si entra subito nel cuore del dramma.

La nenia cantata da voce infantile contrasta inequivocabilmente con la musica rock elettrica dei Goblin e contribuisce a creare un’atmosfera distorta,

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malata e dissociata. Cosa può voler significare una musica così angelica come sottofondo di un violento omicidio? Questo è uno dei primi interrogativi che si presenta nella mente dello spettatore che istintivamente si rifiuta di associare i bambini con il delitto.

La ninna nanna dolce che fa da colonna sonora all’accoltellamento non è inserita qui per caso, ma è un vero e proprio indizio, la chiave di lettura che ci farà, in seguito, scoprire l’identità dell’assassino.

Un altro elemento di contrasto con le candide note della filastrocca è l’urlo straziante di donna che si sente quasi in corrispondenza della prima accoltellata. Insomma, l’udito del pubblico è disturbato da questo continuo contrasto tra fanciullezza pura e spensierata e tragedia tremenda e sanguinosa.

L’arredamento della sala da pranzo è molto classico, impostato e immobile: nessuno si muove, nulla si macchia o si rovina, non c’è colluttazione o disordine, l’omicidio sembra compiersi in maniera composta e ordinata. Tutta l’inquadratura è strutturata per far percepire allo spettatore ogni minimo particolare della stanza, per fargli studiare attentamente il luogo del delitto, senza disturbarlo più di tanto con sangue e lotta.

Un’altra traccia che il regista ci fa trovare è l’albero di Natale e anche questo, si vedrà col proseguire della storia, sarà elemento fondamentale nelle indagini per la risoluzione del caso.

Tutte piste, tutti accenni, indizi apparentemente casuali che un attenta mente investigativa può cogliere e fare propri.

L’unico elemento concreto con cui si può realmente venire in contatto è l’arma del delitto. Il coltello ci piomba quasi addosso e si ferma davanti a noi. L’assassino noncurante lo lancia sul pavimento e ci fa diventare complici dell’assassinio. Oltre al nostro sguardo però, c’è anche un altro testimone. Un

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bambino di cui non vediamo altro che le gambe. Lentamente il piccolo si avvicina e senza dire una parola si accosta fermo di fianco al coltello.

L’incipit si chiude come a dire “vi ho fornito tutti gli elementi necessari a comprendere la storia, adesso tocca a voi, buona visione”.

Il punto di vista spettatoriale

Ho parlato nell’introduzione di dissociazioni di tipo uditivo. Nel caso dell’incipit di Profondo Rosso questa tecnica di contrasto e di scissione della percezione viene messa a punto usando un tema musicale di tradizione infantile come sfondo di un tragico delitto familiare.

Ma quello musicale non è il solo effetto distorto che si percepisce nell’esordio. Anche la visione è parzialmente negata: non possiamo vedere i volti e i corpi né della vittima né del carnefice e siamo impossibilitati anche a conoscere il viso del bambino che entra successivamente in scena, possiamo coglierne solo le gambe, simbolo della sua giovane età.

La scena quindi ci appare mutilata, accennata e molto enigmatica. Argento si preoccupa maggiormente di farci arrivare un’immagine chiara sul luogo del delitto e sui particolari che possono aprirci una pista verso la soluzione del mistero.

Oltre che sulla scena del crimine siamo informati anche sull’arma del delitto che appare l’unica cosa vera e reale di tutta la scena. L’omicidio è solo accennato, è fatto di ombre impalpabili ed eteree che si muovono lentamente riflesse sulla parete dalla luce fioca di una lampada.

Anche in questo caso, come abbiamo visto per Dancer in the Dark, è compito quasi esclusivo della musica presentare la storia e introdurre lo spettatore nel film. Nei titoli di testa la musica composta da Giorgio Gaslini prepara lo spettatore a qualcosa di tremendo e terrorizzante; le note da brivido

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incalzano violente in una successione sempre uguale ma angosciante che provoca nello spettatore sensazioni contrastanti dettate, da una parte, dalla volontà di scoprire cosa succederà e, dall’altra, dalla paura di vedere qualcosa per cui non si è ancora sufficientemente preparati.

Questo andamento forte e inesorabile che, sottolineato dalle note della colonna sonora, ci conduce verso i titoli, viene smorzato improvvisamente da una scena dominata da sottofondo angelico e infantile dove in realtà il nostro occhio non è sottoposto a nessun tipo di violenza visiva.

Certo avviene un omicidio ma il regista, al contrario di ciò che faceva presupporre l’intro, decide di accennarlo di sfuggita e di farcelo percepire quasi per sbaglio relegandolo all’angolo nascosto dell’inquadratura.

La sensazione di dissociazione che emerge da questo incipit parte dalla tensione emotiva che si viene a creare nei titoli di testa raggiungendo il culmine grazie alle note dei Goblin, e viene ad allentarsi bruscamente con la messa in scena del vero e proprio esordio, tutto giocato su tinte pastello, suoni soavi e immagini appena abbozzate.

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