L’incipit del film ha la funzione di farci comprendere sin dall’inizio quella che sarà la logica strutturale e organizzativa di tutto l’intero film. L’inizio non ci
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fornisce alcuna informazione sul tempo e sullo spazio della storia o sui personaggi che ne fanno parte, preferisce avvisarci che la vicenda procederà costruita con una dialettica linguistica e narrativa basata sull’alternarsi tra l’immagine e la sua assenza.
Il colore nero è anche metafora della cecità della protagonista che, con il suo lento ma inesorabile progredire, spegnerà tutto il mondo della ragazza, relegandolo a un buio eterno.
La dimensione sonora dell’introduzione, rappresentata dal pezzo musicale denominato Overture, ha come supporto visivo soltanto lo schermo nero e procede con il compito di aprire e presentare il film. È un caso singolare e raro che l’incipit di un film si apra solamente con la visione totalizzante del colore nero, solitamente alla sequenza d’inizio sono associate immagini diegetiche, colori, forme e lettere che aiutano lo spettatore a preparare l’occhio alla visione e a orientarsi nella storia. In questa caso, l’immagine nera, apparentemente priva di forza comunicativa e di carica espressiva, si riempie di significato e assieme al componimento musicale riesce a dare i primi stimoli e i primissimi indizi a chi osserva.
Lo schermo totalmente privo di colore, che si ritroverà poi anche a conclusione del film, assume molti significati, alcuni percepibili all’inizio della storia e altri supportati dalle immagini della vicenda: il nero rappresenta la distanza spaziale tra realtà e fantasia, (il mondo vero e quello inventato da Selma con la fantasia), tra passato e futuro (la vita dura con il figlio e quella che lo vedrà crescere senza una madre) e in particolar modo tra malattia e morte e tra sofferenza e salvezza. Selma soffre per la sua malattia e per la possibilità che questa affligga anche il figlio e la sua morte rappresenta contemporaneamente l’espiazione dei suoi peccati (quindi la sua salvezza) e la sofferenza per chi le vuole bene.
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La sonorità musicale, così pura, libera e slegata sia dal supporto che la produce sia dalla presenza di immagini diegetiche, si presenta come un potente mezzo comunicativo ed emotivo, svolgendo un ruolo inaugurale solitamente attribuito alle immagini e al testo. La musica, così esclusiva e libera in contrasto con la negazione della visione, si fa esperienza a trecentosessanta gradi e carica su di sé buona parte del compito di introdurre la storia e coinvolgere lo spettatore. L’overture, che in questo caso è sia filmica che musicale, ci suggerisce il modo più efficace per godere al meglio questa pellicola: l’essenza del film verrà colta soltanto abbandonandosi completamente alla dimensione sensoriale, che sarà l’unica e la sola che riuscirà a rendere visibile e vivibile sia il tempo che il pensiero.
Lo spettatore è fin da subito spinto ad immedesimarsi nella condizione della protagonista, è invitato a godere del mondo e a vivere la storia di Selma cercando di “guardarla” attraverso i suoi occhi e soprattutto ascoltarla.
Con la presenza simultanea del buio e della musica il regista tenta anche di metterci nei panni della protagonista Selma, che dopo il definitivo peggioramento della malattia che la porterà alla cecità completa e irreversibile, non potrà fare altro che continuare a vivere, o immaginare di farlo, grazie solo alla sua passione viscerale per la musica e per il canto.
Arriva il momento in cui finalmente si esce dal buio. L’inquadratura si apre sul viso di Selma nascosto dietro un paio di spessi occhiali neri. L’atmosfera e le immagini ci suggeriscono l’idea di una realtà frammentata, spezzettata, accelerata e tagliata. L’incipit è costruito tramite un montaggio brusco ed accelerato che lascia poco spazio alla comprensione. L’immagini è fatta di accenni, gesti appena mimati, inquadrature frettolose e tagli visibili.
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È nel progetto di trasmissione in diretta dell’accadimento che il regista conferma una volta di più il suo spirito di sperimentatore: il film tradizionale non è che un monumento, ma a Lars Von Trier interessa l’evento, la rappresentazione unica e irripetibile della vita.87
La sensazione è quella di un esasperato e angosciante iperrealismo filmico, avvertiamo costantemente la presenza della mdp che ci restituisce l’impressione di guardare sempre un’immagine filtrata.
L’intero incipit è costruito tramite una successione di piccoli tagli di montaggio, detti jump cuts, che contribuiscono a dare la sensazione di una realtà frammentata e ricostruita in maniera approssimativa, come un puzzle a cui mancano dei pezzi importanti; grazie alla presenza costante e tangibile della macchina da presa, l’immagine sembra farsi più leggera, effimera e impalpabile, pare farsi quasi pensiero. I tagli bruschi e il montaggio rapido fanno assomigliare le inquadrature più a un susseguirsi di idee e pensieri, di flussi di coscienza e di monologhi interiori piuttosto che a una successione di immagini e movimenti.
Il risultato è quindi quello di una diegesi in cui il singolo frammento d’immagine o il singolo movimento sembrano opporsi in maniera violenta al naturale e armonico andamento della totalità della storia, occupando posizioni privilegiate in una chiave di lettura che si basa sulla successione slegata di piccoli frame autonomi. L’effetto finale basato sull’impressione della successione di numerosi tagli irrazionali che contribuiscono a negare un senso logico e un legame spazio-temporale, fa risultare il passare del tempo come un passaggio violento e innaturale ma allo stesso tempo suggerisce la creazione di nuovi legami. In realtà la tecnica usata dal regista presupponeva l’uso di cento telecamere e aveva l’intento di ridurre al minimo il montaggio
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proprio per mostrare la realtà in maniera spontanea e vera, non costruire un prodotto a posteriori e artificialmente.
Nel progetto di utilizzare le cento telecamere, l’intento di von Trier era appunto di ridurre al minimo il montaggio […] effettuando piuttosto una semplice scelta di immagini che trasmettesse agli spettatori la presa diretta dell’evento: una sorta di equivalente della spontaneità della camera a mano utilizzata per il resto del film.88
Internamente a ognuno di questi brevi tagli, tramite i quali la narrazione procede, passando velocemente dall’inquadratura in primo piano del viso di Selma a una serie di suoi movimenti appena abbozzati per poi tagliarla fuori dalla scena bruscamente, è già fortemente presente il destino triste della giovane e coraggiosa eroina, vittima indifesa della sua malattia ed emarginata dal mondo che la circonda. Questo effetto marcato di continua alternanza di pieno e vuoto dell’inquadratura è il risultato della tecnica di ripresa usata dal regista.
Come se, nell’immobilizzare la macchina, la lasciasse altresì libera di muoversi meccanicamente, fuori dal suo dominio, permettendosi una regia alla deriva dove è lo strumento stesso a raccontare l’azione che casualmente si imbatte nel suo campo d’inquadratura. In questa sospensione del controllo del linguaggio dell’immagine, che Lars von Trier si è costruito con una cinefilia attenta, avviene la sua coraggiosissima immersione nel mondo della vita.89
Questa successione di immagini a spot intermittenti e il montaggio un po’ titubante vogliono rappresentare i primi segnali del suo disagio visivo, sono la
88 Ibidem, p. 170. 89
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trasposizione della sua percezione delle realtà visiva e simboleggiano la volontà della giovane donna di far passare inosservata la sua grave malattia, cercando di prendersi gioco del mondo intero. Questi leggeri shock della visione, che interferiscono con il naturale andamento dell’azione e del tempo, sono metafora della sua malattia e della sua condizione sociale che, ad ogni singolo stacco di camera da presa, peggiorano inevitabilmente verso la totale cecità, la perdita del lavoro, il furto subito, e la prigionia, fino ad arrivare al giorno della sentenza di morte.
Adesso solo le immagini hanno il diritto di parola, quelle immagini ondivaghi affollate dal brulicare di corpi, volti, gesti, sguardi che traboccano continuamente dal campo – o dal vuoto lasciato nell’inquadratura da questi stessi corpi, volti, gesti, sguardi.90