Ilario Lo Sardo
La società si trova oggi ad affrontare alcune criticità apparentemente insormontabili i cui effetti sono espressione di una crisi plurima che colpisce la sfera pubblica con evidenti conseguenze per l’ambiente, il welfare ed i cittadini. La crescente connessione tra diversi ambiti, guidata dal paradigma economico neoliberista, ha determinato: una fase di ristrutturazione dei conti pubblici ed un conseguente contenimento dei servizi assistenziali, fenomeni di impoverimento ambientale e misure di ulteriore espansione attraverso l’acquisizione di sempre maggiori risorse.
La crisi sociale, quindi, e la crescente domanda di personalizzazione e qualificazione delle reti di protezione sociale, in connubio con gli effetti generati dalla crisi economica in atto, hanno fatto sì che siano nati percorsi di risposta alle difficoltà correnti sui diversi livelli. Ciò ha implicato la nascita di iniziative dal basso che potessero mitigare gli effetti sociali dei fenomeni in atto; in particolare in quelle aree così dette “fragili”. Si sono così sviluppate, un pò a macchia di leopardo in tutta Europa, una serie di particolari esperienze che mirano a promuovere processi di innovazione sociale e che guardano all’agricoltura come settore di riferimento in una sorta di processo di “retro-innovazione” (Stuiver, 2006), ovvero di quell’attitudine dei soggetti locali a valorizzare conoscenze pregresse reinterpretandole ed utilizzandole in contesti e circostanze contemporanee.
Tali pratiche, che ben si riflettono nel connubio tra mondo agricolo e terzo settore, come ad esempio l’agricoltura sociale, stimolano una serie di azioni che hanno l’obiettivo di promuovere attività che vanno dalla riabilitazione alla cura, dalla
grande distribuzione e alla produzione di verdure surgelate grazie all’insediamento nella zona industriale della cittadina di multinazionali dell’agroindustria.
Dal punto di vista politico e amministrativo, San Marco Argentano come molti comuni italiani sta vivendo una fase di progressivo ridimensionamento dei servizi pubblici, che ha portato alla perdita di importanti servizi socio-sanitari – come ad esempio il centro diurno per la cura dei disabili e l’ospedale. In questo contesto nasce la cooperativa agricola “Fiori di farfara” che, grazie ad un progetto di agricoltura sociale approvato dalla Provincia di Cosenza, ottiene una porzione di 5 ha di terreno in cui cominciare a lavorare, appena fuori dal centro storico di San Marco Argentano.
Al centro della nostra indagine sta proprio l’affidamento e la storia di questa porzione di terreno che, quant’anche rappresenti una piccolissima porzione dell’intera superficie agricola utilizzata (0,14% circa), appare come caso emblematico di come la terra possa essere concepita in modo differente passando dall’essere un oggetto ad essere un soggetto per ridiventare oggetto. Il terreno affidato alla cooperativa “Fiori di Farfara” con gli annessi capannoni è proprietà della Provincia di Cosenza e fa parte dei terreni annessi ad un ex istituto agrario dismesso nel 1995. L’intera proprietà è di circa 45 ha e una parte viene coltivata a vitigno da un imprenditore agricolo locale. La sede dell’istituto agrario è stata data in comodato d’uso ad un’associazione sportiva; mentre i cinque ettari in oggetto hanno cambiato per anni destinazione d’uso fino a diventare un sito di stoccaggio di rifiuti ingombranti- temporaneo secondo il tecnico comunale responsabile contattato. Quando la Provincia di Cosenza revoca al comune la concessione, nel 2009, l’intenzione degli amministratori locali - a seguito di un finanziamento della regione Calabria mai giunto - era quella di destinare l’area alla costruzione della sede locale della Protezione Civile.
Nel 2011 la cooperativa “Fiori di Farfara” fa richiesta per ottenere l’affidamento di un terreno all’ente Provincia, ottenendo quel terreno la cui concessione era stata revocata all’ente comunale, suscitandone i malumori. È proprio grazie alla concessione d’uso del terreno che prende corpo il progetto sociale della cooperativa che era già attiva da alcuni mesi, ma che non poteva richiedere alcun tipo di finanziamento perché i suoli che utilizzava per le attività erano già gravati da finanziamenti precedenti come sostiene uno dei nostri interlocutori “[…] il proprietario del terreno aveva già avuto dei finanziamenti su quel terreno e quindi noi non potevamo chiederne altri e questo ci limitava […]”(T.p.4).
Quel pezzo di terra, precedentemente “abbandonato”, diventa oggetto di comunicazione sociale solo nel momento in cui la “proprietà” diventa del soggetto economico – ovvero la cooperativa - che, per tutelare i propri interessi, lo cura per trarne una qualche tipologia di profitto – sia diretto che indiretto, che in termini di immagine. Grazie a quel pezzo di terreno la cooperativa, infatti, può ufficialmente nascere e creare i presupposti per ottenere una qualche forma di finanziamento utile a portare avanti dei progetti sia a livello agricolo che a livello sociale.
La cooperativa, composta da 9 soci con esperienze e capacità diverse ed eterogenee, affianca alla pratica agricola la cura ed il sostegno di soggetti affetti da disagio o da handicap fisico. La concessione del terreno da parte della Provincia fa sì che il progetto di Fiori di Farfara si strutturi rapidamente sui canoni sperati dai promotori. Le attività, intraprese con lo scopo di “[…] offrire le risposte giuste […]” ai soggetti disabili, assume la forma di una realtà potenzialmente autonoma anche economicamente in cui ognuno possa realizzare piccole colture, mentre i promotori e i ragazzi disabili si possono fare produttori di colture biologiche, soprattutto a carattere cerealicolo, rispettose delle tradizioni e delle caratteristiche del territorio e del confezionamento di alimenti di qualità da immettere sul mercato delle reti di distribuzione alternative alla Gdo. L’idea diviene, quindi, quella di dare vita ad una realtà con cui, a stessa detta di uno dei responsabili, “ci si autosostiene e ci si realizza anche in termini economici”(T.p.2).
Tuttavia, il percorso della cooperativa non libero da controversie e conflitti (più o meno palesi) sia con l’amministrazione comunale sentitasi “derubata” di un bene che ha utilizzato per anni, sia all’interno del gruppo stesso. Dice a tal proposito uno dei promotori: “per ottenere questa cosa qua serve quello che serve per tutte le altre cose: un pò di economia. Per dirla in parole povere un pò di “soldoni” che si devono recuperare sfruttando bandi e quant’altro. Ma io personalmente, cosa che non mi vede spesso d’accordo con gli altri soci della cooperativa, sono d’accordo con l’autofinanziamento per cercare di fare, perché se aspettiamo i soldi che ci piovono dall’alto allunghiamo i tempi; se poi quelli arrivano non glieli mandiamo indietro e li utilizzeremo tranquillamente” (T.p.1).
“Fiori di Farfara” oggi, oltre a svolgere attività di supporto a soggetti svantaggiati, produce grano destinato alla panificazione e piante aromatiche finalizzate alla produzione di miele d’api, erbe officinali e realizza marmellate che trovano mercato in forme alternative di distribuzione come i Gruppi di Acquisto Solidale (Gas). L’attività di supporto a persone con diverse forme di disabilità viene portata avanti facendo sì che questi rimangano a contatto con la natura e nello stesso tempo trovino un modo per immettersi nel mercato del lavoro. Inoltre, la cooperativa si fa portatrice di “buone pratiche” attraverso progetti culturali che coinvolgono soprattutto le scuole e che hanno la finalità di tramandare le tradizioni legate all’uso della terra e diffondere il rispetto per la natura.
Tuttavia non tutto il terreno concesso è utilizzabile ai fini produttivi; una porzione dell’area, infatti - benché il tecnico comunale contattato ed intervistato sostenga che fosse in sostanza preservata dalla presenza di container – era destinata allo stazionamento di rifiuti urbani ingombranti – ovvero frigoriferi, lavatrici ed elettrodomestici in generale, oltre che mobilio in disuso. Al momento della concessione, seppur l’amministrazione sostenga di aver ripulito l’area, nasce un’accesa discussione tra i fruitori del terreno, che pretendono la bonifica, e l’amministrazione comunale che si rifiuta di farlo per motivi amministrativi e di competenza. Il rifiuto da parte dell’ente comunale di San Marco di dare un contributo per la bonifica del terreno ha spinto i soci della cooperativa a cercare all’interno della “comunità agricola” e delle famiglie dei soggetti coinvolti nel progetto un aiuto per ripulire l’area dai rifiuti, aiuto che si è rivelato prezioso almeno in superficie. Il nostro interlocutore, infatti, ammette che non c’è stata una vera e propria bonifica dell’area, quanto piuttosto una rimozione dei rifiuti residui e un lieve movimento terra che in ogni modo non rende l’area utile per la produzione agricola, tanto meno di prodotti biologici: “Credo che negli ultimi dieci anni quel terreno sia stato utilizzato come discarica quindi abbiamo dovuto fare una specie di risanamento, se così lo possiamo definire; una bonifica vera e propria no perché da sottoterra non siamo riusciti a tirare fuori niente. Però abbiamo rimosso quello che c’era sopra e c’era una vera e propria discarica. Probabilmente là ci sono anche cose tossiche tipo l’eternit. Tutto questo è stato possibili grazie all’aiuto dei privati che hanno risanato questa parte della discarica.[…] Questa zona non verrà utilizzata per coltivare visto che non sappiamo cosa c’è sotto. Tuttavia abbiamo realizzato uno spiazzo che sarà utilizzato per gli spettacoli e le manifestazioni. Abbiamo realizzato un “teatro di paglia” e da giugno in poi lo utilizzeremo e proporremo di utilizzare anche alle altre associazioni”(T.p.4)
La creazione del “Teatro di paglia” ha dato la possibilità ai fruitori del progetto di poter continuare a portare avanti una forma espressiva, la recitazione, che nel corso del tempo ha consentito loro di interfacciarsi con la comunità: “[…] questo ci ha dato un pò di lustro l’anno scorso come attività teatrale. Abbiamo colto la palla al balzo e siamo entrati nel circuito internazionale dei “Teatri di paglia” […] Tanto è vero che la risposta da parte del pubblico è stata importante, abbiamo avuto il pienone. Inoltre, abbiamo dato la possibilità alla Provincia di rendersi conto che noi in quel luogo, dove prima esisteva una discarica, ci lavoriamo”(T.p.1). Con il progetto del Teatro di Paglia i soci della cooperativa, infatti, entrano nella rete nazionale dei “Teatri di
Paglia” ed allargano le relazioni con quella parte del terzo settore che si occupa di persone affette da handicap fisico e psichico.
Nonostante le difficoltà, anche la porzione di terreno non utile a fini agricoli, per via del sospetto inquinamento, trova utilizzo come spazio per le attività sociali che si affiancano alla produzione di tipo tradizionale.
“Quello rimane uno spazio da utilizzare per attività del genere. C’è l’intenzione di ripetere il teatro di paglia questa estate. Quello è uno spazio da destinare ad attività all’aperto. Io la definisco “piazza grande” perché è diventata una piazza dove si può fare, possiamo e diamo la possibilità alle altre associazioni di utilizzarla, perché non ci dimentichiamo che Fiori di Farfara vuole interagire con le altra realtà anche fuori comune”(T.p.2).
Risultati
“Fiori di farfara”, seppur intrisa delle contraddizioni tipiche di un progetto relativamente nuovo e ricco di soggettività differenti, rappresenta un esempio di come l’agricoltura e le pratiche agricole finalizzate allo sviluppo rurale sperimentino nuovi percorsi di “innovazione” al fine di uno sviluppo economico tendenzialmente rispettoso dell’ambiente e della persona. Un primo risultato dell’indagine - portata avanti tra dicembre 2012 e febbraio 2013 attraverso osservazione del caso ed interviste semi-strutturate a testimoni – è rappresentato dall’importanza strategica della multifunzionalità in agricoltura, sia a livello imprenditoriale che del territorio. Multifunzionalità che si traduce, in questo caso, nel connubio tra pratica agricola, “cura” del disagio sia in termini relazionali sia in termini di inserimento lavorativo che in termini ambientali ed attività culturali ed educative. Nonostante lo scarso impatto che le attività della cooperativa hanno sul reddito dei soci e dei lavoratori, impatto dovuto anche al fatto che è una realtà giovane inserita in un contesto fortemente influenzato dalla grande distribuzione, l’inserirsi all’interno di una rete e di un circuito di nicchia come quello dei gruppi di acquisto solidale (Gas) ha permesso alla cooperativa di svilupparsi all’interno di quelle che Van der Ploeg (2006) definisce “economia di scopo”, fenomeno tipico dell’approccio multifunzionale. Un altro dato è l’importanza delle forme di “cooperazione” tra soggetti pubblici (a tutti i livelli: comunale, provinciale, regionale) e promotori di progetti di economie solidali e progetti di sviluppo alternativi.
Facendo riferimento a Lowe (2006), a questo punto, si potrebbe sostenere come gli attori coinvolti sembrano portare avanti una tipologia di sviluppo neo-endogena. L’attenzione si deve, quindi, porrei sui rapporti che scaturiscono tra aree locali e soggetti politici, istituzionali e commerciali, oltre che sulle interazioni che sorgono. Si tendono, in questo modo, a valorizzare sia le capacità di soggetti guardando alle loro prospettive sia le risorse locali dal punto di vista fisico e socio-culturale con l’obiettivo di apportare benefici all’area e di mantenere gli effetti delle scelte all’interno di esse.
D’altro canto si potrebbero interpretare le scelte degli attori come una strategia al fine di riprodurre il loro status o di accedere come nuovi attori di un sistema.
Di conseguenza, ciò che fa la politica non è null’altro che recepire l’istanza portata avanti da Fiori di Farfara ed interpretare l’affidamento del terreno come una forma che potrebbe ricondurla alla propria riproduzione. Il terreno funge, quindi, da mezzo per il raggiungimento di obiettivi politici che tendono ad essere giustificati attraverso una pratica discorsiva moralizzata in cui l’affidamento del terreno per attività agricole in cui sono coinvolti soggetti disabili ne costituisce il “contributo” (Luhmann, 1984) principale.
Dall’altro lato, Fiori di Farfara, in quanto cooperativa agricola e non cooperativa sociale, è identificabile come un soggetto economico che adotta, nei termini di Van der Ploeg, una “strategia aziendale” in cui l’utilizzo rispettoso del terreno, la produzione di prodotti di qualità ed il coinvolgimento di soggetti svantaggiati – seppur sono senza dubbio elementi benefici dal
punto di vista sociale ed ambientale – si identificano come scelte utili ai fini produttivi e commerciali che trovano mercato nei canali alternativi alla grande distribuzione, ma pur sempre propri del sistema economico. Quindi, tale scelte è funzionale alla riproduzione aziendale.
La terra, allora, per questi soggetti costituisce un elemento fondamentale. La cura dell’area, dunque, è semplicemente una parte della strategia che si compone di elementi tradizionali e sociali senza i quali, probabilmente, resterebbero esclusi dal mercato. Il terreno viene curato poiché funzionale agli scopi economici. Seppur a questo punto si potrebbe discutere se l’utilizzo che “Fiori di Farfara” fa del terreno sia migliore rispetto a quello delle multinazionali responsabili del fenomeno del land grabbing; questa questione, a parere di chi scrive, risulta secondaria poiché costituisce una fonte di dibattito morale; entrambi i soggetti, infatti, tendono a considerare la terra come mezzo per la propria riproduzione. Possiamo chiederci se i promotori del progetto si sarebbero preoccupati di ripulire ugualmente quell’area anche senza avere il diritto di usarla. In realtà, l’argomento terra entra come tema della comunicazione della cooperativa solo a partire dal suo affidamento; si deduce, quindi, che non vi è un’attenzione generale per i terreni affetti dal medesimo problema, se non in termini di biasimo, quanto piuttosto un’attenzione verso il proprio terreno, che diventa funzionale allo scopo e alla riproduzione della cooperativa.
Conclusioni
La contesa sviluppatasi attorno al terreno concesso alla cooperativa è la prova tangibile che la terra, qualunque sia l’utilizzo che se ne voglia fare, sia divenuto un bene da ritenere socialmente scarso. È infatti utile comprendere come il concetto di “scarsità” sia alla base di una problematica che facilmente assume le caratteristiche del paradosso, se la si coglie come problema sociale, che tende progressivamente ad ingrandirsi in modo esponenziale: “quanta meno scarsità (per l’uno), tanta più scarsità (per tutti gli altri)” (Luhmann, 1996: 74).
I beni locali, e la terra è una di questi, disponibili apparentemente in maniera abbondante per le comunità locali, con il progressivo allargamento dei confini del sistema economico divengono, allora, con molta facilità, scarsi poiché progressivamente sussunti da questo che li tratta secondo il codice del profitto e per questo risolve la scarsità attraverso il denaro. Tuttavia questo gioco non può far altro che spingere continuamente la società ad affrontare i problemi derivanti da sempre nuove scarsità naturali. L’evoluzione dell’economia assume allora la forma di un continuo aumento d’eccesso e di scarsità (Luhmann, 1996) di cui illusoriamente si pensava che il bene terra fosse esente.
Ciò porta a guardare la questione sia dal punto di vista materiale che istituzionale.
Se dal punto di vista istituzionale il “paradosso della scarsità” è stato inserito nel concetto di proprietà che diviene, a suo modo, anche fonte di sviluppo dell’istituzione in base al “vincolo temporale che sta al servizio della costruzione di un ordine societario complesso, efficiente e razionale secondo propri principi” (Luhmann, 1996) - ciò che è privato può essere acquistato, venduto, trasferito di proprietà e dunque il soggetto proprietario può decidere di utilizzare o meno quel bene e determinarne il tasso di sfruttamento o, come nel caso in analisi, di affidarlo ad alcuni soggetti piuttosto che ad altri a lui estranei al fine di utilizzarlo come fatto dalla Provincia con il terreno messo a disposizione di “Fiori di Farfara”; quindi, sotto il punto di vista materiale, la scarsità spesso assume la forma di diseguaglianza.
È, infatti, irrimediabilmente legata alla disponibilità o all’indisponibilità di un bene la possibilità di far variare lo sfruttamento dei capitali di una società. La questione assume allora una maggiore rilevanza se il bene coinvolto è uno dei cosiddetti “beni fondamentali”. È infatti impossibile pensare e strutturare qualunque tipologia di pratica agricola senza la terra,
sia essa una pratica con finalità prettamente economica o sociale. La terra, in questo contesto, assume allora la forma di “punto di passaggio obbligato” al fine di far nascere qualunque esperienza analoga e feticcio utile per la riproduzione dei soggetti proprietari.
Riferimenti bibliografici
Cilio D. (2013), Energia in ettari, Agriregionieuropa, anno 9, n. 33, Giugno 2013
Lowe P. (2006), Concetti e metodi nelle politiche europee di sviluppo rurale in Cavazzani A., Gaudio G., Sivini S. (a cura), Politiche, governance e innovazione per le aree rurali, edizioni Scientifiche Italiane, pagg. 353-363
Luhmann N. (1996), Sociologia del rischio, Bruno Mondadori
Luhmann N. (1984), Sistemi sociali, il Mulino
Shiva V. (2002), Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo, Utet
Van der Ploeg (2006), Esiste un nuovo paradigma di sviluppo rurale? In Cavazzani A., Gaudio G., Sivini S. (a cura), Politiche, governance e innovazione per le aree rurali, edizioni Scientifiche Italiane, pagg. 343-351
atto a consentire un contenimento razionale e disciplinato del potenziale produttivo viticolo dell'UE;
la concessione di premi per l’abbandono definitivo delle superfici;
mantenimento della distinzione fra distillazioni obbligatorie e volontarie, attribuendo però un maggior peso alla distillazione obbligatoria, per ridurre l’incidenza delle distillazioni facoltative che garantivano prezzi maggiori. La normativa comunitaria, tra l’altro, stabiliva che gli Stati membri interessati procedessero alla costituzione dell’inventario del potenziale viticolo (per l’Italia su base regionale), da completarsi entro il 31 dicembre 2001, pena l’esclusione dai benefici previsti.
I soggetti interessati a redigere la dichiarazione in questione, erano tutti coloro che coltivavano un vigneto; unica eccezione: i viticoltori le cui aziende comprendevano meno di 1.000 mq di vigneto, e purché l’uva prodotta non fosse commercializzata sotto qualsiasi forma, ma destinata esclusivamente all’autoconsumo del produttore.
Per la costituzione degli inventari regionali, che avrebbero concorso alla formazione dell’inventario nazionale, le amministrazioni centrali e locali dovevano obbligatoriamente operare in modo coordinato e cooperativo, sia per la trasmissione dei dati, sia per l’organizzazione delle diverse fasi del processo. In particolare il modello organizzativo doveva saper utilizzare al meglio tutti gli strumenti già disponibili, tenendo conto di quanto già realizzato da Agea. In particolare, la messa a disposizione del Sistema Informativo Geografico (Gis) realizzato sulla base di aereofoto e mappe catastali, doveva consentire la misurazione delle superfici e la definizione degli appezzamenti vitati della propria azienda.
Tale normativa, in vigore fino alla campagna viticola 2007/08, non ha conseguito i risultati previsti, imponendo, pertanto, una nuova riforma dell'Ocm vitivinicola (2009), in linea con la riforma del primo e secondo pilastro della Pac, vigente per il periodo