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Il finanziamento del Servizio Sanitario: le sue origini e la sua evoluzione.

GLI ENTI PUBBLIC

3.5 Il finanziamento del Servizio Sanitario: le sue origini e la sua evoluzione.

Nella strutturazione del finanziamento alla sanità, il primo tentativo è stato operato proprio dalla legge che istituiva il SSN, la n.833 del 1978. Le modalità previste dalla suddetta legge si ispiravano ad una visione universalistica e ugualitaria della tutela della salute; infatti le risorse per la spesa sanitaria venivano stanziate attraverso un apposito strumento, il Fondo Sanitario Nazionale, approvato ciascun anno con la manovra di bilancio, in cui confluivano le varie entrate tese a sostentare la spesa sanitaria96. Per poter determinare l’importo da stanziare alle singole Regioni

venivano utilizzati criteri demografici basati sull’età e sul numero della popolazione nazionale, sulla base dei quali veniva calcolata la c.d. “quota capitaria” da cui era possibile ricavare il fabbisogno di spesa di ogni Regione.

Il Fondo si articolava in due segmenti: la parte corrente, comprensiva delle risorse necessarie al funzionamento ordinario del Servizio sanitario nazionale; la parte in conto capitale, in cui confluivano le risorse per gli investimenti durevoli; le risorse così determinate, quindi, venivano distribuite alle Regioni, le quali le attribuivano poi alle singole USL con la collaborazione dei Comuni97. Ne risultava un

finanziamento retto dai principi della c.d. finanza derivata e da trasferimento98, con la

centralizzazione a livello statale delle scelte di spesa. Questo sistema, pur se retto da principi condivisibili, comportò uno scarso senso di responsabilità delle amministrazioni regionali e locali, proprio perché veniva costantemente assicurata

96 Ai sensi dell’art. 69 legge n. 833/78 si trattava sia delle imposte generali, sia dei contributi sanitari versati dai datori di lavoro, sia di ulteriori entrate.

97 E. JORIO, Diritto sanitario, Milano, 2006, p. 192 e ss.

98 Cioè sui trasferimenti dallo Stato agli enti locali, rel egando ad un ruolo puramente simbolico le entrate proprie degli enti locali, cioè quelle entrate disciplinabili ed amministrabili direttamente dagli enti locali stessi.

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una copertura dei deficit sanitari mediante la manovra finanziaria99. Infatti

l’assegnazione delle risorse alle varie Regioni avveniva tenendo conto della c.d. “spesa storica”, cioè l’attribuzione degli stanziamenti si riferiva non tanto ai reali bisogni della comunità e alla domanda di salute, ma sulla base di quelle che erano le esigente di bilancio delle varie amministrazioni. Tutto ciò comportava delle errate valutazione da parte delle Regioni sulle modalità di impiego delle risorse per la sanità. È proprio da queste deformazioni che nacque l’esigenza di razionalizzare la spesa sanitaria, soprattutto a partire dagli anni novanta quando questa raggiunse livelli difficilmente sostenibili.

I primi interventi di riordino della materia avvennero con i d.lgs 502 del 1992 (modificato dal d.lgs. n. 517 del 1993) e il d.lgs. n. 229 del 1999 (cd. riforme sanitarie bis e ter), con i quali si tentò di regolare le modalità del finanziamento della sanità, soprattutto ridimensionando il ruolo del FSN. È con queste riforme che venne introdotto il concetto di “livelli essenziali e uniformi di assistenza”, cioè delle prestazioni indispensabili che devono essere assicurate dal SSN e che devono essere individuate contestualmente all’indicazione delle risorse stanziate per il finanziamento della sanità. Questi cambiamenti avevano delle ripercussioni naturalmente sulla tematica del finanziamento, che cambiava a seconda che le risorse fossero stanziate per i L.E.A. o per altro. Nel primo caso il quantum necessario continuava ad essere stabilito nel Fondo sanitario nazionale tenendo conto però anche di altre risorse; per le prestazioni che non rientravano nei L.E.A. le fonti

99 V. PEDERZOLI, I nuovi criteri di finanziamento del servizio sanitario nazionale, in Sanità pubblica e privata, 2002, n. 6, pp. 735-736

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necessarie venivano invece individuate nell’autofinanziamento regionale100. Questo

sistema però presto fu oggetto di modifiche, soprattutto con il d.lgs. n. 446 del 1997 che ha introdotto l’Imposta regionale sulle attività produttive (I.r.a.p.) e l’addizionale regionale I.r.p.e.f.101 e con la l. n. 662 del 23 dicembre 1996 che ha tentato di

superare il criterio della “spesa storica”, individuando una “quota capitaria pesata”, calcolata secondo criteri che avrebbero dovuto tener conto dell’effettivo bisogno di salute dei cittadini di ciascuna Regione, in base alle concrete esigenze della comunità regionale (anticipando così il più moderno criterio di fabbisogno standard)102. Alla

luce di tutto ciò possiamo dedurre che l’I.r.a.p. diveniva la fonte principale del finanziamento sanitario mentre al Fondo sanitario nazionale rimaneva il compito di riequilibrare le differenze di gettito regionale. Il primo vero passo però verso il federalismo fiscale viene considerata la riforma del servizio sanitario effettuata con il d.lgs. n. 56 del 2000, attuativo della legge delega n. 133 del 1999, che prevedeva l’abbandono del modello finanza derivata e da trasferimento103. In questo modo

venivano aboliti i trasferimenti erariali, soprattutto quelli a favore del F.s.n, e venivano stabilite nuove forme di finanziamento delle spese regionali. Cessavano i vincoli di destinazione per le somme assegnate alle Regioni e la spesa sanitaria rientrava quindi in concorrenza con le altre spese regionali. Se ne deduce che le Regioni avrebbero dovuto trovare le risorse necessarie per soddisfare le proprie spese

100A. GALEAZZI, L’evoluzione del finanziamento della sanità e l’introduzione dell’Irap, in Sanità pubblica e privata, 2001, n. 2

101 L’I.r.a.p. è imposta reale, con aliquota variabile dalle Regioni in aumento o in diminuzione fino all’1%, il cui gettito è interamente devoluto alle Regioni e per la quasi totalità (90%) va a finanziare la spesa sanitaria delle stesse. L’addizionale I.r.p.e.f. ha, invece, un’aliquota adattabile dalle Regioni, secondo tra tetti minimi e massimi che sono progressivamente variati nel corso degli anni. E. JORIO, Diritto sanitario, cit., pp. 196-197

102 V. PEDERZOLI, I nuovi criteri di finanziamento del servizio sanitario nazionale, in Sanità pubblica e privata, 2002, n. 6, p 736 e ss.

103 P. LIBERATI, Sanità e federalismo fiscale in Italia, in G. France, Federalismo,

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in tre strumenti principali: la compartecipazione al gettito dell’I.v.a.; l’addizionale regionale sull’I.r.p.e.f. e la compartecipazione accresciuta all’accisa sulla benzina.

Con riferimento specifico alla sanità vi erano ulteriori entrate quali l’I.r.a.p. e i mezzi di autofinanziamento regionale. Tutte queste imposte servivano per andare a finanziare l’intero comparto sanitario. Questo sistema però ha subito delle inattuazioni, infatti, già con il d.l. n. 347 del 2001 (che recepiva il “Patto di stabilità per la salute”, di cui all’Accordo Stato-Regioni dell’8 agosto 2001) sono stati reintrodotti gli stanziamenti statali per il triennio 2002-2004, consentendo quindi di andare a coprire i disavanzi dei bilanci regionali mediante dei trasferimenti erariali. Sostanzialmente è tornato attivo il fondo sanitario nazionale.

Con le leggi finanziarie per il 2002 e per il 2003 sono stati posti degli obblighi di carattere economico- organizzativo in capo alle Regioni, “bloccando” anche l’autonomia delle stesse nella fissazione delle aliquote dell’I.r.a.p. e dell’addizionale I.r.p.e.f. Ma è con la legge finanziaria per il 2005 che vengono introdotti i c.d. “piani di rientro”, cioè dei provvedimenti con i quali le Regioni concordavano con lo Stato degli obiettivi e delle manovre strategiche volte a stabilire un recupero dell’equilibrio finanziario. Nel caso di mancato rispetto dei piani, come sanzione veniva stabilita la “pena” dell’automatica applicazione delle aliquote massime per l’I.r.a.p. e l’addizionale I.r.p.e.f., oltre all’attivazione di procedure sanzionatorie statali, quali il commissariamento della Regione, con la nomina di un commissario ad acta dotato di poteri straordinari. Naturalmente, anche in questo caso, per controbilanciare alla ridotta autonomia regionale, venivano previsti dei nuovi finanziamenti integrativi da parte del Fondo sanitario nazionale.

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Di fondamentale importanza però risulta la legge n.42 del 5 maggio del 2009 con la quale sono stati dettati numerosi principi tesi a responsabilizzare tutti gli attori istituzionali nell’esercizio del potere di spesa, fissando innanzitutto alcuni criteri generali per le politiche finanziarie, quali: il rispetto dei vincoli di bilancio imposti dai trattati internazionali e dagli obblighi comunitari, l’adozione di procedure di monitoraggio sull’efficienza delle prestazioni erogate e di strumenti idonei al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, nonché di circuiti premiali/sanzionatori nei confronti delle amministrazioni locali per il rispetto degli obiettivi di bilancio. Il coordinamento fra livelli di governo deve estendersi anche ai costi delle prestazioni erogate, ai saldi di bilancio e all’armonizzazione della pressione fiscale complessiva, secondo modalità da determinarsi in sede di Conferenza Stato-Regioni mediante un apposito “patto di convergenza”104. Anche

con questa legge veniva previsto il superamento della finanza da trasferimento e del criterio della spesa storica, come in precedenza aveva tentato di realizzare il d.lgs. 56/2000. Quindi le nuove fonti di entrata devono essere individuate: nei tributi regionali, nella compartecipazione a tributi erariali, nel fondo perequativo e nei contributi e finanziamenti dell’Unione Europea105. Da ciò si deduce che la

legislazione sul federalismo fiscale contiene comunque degli elementi di continuità con tutto ciò che veniva stabilito nel d.lgs. 56/2000.

Il d.lgs n.68/2011, infine, ha stabilito che il “fabbisogno sanitario”, vale a dire il livello complessivo delle risorse del S.S.N., viene determinato ogni anno con legge statale e viene finanziato da:

104 Articoli 17 e 18 della legge 42/2009

105 E.JORIO, L’art. 119 della Costituzione e il finanziamento della salute. Contraddizioni e limiti applicativi, in RAGIUSAN, 2008, n. 289-290, p. 79 e ss.

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- Entrate proprie delle aziende del servizio sanitario nazionale, tramite ticket, in un importo definito dalle intese Stato-Regioni;

- Fiscalità generale delle Regioni, vale a dire I.r.a.p. e I.r.p.e.f.;

- Compartecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano: questi compartecipano al finanziamento sanitario fino a concorrenza del fabbisogno non soddisfatto dalle fonti descritte precedentemente

- Bilancio dello Stato, che finanzia il fabbisogno sanitario non coperto dalle altre fonti di finanziamento attraverso la compartecipazione all'imposta sul valore aggiunto (IVA), le accise sui carburanti e il Fondo sanitario nazionale. La composizione del finanziamento del SSN viene evidenziata nei “riparti106” che

vengono proposti dal Ministero della Salute sui quali si raggiunge un'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni e vengono poi recepiti con propria delibera dal CIPE, il Comitato interministeriale per la programmazione economica.

Le Regioni assegnano le risorse finanziarie alle aziende, tenendo conto sia della mobilità passiva (cioè i residenti che si curano in strutture di altre aziende sanitarie o regioni) che della mobilità attiva (nel caso siano state curate persone proveniente dall’esterno dell’azienda).

Le aziende impiegano queste risorse per garantire ai cittadini l’erogazione delle prestazioni di loro competenza previste dai Livelli essenziali di assistenza. Le aziende vengono inoltre finanziate dalla Regione sulla base delle prestazioni erogate

106 Assegnazione del fabbisogno alle singole Regioni ed individuazione delle fonti di finanziamento www.salute.gov.it

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in regime di ricovero (attraverso il costo previsto dai DRG107) oppure negli

ambulatori (attraverso il tariffario delle prestazioni specialistiche e diagnostiche)108.

107 Diagnosis-related group, in italiano raggruppamento omogeneo di diagnosi , è un sistema che permette di classificare tutti i pazienti dimessi da un ospedale in gruppi omogenei per assorbimento di risorse impegnate. Tale aspetto permette di quantificare economicamente tale assorbimento di risorse e quindi di remunerare ciascun episodio di ricovero. Una delle finalità del sistema è quella di controllare e contenere la spesa sanitaria. www.salute.gov.it

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CONCLUSIONI

La funzione amministrativa viene definita come il prodotto dell’attività autoritativa della pubblica amministrazione, proprio perché l’amministrazione si avvale di un potere che gli viene attribuito per perseguire i fini indicati dalla legge. Nell’excursus che precede si può notare come tante cose sono cambiate, l’amministrazione nel tempo si è evoluta. Inizialmente la funzione amministrativa faceva parte del potere esecutivo mentre oggi esistono anche delle autorità indipendenti, mentre il Governo mantiene dei poteri di indirizzo e di controllo. È stata abbandonata anche la concezione autoritaria dello Stato in favore di una visione paritaria che punta al concorso attivo degli amministrati nei processi decisionali proprio in vista del soddisfacimento dell’utile sociale. La funzione amministrativa non è libera ma soggetta a procedimenti e controlli, inoltre ha natura permanente, cioè non è circoscritta al raggiungimento di uno scopo concreto o all’adozione di un singolo atto. Con il tempo si è avvertita l’esigenza di trasformare l’amministrazione nei suoi rapporti con i cittadini e nella sua organizzazione. Proprio per questo il legislatore a partire dalla fine degli anni novanta si è concentrato sui temi della semplificazione e dell’ammodernamento della PA. La semplificazione si è resa essenziale proprio per recuperare il ritardo competitivo dell’Italia e per liberare le risorse che servono per crescere. Semplificare significa ridurre i tempi di attesa che rappresentano un costo, non solo economico ma anche sociale e umano, insopportabile per l’Italia. Significa assicurare tempi certi a chi vuole fare impresa e creare lavoro, eliminando tutte le complicazioni dell’amministrazione. Solo in questo modo la pubblica amministrazione potrà recuperare la sua funzione di motore della crescita economica e del benessere dei cittadini. È con la riforma “Madia” che viene istituita l’Agenda

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per la semplificazione che inaugura una nuova stagione. Con questa Agenda è stato avviato un metodo di lavoro nuovo, che prevede la collaborazione di tutti i livelli istituzionali. Infatti per la prima volta il Governo, le Regioni, i Comuni, le Province e le Città Metropolitane si assumono l’impegno di assicurare l’effettiva realizzazione degli obiettivi che vengono individuati. Con questa Agenda vengono indicati dei settori strategici di intervento che rappresentano gli ambiti fondamentali della vita di un cittadino e di un’impresa: cittadinanza digitale; welfare e salute; fisco; edilizia e impresa.

Per quanto riguarda la cittadinanza digitale, cambia il rapporto tra i cittadini e l’amministrazione. I cittadini vengono messi al centro dell’azione amministrativa, proprio per assicurare l’erogazione online di sempre più servizi e l’accesso alle comunicazioni di interesse dei singoli cittadini e delle imprese direttamente tramite internet.

Con riferimento al welfare e alla salute, l’Agenda mira ad assicurare l’accesso ai referti online e la prenotazione delle prestazioni per via telematica o per telefono, al fine di eliminare file e attese inutili per i cittadini. Inoltre al fine di ridurre gli adempimenti burocratici che complicano soltanto la vita alle persone portatrici di disabilità, è necessario semplificare l’eccesso ai servizi. Per questo sono previste azioni di semplificazione di immediato impatto sulla vita quotidiana delle persone con disabilità.

Per quanto concerne il fisco, i cittadini e le imprese considerano gli adempimenti fiscali gravosi e inoltre il sistema fiscale è molto complesso. In questo campo semplificare significa ridurre per i cittadini e le imprese non solo i tempi ma anche i

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costi amministrativi necessari per rispettare gli obblighi fiscali. Con questa Agenda si mira a facilitare gli adempimenti, introdurre nuove e più precise forme di colloquio tra gli utenti e il fisco e soprattutto rendere trasparenti tutti i dati e le informazioni. L’edilizia, la quarta delle aree tematiche su cui si basa l’Agenda, rappresenta un settore critico. Tempi lunghi, costi burocratici eccessivi, elevato numero di amministrazioni a cui rivolgersi, differenziazione delle procedure tra un Comune e un altro, sono tutti i problemi che affliggono questo settore. Con l’Agenda per la semplificazione si vuole ridurre tempi e costi, garantire un unico interlocutore per cittadini e imprese e standardizzare moduli e adempimenti. Solo in questo modo è possibile ridurre i costi e i tempi dei procedimenti.

Per quanto riguarda l’ultima delle aree tematiche prese in considerazione dall’Agenda, l’Impresa, i tempi lunghi e incerti, l’eccesso dei costi e i numerosi adempimenti rappresentano un ostacolo fondamentale per chi vuole “fare impresa”. Negli anni sono stati molti gli interventi normativi che si sono susseguiti ma che purtroppo non hanno affrontato in modo efficace questo problema cruciale per la crescita del nostro Paese. Quello che propone questa Agenda è innanzitutto la predisposizione di una base dati dei procedimenti amministrativi indispensabile per la semplificazione, l’adozione di modelli unici ma soprattutto la necessità di nuove soluzioni per ridurre tempi e costi per l’avvio e l’esercizio delle attività di impresa e assicurare la certezza degli adempimenti.

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