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A esclusione del solo Tozzi, chiuso nell’angusto mondo senese, è tipico degli scrittori modernisti (che, in questo caso, condividono questa caratteristica con le avanguardie) un atteggiamento di apertura verso le tendenze che attraversano le letterature straniere. Per Borgese rinvigorire la produzione letteraria italiana significava in primo luogo sprovincializzarla, favorendo i contatti con la letteratura d’oltrefrontiera, rapporti che costituivano anche un’arma per sua la lotta contro il frammentismo di matrice vociana.106 Il critico siciliano ragiona sempre adottando un’ottica europea. Non a caso Rubè (e forse anche la narrativa minore dello scrittore siciliano) appartiene, pur con originali differenze, non solo alla medesima area di famiglia del romanzo modernista italiano, ma più in generale a quella del modernismo europeo. Il critico siciliano si prodiga attivamente in quest’operazione di internazionalizzazione della letteratura italiana dirigendo il ponderoso progetto della Biblioteca romantica (oltre cinquanta classici della letteratura mondiale, editi per Mondadori) – cui ho accennato in precedenza.107 Leonardo Sciascia, ricordando che «gli scrittori viventi venivano anche in uno scrittore come Borgese, per il quale l’organicità era un principio assoluto. Infatti, per un libro come il racconto-lungo (o romanzo breve) Tempesta nel nulla, integralmente permeato da una visione religiosa della letteratura, si è parlato di «religiosità ancora intimistica, che stenta ad aprirsi al sociale […] e che testimonia il grado zero dell’impegno pubblico» (V. Licata,

L’invenzione critica: Giuseppe Antonio Borgese, cit., p. 114 e Id., «Tempesta nel nulla», «Il grado zero» dell’impegno, in G. A. Borgese. La figura e l’opera, cit., 299-302.

106 Sull’attenzione di Borgese verso le letterature straniere: G. P. Giudicetti, La narrativa di

Giuseppe Antonio Borgese, cit., pp. 43-46.

107 AA.VV., Biblioteca romantica, diretta da G. A. Borgese, cit.; cfr. I. de Seta, “La biblioteca

romantica” 1930-1938. Il contributo di Giuseppe Antonio Borgese alla formazione di un canone della letteratura straniera in Italia, cit.; D. Biagi, Una lingua per il romanzo moderno. Borgese editore e traduttore, in «La densità meravigliosa del sapere». Cultura tedesca in Italia fra Settecento e Novecento, a cura di Maurizio Pirro, Milano, di/segni, 2018, pp. 167-185; E.

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sollecitati e coinvolti a leggere, a rileggere, a tradurre»108, segnala come il suo progetto troverà seguito anche presso l’editore Einaudi: «È da segnalare come l’operazione di Borgese con la ‘romantica’ mondadoriana, di far tradurre agli scrittori italiani i grandi romanzi stranieri, sia stata ripresa, e in qualche caso recuperata, da Giulio Einaudi»109. Non è casuale che a riconsiderare l’importanza di Borgese sia un critico come Debenedetti, anche lui attento al panorama europeo e fautore di un rinnovamento morale che passi attraverso le arti.110 Se non fosse emigrato negli Stati Uniti, probabilmente Borgese avrebbe condiviso l’impostazione di «Solaria» e «Letteratura», riviste che, col loro sguardo rivolto verso gli orizzonti della World Literature, si sono fatte veicoli di importazione in Italia di molti autori stranieri.111 L’interesse di Borgese per le letterature straniere è coerente con la predilezione per la narrativa, genere di ancora insufficiente tradizione al principio del XX secolo nella letteratura italiana, in opposizione alla lirica. Infatti, la preferenza di Borgese per il romanzo è sì

conseguenza di una sua particolare scelta o inclinazione d’animo, ma anche frutto del suo costante interesse per le letterature straniere in un particolare clima italiano in cui, tranne poche eccezioni, ci si limitava, pur sentendo la necessità di una sprovincializzazione della cultura, ad

pp. 12-17; I. Calvino, La «Romantica», cit.; L. Sciascia, Borgese, in Cruciverba, cit., pp. 202-208 e Id. Nota a ‘Le Belle’, 1983, pp. 165-176.

108 L. Sciascia, L’Omnibus di Longanesi, in Id., Fatti diversi di storia letteraria e civile, Milano, Adelphi, 2009, pp. 160-171: 166.

109 Ibidem. 110

Su Borgese e Debenedetti: I. de Seta, Con Borgese e Debenedetti: Tozzi, artista di una

provincia europea, in Federigo Tozzi in Europa, cit., pp. 91-106: 91-96; M. Onofri, Borgese e Debenedetti, in Id., Altri italiani: saggi sul Novecento, a cura di Barbara Pasqualetto, Roma, Gaffi,

2012, pp. 57-76; prima in «Nuovi Argomenti», luglio-settembre 2001, pp. 145-63.

111 Cfr. R. Donnarumma, «Solaria» e il canone della narrativa modernista, in La rete dei

modernismi europei. Riviste letterarie e canone (1918-1940), cit., pp. 161-180; L. Cristiano, Le traduzioni di «Solaria», in La rete dei modernismi europei. Riviste letterarie e canone (1918- 1940), cit., pp. 181-196; M. Panetta, Le riviste e la scrittura del romanzo, in Il romanzo in italia,

cit., pp. 229-40; A. Stara, Partita sospesa. Gli anni di «Primo Tempo», in La rete dei modernismi

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incentrare l’attenzione più sugli aspetti lirici che non narrativi della cultura europea.112

L’attività critica dell’intellettuale palermitano non fa che confermare il suo interesse nazionale: oltre a due volumi quasi interamente dedicati alle letterature europee (Studi di letterature moderne, 1915; Ottocento europeo, 1927), in tutte le opere critiche vi sono contributi sulle letterature straniere.

Borgese come critico militante ha la grande dote di scoprire e valorizzare nuovi talenti, tra i quali spiccano i casi di Tozzi e Moravia (senza dimenticare quelle di Soldati e Piovene).113 In Tempo di edificare il critico siciliano annovera Tozzi – a cui è riservato un intero capitolo114 –, insieme a Pirandello, Panzini115 e Moretti, tra i rinnovatori più fecondi della letteratura italiana.116 Tozzi, nel volume

Realtà di ieri e di oggi (1928),117 raccolta di saggi critici scritti tra il 1913 e il 1920, anticipa molti dei temi trattati da Borgese in Tempo di edificare (1923). Quest’ultimo, oltre ad aver influito sull’evoluzione artistica dello scrittore senese, subito dopo la precoce morte di Tozzi (1920) si fa patrocinatore della sua opera: cura la pubblicazione dei romanzi ancora inediti Ricordi di un impiegato118 e Gli

egoisti, di alcune novelle raggruppate sotto il titolo L’amore (questa uscita non

112 M. N. Frascarelli Gervasi, I romanzi di Borgese e la tradizione narrativa americana: spunti e

suggestioni, in «Critica letteraria», 1982, pp. 359-372: 359.

113 Sulla critica militante e sullo stile critico di Borgese: L. Parisi, La critica militante di G. A.

Borgese, in «Italian Studies», 1999, pp. 102-117; A. Palermo, Borgese critico, in G. A. Borgese. La figura e l’opera, cit., pp. 325-50.

114

G. A. Borgese, Tempo di edificare, cit., pp. 23-63. Su Borgese e Tozzi: I. de Seta, Con Borgese

e Debenedetti: Tozzi, artista di una provincia europea, cit., pp. 91-94; C. Spalanca, Borgese e Tozzi, in G. A. Borgese. La figura e l’opera, cit., pp. 385-98; L. Reina, Borgese e Tozzi, in «Critica

letteraria», 1981, n. 3, pp. 474-85.

115 Diversamente da quanto fa Tozzi, che critica Panzini in un articolo: F .Tozzi, Alfredo Panzini, in Id. Realtà di ieri e di oggi, cit., pp. 285-94.

116 G. A. Borgese, Tempo di edificare, cit., p. 256. 117 F. Tozzi, Realtà di ieri e di oggi, cit.

118

Id., Ricordi di un giovane impiegato, con un Avvertenza di Giuseppe Antonio Borgese, Roma, La rivista letteraria, 1920.

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postuma, ma nel 1919)119 e del dramma L’incalco,120 insiste presso Treves affinché i romanzi tozziani siano accolti nel suo catalogo e scrive prefazioni e articoli encomiastici121 in opposizione alle stroncature di Gargiulo e Russo,122 severi recensori a loro volta anche del Rubè borgesiano. Diversamente da molta critica (tra questi il già citato Gargiulo, Prezzolini e Pirandello) che considera Tozzi, in particolare per la raccolta di brevi novelle Bestie del 1917, uno scrittore frammentista, il critico polizzano vede nell’opera di Tozzi la riscoperta di una tipologia di romanzo di ampia costruzione, strumento ideale per una profonda espressione artistica che mostri la cruda verità della vita. Infatti, l’interesse per Tozzi rafforza Borgese verso la sua meta teorico-critica:

Le ragioni della lettura borgesiana vanno correttamente individuate nell’intento programmatico e anche divulgativo che il critico andava perseguendo nell’elaborazione delle sue teorie le quali gli facevano piuttosto accettare, sul piano critico, una costruzione narrativa di impianto realistico, esposta alla complessità e alle peripezie romanzesche, che non versioni allucinanti e misticheggianti di fantasmi poetici.123

Tuttavia benché individui correttamente nello scrittore senese uno dei «primissimi edificatori della nuova giornata letteraria d’Italia»124, sul critico siciliano pesa l’onere di considerare Tozzi uno scrittore neo-verista, un epigono di Verga, mentre il progetto dello scrittore senese era quello di «assorbire la tradizione per

119

Id., L’amore. Novelle, Milano, Vitagliano, 1919. 120

Id., Gli egoisti – L’incalco, con una nota preliminare di Giuseppe Antonio Borgese, Roma- Milano, Mondadori, 1923.

121 G. A. Borgese, Federigo Tozzi, «I Libri del giorno», 4 aprile 1920, pp. 171-74; Id., Federigo

Tozzi e la piccola borghesia: giovani, l’amore, ricordi di un impiegato, «I Libri del giorno», 9

settembre 1920, pp. 457-59; Id., “Il Podere” di Federigo Tozzi, «I libri del giorno», 4 aprile 1921, pp. 174-76; Id., Il precursore Tozzi, «Corriere della Sera», 11 luglio 1928.

122 C. Carabba, Tozzi, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 113. 123

L. Reina, Borgese e Tozzi, cit., p. 149. 124

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stroncarla»125. Infatti, dell’autore senese egli apprezza non tanto la novità dirompente di Con gli occhi chiusi, ma soprattutto Tre croci, nel quale il critico polizzano vede il raggiungimento della perfetta oggettivazione che si conviene al narratore. Non si trattava di una banale preferenza di gusto, bensì di un preciso piano ermeneutico:

Borgese aveva visto in Tozzi l’uomo capace di contribuire fattivamente a un rinnovato tempo di edificare […]. Includere Tozzi in un grande piano di ricostruzione voleva dire usarlo contro le avanguardie, chiamarlo a testimoniare in favore di Rubè, il capolavoro narrativo dello stesso Borgese, proiettarlo nel ritorno all’ordine degli anni Venti.126

Invece, Giacomo Debenedetti inaugura un nuovo pensiero ermeneutico su Tozzi, nel definire Tre croci «uno splendido passo indietro»127 proprio per il suo impianto più tradizionale e meno modernista, e nell’identificare in Con gli occhi

chiusi l’opera tozziana più significativa, in chiave modernista e anti-naturalista:128

Debenedetti invece riportava Tozzi al disordine. Non ne faceva un avanguardista […], ma lo riallacciava, sia pure su livelli di rapporto analogico, a una letteratura europea di punta che per lui valeva di più delle sperimentazioni con tanto di programma e di manifesto. E Tozzi tornava a essere quella che realmente era stato: l’uomo della demolizione del romano naturalista e del personaggio di cui siamo in grado di controllare, dalla nostra specola demiurgica, vita morte miracoli. Insieme con Svevo e con Pirandello, Tozzi era un moderno perché aveva rinunciato a capire come stanno le cose, perché avevo rinunciato al diritto di

125 R. Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 74. Sulle differenze tra il mondo di Verga e quello di Tozzi cfr. le riflessioni di L. Russo in I

narratori, a cura di Giulio Ferroni, Palermo, Sellerio, 1987, p. 18, e A. Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano: ‘Il podere’, Padova, Liviana, 1972, pp. 58ss.

126 L. Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 37. 127

G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, cit., p. 222. 128

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giudizio e di condanna, perché aveva limitato al massimo il proprio ruolo e si era imposto di non evadere dalla mera rappresentazione.129

Pochi anni dopo, Borgese scopre per primo l’esordiente Alberto Moravia de

Gli indifferenti (1929),130 cogliendo anche che questo romanzo sarebbe potuto diventare il caposcuola di una nuova corrente o di una nuova serie di personaggi: «‘Gl’indifferenti!’ Potrebbe essere un titolo storico. Dopo i crepuscolari, i frammentisti, i calligrafi, potremmo avere anche il gruppo degl’indifferenti»131

. Borgese tiene a battesimo questa generazione di giovani narratori, tra i quali, oltre a Moravia, i più famosi sono Soldati e Piovene, cui augura di sapersi congedare dai loro personaggi, spettri della crisi morale, come lui aveva saputo fare con

Rubè.132 L’entusiasmo del critico siciliano per Moravia e il tentativo di portarlo alla ribalta sono indice soprattutto del suo gusto per un romanzo ben strutturato, “riedificato”, che egli vede in questa nuova generazione di scrittori: «nei nuovi romanzi, quindi, Borgese ammira la capacità di saper rappresentare in modi, linguaggi e forme adeguate e organicamente corrispondenti, la condizione esistenziale contemporanea»133. Infatti, Moravia è sì innovativo, ma in senso realistico, avulso dai radicali e dagli avanguardismi estremi di quel torno di anni. Lo scrittore romano guarda a Pirandello, ma ne marca anche la distanza affermando che il romanzo, per conservare vitalità, deve rispettare «l’equilibrio rigoroso del pensiero e dell’azione», mentre rimproverava a Pirandello un abuso di «cerebralità».134 Nemmeno Borgese si conforma all’ideale moraviano: infatti, in Rubè l’azione è quasi sempre schiacciata dai rovelli della coscienza del

129

L. Baldacci, Tozzi moderno, cit., p. 37.

130 G. A. Borgese, ‘Gli Indifferenti’, cit., pp. 214-20. 131 Ibidem.

132 Questo concetto è ribadito a più riprese nelle recensioni contenute nel volume La città assoluta

e altri scritti.

133 A. Carta, Il cantiere Italia. Capuana e Borgese costruttori, p. 134.

134 Queste affermazioni si trovano in un articolo del giovane Moravia, pubblicato nel 1927 sulla «Fiera letteraria» che cito da P. Voza, Nel Ventisette sconosciuto: Moravia intorno al romanzo, in «Belfagor», marzo 1982, pp. 207-210.

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protagonista. Anche Giacomo Debenedetti nota il cambiamento introdotto da Gli

indifferenti, nella cui opera il «romanzo moderno» di Pirandello, Svevo e Tozzi

raggiunge un ulteriore grado di maturazione realistica:

Una vera presa di coscienza non si comincia a intravvedere, e solo sporadicamente, isolatamente, che nell’interpretazione realistica degli

Indifferenti di Moravia, uscito nel 1929, e nella geniale intelligenza realistica

dei romanzi di Svevo, riscoperti proprio in quello stesso giro di anni.135

Salvatore Battaglia mette in rilievo i meriti e il metodo della critica borgesiana con queste parole: «Borgese possedeva la capacità di rappresentare il momento critico di uno scrittore o la insufficienza organica di una ispirazione nella fulminea icasticità di un’immagine, che il più delle volte conserva al giudizio dialettico la sua prima verità intuitiva».136 Sulla lungimiranza critica di Borgese e su alcune sue calzanti definizioni (celebre la coniazione dei crepuscolari)137 si è felicemente parlato di «sguardo da postero»138. L’assidua missione di Borgese come critico militante fa affermare, dopo la morte improvvisa dell’intellettuale polizzano, a Emilio Cecchi, malgrado questi lo avversasse, che «se si dovesse ricercare quante idee critiche, su autori nostrani e stranieri sono in circolazione, che Borgese enunciò per la prima volta, ce ne sarebbe del lavoro da fare, e proficuo»139. Su

135 G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, cit., p. 5. Cfr. anche S. Guerriero, «Gli Indifferenti»

nella storia del romanzo, «Belfagor», maggio 2008, pp. 259-70.

136 S. Battaglia, Ritorno di Borgese, in Occasioni critiche, Napoli, Liguori, 1964, pp. 204-212: 207.

137

Cfr. G. Savoca, Borgese e i crepuscolari: per la storia semantica di un concetto critico, in G.

A. Borgese. La figura e l’opera, cit., pp. 241-56.

138 A. Cavalli Pasini, L’unità della letteratura, cit., p. 104.

139 Cit. da M. Robertazzi, Introduzione a G. A. Borgese, La città assoluta e altri scritti, cit., p. 9. In un articolo ho voluto mettere in luce un’altra piccola specola dell’ingente produzione critica militante di Borgese, quella riservata alle scrittrici a lui coeve e alla sua concezione della letteratura femminile del suo tempo in rapporto a quella maschile, quest’ultima ritenuta talvolta inferiore alla prima dal polizzano. L’articolo, dal titolo “Verso un canone plurale. Le scrittrici nella critica di Giuseppe Antonio Borgese”, è in procinto di apparire nel volume Escritoras de la

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questa asserzione, Sciascia chioserà mestamente che nel 1982, a trent’anni dalla scomparsa di Borgese, nessuno aveva ancora intrapreso questo lavoro (e noi potremmo aggiungere che, su questo versante della critica borgesiana, c’è ancora molto da fare).140

Vicenta Hernández Alvárez, Granada, Editorial Comares, 2019, esito degli Atti del Congreso Internazionale “Scrittrici e canone. Presenze, assenze e sfide”, Università di Salamanca, 4-6 luglio 2018.

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Cfr. L. Sciascia, G. A. Borgese: ciò che insegna la sua fede letteraria e politica, cit.; ora in G. A. Borgese, Rubè, cit.

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CAPITOLO V

Ostracismo nei confronti di Borgese e stroncature di Rubè