Borgese si inserisce nel panorama letterario con la stessa postura dei modernisti italiani (anche se questo elemento può riguardare anche autori non modernisti): agisce singolarmente, è un isolato che non si unisce ad alcun gruppo,
95 A. Carta, Il cantiere Italia. Capuana e Borgese costruttori, cit., pp. 129. 96
G. De Leva, Dalla trama al personaggio: Rubè di G. A. Borgese e il romanzo modernista, cit., p. 37.
146
parla sempre a titolo personale, da battitore libero, non cavalca l’onda delle tendenze del tempo e, sebbene sia un protagonista del dibattito critico di inizio secolo, la sua produzione artistica è – come vedremo nel prossimo Capitolo – spesso stroncata e trascurata. Svevo fino al 1925 è o disprezzato o misconosciuto; Tozzi viene scoperto, valorizzare e pubblicato da Borgese, ma inizia a raggiungere la degna fama solo dagli anni Sessanta grazie a Debenedetti; anche il più famoso Pirandello veniva considerato maggiormente per la sua produzione teatrale che per quella narrativa; il più giovane Gadda vive «una solitudine orgogliosamente tragica: non cede al disimpegno ludico né si rifugia nell’ideologia di una letteratura che crede di riuscire comunque a predicare qualcosa – come direbbe Calvino – del “mondo non scritto”»97. Anche Massimo Bontempelli, inserito nel modernismo da Romano Luperini,98 nella prefazione de
La vita intensa (1920),99 dichiarando di scrivere «per i posteri», come afferma
pure ne La vita operosa (1921),100 si mostra consapevole di vivere, da scrittore, una condizione di esclusione.
Come abbiamo visto, sul piano della critica il giovane Borgese ha il coraggio di andare addirittura contro Croce, un perno allora centrale del mondo letterario italiano, mettendosi così in posizione di difficoltà; sul piano estetico-letterario si scaglia contro il frammentismo e il soggettivismo vociano, attirandosi altre antipatie, e non aderisce a nessun progetto programmatico delle riviste dell’epoca né tantomeno ai manifesti e alle poetiche condivise delle avanguardie storiche, che avversa.
La ragione dell’approccio solitario dei modernisti contrapposto alle comunità che formano gli avanguardisti risiede in un’antitetica «concezione del lavoro
97 R. Donnarumma, Gadda modernista, cit., p. 18.
98 R. Luperini, Il modernismo italiano esiste, cit., pp. 3-12: 11.
99 M. Bontempelli, La vita intensa, a cura di Luigi Baldacci, in Opere Scelte, I Meridiani, Miliano, Mondadori, 1978.
100
Id., La vita operosa, a cura di Luigi Baldacci, in Opere Scelte, I Meridiani, Miliano, Mondadori, 1978.
147
intellettuale»101. I modernisti, pur apportando innovazioni tematiche e formali, non intendono devastare il solco tracciato dal passato uccidendo i padri della tradizione letteraria, ma si prefiggono riassorbirla e modificarla. Per converso, gli avanguardisti sferrano un attacco rivoluzionario, distruttivo, iconoclasta verso chi non aderisce alla loro poetica estremista e percepiscono come nemici da abbattere coloro che non appartengono al loro gruppo. Mentre le avanguardie attribuiscono forte valore al mero gesto artistico di rottura e provocazione e manifestano un tetragono integralismo teorico, praticando quello che Compagnon denomina
terrorismo teoretico,102 Borgese, pur nascendo come critico, per giustificare la sua idea di riedificazione di un romanzo che offra una visione organica della vita, sceglie di scrivere narrativa perché non antepone mai l’intenzione all’opera, assegnando a quest’ultima assoluto valore artistico. Sempre Compagnon mette saggiamente in guardia dall’asservire l’arte alla teoria:
Il rapporto fra intenzione formale e novità effettiva non è scontato, perché l’arte tende a confondere le migliori intenzioni del mondo. Pensare di sottometterla a delle idee, a una filosofia, a una politica, a un sistema, non significa forse farsene una ben misera idea?103
101 R. Castellana, Realismo modernista, cit., p. 28.
102 A. Compagnon, I cinque paradossi della modernità, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 69. Si può cogliere un parallelismo tra gli avanguardismi e i modernismi dell’arte pittorica e quelli della letteratura e nel rapporto tra teoria e pratica in queste due pratiche artistiche: «Dopo il prestigio del nuovo e l’entusiasmo futurista, che fecero la loro comparsa separatamente, un altro tratto, anch’esso contraddittorio, si ricollega per noi alla tradizione moderna: il suo terrorismo teoretico. […] Il paradosso del ruolo attribuito nella tradizione moderna alla teoria: gli artisti che avrebbero segnato la storia in profondità, come Cézanne, si basarono spesso su teorie giudicate deboli o false, mentre i più inflessibili programmi teorici e i manifesti avanguardisti più convinti diedero luogo a opere presto dimenticate, che lasciarono solo ricordi aneddotici. Nel corso del XX secolo la corrispondenza fra teoria e pratica è stata spesso incerta. I primi moderni, come Baudelaire o Manet, o ancora Cézanne, furono tali loro malgrado o a loro insaputa; non si pensavano né rivoluzionari né teorici. Manet voleva rifare Giorgione, Cézanne voleva rifare Poussin: la loro parola d’ordine era ‘rifare’, non ‘fare del nuovo’ (Compagnon, p. 69).
103
148
Il ritorno al romanzo è coerente con la concezione di Borgese della letteratura come mediazione, mentre l’avanguardia, con la sua pratica dell’attacco estetico e dello strappo ideologico, con la sua incompiutezza costitutiva, con suo rigetto di qualsiasi ipotesi di Mimesis del reale, si contraddistingue per il rifiuto netto di ogni mediazione, esprimendo «un modo di arte e di letteratura che pone immediatamente le contraddizioni (forma-contenuto, soggettivo-oggettivo, arbitrario-necessario, razionale-irrazionale, psicologismo-naturalismo)»104. Se André Breton, teorico del surrealismo, forse l’avanguardia più spinta, attacca Cézanne in virtù del principio per cui la rappresentazione deve sparire completamente, non deve mantenere alcun rapporto col mondo esterno, gli scrittori modernisti credono ancora nell’estetica della rappresentazione. La posizione di Borgese nei confronti delle avanguardie è quella di un postumo: dopo che queste hanno violentato la tradizione, per il critico siciliano la rifondazione del romanzo deve passare attraverso la riesumazione e la rielaborazione del realismo e del naturalismo ottocenteschi. Da tale ermeneutica deriva il riconoscimento di Verga come pilastro su cui riedificare il romanzo e l’identificazione – fortemente criticabile – di Tozzi come prosecutore del verismo verghiano.
L’ulteriore originalità e l’ulteriore isolamento di Borgese, anche rispetto ad altri scrittori modernisti, sono caratterizzati dal fatto che l’intellettuale siciliano crede saldamente che la letteratura non possa rimanere avulsa dalla realtà, desumendo dal De Sanctis l’idea che la critica debba assolvere una funzione sociale, etica e politica:
Dal De Sanctis Borgese trae insomma l’idea di un fare letterario rivolto all’azione, al gesto, al movimento; incluso nel senso drammatico dell’esistenza e delle sue lacerazioni; davvero puntato allo sforzo di recuperare alla critica una responsabilità civile e morale.105
104 F. Fortini, Avanguardia e mediazione [1968], in Verifica dei poteri. Scritti di critica e di
istituzioni letterarie, Torino, Einaudi, 1989, pp. 73-83: p. 77.
105
A. Cavalli Pasini, L’unità della letteratura: Borgese critico e scrittore¸ cit., p. 120. Spesso non tutta l’opera di uno scrittore mantiene la stessa linearità e la stessa unità interne. Questo avviene
149