Ho già rilevato l’importanza della lezione del paradigma del romanzo ottocentesco per le intenzioni di Borgese di rifondare la «nuova giornata letteraria italiana»1, anche al fine di superare le derive della bella pagina e della poesia
pura dei vociani. Vale la pena soffermarsi ora sulle ragioni per cui il genere del
romanzo ben si confà alle esigenze teorico-critiche ed etico-estetiche dell’autore siciliano.
Nel volume critico Tempo di edificare (1923), scritto in simultanea a Rubè (1921), Borgese dichiara che il mutato panorama del mondo letterario (e dell’epoca storica post-bellica) richiede una nuova letteratura, che soppianti l’intimismo sterile dei vociani e che risponda con opere organiche, strutturate e solide alle istanze etiche ed estetiche della nuova società:
L’atmosfera letteraria del ’21 è già di pace, adeguata a un’epoca che vuole prendere consapevolezza di sé e formarsi un gusto, uno stile, un sistema. […] [Si avverte] il bisogno di un libro concludente e conclusivo […] un’opera organica e programmatica. […]
Sintesi, architettura, libro: queste le parole con cui approssimativamente si può contrassegnare il nuovo gusto. Il frammentismo è cosa trapassata […]
Si tende alle cose robuste e ai problemi seri. Questa nuova letteratura è degna di un critico.2
1
G. A. Borgese, Tempo di edificare, cit., p. VII. 2
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Borgese aspira ricostruire una letteratura che «abbia un principio, un mezzo e un fine, un significato e una struttura»3, a ricostituire un paradigma narrativo che sostenga la «rappresentazione integrale dell’uomo»4
richiesta dalla società del dopoguerra.
Come abbiamo visto, un altro avversario estetico e ideologico di Borgese sono le avanguardie, il quale manifesta, invece, una concezione tradizional- modernista della letteratura.5 Dicevamo che la narrativa modernista si caratterizza per essere sperimentale e innovatrice ma, pur col suo statuto di novità, intrattiene comunque delle relazioni con la tradizione del romanzo ottocentesco (soprattutto con quello di metà e secondo Ottocento), non assumendo mai le forme iconoclaste e distruttive delle avanguardie.6 Infatti, tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo Novecento intercorre una dialettica di continuità e rottura poiché «una parte considerevole dei romanzieri modernisti resta fedele al progetto che, declinato in modi differenti, troviamo negli scritti critici degli autori nati intorno al 1840 (Émile Zola, Henry James) e, prima ancora, negli scritti critici di Balzac o di Stendhal: raccontare bene, realisticamente, la vita quotidiana»7. La continuità con la narrativa ottocentesca si manifesta, a livello di poetica, con la salvaguardia del concetto di realismo, benché ripensato e rimodulato in modi nuovi, e, a livello di genere, con l’esigenza, sbandierata con forza anche da Borgese, di puntare sulla forma-romanzo, intesa come unità compiuta, compatta e coesa nella quale ancorare le parole alle cose, la vita al testo.
Quella dell’intellettuale siciliano è, in tutto e per tutto, una poetica dell’unità.8
Nella prassi artistica, Borgese vede nel genere romanzesco il corrispettivo formale e l’approdo naturale delle sue teorie critiche sull’organicità dell’opera d’arte come
3 Ivi, p. 79. 4 Ibidem.
5 Cfr. supra, pp. 143-46. 6 Cfr. supra, pp. 107-09.
7 G. Mazzoni, Teoria del romanzo, cit., p. 308.
8 È significativo che, anche a distanza di anni, nel 1934, Borgese dia proprio il titolo Poetica
dell’unità a un volume di critica che contiene una miscellanea di saggi. G. A. Borgese, Poetica dell’unità, cit.
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struttura unificante in cui confluiscono impulsi etici, estetici, storici, sociali e politici:
Di natura enciclopedica e onnivora, il romanzo è lo spazio in cui meglio si manifesta la forza organizzativa e prescrittiva del messaggio letterario e in cui, di necessità, hanno diritto di cittadinanza anche idee di natura filosofica, etica e politica. Come avrebbe potuto Borgese non ritenere necessario, a un certo stadio del suo percorso culturale, esplorare anche questa strada?9
Di conseguenza, non è un caso che Rubè costituisca un’opera di natura
esemplare,10 «che davvero si propone come tentativo di rappresentare una visione completa della vita, in un periodo storico irto di sovvertimenti sociali e ideologici».11 Sebbene all’uomo moderno l’autenticità degli ideali dell’epos non sia più concessa perché risulterebbe anacronistica, la potenzialità epica del genere romanzesco è stata messa molto bene in luce da Gyorgy Lukács in Teoria del
romanzo (1920),12 opera proprio contemporanea di Tempo di edificare e di Rubè. Sulla scia delle Lezioni di estetica di Hegel,13 il filosofo e critico ungherese caratterizza l’epica per la presenza della totalità dell’essere, del reale e degli oggetti, inseparabili dal destino individuale dei protagonisti, identificando in
Guerra e pace – tra i capolavori della letteratura mondiale più apprezzati da
Borgese proprio per la sua natura di romanzo-mondo – l’archetipo di una nuova epopea moderna in cui si realizza la rappresentazione di un Intero, in un’epoca,
9
A. Cavalli Pasini, L’unità della letteratura: Borgese critico e scrittore, cit., p. 191. E cfr. ivi, pp. 241-46.
10 A. Carta, Il cantiere Italia, cit., p. 134; M. Santoro, Esemplarità di ‘Rubè’, cit. 11 Ivi, p. 244.
12 Su questo aspetto: G. Lukács, Teoria del romanzo, cit., pp. 21-61; Cfr. M. Bachtin, Epos e
romanzo, cit., pp. 445-82; M. Fusillo, Fra epica e romanzo, cit., pp. 5-34; T. Adorno, Sull’ingenuità epica, cit., pp. 31-37; Id. Teoria estetica, cit., pp. 200ss.; E. Auerbach, Mimesis, cit.,
vol. I, pp. 3-29; W. Benjamin, Il narratore, Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov, cit., pp. 247-74.
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quella moderna, in cui nondimeno la totalità estensiva della vita non è più data, in cui l’immanenza del significato della vita è divenuta una crux desperationis. Del resto, Borgese intercetta una direttrice comune sul credo nel romanzo quale genere che meglio rappresenta la sua epoca, come dimostra ciò che afferma D. H. Lawrence, a latitudini molto lontane, nel saggio Perché il romanzo conta del 1925, coevo quindi al borgesiano Tempo di edificare:
Nulla è importante se non la vita […]. Per questa ragione sono un romanziere. Ed essendo un romanziere, mi considero superiore al santo, allo scienziato, al filosofo e al poeta – che sono tutti grandi esperti di parti diverse dell’uomo vivente, ma non colgono mai l’intero.
Il romanzo è il solo fulgido libro della vita […]. Che cosa sono se non un uomo vivente, dall’inizio alla fine? Uomo vivente, non semplici parti.14
Non è un caso isolato: possiamo ritrovare le stesse teorie sul romanzo da Balzac a Zola, da Henry James a Virginia Woolf ed E. M. Forster.15
Un altro elemento del genere romanzesco congeniale alla poetica di Borgese è dato dal fatto che il romanzo rappresenta la forma letteraria moderna più completa e più adatta alla mimesi del reale essendo per sua natura – come afferma Michail Bachtin – un genere ibrido e inclusivo, che ingloba e stinge gli altri generi.16
14 D. H. Lawrence, Why the Novel matters, in Id., Phoenix. The Posthumous Papers, New York, The Viking Pressi, 1936; ora in Id., Study of Thomas Hardy and Other Essays, ed. by B. Steel, Cambridge, Cambridge University Press, 1985, pp. 191-98. Sulla datazione del saggio, B. Steel,
Introduction, ibidem, p. L.
15
H. de Balzac, Avant-propos, in Id., La Comédie humaine, édition publiée sous la direction de P- G. Castex, Paris, Gallimard, 1976, vol. I, 7-20; É. Zola¸ Le Naturalisme au Théâtre, in Id., Le
Roman expérimental, Paris, Flammarion, 2006, pp. 141-142; V. Woolf, Life and the Novelist
(1926), in The Essays of Virginia Woolf, IV: 1925-1928, ed. by A. McNeille, London, The Hogarth Press, pp. 1994, pp. 400-12; E. M. Forster, Aspect of the novel, cit.
16 M. Bachtin, Epos e romanzo, cit., pp. 445-82: 447-48: «Il romanzo […] convive male con gli altri generi. […] Il romanzo parodia gli altri generi (proprio in quanto generi), smaschera la convenzionalità delle loro forme e del loro linguaggio, soppianta altri generi e ne introduce altri nella sua propria struttura, reinterpretandoli e riqualificandoli».
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Leggendo Rubè, si nota come quest’opera sia un concentrato di moltissimi sottogeneri romanzeschi (e non solo romanzeschi): il Bildungsroman, il romanzo familiare, il romanzo storico, il romanzo sentimentale, il romanzo autobiografico, il romanzo epistolare, il giallo, il melodramma, il saggio politico-sociale, la tragedia, la confessione. Per Fredric Jameson nella forma-romanzo si riscontra una discontinuità dei generi narrativi, poiché esso è percorso da una dialettica tra generi differenti. Per questo motivo, è dunque improbo classificare un romanzo entro una categoria di genere, ma risulta più produttivo far emergere la stratificazione interna dei paradigmi narrativi da cui è composto.17 In Rubè, per esempio, che si può considerare un ‘romanzo dell’intellettuale’, si fondono almeno i paradigmi del Kunstlërroman e del Bildungsroman: il protagonista è un intellettuale percorso da ideali romantici, sia eroici sia erotici, ormai anacronistici (e che, da inetto quale è, non riesce a perseguire), ma risponde anche alla figura dell’arrampicatore sociale piccolo borghese, un parvenu che aspira a un ruolo di rilievo nell’alta società.18
Malgrado ciò, il Bildung-Kunstlërroman di Filippo Rubè non si conclude positivamente col trionfo intellettuale, professionale e sociale da parte del personaggio, bensì con la sua «deposizione al centro della questione sociale, proprio nel fuoco di quello scontro rispetto al quale non si era dimostrato all’altezza: tra la cavalleria e i manifestanti in mezzo ai quali finirà schiacciato»19.
17 Cfr. F. Jameson, L’inconscio politico: il testo narrativo come atto socialmente simbolico, Milano, Garzanti, 1990, pp. 126-86 (Narrazioni magiche. Sull’uso dialettico della critica di
genere).
18 Sul Kunstlërroman e sulla figura del parvenu nella storia del romanzo, cfr. B. Robbins, Arte,
mobilità sociale, romanzo, in Il romanzo, a cura di Franco Moretti, cit., vol. IV, pp. 589-609.
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