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Prima ancora di spiegare i motivi della sfortuna di Rubè, occorre parlare dell’ostracismo subìto dal suo autore.1

Critico precoce e ardito, sia nelle scelte letterarie sia in quelle politiche, Borgese si attira l’avversione di quasi tutto l’establishment letterario e dell’intellighenzia italiana. La carriera di Borgese è precoce: già nel 1905 viene pubblicata la sua tesi di laurea, Storia della critica

romantica in Italia,2 che aveva incontrato il favore di Benedetto Croce, il quale si preoccupa della pubblicazione. Tuttavia, dal 1911, quando Benedetto Croce prende pubblicamente e definitivamente le distanze da quel suo precocissimo allievo, in risposta ad un attacco di Borgese rivolto alla sua monografia su Vico, la vicenda dello scrittore siciliano si muta nella storia di una lunga sfortuna critica.3

Dopo la polemica recensione del 1911 alla monografia dedicata da Croce a Vico, la scomunica del filosofo non si fece attendere: a vedere in Borgese la figura del «rivale e impaziente successore in aspettativa», per di più affetto da «patologica esaltazione di sé». Fu così che quel futuro

1 Sull’ostracismo nei confronti di Borgese: Cfr. M. Onofri, Il caso Borgese in Id., La modernità

infelice. Saggi sulla letteratura siciliana del Novecento, Avagliano, Cava de’ Tirreni, 2003, pp.

11-30.

2 G. A. Borgese, Storia della critica romantica in Italia, cit.

3 Su rapporto e sui dissidi tra Borgese e Croce: I. de Seta, American citizen. G. A. Borgese tra

Berkeley e Chicago (1931-52), cit., pp. 95-110; A. Cavalli Pasini, L‘unità della letteratura, cit., pp. 119-91; M. Sansone, Croce e Borgese, in G. A. Borgese. La figura e l’opera, cit., pp. 113-33.

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carico di luminosi presagi si volse repentinamente nella storia d'una lunga sfortuna critica: mentre il nome di Borgese divenne presto uno di quelli impronunciabili, se non per essere additato al pubblico ludibrio. Ci penserà Renato Serra, scrittore entrato subito nel mito per una morte tanto precoce quanto ingiusta, ad autorizzare, nelle famose Lettere (1914), l'immagine d'un lettore grossolano, sordo alla «delizia di impressioni precise», incline alle «formule facili» ed al «cattivo gusto»: giudizio tanto ripetuto (a cominciare da Luigi Russo), quanto infondato.4

Massimo Onofri spiega bene in cosa consista la diatriba tra Serra e Borgese,5 che palesa come l’opera di Borgese sia pregiudizialmente giudicata non solo in conformità a criteri estetici, ma anche etici:

Il contrasto tra Serra e Borgese, sotto la stella di Croce, sembra implicare, come già aveva ben visto Debenedetti nel Romanzo del

Novecento, la profonda ed eterna opposizione, in sede critica, tra le ragioni

del gusto e quelle del giudizio, tra i diritti del testo nella sua squisita e sentimentale autonomia e le esigenze del contesto storico, tra la religione assolutamente autosufficiente delle lettere e la vocazione al disegno ed alle architetture.6

Il «peccato di hybris»7, cioè l’opposizione di Borgese a Croce, spiega in parte l’ostracismo di un nutrito gruppo di intellettuali italiani (tra questi annoveriamo anche il filosofo e critico Adriano Tilgher, gran promotore, invece, di Pirandello e di Miguel de Unamuno) nei confronti del critico siciliano e le ragioni del semi- oblio di cui è stato vittima per lunghi anni. Nonostante gli costi gli sfavori dei numerosi crociani, Borgese attacca comunque con insistenza e con coraggio il sistema estetico del filosofo. Feroce è pure l'avversione degli uomini della Ronda, mentre Bacchelli, ancora lontano dalla prosa fluviale de Il mulino del Po (1938-

4 M. Onofri, Borgese, la ricca eredità di un intellettuale. A cinquant'anni dalla morte, rileggiamo

le opere del saggista, critico e romanziere, «L’Unità», 04/12/2002, p. 29.

5 Cfr. A. Cavalli Pasini, L’unità della letteratura, cit., pp. 31-36. 6

M. Onofri, Il caso Borgese, cit., pp. 11-30: 16. 7

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’40, pubblicato in tre parti; prima pubblicazione unitaria: 1957),8

parla del borgesiano Rubè come del «romanzo di un mezzo uomo»9. Se, i fascisti lo odiano per il suo coraggioso rifiuto del fascismo pagato con l’esilio, dall’altro versante Gobetti e Gramsci, impegnati in altre tragiche battaglie, non possono amarlo. Poiché ai tempi di Borgese i pensatori italiani si dividono quasi manicheamente tra crociani e gramsciani, la posizione eterodossa dell’intellettuale siciliano pesa come una spada di Damocle sulla sua valutazione artistica. Sul piano politico Borgese risulta scomodo anche agli antifascisti del secondo dopoguerra, crociani o marxisti che siano, che non gli perdonano il suo liberalismo eretico. Infatti, il polizzano, in piena guerra fredda, insegue già una sua terza via, mentre teorizza e progetta un utopico governo mondiale, con passione libertaria e pacifista. Un precoce e sempre fedele estimatore di Borgese, Guido Piovene, che è anche suo allievo, descrive bene l’ostilità generale che circonda la figura di Borgese: «I fascisti lo odiavano, i letterati neutri ma accomodati col fascismo si sentivano urtati da quell’intransigenza che stimavano boria; gli antifascisti, spiace dirlo, godevano quasi tutti dell’ostilità fascista per dargli addosso a cuor leggero in campo letterario»10.

Senza le proteste vibranti ma isolate di pochi critici autorevolissimi, come Salvatore Battaglia o Luigi Baldacci, nonché la testimonianza ostinata e rigorosa di scrittori conterranei come Vitaliano Brancati e Leonardo Sciascia, Borgese forse sarebbe stato espunto non solo dal panorama del Novecento letterario italiano (ed è comunque lontano dal ricoprire lo spazio che meriterebbe), ma anche da una più articolata e larga storia culturale del nostro Paese. La pressoché totale assenza dalle antologie scolastiche non solo di Rubè, ma dello stesso Borgese, conferma l’ostracismo della critica verso l’intellettuale siciliano, ancor di più nella veste di scrittore. Leonardo Sciascia, forse il più illustre ammiratore di Borgese, mira a riabilitare la figura e l’opera del suo conterraneo negletto e trova

8 R. Bacchelli, Il mulino del Po, introduzione di Indro Montanelli, Milano, Mondadori, 1995. 9 Cit. da M. Onofri, Il caso Borgese, cit., pp. 11-30: 17.

10

G. Piovene, Ritorno di ‘Rubè’, in G. A. Borgese, Rubè, a cura di Luciano De Maria, Milano, Mondadori, 1974, pp. 400-404: 401.

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le ragioni della sua sfortuna proprio nelle sue qualità eccelse, tali da attirarsi l’amore dei suoi giovani studenti, ma da suscitare invidia in molti scrittori.11

Lo scrittore di Racalmuto nota che Borgese possiede tutto ciò che Voltaire indica essere la peggiore sventura dell’uomo di lettere, ovvero

Ebbe, davvero in questo senso, “tutto”: tanti altri scrittori lo invidiarono, qualche altro intrigo fu ordito a suo danno, qualche potente lo disprezzò al punto da volerlo perdonare. Ma soprattutto ebbe quella che, secondo Voltaire, è la sventura maggiore: che molti imbecilli lo giudicarono e forse ancora, senza conoscerlo, continuano a giudicarlo.12

In seguito, Sciascia espone le grandi doti di critico di Borgese, rimproverando una certa critica che non saprebbe apprezzarlo perché incapace di assolvere con merito la sua funzione:

G. A. Borgese trovava una fulminea, illuminante definizione [...] E se ora – a cinquant’anni dalla morte – non vi si accompagna la sorte della Deledda, è perché manca una critica attenta, intelligente e generosa come quella che Borgese esercitò con meritata autorità; una critica che invece oggi si direbbe afflitta da una sorta d’invidia, e persino incoerente nei riguardi delle mode che rappresenta. Una critica che più ama i sepolcri che le resurrezioni, e che anzi ha fretta di seppellire. La definizione, semplice ed ardua al tempo stesso, come solo Borgese sapeva trovarle e spenderle con l’elegante prodigalità e nonchalance del gran signore.13

Sciascia ricorda poi che anche nel secondo dopoguerra Borgese continua a essere una figura scomoda perché, con citazione manzoniana, scrive che l’intellettuale

11 Sull’ammirazione di Sciascia nei confronti di Borgese e sul suo tentativo di riabilitazione: I. de Seta, Borgese rivalutato da Sciascia. Un’ideale autobiografia nazionale, «La Libellula», Special Issue on Il mestiere perduto. Sul silenzio degli intellettuali e la rimozione storica dell’idea di

cultura come valore politico-sociale, n. 3, anno 3, 2011, pp. 14-22; Id., Ritratto e autoritratto. Sciascia e Borgese, in «Todomodo», VII, 2017, pp. 167-78.

12 L. Sciascia, Borgese, in Cruciverba, cit., pp. 202-208: 206. 13

Id., Guastella, il barone dei villani, in Id., Fatti diversi di storia letteraria e civile, cit., pp. 86- 93: 86-87.

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polizzano ha condotto e prodotto un’opera «vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, in un tempo in cui tanti che servirono encomiando credettero poi di riscattarsene codardamente oltraggiando»14. Da ultimo, sempre l’intellettuale di Racalmuto sottolinea come, a fine anni Sessanta, sia «importante la riabilitazione di Borgese, che finalmente (e siamo nel 1968) viene citato tra i critici pirandelliani degni di nota»15.