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Finis Britanniae? Toynbee nel grande dibattito sull’Impero

Il più importante tema che occupava l’agenda dei politici e le prime pagine dei giornali negli anni immediatamente successivi alla conclusione della prima guerra mondiale riguardava la trasformazione dell’Impero britannico in Commonwealth delle Nazioni. Il problema riguardo alla gestione dell’impero britannico risaliva a subito dopo la rivoluzione americana, quando si paventò per l’impero di Sua Maestà il rischio che altre colonie seguissero l’esempio delle tredici colonie americane. Il rapporto Durham del 1837 aveva infatti messo in luce le tensioni all’interno del Canada e l’esigenza di apportare riforme al sistema imperiale. Nel 1884 Lord Rosebery per la prima volta parlò di Commonwealth delle Nazioni, e diede il via alle conferenze per la trasformazione

2006, tr. it., Esploratori: dai popoli cacciatori alla civiltà globale, Mondadori, Milano 2008. Nei suoi lavori egli classificava le civiltà come rapporto fra uomo e natura. Tuttavia, a suo avviso, non esisteva nessun determinismo ambientale, ovvero nessuna civiltà era influenzata dall’ambiente che la circondava, ponendosi così in antitesi rispetto a una tradizione storiografica, nella quale per certi versi si inseriva anche Toynbee, che vedeva nel fattore ambientale un elemento forte di influenza ambientale. Toynbee, in realtà, negava il determinismo ambientale, ma preferiva legare il successo di una civiltà anche alla capacità di rispondere ad altre sfide oltre a quelle legate all’ambiente, ovvero quelle culturali e sociali. Si veda TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. II.

1

A. J. TOYNBEE, The Toynbee-Ikeda Dialogue: Man Himself Must Choose, Oxford University Press, London, 1976. Di questo argomento si parlerà più in esteso nell’ultimo capitolo.

51 dell’impero. Esse portarono alla creazione del Commonwealth britannico con la dichiarazione Balfour del 1926. In questo documento il Regno Unito e i suoi Dominions concordavano di essere "uguali nello status, in nessun modo inferiori in alcun aspetto dei loro affari interni od esteri, sebbene uniti da un'alleanza comune alla corona e liberamente associati come membri del Commonwealth britannico delle Nazioni". Questo rapporto venne formalizzato con lo Statuto di Westminster del 19311. La trasformazione dell’impero era, senza ombra di dubbio quindi, l’impresa intellettuale più affascinante che potesse coinvolgere l’élite britannica e già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento gli intellettuali inglesi avevano cercato di dare il loro contributo al dibattito2. John Seeley (1834-1895) con la sua The Expansion of England, scritta nel 1881-2, immaginava una “federazione imperiale” sul modello americano, alla quale diede il nome di Greater Britain. Per Seeley, la Greater Britain, aiutata da innovazioni tecnologiche come il telegrafo e la nave a vapore, avrebbe permesso il mantenimento dell’unità dell’Impero. Infatti, la creazione di uno stato mondiale federale avrebbe rappresentato una nuova forma di aggregazione umana in grado di creare una federazione universale e una pace universale rendendo antiquata la tradizionale pratica dell’equilibrio di Potenza. Seeley riteneva che l’impero britannico in Asia avrebbe rappresentato un intermediario per una nuova civiltà universale, pur non essendo disposto a mettere in questione la completezza e l’autosufficienza del sistema di valori occidentale.3

Ma è con il Novecento che il dibattito sulla struttura dell’impero entrò nel vivo. Alfred Eckhard Zimmern (1879-1957), classicista e storico, si occupò di scienze politiche e di relazioni internazionali, e fu il primo a usare il termine British

Commonwealth al posto di British Empire. La sua opera più importante, e che influenzò

notevolmente il panorama culturale dell’epoca, fu The Greek Commonwealth4, uno

studio sul mondo greco ricco di spunti di riflessione per l’impero britannico in

1

Il Commonwealth in questi anni comprende il Regno Unito e i sei Dominions che godono di pieno autogoverno: Australia e Nuova Zelanda, Sud Africa, Canada e Terranova (entrata in seguito a far parte del Canada) e il Libero Stato d’Irlanda, che diventerà poi una Repubblica indipendente.

2

Un'ottima ricostruzione di questa avventura intellettuale dell'élite britannica si trova nei lavori di Tagliaferri. Si veda T. TAGLIAFERRI, Dalla Greater Britain alla World Society. Forme del discorso imperiale britannico tra l’Ottocento e il Novecento, Giannini, Napoli 2008; La repubblica dell'umanità, cit., in particolare pp. 243-258

3

J. SEELEY, The Expansion of England, The University of Chicago Press, Chicago 1971 (prima edizione 1883)

4

A.E. ZIMMERN, The Greek Commonwealth: politics and economics in the fifth-century, Clarendon Press, Oxford 1911

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trasformazione, e The Third British Empire.1

Zimmern era stato anche maestro di Toynbee ad Oxford2. Lui e Gilbert Murray erano, inoltre, i più importanti rappresentanti del riformismo liberale inglese fra le due guerre. Zimmern ebbe un impatto notevole sullo sviluppo della disciplina delle relazioni internazionali prima e dopo la prima guerra mondiale, tanto che venne definito il più rappresentativo nel campo della disciplina delle Relazioni Internazionali da Morgenthau, e come primo professore al mondo di Relazioni Internazionali all’università di Aberyswith ebbe un ruolo importantissimo nello sviluppo e nella diffusione della disciplina. Come Murray, esercitò una forte influenza anche sui fondatori della Società delle Nazioni grazie alla sua posizione al Foreign Office durante la prima guerra mondiale3.

Nonostante l’importanza dei lavori di Zimmern, è senza ombra di dubbio Lionel Curtis il vero protagonista della riflessione imperiale di questi anni. Lionel Curtis (1872-1955) 4, dopo aver studiato legge all’Università di Oxford, combatté nella seconda guerra boera nei City Imperial Volunteers, e successivamente fu segretario di Lord Milner. In questo periodo Curtis fece parte del Kindergarten di Lord Alfred Milner, che si ispirava alla visione dell’impero che aveva Cecil Rhodes. I suoi membri si occuparono della creazione di un Sudafrica unito e leale all’impero dopo la guerra anglo-boera di inizio secolo. Questa esperienza gli diede modo di elaborare una teoria sul governo mondiale federale, che divenne la ragione della sua vita. Per perseguire questo suo compito nel 1910 fondò la Round Table, una associazione per gli studi internazionali dei paesi dell’Impero britannico, con lo scopo di promuovere l’unità all’interno dell’impero e bloccare il suo declino attraverso la creazione di un parlamento imperiale5. Durante la prima guerra mondiale venne soprannominato dai suoi amici “il Profeta”, per la predisposizione a lottare con tutte le sue forze per una causa. Era dotato di una grande personalità, che ammaliava tutti i presenti ma che, come ci ricorda

1

A.E. ZIMMERN, The Third British Empire, being a course of lectures delivered at Columbia University New York, H. Milford Oxford University Press, London 1926

2

TOYNBEE, Acquaintances, cit., pp. 49-61

3

J. MOREFIELD, Covenants without Swords: Idealist Liberalism and the Spirit of Empire, Princeton University Press, Princeton, Oxford 2005, p. 11

4

Lionel Curtis (1872-1955). Fu un funzionario britannico e uno scrittore. Per una biografia si veda BRAND, Lionel George Curtis, in “Dictionary of National Biography”, vol. 1951-1960, Oxford University Press, New York, 1986, p. 279-280 e Lionel George Curtis, in “The New Encyclopaedia Britannica”, vol. 3, The University of Chicago, Chicago, 1988, p. 804; oltre alla descrizione che Toynbee ci offre di lui in TOYNBEE, Acquaintances, cit., p.129-148

5

P. WILLIAMS, A Commonwealth of Knowledge: Empire, Intellectuals and the Chatham House Project, 1919–1939, in “International Relations”, March 2003, vol. 17 no. 1, pp. 35-58, p. 39

53 Toynbee, tendeva a diventare spesso maniacale: “If it is the mark of a prophet to make improbable predictions and to prove to have been right, Lionel Curtis, like St. Paul, was proved a prophet by the event. On longer and closer acquaintance with Lionel, I came to the conclusion that, like St. Paul, he was a great man and a monomaniac too”1. Nel 1916 uscì a suo nome The Commonwealth of Nations2 dove Curtis diede al termine

Commonwealth una nuova connotazione. Questa traduzione letterale del termine latino respublica era usata nell’Inghilterra del Seicento per designare una comunità politica

nella quale i cittadini si governavano su base d’uguaglianza e senza essere soggetti a un sovrano. Curtis utilizzò il termine nell’accezione analogica di una associazione, idealmente un’unione federale, di comunità politiche nelle quali le comunità costituenti si autogovernassero senza essere soggette all’egemonia di un membro dominante. L’idea di Curtis era, quindi, quella di trasformare l’Impero Britannico in un

Commonwealth di nazioni in tutto e per tutto autogovernate. Nell’idea di Curtis, però,

l’autogoverno si sarebbe dovuto estendere a tutti i popoli all’interno del Commonwealth, di ogni razza e cultura3. Il lavoro di Curtis avrà il suo apice con l’opera

Civitas Dei: the Commonwealth of God4, uscita nel 1938, nella quale sosteneva la necessità che gli Stati Uniti tornassero a far parte del British Commonwealth in modo che esso potesse evolversi in un governo mondiale.

Grazie all’amicizia che lo legava a Curtis, Toynbee iniziò ad occuparsi dei problemi dell’Impero britannico, partecipando così ai lavori della Round Table ed entrando a tutti gli effetti nel più grande dibattito del mondo anglosassone fra le due guerre. Nel 1928 scrisse un libro dal titolo The Conduct of British Empire Foreign

Relations since the Peace Settlement5, nel quale illustrò i cambiamenti che l’Impero britannico aveva vissuto in seguito alle tre conferenze imperiali del 1921, del 1923 e del 1926. Il suo interesse per l’Impero britannico non era fine a se stesso, ossia celebrativo o nostalgico, ma era atto a comprenderne i meccanismi e studiarne i procedimenti. Secondo Toynbee, infatti, i meccanismi mediante i quali le varie entità all’interno dell’Impero britannico si relazionavano fra loro erano simili ai meccanismi che

1

TOYNBEE, Acquaintances, cit., p. 130

2

L. CURTIS, The Commonwealth of Nations: an Inquiry into the Nature of Citizenship in the British Empire, and into the Mutual Relations of the Several Communities thereof , Macmillan, London 1916

3

TOYNBEE, Acquaintances, cit., p. 134

4

L. CURTIS, Civitas Dei: the Commonwealth of God, Macmillan, London 1938

5

A. J. TOYNBEE, The Conduct of British Empire Foreign Relations since the Peace Settlement, Oxford University Press, London 1928

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regolavano il rapporto fra gli Stati di tutto il mondo. Per questo motivo, quindi, studiarne i tratti caratteristici poteva servire per comprendere le relazioni internazionali mondiali1. L’Impero britannico fra gli anni Venti e gli anni Trenta si trovò ad affrontare tre complicate sfide: il problema della sicurezza, quello delle migrazioni e soprattutto quelli generati dal contatto fra civiltà. Queste stesse sfide dovevano essere affrontate anche dalla neonata Società delle Nazioni, Per questo motivo Toynbee la paragonò al

Commonwealth, indicando come entrambi sarebbero stati importanti nel futuro delle

relazioni internazionali. Affinché queste due organizzazioni ricoprissero con successo il ruolo che Toynbee affidava loro, era opportuno che entrambe sostenessero alcune battaglie. In primo luogo, quella sul principio dell’autodeterminazione: “Full self- government was a necessary qualification for membership in both organizations”2. Il che, naturalmente, implicava che ottenessero l’autogoverno alcuni paesi come l’India, che erano membri dell’Impero britannico.

Fatta questa disamina, Toynbee prese atto che il mondo stava cambiando molto velocemente e non era più quello che aveva assistito un secolo prima alla nascita e al consolidamento dell’Impero britannico. Ora, la nuova realtà internazionale richiedeva che l’Impero britannico si evolvesse in risposta ai nuovi problemi che erano sorti. “The fundamental change, of which the others were corollaries, - scrisse - was that the international system to which the British Empire belonged had ceased to be a European system with overseas appendages and had become a world-wide system in which Europe no longer retained a predominance”3. La risposta a questa sfida era stato il riconoscimento della parità di status fra i Dominions d’oltreoceano e il nerbo centrale europeo dell’impero, la Gran Bretagna: il che non aveva pregiudicato la comune fedeltà alla Corona, grazie alla quale le comunità di un impero esteso in ogni continente potevano mantenere un fronte unito nelle relazioni estere. Ma altri cambiamenti si erano verificati: “The second change in the world-position was that the world as a whole had become what only Europe had been before, that is, a one and indivisible field of action”4. Questo aveva spinto l’Impero britannico a una maggior cooperazione fra i vari membri nella difesa imperiale e nella conduzione della politica estera. E poi: “The third

1

TOYNBEE, The Conduct of British Empire Foreign Relations, cit., p. IX

2

TOYNBEE, The Conduct of British Empire Foreign Relations, cit., p. 18

3

TOYNBEE, The Conduct of British Empire Foreign Relations, cit., p. 30

4

55 change in the world to which the British Empire had to adapt itself was the ferment which the leaven of Western civilization was producing in all mankind”1, ossia il governo parlamentare. La risposta a questa sollecitazione era stata il conferimento stesso dello status di Dominion. Infine, quello che sembrò a Toynbee il cambiamento dalle conseguenze più pericolose: “A fourth change in the world to which the British Empire had to adapt itself was the great change for the worse which had recently come over the institution of War”2. Proprio quest’ultima sfida richiedeva una risposta che fosse forte e che permettesse di evitare la guerra come modo per risolvere le controversie internazionali. Per questo motivo egli si disse convinto della necessità di un nuovo sistema internazionale3. Quando stava scrivendo queste parole, due esperimenti erano in corso per cercare la soluzione a questi problemi che rischiavano di minacciare seriamente le nazioni del mondo, il Commonwealth britannico e la Società delle Nazioni. Toynbee, quindi, sosteneva che dalle risposte che queste due organizzazioni avrebbero dato alle minacce che attanagliavano l’umanità dipendeva il futuro di tutte le relazioni internazionali.

Come abbiamo visto, Toynbee demandò sia al Commonwealth che alla Società delle Nazioni la stessa missione per il futuro, cioè la sicurezza per il genere umano. Tuttavia appare curioso che in un libro che dovrebbe contenere gli atti delle Conferenze imperiali dell’Impero Britannico e l’analisi dei suoi cambiamenti, l’autore in persona strutturi la maggior parte della sua introduzione sostanzialmente nel cercare di dimostrare come l’Impero britannico abbia la stessa finalità della Società delle Nazioni e istituisca un paragone con essa. Ciò sembra indicare che, dalla fine degli anni Venti, Toynbee non abbia più riposto le sue speranze in un Impero britannico in cambiamento, ma si sia affidato piuttosto alla Società delle Nazioni. Senza questa considerazione, infatti, non si capirebbe come egli abbia dedicato tanto spazio a giustificare l’esistenza dell’Impero britannico paragonandone gli scopi a quelli della Società delle Nazioni. Quindi, probabilmente già a quell’epoca, Toynbee guardava ad essa come all’unico organismo realmente in grado di risolvere le controversie internazionali e garantire la sicurezza e il disarmo.

1

TOYNBEE, The Conduct of British Empire Foreign Relations, cit., p. 35

2

TOYNBEE, The Conduct of British Empire Foreign Relations, cit., p. 42

3

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All’inizio degli anni Trenta la riflessione sull’Impero britannico si intrecciò con l’analisi della crisi che incombeva sulla società internazionale. D’altronde, se la Società delle Nazioni avesse fallito nello stabilire un nuovo ordine mondiale, l’abolizione della guerra avrebbe potuto realizzarsi solo come conseguenza della sopraffazione di una nazione sulle altre. Così avevano fatto gli antichi Romani instaurando la Pax augustea: “They made a desert and called it peace”, scrisse Toynbee citando Tacito1. Secondo lui, tuttavia, se questa possibilità si fosse realizzata, la civiltà occidentale sarebbe scomparsa: molti segni, in quegli anni, sembravano indicare che l’Occidente (in particolare la Gran Bretagna e il suo sistema imperiale) stesse incamminandosi lungo il viale del tramonto. Toynbee, a seguito del fallito tentativo britannico di impedire ai Giapponesi di occupare la Manciuria, scrisse una lettera a Gilbert Murray sottolineando i rischi che l’Impero britannico stava correndo: “I get the impression that the British public are inclined to let not only the League but the China trade and even the Commonwealth go hang – not seeing, in their blindness, that this is “finis

Britanniae””2. Egli non era il solo a preoccuparsi del ruolo che l’Impero britannico avrebbe svolto nel futuro. Illusi dall’apparente riconciliazione fra gli Inglesi e i Boeri nell’Unione del Sudafrica dopo il 1907, Lionel Curtis e alcune altre figure-chiave del panorama politico e culturale avevano cullato a lungo la speranza che la maggior parte dell’Impero britannico potesse essere trasformata in un coeso e politicamente attivo

Commonwealth delle Nazioni britanniche. Solo in questo modo, credevano, la Gran

Bretagna avrebbe potuto mantenere nel mondo il ruolo di guida che l’aveva caratterizzata nel XIX secolo. Toynbee riconosceva a Curtis, però, il merito di sostenere con vigore una nuova concezione del Commonwealth: “Lionel employed the word to mean, by analogy, an association - ideally a federal union - of political communities, in which the constituent communities were to govern themselves, as each other’s equal, without being subject to the hegemony of a dominant partner”3. Con Curtis concordava anche “…that the “political verities”, as he called them, on which the ideal and the practice of democracy were founded, held good universally for all human societies in all

1

Bodleian library, Toynbee papers, box 6, lettera, AJT to The Listener, 1 dicembre 1930, p. 10

2

Bodleian library, Toynbee papers, box 72, lettera, AJT to Gilbert Murrey, 18 febbraio 1932

3

TOYNBEE, Acquaintances, cit., p. 134. Il termine Commonwealth era la traduzione letterale del termine latino respublica ed era stato usato nel diciassettesimo secolo in Inghilterra per designare una comunità politica nella quale i cittadini si governavano gli uni gli altri come uguali, senza essere soggetti al governo di un re.

57 times and places…because these “verities” where implicit in the spiritual constitution of human nature”1.

Verranno così gettate le basi per la sua sfida più ambiziosa, che Toynbee mostrò di apprezzare almeno nell’idea che ne stava alla base, ossia la trasformazione dell’Impero britannico in un Commonwealth: “This thesis demanded that the transformation of British Empire into a Commonwealth (in the Curtisian sense) of self governing nations was not to be limited to those peoples in the Commonwealth that were European in race and Western in civilization: self-government was to be extended progressively to all the other peoples of the Commonwealth, of whatever race and culture”2. Le cose, però, non stavano andando verso questa direzione. In India le agitazioni per l’indipendenza stavano acquisendo sempre nuovi sostenitori, mentre i Canadesi, gli Australiani e i Sudafricani erano molto più inclini a perseguire la sovranità locale piuttosto che continuare ad accettare il ruolo-guida della Gran Bretagna. La depressione economica e l’aggressione giapponese in Cina avevano, d’altronde, portato nuovi ed acuti problemi per tutti i Paesi del Commonwealth, e i sostenitori della causa imperiale avevano deciso che una conferenza non ufficiale, nella quale si sarebbe discusso di queste circostanze, avrebbe aiutato i funzionari e i leader politici a tenere uniti i membri del Commonwealth. Di conseguenza, dall’11 al 21 settembre 1933, venne indetta a Toronto la prima Conferenza non ufficiale sulle relazioni dei paesi del

Commonwealth. Toynbee fu chiamato a parteciparvi e a curare l’edizione degli atti del

Convegno, pubblicata nel 1934 con il titolo di British Commonwealth Relations,

proceeding of the first unofficial Conference at Toronto, 11-21 September 19333. L’analisi che egli compì riguardò i temi politici che anche nel lavoro del 1929 erano stati sollevati, ossia come conciliare la domanda di pieno autogoverno con la necessità di accordi comuni in materia di politica estera, il riconoscimento dell’importanza della pace e la necessità di accordi per mantenerla. Come egli sottolineava, gli Stati membri del Commonwealth erano divisi al loro interno fra chi pensava che esso potesse prosperare come una sorta di nuova grande Potenza grazie a un comune retaggio storico-politico, capace di superare anche le barriere oceaniche, e chi credeva invece che

1

TOYNBEE, Acquaintances, cit., p. 134

2

TOYNBEE, Acquaintances, cit., p. 134

3

A. J. TOYNBEE, British Commonwealth Relations, proceeding of the first unofficial Conference at Toronto, 11-21 September 1933, Oxford University Press, London 1934

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il Commonwealth e le sue componenti nazionali dovessero contare piuttosto sulla Società delle Nazioni e sulla struttura di sicurezza collettiva contenuta nel Covenant.

Queste erano le due linee che si confrontarono alla conferenza di Toronto, con