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Poeta o profeta? Analogia e metodologia di indagine storica nel pensiero di Toynbee

2. L’APPROCCIO DI TOYNBEE ALLE RELAZIONI INTERNAZIONAL

2.2 Poeta o profeta? Analogia e metodologia di indagine storica nel pensiero di Toynbee

Il sistema di analisi della realtà sviluppato da Toynbee aveva nell’uso della figura retorica dell’analogia la forma con la quale si esprimeva. Ma cos’è l’analogia? Come è noto, l’analogia è una forma tipica della retorica e dell’arte oratoria, che crea un legame fra due o più esempi attraverso un atto comparativo. Nella pratica quotidiana, l’analogia è il tentativo di capire qualcosa che è tendenzialmente oscuro attraverso qualcos’altro che sembra più chiaro. Ma questa definizione non riesce a cogliere l’essenza stessa dell’analogia in azione all’interno di uno schema complesso e strutturato come quello elaborato da Toynbee dove l’analogia era indagine della realtà e non solo strumento esplicativo. Né può venire in aiuto alla nostra comprensione il rifarsi ad auctoritas nello studio dell’analogia come strumento di analisi della realtà, in quanto sull’argomento non esistono vere e proprie trattazioni che si siano distinte per una acuta analisi del

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Su questo punto si veda la disputa con Geyl in GEYL, Toynbee as a Prophet, in MONTAGU, Toynbee and History, cit., pp. 366-7

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TOYNBEE, Storia e religione, cit., p. 306

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. X, p. 238. I nomi riportati sono quelli di grandi studiosi cristiani “ortodossi” che si sono contrapposti a studiosi del Cristianesimo meno tradizionali.

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Questo paragrafo riprende e cerca di continuare la riflessione iniziata da Federico Leonardi nel suo lavoro di tesi sul problema dell’analogia in Spengler e Toynbee. Si veda LEONARDI, Storia come analogia, cit. A Leonardi vanno i miei ringraziamenti per aver condiviso le sue intuizioni con me.

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problema. Toynbee stesso che, come vedremo, usava l’analogia per indagare la realtà e non solo come mero strumento di spiegazione delle cose, non fornì mai una chiara spiegazione della natura del processo analogico. E’ opportuno quindi, prima di entrare nel vivo della discussione sul pensiero di Toynbee riguardo alla guerra fredda, tentare di comprendere l’uso dell’analogia nelle sue opere e anche di dare un piccolo, ma essenziale, contributo alla teoria dell’analogia stessa.

Il primo a ricorrere all’analogia per indagare la conoscenza storica fu Tucidide. L’intuizione centrale era l’inestricabilità del fatto dal soggetto che trovava l’evento essenzialmente attraverso una comparazione analogica tra eventi simili. Procedimento eminentemente empirico, come ci suggerisce Canfora, ed è infatti per tale via che perviene ad una intuizione del genere nel concreto cimentarsi con il mestiere di storico1. Occorre però chiarire sin da subito che esiste una differenza tra comparazione ed analogia. La comparazione è la somiglianza che esiste fra due o più enti ed è una tendenza che si riscontra sin dagli albori dell’esistenza umana. Caratteristica infatti dell’essere umano è quella di instaurare un rapporto fra le cose, animate ed inanimate, che lo circondano con il duplice scopo di classificare la realtà e di renderla più famigliare all’essere umano, che troverà sempre nelle cose qualcosa di comparabile a ciò di cui ha una conoscenza più precisa.

Ora, se la comparazione è l’attività del pensiero con cui si rinviene una somiglianza (ma anche una differenza) fra due o più enti, bisogna chiedersi che cosa sia l’analogia, dato che spesso i due termini sono usati come se fossero sinonimi. Il primo però a tentare una sistematizzazione cognitiva dell’analogia era stato Aristotele, che ricordava come il termine stesso significasse proporzione, la stessa che stava alla base dell’equazione A:B = C:D. Se alle lettere si dava dei valori numerici essi segnalavano un’uguaglianza di rapporti: il rapporto fra A e B era identico a quello fra C e D. I termini potevano essere anche simili, ma quello che contava maggiormente era l’identità dei rapporti fra loro. L’identità infatti era più di una semplice somiglianza. Nell’equazione matematica i termini sono omogenei, ossia fanno parte dello stesso dominio (quello numerico). Quando invece i domini sono eterogenei si ha l’analogia. L’interesse dell’analogia nel suo senso più vasto, che va oltre quello matematico, dove i termini sono omogenei, è quello di chiarire, precisare o valutare la prima coppia grazie

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119 alla seconda, ponendo a confronto due coppie di termini che provengono da campi eterogenei. Delle due coppie una è nota, la seconda lo è meno. In questo caso si instaura una relazione fra le due coppie allo scopo di gettare luce su una delle due, su quella che è oggetto di indagine e che si vuole chiarire partendo da quella più nota. La prima coppia, cioè quella che si vuole chiarire, si chiama tema, la seconda invece, che viene usata per chiarire la prima, si chiama foro. Nell’analogia il rapporto fra i due termini del foro non è uguale a quello del tema (come avviene in una equazione matematica) ma è soltanto simile. Il rapporto di similitudine tende all’uguaglianza se si giunge ad assimilare interamente le due relazioni; se si giunge a stabilire la stessa relazione fra i termini del tema e quelli del foro, in tal caso l’analogia scompare, perché tema e foro saranno diventati omogenei. Se dunque il rapporto fra tema e foro fosse identico, torneremmo a una proporzione matematica. Se fosse simile, invece, si avrebbe un’analogia. In sintesi, l’analogia risulta dunque essere un rapporto fra coppie di enti in domini eterogenei, dove il rapporto fra queste coppie è di somiglianza, e tale somiglianza permette di partire da una coppia nota allo scopo di conoscerne una ignota o meno nota e, di conseguenza, di indagare domini meno noti partendo da un dominio più noto e instaurando un rapporto di somiglianza analogica.

Aristotele ci fornisce anche un semplice esempio. Se volessimo sapere che cosa sia la vecchiaia (B), dovremmo iniziare dicendo che essa è una parte della vita, che dunque è in rapporto con la vita (A): così abbiamo istituito un tema. Per rispondere alla domanda sulla vecchiaia, mettiamo in relazione la vita, che è un concetto generico e vago, con qualcosa di più facilmente osservabile, il giorno. Poiché la vecchiaia rappresenta l’ultima fase dell’esistenza e l’ultima fase del giorno è la sera, abbiamo trovato il foro: il rapporto tra giorno (C) e sera (D). Si può dire dunque che la vecchiaia si trova nello stesso rapporto con la vita nel quale si trova la sera con il giorno. Su questa base si può definire la vecchiaia come la sera della vita1.

L’analogia si può presentare sotto due forme diverse: la prima quella del meccanismo spontaneo di autoregolazione del pensare, ossia l’associazione di tipo analogico deve considerarsi una forma storicamente acquisita del pensiero. Seguendo Gadamer, che ha tratto tali conclusioni da una attenta analisi della coscienza storica tedesca (passando in rassegna Schleiermacher, Droysen, Ranke, Dilthey, Yorck von

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Wartenburg, Heidegger), l’ermeneutica storica ha una struttura circolare, che si basa sul pregiudizio e sulla domanda1. Lo storico non si trova davanti un oggetto da indagare, come chi indaga gli oggetti naturali. Qui non si ha il soggetto e poi l’oggetto, tra i quali si deve cercare un ponte, una relazione, un’analogia. Fra l’uomo e gli oggetti del mondo umano vi è già un ponte, poiché entrambi sono storici, mutevoli, coinvolti in un processo dinamico dal quale non possono essere astratti se non per un gioco teoretico. L’incontro con gli oggetti storici è qualcosa che coinvolge l’uomo e ne influenza l’interpretazione del mondo. E’ qualcosa che scuote i suoi pregiudizi, che lo spinge a rendersi conto del suo punto di partenza, di che cosa egli sia in cerca, a partire da quella interpretazione del mondo. Se tale pregiudizio si fa immediatamente giudizio, allora il passato sarà rivestito del presente, senza nessuna distinzione. Se invece si fa domanda, questo rende possibile capire di che cosa si va in cerca, tenerlo sempre presente e farlo interagire nell’interpretazione in maniera intelligente. Nel primo caso, si crede di aver raggiunto qualcosa di vero e di definitivo; nel secondo caso, invece, di aver raggiunto quello che è vero a partire da un certo punto di vista. Non che in questo secondo caso, presente e passato siano completamente distinti, ma la loro sovrapposizione non è totale. Essi si somigliano, ma non s’identificano. Per questo, possiamo dire, esse sono analoghi e non soltanto simili. Tra loro rimane un rapporto sempre a fondamento della somiglianza. Si ha, infatti, coscienza che il metterli in rapporto fra loro in un’analogia di proporzione è pur sempre un’astrazione di quel processo per cui entrambi sono storici, aperti, dinamici, sempre in relazione con qualcosa. Quello che li rende simili è il loro essere relazionali. L’analogia viene prima della somiglianza e le sta a fondamento. Ogni cosa è comparabile perché è in relazione con altre. Dilthey chiamava tale fenomeno la connessione dinamica. Nel suo lungo e tormentato ricercare una fondazione autonoma delle scienze dello spirito, cercò di svincolarle dalla gabbia in cui l’aveva costretta la falsa analogia con le scienze, che aveva mietuto successi nella modernità, quelle naturali. Infatti, per Dilthey la vera analogia giaceva nella psicologia. Non era possibile una fondazione trascendentale come quella che Kant, sul modello delle scienze della natura, aveva pensato per la ragion pura. Nel campo della storia la ragione era impastata con l’esperienza. Ogni percezione esterna era basata infatti sulla distinzione fra soggetto percipiente e oggetto percepito. La percezione interna, invece, “non è dapprima niente

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121 più che la coscienza interna di uno stato o processo. Uno stato c’è per me in quanto è con saputo”1

. Per Dilthey quindi era impossibile pensare un fatto storico in sé e per sé, distinto dal soggetto che lo pensa, e così facendo dava rilievo all’esperienza interiore come fattore primario della comprensione storica. Così l’Erleben, accumulo di molteplici Erlebnisse, diventava categoria per la comprensione storica e la coscienza dello storico diventava la sua ricchezza di Erlebnisse, ossia non solo l’esperienza di un individuo situato in un certo luogo e in certo tempo, ma anche l’accumulo di esperienza storica, la frequentazione, la più ricca e la più vasta, del passato storico2.

L’analogia ha però anche un’altra faccia: non solo meccanismo spontaneo, ma anche frutto di consapevole sforzo atto a rendere comprensibile ciò che, nell’isolamento, non emergerebbe. Il campo privilegiato di queste analogie intenzionali è quello in cui si incontrano grandi tradizioni e civiltà diverse, come per esempio l’omologazione nell’onomastica divina tra la civiltà egizia, greca, e romana. Anche il tentativo di spiegare fenomeni storici recenti ricorrendo a grandi esempi del passato, soprattutto dell’età classica, viene vista come una forma di analogia intenzionale. In questo secondo caso, che è quello che ci riguarda più da vicino, fa la sua comparsa la metafora. L’analogia, infatti, è innanzitutto una parabola, che si esprime attraverso una metafora. Secondo Aristotele, la metafora era un processo che consisteva nel trasferire a un oggetto il nome che era proprio di un altro attraverso quattro modalità, passando dal genere alla specie, dalla specie al genere, dalla specie alla specie o, appunto, per analogia. Concentriamoci dunque sulla metafora per analogia. La metafora prende un elemento del tema e uno del foro così, tornando all’esempio fornito da Aristotele, sono metafore la vecchiaia del giorno (B+C), oppure la sera della vita (D+A). La metafora in senso stretto è quindi quella che ha origine dall’analogia, che instaura un rapporto fra particolari e, appunto prende dal tema e dal foro. La metafora poi si trova nell’uso quotidiano, nella sua forma elementare, ma può essere usata anche per descrivere situazioni più complesse, come il ciclo delle civiltà o anche l’analogia di Ammiano Marcellino dell’età dell’uomo per descrivere la parabola della storia di Roma. Sicuramente una delle metafore più significative e che più ha suggestionato gli studiosi,

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Dilthey in LEONARDI, Storia come analogia, cit., p. 167. Sull’analogia in Kant si veda L. BRANCO, Analogia e storia in Kant, Guida, Napoli 2003

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storici e teologi, è quella della successione degli imperi che compare nel libro di Daniele1.

L’analogia è stata però oggetto di critiche feroci, soprattutto perché le metafore che da essa sottendono sono state usate nel procedimento di comprensione della realtà. Per Voltaire: “Noi non ammettiamo la metafora nella Storia perché dice di più o di meno del fatto storico”2. Infatti, così facendo, l’analogia rischiava di impoverire l’oggetto storico in considerazione perché aggiungeva o toglieva qualcosa alla sua reale comprensione, giungendo così a un’antinomia: non riesco a pensare un fatto storico che analogicamente ma così facendo rischio di impoverirlo delle sue specificità. In realtà, per la sua stessa natura, il processo analogico, in quanto coglie elementi di affinità tra contenuti differenti, si pone come superamento della mera e tautologica identità. E’ un ponte tra l’identico e il diverso, in quanto comprende in sé, concettualmente e per definizione, l’idea di differenza, così come, più in generale, si pone come medietà tra logica ed esperienza3. Questo si vede soprattutto nel rapporto fra analogia e le scienze naturali, che è sempre stato estremamente fruttuoso. Per illustrare il valore euristico del procedimento analogico in campo scientifico Peelman faceva l’esempio della meccanica quantistica, la cui prima formulazione era stata espressa in termini di teoria ondulatoria, così come l’analogia con una corrente idraulica aveva guidato coloro che avevano incominciato ad esplorare i fenomeni elettrici4.

Nel mondo classico poi, l’importanza dell’analogia per la comprensione degli avvenimenti scientifici è addirittura preponderante. Geoffrey Lloyd infatti riteneva che nel pensiero classico fino ad Aristotele i Greci avessero adottato una metodologia di ragionamento basata su due concetti chiave, la polarità e l’analogia. I due concetti erano intrinsecamente collegati fra loro: la caratteristica del primo era che le cose venivano classificate e spiegate mettendole in rapporto con un elemento di una coppia di opposti

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Tra le molte profezie di Daniele, quella che ha colpito di più gli studiosi è quella che riguarda l’annuncio dell’arrivo di quattro bestie che escono dal mare. Esse rappresentano, come apprendiamo in seguito, il sorgere di quattro regni; l’ultimo, il più terribile, “divorerà tuta la terra e la calpesterà e la triturerà” (7: 23). Da quel regno sorgeranno dieci re; poi un altro sorgerà dopo di loro e abbatterà tre re: egli distruggerà i santi dell’Altissimo; macchinerà di mutare i tempi e la legge (7:25). I santi saranno consegnati nelle sue mani; poi, la signori gli sarà tolta e sarà annientato; il regno sarà dato al popolo dei santi dell’Altissimo e sarà un regno eterno (7:27). Su queste profezie si veda L. TROIANI, Il Libro di Daniele e la successione degli imperi, in D. FORABOSCHI, S.M. PIZZETTI (a cura di), La successione degli imperi e delle egemonie nelle relazioni internazionali, Milano, edizioni Unicopli 2003, pp. 61-72

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Voltaire in CANFORA, L'uso politico dei paradigmi storici, cit., p. 18

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CANFORA, L'uso politico dei paradigmi storici, cit., p. 18

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123 principi; la caratteristica del secondo era che lo stesso avveniva paragonando o assimilando le cose a qualcos’altro. La polarità e l’analogia diventavano così i pilastri di tutto il pensiero pre-logico e tutte le argomentazioni e le forme di spiegazione del pensiero greco, nelle teorie cosmologiche, nei trattati medici e nelle riflessioni scientifiche. Lloyd sottolineava anche l’importante valore euristico che un’indagine basata su polarità e analogia aveva avuto nel mondo pre-classico, poiché davano a domande fondamentali sull’origine, la struttura e la natura delle cose un’astratta chiarezza, anche se spesso priva di dati empirici. Cosi facendo ampliavano il campo oggetto di interrogazione, perché se lo avessero limitato solamente a quei problemi riguardo i quali specifiche questioni potevano essere stabilite definitivamente con l’osservazione e l’esperimento, quello che ci è nota come scienza naturale greca non avrebbe mai avuto origine. L’analogia e la polarità, infatti, fornirono veicoli essenziali per l’espressione di idee nelle discussioni svoltesi su problemi fondamentali, in ciascuna delle scienze fisiche e biologiche1. L’importanza dell’analogia non è confinata soltanto al mondo classico, ma giunge fino a noi. In effetti anche quando l’analogia può risultare a prima vista azzardata, ricopre comunque una validità euristica non indifferente. Per dirla con Renè Thom: “O l’analogia è vera, e allora è sterile: o è audace, e allora può essere feconda. E’ solo correndo il rischio dell’errore che si può trovare il nuovo2”.

Nel campo della conoscenza storica, invece, l’applicazione dell’analogia presenta maggiori problemi, il primo dei quali è la tentazione di comprendere il passato mediante il presente e viceversa. Tappe significative del pensiero storico sono state influenzate da forti suggestioni presenti, che hanno influenzato per generazioni la lettura del passato (subendo anche nel tempo rettifiche, correzioni o clamorose negazioni). Per esempio, gli storici dell’umanesimo non solo parlavano il linguaggio dei loro esempi classici, ma parlavano delle realtà politiche in cui vivono indicandole con termini quali repubblica romana o ateniese. Montesquieu e Gibbon avevano pensato la fine dell’impero romano avendo davanti ai loro occhi il declino dell’impero spagnolo o di quello inglese. Il Cesare di Mommsen era fortemente influenzato dagli avvenimenti del 1848. Dell’analogia dell’impero britannico con il Commonwealth greco ne abbiamo

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G.E.R. LLOYD, Polarity and Analogy: two Types of Argumentation in early Greek Thought, Cambridge University Press, Cambridge 1966, tr. it., Polarità ed analogia. Due modi di argomentazione nel pensiero greco classico, Loffredo, Napoli 1992, in particolare p. 436

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parlato a lungo nel capitolo precedente a proposito di Lionel Curtis. Gli esempi potrebbero essere molteplici. Quello che ci interessa cogliere però è che il procedimento analogico in storia, e forse solo nella disciplina storica, rischia di essere vittima dell’ideologia che, penetrando all’interno della metafora che l’analogia sviluppa, in qualche modo effettua una distorsione ottica portando a falsare la ricerca del tema da parte del foro. La Macedonia in fulminea ascesa di fronte alle città-stato greche era apparsa a Droysen come la Prussia di fronte alla Germania nell’età della guerra di liberazione: una grande forza nazionale unificatrice e in grado di superare le precedenti forme politico-statali. E’ chiaro come una analogia del genere sia fortemente influenzata da una idea che, inevitabilmente fa si che la conclusione sia suscettibile di replica e critica da parte di chi si muove da presupposti ideologici diversi rispetto a Droysen, come in effetti accadde. Rostovcev, studioso della decadenza dell’impero romano, aveva visto la Rivoluzione russa come la sommersione di un sottile strato di civilitas urbana, borghese, evoluta e occidentalizzante da parte dell’immensa ondata contadina armata dalla guerra, e aveva proiettato questa sua visione del grande rivolgimento russo sulla crisi patita dall’impero romano nell’età dei Severi e nel corso del II secolo d. C. Ma gli esempi di questo tipo potrebbero essere infiniti1.

Da tutti questi esempi appare chiaro come l’analogia risulti essere strettamente intrecciata, quasi soffocata, dalla particolare visione ideologica, politica e religiosa di chi effettua un processo analogico muovendosi nella cornice degli eventi storici. Infatti il meccanismo analogico fa emergere, per il modo stesso in cui orienta una narrazione, una causa principale o una serie di eventi che risultano intrecciati tra loro in maniera apparentemente chiara e inequivocabile. E proprio qui si insidia l’intreccio fra analogia e ideologia, che fa apparire tutto ordinato e stabilito secondo una propria visione ideologica. Così le analogie non sono fisse e immutabili, ma modificabili e, soprattutto, multiple, permettendo allo storico di ricorrervi e di scegliere quella che poi può servire maggiormente per spiegare il fatto storico che sta analizzando. Il ricorso all’analogia da parte di una disciplina come la storia, quindi, non solo può apparire fruttuoso, ma anche necessario per il suo sviluppo. Secondo Droysen, attraverso le analogie l’indagine storica poteva trovare un surrogato di ciò che l’empiria del fisico trovava

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Su questo argomento e sugli esempi si veda CANFORA, L'uso politico dei paradigmi storici, cit., pp.