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Lo scontro fra due civiltà come spiegazione del nuovo ordine internazionale

3. LA GUERRA FREDDA COME SCONTRO DI CIVILTA’

3.1 Lo scontro fra due civiltà come spiegazione del nuovo ordine internazionale

Il nuovo ordine internazionale nato dopo la seconda guerra mondiale presentava caratteristiche uniche nella storia. Infatti, fra il settembre 1945 e la primavera del 1946 era sfumata la possibilità che la via istituzionale sul terreno giuridico - politico e quella del multilateralismo sul piano economico-finanziario diventassero i criteri della ricostruzione di un nuovo sistema internazionale. Al posto del multilateralismo si affacciò il bipolarismo. Ciò significava che non ci sarebbe stata una sola via verso la ricostruzione di un concerto internazionale a dimensione globale, ma che sarebbe nato un sistema bipolare, poiché solo due – l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti - erano i grandi vincitori attorno ai quali le forme della ricostruzione prendevano la loro diversa consistenza.

A complicare la situazione all’indomani della guerra, i fattori di disagio o di divergenza che si erano palesati nell’ultima fase del conflitto divennero motivi di scontro aperto, sempre più aspro, sino al punto di non ritorno. Si capì, in questi mesi, che la fine della Germania e il tramonto dell’egemonia europea non avevano estinto la politica di potenza, ma avevano solo provocato un mutamento di attori: ora gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica erano le uniche superpotenze, con la Gran Bretagna relegata in una posizione di subordine. La guerra fredda, come venne chiamato con una felice espressione di Walter Lippman lo scontro che dominò i rapporti fra Stati Uniti e Unione Sovietica, per alcuni si estese dal 1947 al 1955, per altri sino al 1989. Possono essere identificate quattro fasi, o momenti, che portarono i due paesi ex alleati a diventare nemici. Una prima fase, dal settembre al dicembre del 1945, nel corso della quale gli Stati Uniti mutarono la loro percezione dell’Unione Sovietica da quella di alleato inaffidabile in quella di avversario e infine nemico, sia in Europa sia in Asia. Una seconda fase, rintracciabile sin dai primi mesi del 1946, in cui si assistette a un mutamento sostanziale degli Stati Uniti verso l’Unione Sovietica, dovuto al tramonto definitivo della speranza di un compromesso. Questa speranza, ereditata da Roosevelt,

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lasciò spazio alla persuasione che verso i Sovietici si dovesse seguire una politica di separazione e distacco, ed era nutrita di profonda sfiducia rispetto alle intenzioni strategiche di Stalin e di profonda fiducia rispetto alla capacità dell’Occidente di contrastare tali intenzioni e attendere il momento della rivalsa. Nella terza fase, tra la fine del 1946 e la primavera 1947, la svolta maturata mesi prima venne tradotta in aperte dichiarazioni o azioni riguardanti il campo politico-diplomatico e quello economico, tali da rendere esplicita in modo assai netto una nuova volontà e i contenuti che essa assumeva: l’intenzione degli Stati Uniti e di una parte dell’Europa occidentale di sviluppare senza condizionamenti una politica ricostruttiva propria, che accettava come un dato di fatto, per il momento insopprimibile, l’esistenza di un soggetto diverso, per molti aspetti ostile. Il quarto momento riguardava gli eventi politici e militari che ebbero luogo in Europa e in Asia tra il 1948 e il 1950. La divisione politica in blocchi divenne da allora divisione militare del mondo in organismi contrapposti e tesi alla conquista della supremazia militare1.

Dopo la conclusione della guerra fredda, e più precisamente a partire dagli anni Novanta, si cercò di analizzare le cause di questa progressiva distinzione e radicalizzazione in blocchi separati e distinti. I vari tentativi, però, dimostrarono la difficoltà di pervenire a una spiegazione completa degli eventi. Ascriverne la colpa ad una parte o all’altra, ad esempio, tendeva a sottostimare l’influenza di forze sulle quali era possibile che i singoli decision-maker avessero avuto uno scarso controllo. Mentre l’attribuzione di colpe era in linea con la tendenza a credere che gli individui e le nazioni fossero agenti moralmente autonomi e che quindi le cose potevano andare diversamente, pochi storici poterono ignorare l’ampiezza con cui le opzioni a disposizione dei decision-maker, in un particolare momento storico, siano definite dalle circostanze, le quali includono gli effetti di decisioni precedenti. Gli eventi, in altre parole, era almeno in qualche misura determinati, anche se è difficile stabilire in che misura. All’estremo opposto del modello volontaristico puro si trova il modello deterministico puro, i cui sostenitori ritenevano che la guerra fredda rappresentasse una

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E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali, 1918-1999, Laterza, Roma 2000, pp. 624-625. Per una introduzione dettagliata alla guerra fredda si vedano i seguenti volumi: R. CROCKATT, Cinquant’anni di Guerra Fredda, Salerno Editrice, Roma 2002; M. DEL PERO, La guerra fredda, Carocci, Roma 2001; D.F. FLEMING, The Cold War and its Origin, 1917-1960 (2 volumes), Doubleday, Garden City N.Y 1961; A. FONTAINE, History of the Cold War from the October Revolution to the Korean War, Pantheon Books, New York 1968; F. ROMERO, Storia della guerra fredda: l'ultimo conflitto per l'Europa, Einaudi, Torino 2009.

169 necessità storica1. In campo occidentale si possono così identificare una prima generazione di storici (spesso definiti “ortodossi”), all’opera nel periodo di più intensa guerra fredda, che biasimavano l’Unione Sovietica per la guerra stessa e riteneva che la politica americana fosse una reazione giustificabile all’aggressione sovietica. Una seconda generazione (generalmente denominata “revisionista”), sollecitata in parte dall’opposizione alla guerra del Vietnam, ribaltò questo quadro: le politiche sovietiche erano essenzialmente difensive e di portata limitata, mentre quelle degli Stati Uniti erano espansioniste e intransigenti. Questa posizione era condivisa anche dagli storici sovietici della guerra fredda. Queste due prospettive tendono verso il margine volontaristico dello spettro interpretativo, in quanto sostengono che la divisione in campi contrapposti nacque essenzialmente da atti unilaterali di una o dell’altra potenza e che, quindi, essa fu una tragedia evitabile2.

Tuttavia, un altro approccio al problema delle cause e dell’origine della guerra fredda è possibile. Alcuni studiosi si sono soffermati sulla grande importanza che in questo lungo conflitto hanno avuto le percezioni, gli errori di percezione e i sistemi di credenze. I loro lavori hanno chiaramente dimostrato l’esistenza di divari percettivi negli incontri fra culture, i quali sono diventati poi istituzionalizzati nei processi decisionali. Così, le decisioni importanti sono state spesso prese sulla base di fondamentali errori di interpretazione delle intenzioni e delle motivazioni dell’antagonista. L’approccio psicologico si è dimostrato particolarmente fecondo nei casi-studio di particolar decisioni e nell’analisi delle basi culturali e dei sistemi concettuali di particolari decision-makers e i policy-makers. Questo approccio ha i meriti della logica e della concretezza, dal momento che le sue principali premesse riguardanti le tendenze e le politiche degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica sono accettabili3. Ma in campo occidentale è stato molto criticato perché ha capovolto il quadro offerto dagli storici ortodossi, secondo i quali le responsabilità della guerra fredda erano imputabili all’Unione Sovietica4.

1

Si veda, per esempio, L. HALLE, The Cold War as History, Harper & Row, New York 1967

2

CROCKATT, Cinquant’anni di guerra fredda, cit., pp. 96-107

3

Si veda D. LARSON, The Origins of Containment, Princeton University Press, Princeton 1985; R. JERVIS, Perception and Misperception in International Politics, Princeton University Press, Princeton 1976

4

Secondo Crockatt: “L’elemento chiave che nella struttura dell’ordine mondiale del dopoguerra influenzò le politiche degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica non fu esclusivamente il loro nuovo ruolo di superpotenze, ma l’asimmetria nei tipi di potere in loro possesso e nei loro ordini di priorità. La

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In questo tipo di approccio alla Guerra Fredda sembra rientrare l’analisi compiuta da Toynbee. Il suo contributo all’analisi di questo peculiare momento della società internazionale è stato significativo. Egli ne ha parlato in A Study of History, nei libri che ha scritto dopo il 1945 e, soprattutto, nelle numerose analisi che ha compiuto per il Royal Institue of International Affairs. Tuttavia, se alcuni studiosi si sono concentrati sul suo contributo in genere allo studio delle Relazioni Internazionali, pochi hanno colto il nesso che esisteva tra la sua elaborazione concettuale complessiva della storia come ascesa e declino delle civiltà e l’interpretazione originale che egli dava dalla guerra fredda come momento di scontro, o meglio di incontro, fra la civiltà occidentale e uno dei rami in cui la civiltà ortodossa era divisa, ovvero quello russo. Il presente capitolo cercherà, dunque, di colmare questa lacuna.

Il ramo russo della civiltà ortodossa ha avuto un diverso sviluppo rispetto a quello greco che abbiamo trattato nel capitolo precedente e, soprattutto, ha manifestato un diverso modo di relazionarsi con la società occidentale. I contatti della civiltà occidentale con la Russia avvennero quando essa si trovava nel suo stato universale1. Ma la cosiddetta “questione occidentale” per gli abitanti della civiltà russo-ortodossa era già ben familiare, poiché risaliva al Medioevo. In realtà, le relazioni a quell’epoca erano civili e pacifiche fra queste due civiltà: i popoli commerciavano e le famiglie reali si sposavano fra di loro. L’allontanamento iniziò nel XIII secolo, quando la Russia venne conquistata dai Tartari. La loro dominazione fu temporanea, ma le perdite che la Russia subì in questo periodo non andarono a vantaggio dei Tartari, ma degli Occidentali: infatti, presero l’occasione della prostrazione russa per annettere alla Cristianità occidentale le frange del mondo russo, che corrispondevano alla Bielorussia e alla metà occidentale dell’Ucraina2

. Queste conquiste tardo medioevali incrinarono di molto i

percezione erronea degli obbiettivi reciproci non fu essenziale, quantunque indubbiamente ebbe un suo ruolo. Il problema dominante fu la tendenza di entrambe le potenze a perseguire i propri obiettivi politici con la massima intensità e rapidità all’interno delle aree nelle quali possedevano un maggiore peso politico. Nel caso dell’Unione Sovietica ciò volle dire la sua pressione militare e politica sull’Europa orientale; nel caso degli Stati Uniti ciò significò la loro potenza economica e la capacità di proiettarla su scala globale. Sforzandosi di compensare le proprie debolezze e di controbilanciare la forza dell’altra, entrambe le potenze perseguirono politiche che agevolarono l’istituzionalizzazione globale delle differenze reciproche. Il risultato fu la guerra fredda”. (CROCKATT, Cinquant’anni di guerra fredda, cit., p. 106-7).

1

TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. VIII, p. 126

2

Per una disamina sulla storia russa si veda A. KAPPELLER, La Russia. Storia di un impero multietnico, Edizioni Lavoro, Roma, 2006; N. V. RIASANOVSKY, A History of Russia, Oxford University Press, Oxford 1984, tr. it., Storia della Russia dalle origini ai giorni nostri, Rizzoli, Milano 2004

171 rapporti fra le due civiltà, e questa incrinatura era destinata a durare a lungo: essa infatti spinse gli abitanti della civiltà russo-ortodossa nelle mani della nascente potenza della Moscovia che, in cambio di una devozione totale a un potere autocratico, impose sul territorio della civiltà russo-ortodossa l’unità politica. Non a caso questa unità fu raggiunta grazie alla potenza della Moscovia, che viveva in una condizione di sicurezza precaria e che era stata costretta a rafforzarsi a causa della sua posizione svantaggiata, in quanto Mosca si trovava proprio sulla via d’invasione più facile della Russia, che successivamente fu utilizzata diverse volte dagli invasori: i Polacchi nel 1610, i Francesi nel 1812 e i Tedeschi nel 1941.

Il terreno di scontro e di influenza fra una Russia autocratica e l’Occidente in epoca moderna si era trovato dunque lungo l’asse che da Kiev andava ai Paesi baltici. L’acquisizione che la Moscovia fece di Kiev nel 1667, che era stata la capitale politico- culturale pre-moscovita e che, sotto l’influenza polacca, era stata la stazione di trasmissione dell’influenza occidentale, fu indubbiamente un momento importante nei rapporti fra la civiltà occidentale e quella russa. Ma Kiev non aveva rappresentato il campo principale dello scontro, così come non lo erano stati i porti sul Baltico, Courland, la Finlandia e Riga. Il canale principale di influenza fu il nord Dvina, sulle coste del mar Bianco, che fu raggiunto da una nave inglese nel 1553. Il governo moscovita rispose con la creazione della città portuale di Arcangelo nel 1584. L’instaurazione di rapporti fra gli Occidentali e la Russia attraverso il Mar Bianco inaugurò il periodo dell’espansione occidentale sugli oceani, ma l’intensità dell’influenza della civiltà occidentale moderna fu accresciuta dalla fondazione di San Pietroburgo. In questo modo, infatti, l’influenza occidentale non fu relegata nei quartieri delle città marittime come Arcangelo ma venne autorizzata ad espandersi nel cuore della Russia1.

Secondo Toynbee, la figura chiave per comprendere la natura e l’evoluzione dei rapporti fra Russi e Occidentali in epoca moderna era quella di Pietro il Grande. Egli, infatti, serviva da esempio per capire non solo le relazioni fra Russi e Occidentali, ma anche le relazioni delle altre civiltà con l’Occidente. Pietro era l’archetipo del riformatore autocratico occidentale, che durante gli ultimi due secoli e mezzo aveva salvato il mondo dal rischio di cadere completamente sotto la dominazione occidentale,

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allenandolo a resistere a questa aggressione utilizzando armi occidentali. Selim III e Mahmud II, il presidente Kemal Ataturk in Turchia, Mehemed Ali in Egitto erano, infatti, tutti seguaci di Pietro il Grande1. Toynbee scelse Pietro il Grande perché, una volta asceso al trono degli zar, diede il via a un’importante opera di ammodernamento dello stato, partendo soprattutto dall’acquisizione delle tecnologie occidentali nel campo militare. Egli, infatti, inviò i suoi consiglieri nelle capitali europee affinché fossero addestrati ed edotti nelle ultime acquisizioni occidentali in campo navale e degli armamenti, per poi trasferire in Russia queste conoscenze e permettere alla civiltà russo- ortodossa di competere ad armi pare con quella occidentale2.

L’elemento della competizione tecnologica era proprio uno degli elementi caratterizzanti il rapporto che esisteva nel mondo contemporaneo fra la Russia e la civiltà occidentale, al quale Toynbee dedicò importanti pagine di riflessione. Fu proprio Pietro a lanciare la Russia in questa competizione tecnologica con l’occidente che la Russia della guerra fredda stava ancora correndo. Essa, in questa corsa a due, non aveva mai potuto riposare: per esempio, Pietro e i suoi successori avevano portato la Russia vicino ai suoi avversari occidentali quanto era bastato per permetterle, nel XVIII secolo, di sconfiggere gli invasori occidentali, fossero essi Svedesi (1709) o Francesi (1812). Ma con la rivoluzione industriale del XIX secolo, l’Occidente aveva lasciato ancora una volta la Russia ad inseguire, tanto che nella prima guerra mondiale essa fu sconfitta dagli invasori Tedeschi, come era stata sconfitta duecento anni prima dai suoi invasori polacchi e svedesi3. Il governo comunista in Russia, sorto anche a causa della sconfitta nella prima guerra mondiale, iniziò un’opera di ammodernamento che dal 1928 al 1941 fece alla Russia ciò che lo zar Pietro le aveva fatto circa duecentotrenta anni prima: per la seconda volta nella sua storia recente essa marciò a tappe forzate per colmare il divario tecnologico con l’Occidente. E lo sforzo e il sacrificio con il quale Stalin portò

1

TOYNBEE, The World and the West, cit., p. 8-9

2

Sulla Russia di Pietro il Grande si veda W. MARSHALL, Pietro il Grande e la Russia del suo tempo, Il Mulino, Bologna 1999

3

TOYNBEE, The World and the West, cit., p. 9. Sulla competizione tecnologica si vedano anche D.S. LANDES, The Unbound Prometheus: Technological Change and Industrial Development in Western Europe from 1750 to the Present, Cambridge University Press, Cambridge 1969, tr. it., Prometeo liberato: trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell'Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri, Einaudi, Torino 1978; D.R HEADRICK, The tools of empire: technology and European imperialism in the nineteenth century, Oxford University Press, New York 1981, tr. it., Al servizio dell'impero: Tecnologia e imperialismo europeo nell'Ottocento, Il Mulino, Bologna 1984; N. ROSENBERG, L.E. BIRDZELL, How the West Grew Rich: the Economic Transformation of the Industrial World, I. B. Tauris, London 1986

173 avanti questa opera di industrializzazione fu giustificato dalla vittoria che i Russi ottennero sui Tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Ma poi, dopo pochi mesi dalla completa liberazione del suolo russo dai Tedeschi, i suoi alleati occidentali, gli Americani, testarono in Giappone la bomba atomica, dando il via alla terza rivoluzione tecnologica occidentale, il cui risultato era ancora da scoprire: “…but it is already clear that this renewal of the technological race is another of the very serious difficulties now besetting the relations between these two ex-Christian societies”1.

Dalla narrazione di Toynbee sui trascorsi della relazione fra la civiltà occidentale e la società russa emergeva chiaramente come la fase storica della guerra fredda fosse un nuovo atto del secolare incontro fra queste due civiltà, che si veniva a configurare sin dalle fasi finali della seconda guerra mondiale. La civiltà occidentale aveva negli Stati Uniti d’America il suo rappresentante più autorevole, mentre quella ortodossa aveva nell’Unione Sovietica il suo stato universale, erede della Russia di Pietro il Grande. L’Unione Sovietica come restaurazione dell’impero dei Romanov era stata il prodotto dell’aggressione occidentale per controllare, come in passato, la civiltà ortodossa. Toynbee, infatti, la descrisse come: “…the response of an obstinately persisting Russian will to independence in face of a menace of extinction which had never been more acute than when, on the morrow of a General War of AD 1914-18, a prostrate Russia’s recent Western or Westernized allies – France, Great Britain, the United State, and Japan - had followed suit to her recent Western adversary Germany in invading her by force of arms…”2. L’ultimo tentativo di invadere la Russia aveva quindi creato uno stato

universale, che ora, dopo il conflitto con la Germania, poteva a buon titolo rientrare nel limitato cerchio delle superpotenze. Infatti, egli si espresse in questi termini sull’Unione Sovietica: “…not merely an unseasonable avatar of a time-expired Russian universal state but was one of two super-great Powers in a Westernizing World, now co-extensive with the whole surface of the planet, in whose political articulation the number of Powers of the highest calibre had been reduced to two from eight in the course of the thirty-one years (AD 1914-45) as a result of two world wars in one life-time”3

. Secondo questa interpretazione, il nuovo incontro nel tempo e nello spazio fra le due civiltà

1

TOYNBEE, The World and the West, cit., p.10

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. VIII, p. 143

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. VIII, p. 143. Per una storia dell’Unione Sovietica si veda A. GRAZIOSI, L’URSS di Lenin e Stalin, Storia dell’Unione Sovietica 1914-1945, Il Mulino, Bologna 2007

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presentava alcuni aspetti che potevano portare a uno scontro senza precedenti nella storia dell’umanità, poiché differenti ideologie l’avevano divisa in due campi spirituali opposti1. Come abbiamo visto, i contatti fra i due mondi non erano nuovi, ma acquisivano drammaticità proprio nella fase storica della guerra fredda. In questo nuovo incontro, l’elemento di rottura con la tradizione passata stava nel fatto che la civiltà ortodossa e il suo stato universale russo fossero rinforzati da una potente “eresia occidentale”, il comunismo. Toynbee lo presentò come la risposta russa più efficace all’Occidente, perché combinava l’abilità di contrastare la supremazia tecnologica occidentale con l’irreprensibile senso russo del destino che prendeva la forma dei miti (o, meglio, delle ideologie politiche) del “popolo eletto” e di Mosca come terza Roma2

. L’analogia fra Israele e la Russia prendeva corpo grazie al ruolo particolare che rivestiva il marxismo all’interno della civiltà russo-ortodossa: “Marxism had appropriated the Jewish myth of an inoffensive chosen people which, in a war that it has never sought, is to win a miraculous victory against overwhelming odds over a coalition of enemies who have brought their doom themselves by banding together in the ride of their hearts to make an unprovoked assault on Zion”3

. Come il popolo di Israele, infatti, gli avversari del comunismo si aspettavano che il regime bolscevico collassasse, mentre la “chiesa militante” comunista aveva aspettato con la stessa certezza che si realizzasse il destino che la tradizione apocalittica ebraica preconizzava: “According to the Orthodox Communist apocalypse, the heathen Capitalist Powers are sooner or later to