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La rottura della tradizione: Chatham House e i Survey of International Affairs

Come abbiamo visto, Toynbee era una figura profondamente inserita nel tessuto sociale britannico dei primi decenni del Novecento. La formazione classica, il Grand Tour in Europa, l’impegno per la causa del proprio governo come civil servant, l’interesse e la partecipazione al dibattito sulla trasformazione dell’Impero, erano tutte esperienze tipiche del cursus honorum di un giovane della middle-class dalle grandi potenzialità. Anche la caratteristica che Toynbee mise più in mostra in questi anni, ovvero la sua predisposizione a viaggiare, non acquisiva nessun tratto di peculiare originalità per un giovane accademico inglese.

Egli invece ruppe la tradizione del civil servant e della carriera accademica diventando uno dei promotori di un’iniziativa che ebbe i suo prodromi nella conferenza di pace di Parigi nel 1919. Fu in una delle sale del Majestic Hotel, la sede della delegazione britannica, che Toynbee venne invitato a partecipare a una riunione fra

temporay officials delle delegazioni britanniche e americane. L’organizzatore

dell’evento era Lionel Curtis, come abbiamo visto una delle figure più eclettiche di quel periodo. Vedendo la situazione nella quale i negoziati di pace di stavano muovendo, Curtis propose la creazione di una società privata anglo-americana per lo studio scientifico delle relazioni internazionali a cui verrà dato il nome di Royal Institue of

International Affairs (conosciuto anche come Chatham House). Questo implicava la

creazione di qualcosa di nuovo, che andasse profondamente in contro-tendenza rispetto alla pratica in uso fino a quel momento nella diplomazia britannica, dove lo studio e l’analisi delle relazioni internazionali veniva gestito da un ristretto numero di funzionari governativi che rispondevano a precisi interessi diplomatici dei Paesi che rappresentavano.

Con il termine “scientifico” contenuta nella bozza della mozione presentata a questo incontro, si voleva indicare la natura e la metodologia nell’approccio allo studio delle relazioni internazionali, ovvero: “objective, unbiased, unpartisan, un-emotional”.1

Il proposito di questa organizzazione era, quindi, quello di organizzare uno studio il più accurato possibile degli affari internazionali. Toynbee diede sempre all’approccio “scientifico” un significato particolare: ai suoi occhi, infatti, uno studio scientifico non

1

61 poteva essere un fine, ma solo un mezzo. Lo studio scientifico, infatti, è per sua stessa natura un mezzo, poiché lo scopo ultimo della vita non è lo studio, ma l’azione. Il lavoro che si proponeva di fare questa nuova organizzazione, quindi, avrebbe avuto valore solo se fosse riuscito a raggiungere gli uomini di potere in grado di influenzare la politica estera dell’impero, ossia se fosse riuscito a far si che chi leggeva le pubblicazioni di questa associazione o partecipava ai suoi incontri avesse compiuto scelte un po’ più sagge e più intelligenti1

. Ciò che stava alla base di questa organizzazione, quindi, anche se non esplicitato chiaramente nello statuto della stessa, era che questo studio “scientifico” servisse agli uomini di stato per impedire che una catastrofe come quella della prima guerra mondiale potesse ripetersi. In realtà i primi sostenitori dell’iniziativa resero subito chiaro che la politica dovesse tenersi ben distanziata dallo studio.

Oggi Chatham House è un dei più importanti e influenti think tank inglesi, ma la sua nascita non è stata esente da giudizi negativi. Proprio la finalità scientifica ha attirato le più feroci critiche, che possono essere riassunte dalle pagine di Elie Kedourie in The Chatham Version. Egli mette in luce come la relazione fra conoscenza e azione, e il continuo ribadire che la politica avrebbe dovuto rimanere estranea ai lavori di

Chatham House, mascherassero in realtà il tentativo dei fondatori e dei membri

dell’Istituto, Toynbee compreso, di crearsi una posizione per influenzare gli affari pubblici della Gran Bretagna. Questa tendenza verrà poi chiarificata una volta per tutte con la seconda guerra mondiale, quando l’istituto e i suoi uomini lavorarono a fianco del Foreign Office2. A prima vista, il progetto potrebbe apparire come il tentativo di un

cambiamento portato avanti dagli architetti di Chatham House, tutti intellettuali favorevoli a una riforma articolata dell’impero, attraverso idee e argomenti che sfidassero le fondamenta stesse sulle quali esso si reggeva3. In realtà, come dimostra la storia personale di Curtis, il tentativo di influenzare la politica imperiale britannica può essere una motivazione sicuramente valida per lui, ma non necessariamente per tutti i membri di Chatham House, compreso Toynbee, il quale, come abbiamo visto in

1

TOYNBEE, Experiences, cit., p. 81. Sulla differenza di intendere il concetto di scienza all’interno di Chatham House si veda WILLIAMS, Commonwealth of Knowledge, cit., pp. 50-51

2

E. KEDOURIE, The Chatham House version and other Middle-eastern studies, Weidenfeld and Nicolson, London 1970, p. 352

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precedenza, aveva idee diverse riguardo al futuro dell’impero britannico. Comunque, se è vero che i contatti fra il Foreign Office e l’istituto crebbero e si consolidarono nel tempo, la nascita del British (poi Royal) Institute of International Affairs rappresentò un punto di svolta nel modo di intendere gli affari internazionali.

Con queste premesse di scientificità e obbiettività infatti venne fondato il Royal

Institute of International Affairs con sede a Londra in St. James Square, e il suo istituto

gemello, il Council on Foreign Relations, con sede a New York. Come prevedibile, un’iniziativa del genere, che nasceva da un gruppo di temporary officials non fu accolta con favore dal Foreign Office, il quale era stato costretto ad affidarsi a giovani esperti di questioni internazionali per compensare il ridotto numero dei membri del War

Department. Il numero degli ufficiali del Foreign Office era stato tenuto

volontariamente basso, in modo che potessero instaurare fra di loro relazioni e, soprattutto, gestire le relazioni internazionali dell’impero britannico senza dovere rendere conto del loro operato a nessuno al di fuori dell’apparato governativo. La prima guerra mondiale, però, aveva cambiato le regole del gioco: la diplomazia aperta e trasparente di Wilson aveva sferrato un duro colpo alla diplomazia segreta, alla quale i funzionari britannici erano ancora avvezzi. Dopo, quindi, l’opinione pubblica divenne un soggetto con il quale ogni ufficio governativo dovette fare i conti, in particolare il

Foreign Office. Se un governo perdeva il contatto con la propria opinione pubblica,

infatti, una politica segreta che stava portando avanti da tempo avrebbe potuto diventare un’arma a doppio taglio contro lo stesso governo che la stava promuovendo. Un esempio di ciò è il rifiuto da parte della stampa e dell’opinione pubblica inglese del piano Hoare-Laval del 1935 che prevedeva la frammentazione dell’Etiopia e la concessione di importanti zone di essa all’Italia. Così, il Foreign Office fu spinto con sempre maggiore insistenza ad acquisire una mentalità più aperta e collaborativa con altre realtà. E infatti, cambiò anche il rapporto con Chatham House. Appena il Royal

Institute of International Affairs prese corpo, ai permanent officiers del Foreign Office

fu proibito diventarne membri. Successivamente venne concesso loro di farne parte, ma senza possibilità di intervenire nelle discussioni, fino a che anche questo limite cadde. Chatham House, dal canto suo, stabilì la regola, adottata poi da vari istituti della stessa natura, che si potesse diffondere le notizie e le informazioni, anche importanti e delicate, che emergevano dai vari dibattiti, ma senza riportare chi fosse stato ad averle

63 divulgate e la sua affiliazione (la cosiddetta Chatham House Rule). Il motivo di questa apertura probabilmente è dovuto al fatto che il Foreign Office riconobbe la necessità che i suoi membri potessero partecipare a dibattiti e incontri per migliorare la qualità delle loro conoscenze e per sondare anche l’opinione pubblica1.

Cinque anni dopo la fondazione di Chatham House, Toynbee entrò come parte integrante del gruppo di lavoro. Infatti, dopo essere stato costretto a rassegnare le dimissioni dalla cattedra “Korais” dell’University of London, si trovò nella necessità di cercare un lavoro. Una soluzione, che doveva essere temporanea, apparve all’orizzonte all’inizio del 1924, quando il suo vecchio “datore di lavoro”, J.W. Headlam-Morley, gli offrì un posto a Chatham House. Il suo compito sarebbe stato quello di redigere una lunga relazione sulla Conferenza di Pace di Parigi del 1919 e sulle questioni internazionali successive, occupandosi soprattutto dei problemi legati al Vicino e Medio Oriente. Il suo lavoro sarebbe poi confluito nella monumentale A History of the Peace

Conference of Paris di Harold Temperley2. Questo impiego lo avrebbe tenuto occupato per un anno e gli avrebbe dato la possibilità di lasciare l’insegnamento per fare quello che aveva sempre desiderato: lavorare e scrivere da solo. Le cose andarono talmente bene che quello che doveva essere un incarico di un anno divenne una lunga e brillante carriera, che terminò solo con il suo ritiro nel 19543.

Infatti nel 1924 dopo aver concluso la sua collaborazione all’opera di Temperley, il Consiglio del British Institute of International Affairs offrì a Toynbee la possibilità di continuare a collaborare scrivendo dei Survey annuali di affari internazionali riguardanti gli anni successivi alla Conferenza di Pace. L’11 dicembre 1924 egli presentò un corposo libro dal titolo Survey of International Affairs, 1920-

1923, che venne pubblicato nell’estate del 1925 dalla Oxford University Press4. L’introduzione di Toynbee era diventata così lunga che non rientrava nelle dimensioni prescritte per il volume e dovette essere pubblicata separatamente con il titolo The

World after the Peace Conference, being an Epilogue to the “History of the Peace Conference of Paris” and a Preface to the “Survey of International Affairs”, 1920-

1

TOYNBEE, Experiences, cit., p. 65

2

H.W.V. TEMPERLEY, A History of the Peace Conference of Paris, Oxford University Press, London, New York, Toronto, 1920-1924

3

MCNEILL, Arnold J. Toynbee, cit., p. 120

4

Survey of International Affairs, 1920-1923, British Institute of International Affairs, Humphrey Milford - Oxford University Press, London 1925

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1923”1. All’inizio del 1926 egli dette alle stampe anche il Suryey of Internationals

Affairs, 19242. In questi primi Survey la sua attenzione fu attirata da diverse questioni che spaziavano dal disarmo al problema dell’emigrazione e dell’immigrazione, senza dimenticare le questioni tecniche dell’applicazione dei trattati di pace, in particolare per quanto riguardava la Germania. Il contratto con il British Institute contemplava, tuttavia, solo la stesura dei Survey per gli anni 1920-1924 sopra citati e così, nell’estate del 1925, Toynbee si trovò senza lavoro. Cercò di riallacciare i contatti con l’ambasciatore turco a Londra nell’eventualità di un incarico accademico in Turchia, ma la sua famiglia non si mostrò entusiasta della prospettiva. Suo suocero, Gilbert Murray, cercò di rimediargli un incarico a Parigi, nel quadro delle attività della League of

Nations Institute of Intellectual Cooperations, ma senza successo.

Toynbee accettò, allora, l’invito a partecipare ad un seminario estivo a Williamstown, nel Massachusetts: avrebbe dovuto tenere una serie di conferenze per aggiornare gli uomini d’affari americani sulle ultime tendenze delle relazioni internazionali. Così, senza certezze sul suo futuro, nel giugno del 1925 salpò alla volta di New York. Una volta sbarcato, gli venne comunicata l’offerta di una cattedra di relazioni internazionali opportunamente creata per lui all’Università di Londra da sir Daniel Stevenson. Terminato il suo ciclo di conferenze in America, rientrò in Inghilterra, dove un’altra sorpresa lo attendeva: la nomina a Direttore degli Studi al

Royal Institute of Internationals Affairs, che gli avrebbe permesso di continuare il

progetto dei Survey3. In particolar modo merita attenzione il lavoro da lui svolto in questo nuovo incarico. Egli compariva come autore dei Survey a partire dal primo, quello del 1920-1923, fino a quello del 1937, e si avvalse del contributo di numerosi studiosi specializzati in diversi settori della vita internazionale e della supervisione della sua assistente, poi diventata moglie, Veronica Boulter. Riguardo al Survey 1938 era autore del primo volume, scrisse la prefazione al secondo e si limitò a supervisionare il terzo volume. Della serie bellica 1939-1946 compariva come autore dei volumi The

World in March 1939, del quale per altro aveva scritto solo alcune sezioni, e Hitler’s

1

A. J. TOYNBEE, The World after the Peace Conference, being an Epilogue to the “History of the Peace Conference of Paris” and a Preface to the “Survey of International Affairs”, 1920-1923”, Humphrey Milford - Oxford University Press, London 1925

2

Survey of International Affairs, 1924, British Institute of International Affairs, Humphrey Milford - Oxford University Press, London, 1926

3

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Europe, del quale scrisse solo l’introduzione. Nel volume Middle East in War di George

Kirk, era autore solo dell’introduzione, mentre del volume America, Great Britain &

Russia di William Hardy McNeill scrisse una breve prefazione1.

I Survey presentavano a grandi linee la stessa struttura. Erano organizzati in volumi che prendevano in considerazione un anno o, in casi eccezionali, un arco di tempo più esteso. Una prima sezione veniva dedicata alle grandi questioni politiche, sociali ed economiche: la sicurezza e il disarmo, il movimento della popolazione, la crisi del sistema economico. La seconda sezione veniva dedicata all’Europa, con una divisione fra i Paesi occidentali e il resto d’Europa. In questa sezione era riservato grande spazio ai problemi dei maggiori Stati dell’Europa occidentale e al loro rapporto con la Germania, nella maggioranza dei casi l’oggetto dell’azione diplomatica dei Paesi occidentali. La terza sezione era riservata agli Stati Uniti e alla Russia, mentre le sezioni successive si occupavano dell’Africa, dell’Asia e dell’Estremo Oriente. A conclusione di ogni volume si trovava una corposa appendice, dove vengono riportati i testi dei trattati siglati negli anni presi in considerazione. In alcuni anni, oltre a un volume che rispecchiava questa struttura, venivano anche realizzati dei volumi monografici su questioni particolarmente importanti della vita internazionale, come la guerra d’Etiopia o la guerra in Spagna. L’importanza di questo lavoro era enorme: esso infatti rappresentava il tentativo di operare una sintesi delle grandi questioni internazionali utilizzando un approccio geopolitico, ossia che riconoscesse la divisione del mondo in aree e settori aventi specificità, problematiche, e importanza diversi, analizzando poi come questi entrassero in relazione fra loro e rivestissero un’importanza cruciale per le potenze occidentali. Un lavoro di questo tipo risentiva delle riflessioni dell’epoca e dell’approccio alla geopolitica come disciplina delle relazioni internazionali sostenuta da Harold Mackinder e sviluppata nei primi decenni del Novecento. Il celebre geopolitico Halford Mackinder aveva presentato alla Royal Geographical Society un saggio intitolato The Geographical Pivot of History. In questo lavoro, apparso nel 1906, egli sosteneva che l’epoca che si era aperta con i viaggi di Colombo e che aveva portato all’esplorazione e alla conquista dei territori d’Oltremare da parte delle potenze europee

1

Della serie Survey of International Affairs: 1939-1946 si veda G. KIRK, The Middle East in the war, , Oxford university press, London 1954; W.H. MCNEILL, America, Britain and Russia: their Co- operation and Conflicts, 1941-1946, Oxford University Press, London 1953; A.J TOYNBEE, V. TOYNBEE (a cura di), Hitler’s Europe, Oxford University Press, London 1954; A.J. TOYNBEE, F.T. ASHTON-GWATKIN (a cura di), The World in March 1939, Oxford University Press, London 1952

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fosse alla fine, e che stesse per incominciare una nuova era. In questo nuovo scenario il cardine del mondo, che corrispondeva alla Russia centrale, avrebbe acquisito un peso notevole. La premessa di Mackinder cambiava anche la percezione dello spazio: alcuni videro questa prospettiva globale adottata dallo studioso inglese come una forza di pace, altri come causa di guerra, ma tutti condividevano l’idea che il mondo stesse diventando più piccolo1.

All’apparenza, l’approccio dei Survey, atto a privilegiare le aree geografiche e gli elementi fisici, si scontrava con la suddivisione toynbiana del globo in civiltà, nelle quali (come vedremo) l’elemento fisico giocava un ruolo secondario. Questa apparente incongruenza scompare però se si riconosce che l’autore inglese tentò più volte nelle sue riflessioni all’interno dei Survey di andare oltre la divisione in aree geografiche sostenendo la necessità dello sguardo privilegiato delle civiltà per comprendere i problemi del mondo contemporaneo. Questo approccio, dunque, sembrava superare il tradizionale paradigma geopolitico classico basato sulla contrapposizione fra terra e mare, sulla centralità dell’Europa e sul determinismo geografico che aveva costituito l’essenza dei discorsi di autori come Alfred Thayer Mahan, Nicholas Spykman e anche di Carl Schimitt2.

Il lavoro di Toynbee a Chatham House fu, quindi, di grande rottura con la tradizione di impegno britannica. E da questo egli fu in grado di trarre grande giovamento per il suo A Study of History e per gli innumerevoli lavori che partorirà in questi anni: avendo il compito di supervisionare ogni volume, arrivò ad avere una conoscenza approfondita delle grandi questioni internazionali, dandogli così gli

1

H.J. MACKINDER, The Geographical Pivot of History, in The Geographical Journal, XXIII, 1904, pp. 421-444, trad. it., Il perno geografico della storia, in “I castelli di Yale”, 1, 1996, pp.129-162. Per un’analisi sull’opera e sull’autore si veda M. ROCCATI, La terra e il suo cuore, in “I castelli di Yale”, 1, 1996, pp.163-194; B.W. BLOUET, Halford Mackinder and the Pivotal Heartland, in B.W. BLOUET (ed.), Global Geostrategy. Mackinder and the defence of the West, Cass, London-New York 2005, pp. 1- 16; E. DIODATO, Il paradigma geopolitico. Le relazioni internazionali nell’età globale, Meltemi, Roma 2010.

2

A.T. MAHAN, The Influence of Sea Power upon History 1660-1783, 13 ed., Little Brown, Boston 1897, tr. it., L’influenza del potere marittimo sulla storia, Ufficio storico della marina militare, Roma 1994; C. SCHMITT, Land und Meer, Reclam, Lipsia 1942; trad. it. Terra e Mare, Adelphi, Milano 2002 e C. SCHMITT, Il Nomos della Terra nel diritto internazionale dello "Jus publicum europaeum", Adelphi, Milano 1991; N.J. SPYKMAN, America's Strategy in World Politics: The United States and the Balance of Power, Brace and Company, New York, Harcourt 1942 e The Geography of the Peace, Brace and Company, New York, Harcourt 1944. Su questo aspetto, si veda CASTELLIN, Lo “sguardo” di Arnold J. Toynbee, cit., in particolare pp. 63-64.

67 strumenti per poter fornire un’analisi dettagliata della situazione mondiale1. Certo, non fu sempre facile lavorare a Chatham House e a lui verrà sempre imputata l’incapacità della creazione di una società gemella nell’Irish Free State, missione che era abortita nonostante la sua visita a Dublino nel novembre del 1935. Tuttavia la sua esperienza fu indubbiamente positiva: ebbe occasione di lavorare al fianco di grandi intellettuali che tanto avevano contribuito alla vivacità e alla riflessione culturale che stava investendo l’Impero Britannico dopo la prima guerra mondiale. Headlem-Morley e Lionel Curtis ne erano gli esempi più lampanti: il primo, un famoso accademico, venne incaricato di curare lo sviluppo culturale del neonato istituto, mentre il secondo, uomo d’azione ( Toynbee lo definì “matchless promoter of good causes”2), propose a Chatham House e ai suoi membri sempre nuovi e interessanti temi e iniziative alle quali collaborare.

Inoltre, sotto la guida di Toynbee l’istituto mostrò “a strong consensus indicative of a community” e gli intellettuali che ne facevano parte furono in grado di influenzare la politica del loro paese3. In particolare la qualità di Toynbee e dei membri di Chatham

House venne messa in luce dalla collaborazione con il Foreign Office durante la

seconda guerra mondiale. Con lo scoppio della guerra egli, infatti, trattò con il governo a nome del Royal Institute per la creazione di un gruppo di lavoro che affiancasse gli esperti del Foreign Office, sospendendo così l’obbligo di Chatham House a non interferire con le vicende politiche. Egli quindi si mise a capo di un gruppo di esperti per lavorare fianco a fianco con il Foreign Office, diventando Director of the

Government’s Foreign Press and Research Service. Degno di nota rilevare che il team

di Toynbee venne preferito a quello di Edward Carr e sostenuto dalla London University. 177 persone vennero così trasferite al Balliol College di Oxford. Secondo il ministro degli esteri Eden, questo spostamento divenne necessario a causa del fatto che il lavoro del team di Toynbee si era spostato dai margini al centro dell’interesse del governo britannico. Egli ne rimase direttore fino all’agosto del 1946. Compito del suo