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Un modello per spiegare il mondo contemporaneo: il paradigma ellenico

2. L’APPROCCIO DI TOYNBEE ALLE RELAZIONI INTERNAZIONAL

2.3 Un modello per spiegare il mondo contemporaneo: il paradigma ellenico

Quali forze agiscono nel mondo contemporaneo? Come si configurano le relazioni internazionali nel XX secolo e, soprattutto, quale è il ruolo che le civiltà recitano in questo panorama? Per dare una risposta a tutte queste domande Toynbee utilizzò uno strumento interpretativo antico e, al tempo stesso, innovativo: il paradigma ellenico.

Più volte nella storia, infatti, gli studiosi avevano fatto ricorso all’analogia con la storia greca e romana per comprendere meglio e per dare un senso all’epoca in cui vivevano; il ricorso a tale narrazione, quindi, non sembrava essere un fatto nuovo né degno di nota. Toynbee però utilizzava il fascino analogico della storia antica in un modo diverso e originale, e la prima originalità stava proprio nella scelta, come paradigma esplicativo, non della singola storia greca o romana, ma della civiltà ellenica intera, concepita come un unicum. Con la dicitura di civiltà ellenica Toynbee classificava quella particolare civiltà che era nata in Grecia alla fine del II millennio a.C., mantenendo le proprie caratteristiche individuali fino al VII secolo dell’era cristiana. Essa comparve dapprima nelle terre che circondavano il mar Egeo quando, intorno al 1050 a.C. apparve netta la separazione che esisteva tra il mondo miceneo e le città-stato dell’Ellade, soprattutto nel campo culturale con l’adozione dello stile protogeometrico e con lo sviluppo delle arti visive2.

Originariamente, il termine ellenico usato per indicare questa civiltà contraddistingueva i membri delle anfizioni dei santuari di Artemide, ad Antela, e quelli della dea Terra e degli dei Apollo e Dioniso, a Delfi. Questa coppia di santuari era

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F. BRAUDEL, Le monde actuel, Belin, Paris 1963, tr. it., Il mondo attuale, Einaudi, Torino 1966, p. 54

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135 amministrata da dodici stati greci confinanti (anfizionici), e questo collegio degli anfizioni si era conquistato un ruolo così importante in tutto il mondo greco che gli stati che non erano compresi tra i membri originari dell’anfizionia avevano fatto di tutto per ottenervi una rappresentanza. Questo progressivo allargamento dell’anfizionia comportò anche l’estensione del termine Ellade ed Elleni a tutto il mondo greco1. Di lì, la civiltà ellenica si diffuse in seguito fino alle sponde del mar Nero e del Mediterraneo, per espandersi poi verso Oriente nel cuore dell’Asia centrale e dell’India e verso Occidente sulle coste atlantiche del Nord Africa e dell’Europa, compresa una parte dell’isola britannica, grazie all’iniziativa dei Greci e dei Romani. Come si intuisce dalla sua espansione, con il termine di civiltà ellenica non si definiva solo il mondo greco, la storia in continuazione di due popoli, i Greci e i Romani, che condividevano una stessa visione della realtà e che componevano, insieme, la civiltà ellenica, senza cesure o discontinuità. L’esperienza della civiltà ellenica era quindi interpretata come una storia ininterrotta, senza distinzione tra il periodo greco classico, con i suoi epigoni ellenistici, e quello romano, sia repubblicano che imperiale. Questa scelta aveva creato non poche difficoltà a Toynbee, che con questa formulazione sembrava non vedere le specificità che l’esperienza greca e quella romana avevano saputo sviluppare autonomamente.

Le critiche che si possono muovere a Toynbee sono di due tipi: la prima, più generale, sull’utilizzo della civiltà ellenica per comprendere lo sviluppo delle altre civiltà, e di ciò abbiamo già parlato nel capitolo sull’analogia. La seconda, invece, riguarda la considerazione che Toynbee aveva della storia romana, che veniva relegata in un ruolo secondario in quanto più volte egli ricordava che la civiltà ellenica era entrata nella sua fase di decadenza dopo la guerra del Peloponneso, classificando quindi la quasi totalità della storia romana come fase decadente. Al di là della critica sul ruolo di Roma, questa posizione era stata ferocemente attaccata perché contraddiceva la predilezione, espressa più volte da Toynbee, della figura di Alessandro Magno considerato uno degli esempi più alti dello spirito ecumenico2. Egli, nell’ultima sua opera, riconosceva che la storia romana aveva avuto un ruolo secondario rispetto a quella greca, tanto che: “Thus conquered Greece did indeed take her ferocious Roman conqueror captive. She annexed him in the most complete way possible by identifying

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TOYNBEE, Il racconto dell’uomo, cit., p. 184

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W. DEN BOER, Toynbee and Classical History. Historiography and Myth, in MONTAGU, Toynbee and History, cit., pp. 220-242

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him outright with herself. The outstanding event in Rome’s history is Rome’s absorption by Hellenism”1

. Inoltre Toynbee sosteneva che questa sua posizione nei confronti di Roma rappresentasse un problema per gli studiosi occidentali perché essi avevano visto in Roma, e nella sua politica di espansione e conquista, un’anticipazione dei moderni stati occidentali costruttori di imperi 2.

Il dibattito sulla continuità o discontinuità tra la Grecia e Roma era un argomento centrale nella storiografia europea a partire dal Rinascimento. La storiografia tedesca era stata la prima a vedere le tracce di questa continuità con Ranke e Reinhold Niebuhr. La storiografia francese, invece, già da Montesquieu evidenziava le specificità dei due popoli e li trattava separatamente. In Italia, invece, Arnaldo Momigliano tendeva a soffermarsi sui tratti in comune dei due popoli, mentre Gaetano De Sanctis evidenziava il legame fra la libertà dei Greci e quella dei Romani come preludio alla libertà cristiana3. Tuttavia, la scelta di Toynbee era comprensibilissima all’interno del suo schema delle civiltà: la civiltà ellenica, infatti, poteva svolgere il ruolo di paradigma interpretativo della realtà solo se intesa come unità, con tutta la ricchezza dell’esperienza greca e romana racchiusa in un’unica civiltà. Egli, infatti, la incoronava regina delle civiltà, sottolineandone i tratti paradigmatici in grado di indagare il comportamento dei soggetti principali delle relazioni internazioni, ovvero le civiltà.

Perché essa svolgeva un ruolo così importante per Toynbee? E perché la comprensione del suo funzionamento gli permetteva di comprendere il mondo del XX secolo? Innanzitutto è opportuno chiarire che l’utilizzo del paradigma ellenico da parte dello studioso inglese aveva tre scopi. Per prima cosa serviva ad analizzare il rapporto

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. XII, p. 392

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. XII, p. 389

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Oltre a Montesquieu, le figure sopra citate hanno contribuito in maniera determinante alla riflessione sul mondo antico e non è possibile in questa sede fornire una bibliografia completa delle loro opere fondamentali per lo studio del mondo classico. A titolo puramente esemplificativo si rimanda dunque a: L. VON RANKE, Weltgeschichte, cit.; R. NIEBUHR, Faith and History, A Comparison of Christian and Modern Views of History, Nisbet & Co., London 1949, tr. it., Fede e storia. Studio comparato della concezione Cristiana e della concezione moderna della storia, Il Mulino, Bologna 1966; A. MOMIGLIANO, Contributi alla storia degli studi classici e del mondo antico, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, a partire dal 1955; G. DE SANCTIS, Storia dei Romani, Bocca, Milano-Torino, primo volume 1907. E’ utile analizzare la storia della storiografia greca per capire come il concetto di autonomia della storia greca da quella romana si è sviluppato nel corso dei secoli, e in particolare è stato trattato in epoca contemporanea dalle storiografie nazionali e da studiosi come, per esempio, Wilamowitz, Beloch, Meyer e Burckhardt. Si veda C. AMPOLO, Per una storia delle storie greche, in S. SETTIS (a cura di), I Greci. Storia Cultura Arte Società, vol. I, Einaudi, Torino 1996, pp. 1015-1088. Su come il confronto con gli antichi sia stato impostato dai moderni e quindi come sia stato percepito il parallelismo con i Greci e i Romani, intesi come unicuum o separati, si veda F. HARTOG, Noi e i Greci, in SETTIS, cit., pp. 3-37.

137 con le altre civiltà ad essa contemporanee, ed era poi utile per analizzare efficacemente il rapporto con le altre civiltà del XX secolo, in quanto dalla civiltà ellenica derivava proprio la civiltà occidentale moderna che aveva reso il mondo globale e che aveva determinato l’attuale assetto geopolitico. Il paradigma ellenico, poi, era utile per indagare il rapporto tra una civiltà e la nascita delle religioni superiori. La civiltà ellenica, nel corso della sua lunga storia, entrò in contatto con le altre civiltà, e lo fece attraverso canali differenti. Durante il IV secolo avanti Cristo, le falangi macedoni guidate da Alessandro Magno attraversarono i Dardanelli e marciarono nel cuore dell’Asia, conquistando l’impero achemenide con i suoi domini egizi e siriaci e giungendo così ai confini dell’India nel II secolo a.C. Successivamente Demetrio di Battria, erede di uno degli epigoni dell’impero alessandrino, estenderà l’ellenismo attraversando i confini che ad Alessandro erano stati preclusi giungendo fino al Bengala. Nello stesso secolo i Romani combattevano sul fronte opposto, estendendo i domini del mondo ellenico fino all’oceano atlantico. Ma l’ellenismo non si propagava solo manu militari: il greco con il quale era scritto il Nuovo Testamento veniva parlato da Marsiglia a Travancore e, nello stesso periodo in cui la Britannia diventava una provincia romana, l’arte greca al servizio del buddhismo si stava diffondendo pacificamente verso Nord-est, dall’Afghanistan fino in Cina, Corea e Giappone. Ancora nel XII secolo d.C. l’influenza della civiltà ellenica perdurava: nella civiltà estremo- orientale, le arti visive erano ancora contaminate dall’arte ellenica, e nella civiltà siriaca la filosofia e le scienze del precettore di Alessandro, Aristotele, venivano studiate e rielaborate da intellettuali siriaci che leggevano le opere dello Stagirite su testi arabi1. Le città-stato (che anche Alessandro Magno aumenterà) e la koinè erano dunque gli strumenti e la vera forza espansiva della società ellenica, che i Romani semplicemente adattarono, continuando a fondare città, questa volta dipendenti dal governo centrale, e sostituendo, almeno parzialmente, il latino al greco come lingua dell’intera civiltà ellenica2. A questi due elementi, i Romani aggiungeranno il diritto, che nel periodo di quattro secoli adatteranno alle necessità del mondo ellenico creando un vero e proprio diritto ecumenico3.

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. VIII, p. 121 e TOYNBEE, The World and the West, cit., pp. 85-99

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TOYNBEE, Il racconto dell’uomo, cit., p. 215-220. Questo è valido solo per la civiltà ellenica. La civiltà cinese, per esempio, non presenta queste caratteristiche.

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La capacità di irradiarsi ed espandersi, di entrare in gioco con le altre civiltà e di influenzarle anche quando il suo peso politico era in decadenza o, addirittura, scomparso, rappresentavano gli elementi peculiari della civiltà ellenica e i motivi per i quali essa acquisiva un valore paradigmatico agli occhi di Toynbee. Egli apparve particolarmente interessato ad analizzare una fase della storia della civiltà ellenica, quella di disintegrazione, in quanto foriera di importanti innovazioni che avrebbero avuto una duplice conseguenza: da una parte consentire lo sviluppo di una religione superiore, dall’altra favorire la genesi di un’altra civiltà attraverso il processo di

apparentation e affiliation. Del primo diremo in breve. A partire dal volume VII

Toynbee cambiò il valore che dava alle civiltà, che passarono da attori principali del suo grande schema interpretativo a soggetti secondari, a vantaggio delle religioni universali. Per esemplificare questo trasferimento, egli partì dall’esperienza della disintegrazione della civiltà ellenica, che aveva come attori uno stato universale, nei panni dell’impero romano, e una chiesa universale, che prendeva le forme della Chiesa cattolica. Le minoranze dominanti degli stati universali crearono alcune istituzioni, che avevano il compito di mantenere ordine e uniformità, cercando anche di creare un modello di unità fra i vari popoli dello stato universale. Per fare ciò essi si affidarono ad alcune istituzioni dal grandissimo valore non per la funzione storica che avevano rivestito per lo stato universale, ma perché poi verranno prese in prestito dalle chiese universali, che se ne avvantaggeranno per diffondere il loro messaggio religioso. Per esempio, nel campo delle comunicazioni, strade e rotte commerciali sempre più ramificate permisero la diffusione non solo delle armi romane, ma anche del messaggio cristiano tramandato dalla Chiesa. Allo stesso modo, le guarnigioni e le colonie svolsero per la Chiesa l’importante ruolo di abituare le genti alla mescolanza e al sentimento di uguaglianza. L’organizzazione provinciale romana venne poi fatta propria dall’istituzione religiosa che così si struttura in diocesi, mentre la capitale, o una città importante e strategica, divenne luogo simbolico e di riferimento per un credo religioso.

La diffusione di una lingua comune, come il latino o il greco, consentiva non solo il veicolo di messaggi quotidiani, ma anche la diffusione e l’irradiamento di un messaggio di tipo religioso. I lasciti maggiori, però, erano quelli che riguardavano la legge: il diritto romano fu fatto proprio dalla Chiesa cattolica e l’esercito romano, una delle istituzioni più importanti della civiltà ellenica, divenne modello d’ispirazione per

139 l’idea cristiana della vita come mobilitazione, così come l’amministrazione e la burocrazia divennero un modello di organizzazione e fedeltà alla gerarchia e all’istituzione religiosa. Da ultimo, l’istituzione della cittadinanza, con la sua estensione a tutte le popolazioni entro i confini dell'Impero fatta da Caracalla nel 212 d.C. mediante la Constitutio Antoniniana e, soprattutto, la cancellazione (parziale) della distanza tra soggetti e governanti, non diffuse solamente il concetto di uguaglianza di fronte alla legge romana, ma servì anche alla Chiesa per diffondere il messaggio dell’uguaglianza degli uomini di fronte a Dio1.

Tuttavia il valore paradigmatico della civiltà ellenica non si esaurì nel compito di “preparare il terreno” alla comparsa delle religioni superiori e, neppure, a sviluppare istituzioni che poi sarebbero state utilizzate dalle Chiese universali. La civiltà ellenica, progenitrice di quella occidentale, esemplificava in maniera chiara come gli attori coinvolti interagissero fra loro nel delicato passaggio da una civiltà all’altra. Infatti, nel processo di genitura-affiliazione fra la civiltà ellenica e quella occidentale, si assistette a quei fenomeni sociali dei quali abbiamo già parlato. Il primo era la comparsa dello stato universale, nella forma dell’impero romano, che incorporava tutta la società ellenica in una sola comunità politica. Esso faceva seguito a un time of troubles in cui la civiltà ellenica non era più creativa e una frammentazione politica indice di declino, che la costituzione dell’impero romano sarebbe riuscita ad arrestare solo per qualche tempo. Quando l’impero romano cadde, fu seguito immediatamente da una specie di interregno, caratterizzato dalla frammentazione politica e dalla perdita di unità e che occupò la fascia temporale che va dalla scomparsa della società ellenica al sorgere della civiltà occidentale. Il vuoto creatosi durante questo interregno nell’ex dominio occidentale dell’impero romano venne colmato da altre due istituzioni, la prima delle quali fu la Chiesa universale, nella forma della Chiesa cattolica, della cui importanza abbiamo già discusso. La seconda istituzione che si affiancò agli stati universali e alle Chiese universali era quella degli “stati-successori” barbarici, che si crearono quando la popolazione barbara, straniera e esterna alla civiltà, attaccò la civiltà stessa mediante una Volkerwanderung, devastando gli ex territori imperiali e riuscendo ad edificare una forma di governo abbastanza stabile. Toynbee vedeva in queste creazione politiche soltanto soluzioni transitorie, incapaci di creare qualcosa di duraturo e in grado solo di

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lasciare tracce labili nella formazione della nuova civiltà. Infatti, per lo studioso inglese l’età eroica delle popolazioni barbariche indoeuropee che invasero il mondo ellenico, rappresentava l’epilogo della storia ellenica, non il preludio della civiltà occidentale1.

Quale era dunque il fenomeno sociale principale nel passaggio da una civiltà all’altra? Toynbee considerava importanti tutti e tre gli attori menzionati, ma solo uno aveva un valore assoluto: la Chiesa universale. La ragione di questa investitura è ormai chiara: la Chiesa apparteneva per natura all’avvenire non meno che al passato e pertanto poteva porsi come ponte fra differenti, ma successive, civiltà. Così dunque gli stati successori barbarici erano, al pari della Chiesa e dell’Impero, segni dell’affiliazione della società occidentale a quella ellenica. Ma, come lo stato universale e a differenza della Chiesa, erano solamente dei segni esteriori. Infatti: “Laddove troviamo uno di questi segni, o tutti e due, in congiunzione con una Chiesa, possiamo prenderli come prova suppletiva del caso di genitura e affiliazione che l’esistenza di quella chiesa stabilisce. Laddove però troviamo uno o anche due di questi segni sussidiari senza trovarvi parimenti una Chiesa, non possiamo spingerne così in là il valore dimostrativo”2. Infatti, nel passaggio dalla civiltà ellenica a quella occidentale il rapporto di filiazione si basava sostanzialmente sul ruolo della Chiesa, e non su quello degli stati successori barbarici, la cui influenza sulla nascente civiltà occidentale durò poco e fu marginale. La Chiesa, fu intimamente coinvolta nel processo di affiliazione, sviluppando un apporto creativo che la faceva ergere, a buon titolo, come vera crisalide dalla quale emerse la civiltà occidentale. Gli stati successori barbarici, susseguitisi all’impero romano, non furono invece le crisalidi degli Stati locali in cui a un certo punto si andò articolando la civiltà occidentale. Nel passaggio fra una civiltà e un’altra era possibile anche vedere uno spostamento geografico: la linea base da cui era partita l’espansione della società occidentale, una linea che si estendeva da Roma al Vallo di Adriano, passando per Aquisgrana, e che coincideva con una sezione della frontiera dell’impero romano, costituiva il limite ultimo della civiltà ellenica, da dove poi sarebbe partita l’espansione della civiltà occidentale. Infatti questa espansione verso Nord-ovest rivestiva una grande importanza, perché proprio la dimensione spaziale e geopolitica

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. I, p. 62. Sulle Chiese universali e sugli strumenti da esse utilizzati per veicolare un messaggio si veda TOYNBEE, Il racconto dell’uomo, cit., pp. 294-6

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141 sarà quella nella quale la civiltà occidentale di manifesterà con forza, rappresentando con ciò una continuità con la civiltà ellenica1.

Così dunque la civiltà occidentale sorse dalle ceneri di quella ellenica, con un lento processo che vide la Chiesa ricoprire il ruolo principale, mentre gli stati successori erano relegati in secondo piano. Ma era solo dai tempi moderni, ossia dal XV secolo, che essa si era proposta al mondo nello stesso modo della civiltà ellenica: questo cambiamento di prospettiva rappresentava il vero momento centrale dell’umanità2. Questa capacità di aprirsi agli altri, alla base poi del processo che oggi comunemente chiamiamo “occidentalizzazione” o globalizzazione, partiva da una conoscenza più approfondita e da una vera riscoperta della civiltà ellenica. Conoscenza che, però, non era stato appannaggio della generazione immediatamente successiva al crollo della civiltà ellenica, ossia quella della civiltà occidentale medioevale, ma di quella successiva, che aveva accumulato una propria significativa esperienza lungo i secoli. Era, infatti, la generazione di Erasmo che apprezzò e si appropriò dei tesori della cultura greca e latina, sconosciuti a Gregorio di Tours, così come Gibbon era stato in grado di apprezzare la cultura ellenica dell’età degli Antonini meglio di Papa Gregorio Magno, nonostante fosse ancora in vita un governo imperiale a Roma erede di Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Allo stesso modo, ci ricorda Toynbee, i padri delle rivoluzioni americane e francesi erano stati in grado di attingere e riproporre le esperienze politiche della repubblica romana, della confederazione licia ed achea, e dell’Atene di Pericle, che Dante o di Cola di Rienzo non erano stati in grado di apprezzare appieno3. La cultura ellenica, poi, funzionò da base anche per il fiorire di movimenti religiosi: se si esclude Lutero, che era comunque un uomo di lettere, anche principali esponenti del Protestantesimo come Calvino e Zwingly erano degli umanisti, così come gli artefici della Controriforma cattolica, in particolare Sant’Ignazio di Loyola, abbracciarono con entusiasmo l’umanesimo4. Inoltre, era la generazione di Vasco da Gama e di Colombo che, su imitazione dei viaggiatori della civiltà ellenica, entrò in contatto in maniera stabile e continuativa con le altre civiltà e, a partire dalla