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Sulla scacchiera di Toynbee: le civiltà e le religion

2. L’APPROCCIO DI TOYNBEE ALLE RELAZIONI INTERNAZIONAL

2.1 Sulla scacchiera di Toynbee: le civiltà e le religion

Per meglio comprendere l’originale interpretazione che Toynbee ha elaborato della guerra fredda è importante analizzare in dettaglio due concetti-chiave, la civiltà e la religione, che formano l’architrave sul quale si regge tutta la costruzione interpretativa delle relazioni internazionali che egli sviluppa. Come è ovvio, i termini civiltà e religione sono stati analizzati a lungo dagli studiosi che si sono confrontati con il pensiero dello studioso inglese. In particolare proprio il termine civiltà, a causa della drammatica importanza che ricopre nell’economia della sua intera opera, è stato oggetto di un attento studio. L’intera sua filosofia della storia ha reso necessario che i commentatori del contributo di Toynbee alla disciplina dovessero, prima o poi, districarsi tra le mille sfaccettature di questo termine.

All’apparenza quindi non sembrerebbe esserci la necessità di aggiungere molto sull’argomento, tanto più che un ritorno in auge di Toynbee, del quale abbiamo parlato approfonditamente nell’introduzione, ha visto il proliferare di valide pubblicazioni sul suo pensiero. Tuttavia questi lavori, se hanno avuto il pregio di rendere superflua un’ulteriore ricognizione del problema delle civiltà e delle religioni nel suo pensiero, hanno però molto spesso evidenziato una significativa mancanza metodologica. Infatti, i concetti di civiltà e religione, in quanto chiavistelli interpretativi per forzare l’accesso alla comprensione del pensiero filosofico di Toynbee, e quindi della sua interpretazione del mondo contemporaneo, sono stati soggetti ad una profonda evoluzione nel tempo. Proprio perché questa evoluzione ha portato ad un diverso significato del loro utilizzo nelle opere dell’autore, sarà quindi opportuno analizzare il ruolo delle civiltà e delle religioni prima della seconda guerra mondiale. Nel fare ciò, l’obiettivo che ci proponiamo è quello di mettere in evidenza come il significato e la funzione che questi termini hanno per Toynbee cambi con il passare del tempo e come, di conseguenza, cambi l’interpretazione che l’autore inglese elabora sul mondo. Così facendo si può

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comprendere appieno l’uso che di questi concetti egli fa per interpretare la guerra fredda.

a) Ruolo e significato della civiltà nelle prime opere di Toynbee:

La riflessione sulla civiltà rappresentava il problema intellettuale occidentale, sia europeo che americano, per eccellenza negli anni a cavallo della prima guerra mondiale. L’accademia americana era interessata maggiormente a sviluppare il dibattito sul senso e sulla missione della Western Civilization, e in questo senso debbono essere lette le riflessioni di Frederick Jackson Turner sull’importanza dell’esperienza della frontiera americana per la nascita di una società egalitaria, distintiva ed aggressiva1. Di natura completamente diversa era la riflessione europea: la crisi in Europa generata dalla tragedia della Grande Guerra veniva letta come crisi della civiltà. Thomas Mann si interrogava sull’anima della Germania e dell’Europa con le sue opere letterarie, Johan Huizinga lo faceva invece nelle sue opere storiche intrise di pessimismo e dubbiose sul futuro della civiltà e della cultura2.

In questo filone Toynbee si inserì con molti elementi di continuità, ma anche con profonde tracce di discontinuità. Per Toynbee le civiltà rappresentavano i campi di studio principali, in quanto esse, e non gli stati nazionali, erano i veri soggetti delle relazioni internazionali. Le civiltà erano “a common ground between the respective individual fields of action of a number of different peoples”3

. Tuttavia questa posizione era il risultato finale di un’evoluzione concettuale che aveva avuto inizio nelle opere che egli aveva scritto agli albori della prima guerra mondiale, e che si intrecciavano con l’evoluzione che tutta la cultura europea aveva subito nelle prime decadi del Novecento. Infatti, verso la fine dell’Ottocento, la parola “civiltà” divenne uno dei concetti più importanti delle relazioni internazionali. Nell’Europa del XIX secolo questo termine indicava diverse cose, ma generalmente veniva usato sia per designare le relazioni

1

F.J. TURNER, The Frontier in American History, Holt, New York 1920, tr. it., La frontiera nella storia americana, Il Mulino, Bologna 1959

2

In particolare, in questo senso si legga l’opera dello storico olandese J. HUIZINGA, L’autunno del Medioevo, Sansoni, Firenze 1940. Per quanto riguarda Thomas Mann, l’opera dalla quale più di tutte traspare la tensione per il futuro è T. MANN, Der Zauberberg, 2 voll., S. Fischer Verlag, Berlino 1924, tr. it., La montagna incantata, Modernissima, Milano 1932

3

TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. VII, p. 1-2; TOYNBEE, A Study of History, cit.,vol. XII, p. 284

73 pacifiche all’interno di una particolare comunità sia l’espansione di questa comunità, e dei suoi valori, in tutto il globo. Con questo duplice significato, il termine era usato sia al plurale, individuando così i soggetti della vita collettiva, sia al singolare, significando l’espansione dell’unità sociale. In molti casi gli Europei spiegavano l’integrazione mondiale come il risultato della loro innovazione e del loro potere e in questo senso il temine “civiltà” diventava largamente interscambiabile con la civiltà europea.

Toynbee vi ci imbatté all’inizio della sua carriera, quando venne profondamente influenzato dall’evolutionary idealism dei suoi professori ad Oxford, Gilbert Murrey e Alfred Zimmern. Gli evolutionary idealist influenzati dall’interpretazione aristotelica del concetto di teleologia, sostenevano che gli esseri umani avessero uno scopo da realizzare durante la loro esistenza, e che la storia andasse nella direzione di una progressione mondiale continua1. All’interno di questa cornice si capisce perché il concetto di “civiltà” fosse un termine molto caro a questi studiosi: significava sia l’insieme delle relazioni materiali fra popoli e nazioni entrati in contatto grazie all’intraprendenza dell’Occidente, sia una moralità condivisa e, allo stesso modo, un’ambizione ideale. E questo era proprio il mondo in cui Toynbee crebbe, quello della

civilization of the world, una società globale di popoli diversi, organizzata dalla

conoscenza, dallo spirito e dalla forza dell’Occidente. L’influenza internazionalista si evince anche nella prima definizione che Toynbee diede del concetto di civiltà e che si può recuperare da alcune lettere personali che l’autore scrisse nel 1918. Egli si trovava in una situazione di particolare frustrazione psicologica: a differenza infatti di molti suoi coetanei era riuscito a sfuggire alla tragedia della prima guerra mondiale a causa di una malattia, sulla cui autenticità il biografo ufficiale pone qualche dubbio2, che gli era valsa un certificato di esenzione dall’impegno bellico. Questa improvvisa grazia aveva spinto il giovane a cercare di riscattare la sua inabilità al servizio militare attraverso lo studio delle cause della guerra e della sua possibile soluzione. Nel 1918, quindi, gli si era presentata l’occasione di scrivere una storia d’Europa incentrata però sulla comune “civiltà” piuttosto che sulla sua articolazione in comunità politiche nazionali. In due lettere, una indirizzata ad un amico e l’altra alla madre, Toynbee confessò di pensare a una storia della civiltà europea dal Medioevo sino al 1914 dove essa venisse trattata

1

M. LANG, Globalization and Global History in Toynbee, in “Journal of World History”, vol. 22, n. 4, Dicembre 2011, pp.747-783, p. 754

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come un’unità e non come una storia di stati nazionali separati, ossia trattando la civiltà europea come un tutto unico e i moderni stati nazionali come fenomeni di superficie più o meno transitori1. In questa corrispondenza, dunque, il termine civiltà veniva utilizzato per indicare una dimensione transnazionale della vita europea, fatta di valori spirituali condivisi e capace di garantirne la fondamentale e durevole unità al di sopra delle contingenti divisioni politiche dei popoli.

Come viene fatto rilevare opportunamente da Tagliaferri, questa accezione particolare del termine “civiltà” risentiva dell’influsso esercitato sulla formazione del pensiero di Toynbee dell’idea di storia universale abbozzata da Lord Acton quando stava lavorando alla Cambridge Modern History. In questa monumentale opera il grande studioso inglese prendeva le distanze dal suo maestro, Ranke. A differenziare i due approcci non era naturalmente la generica sottolineatura dell’unità del mondo europeo e della necessità di studiarlo secondo un approccio internazionale, ma il suo specifico modo di concepire questa unità ed internazionalità. Secondo Lord Acton, infatti, la civiltà era una comunione di valori capace di tenere unito un gruppo di popoli pure diviso in una pluralità di aggregati politici. Per Ranke, invece, lo studio della storia universale sarebbe degenerato in ricostruzioni fantasiose se si fosse allontanato dalla terra ferma delle storie nazionali2. Questa definizione di civiltà, mutuata da Lord Acton e in chiara contrapposizione a quella elaborata da Ranke, appariva dunque come una prima, forte influenza sul processo formativo di Toynbee. L’idea di civiltà di Toynbee risentiva anche dell’influenza della storiografia liberale francese, in particolare del pensiero di Francois Guizot. Egli riteneva che tutti i popoli e le identità nazionali facessero parte della medesima civiltà, che lui intendeva come espressione di una dimensione trans-nazionale della vita europea, fatta da ideali assiologici condivisi perché di validità e portata universali3. Il tema dell’unità del globo sarà poi quello con il quale si confronterà nei suoi primi lavori, concentrandosi in particolare sulla grande sfida, presente e passata, dell’integrazione fra popoli diversi. Per questo essi si

1

TAGLIAFERRI, Storia ecumenica, cit., p. 46

2

TAGLIAFERRI, Storia ecumenica, cit., p. 46-47. Si veda L. VON RANKE, Weltgeschichte, Erster Theil, Leipzig 1881, tr.it., Firenze 1932; LORD ACTON, A Lecture on the Study of History, Macmillan, London1895, tr. it., Storia e libertà, Laterza, Roma-Bari 2001.

3

TAGLIAFERRI, La repubblica dell’umanità, cit., pp. 172-180. Si veda F. GUIZOT, Histoire de la civilisation en Europe (1829-1832), tr. it., Storia della civiltà in Europa, il Saggiatore, Milano 1973.

75 occuparono del mondo greco e delle risposte che fu in grado di dare a questa sfida particolare1.

Nel 1920 Toynbee tenne alcune lectures all’università di Oxford, che confluirono poi nell’opera The Tragedy of Greece, nella quale individuava in maniera chiara un modello di spiegazione del ciclo vitale delle società nella storia. Il concetto di civiltà veniva qui usato per la prima volta secondo quello schema che Toynbee poi avrebbe adottato per tutte le civiltà. A suo dire, la civiltà era la più grande e la più rara conquista della società umana e costituiva il risultato dell’interazione tra la creatività dell’uomo e l’ambiente fisico e sociale in cui era immerso, presentandosi all’occhio dello storico come l’ininterrotta trama di una “tragedia” in cui, nel corso dei secoli, ogni atto succedeva al precedente2. E’ opportuno però ricordare come, pur iniziando a riflettere sul tema della civiltà già a cavallo della prima guerra mondiale, l’attenzione di Toynbee in questo periodo fosse rivolta piuttosto agli Stati nazionali, in particolare europei, considerati ancora gli elementi imprescindibili del sistema mondiale. Non ancora le civiltà, ma le nazioni, apparivano le unità intellegibili della storia: “The national state is the most magnificient…social achievement in existence”3

. Alcune delle metafore o delle descrizioni che più tardi diventeranno famose per descrivere il ruolo della religione all’interno di una civiltà nacquero per caratterizzare le funzioni dello stato nazione. Per esempio egli sosteneva che dalla crisalide di un governo assoluto nascesse un senso comune, o nazionalità, e tesseva le lodi del nazionalismo democratico4.

Ma la tragedia della guerra cambiò profondamente le sue convinzioni intellettuali. Le rivolte contro l’Occidente, la rivoluzione bolscevica in Russia e il fallimento di molti accordi di pace lo spinsero ad interrogarsi se l’Occidentalizzazione del mondo implicasse davvero anche la sua unificazione. Il dilemma che lo attanagliava si manifestò con vigoria nel viaggio che compì nel 1921 in Anatolia come inviato del

Manchester Guardian per seguire l’evoluzione della guerra fra Greci e Turchi. Le sue

1

A.J. TOYNBEE, On Herodotus III.90 and VII.75.76, in “Classical Review”, 24, n. 8, 1910, pp. 236-238; A.J. TOYNBEE, The Growth of Sparta, in “Journal of Hellenic Studies”, 33, 1913, pp. 246-275

2

A.J. TOYNBEE, The Tragedy of Greece; a Lecture delivered for the professor of Greek to candidates for honours in Literae Humaniores at Oxford in May 1920, Clarendon Press, Oxford 1921. Su questa opera si veda MCNEILL, Arnold J. Toynbee, cit., pp. 95-97

3

TOYNBEE, Nationality and the War, cit., p. 481

4

TOYNBEE, Nationality and the War, cit., p. 273. Sull’argomento si veda anche K.W. THOMPSON, Toynbee’s Approach to History Reviewed, in MONTAGU, Toynbee and History, cit., pp. 200-220, p. 208

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riflessioni vennero successivamente implementate e adattate nel libro The Western

Question in Greece and Turkey, a Study in the Contact of Civilizations. In questo lavoro

egli analizzò le cause del conflitto, che a suo avviso risiedevano nel ruolo dominante che le potenze europee avevano avuto su questa regione nel corso dei secoli, nell’occupazione greca di parte della penisola anatolica dopo il primo conflitto mondiale, e nella susseguente reazione turca. Per sconfiggere l’Occidente, la Turchia ricorse infatti alla “formula occidentale”, ovvero alla creazione di uno Stato nazionale. La Grecia aveva fatto lo stesso quasi un secolo prima, anche se per motivi diversi. In entrambi i casi questa inappropriata introduzione dell’elemento nazionale direttamente proveniente dall’Occidente aveva rimpiazzato il tradizionale concetto di coabitazione e convivenza culturale. Fu proprio in questa opera, e proprio per l’evidenza dell’importanza dell’elemento nazionale come matrice delle tensioni nel primo conflitto dopo la pace di Versailles, che Toynbee realizzò un grande salto concettuale. Egli infatti definì le civiltà richiamando la sua precedente caratterizzazione del termine nazione. Le civiltà quindi, allo stesso modo delle nazioni, apparivano come organismi superiori, con cicli di vita e di morte dettate dalla natura stessa. Le civiltà inoltre erano anche “states of mind”, ciascuna “a law unto itself…a spiritual individuality”.

Mentre questo paradigma concettuale appariva poco cambiato rispetto alle formulazioni del tempo di guerra, l’allargamento spaziale dalla nazione alla civiltà introdusse una nuova variabile. Precedentemente infatti, l’evoluzione delle nazioni funzionava all’interno dell’ampio abbraccio della civiltà mondiale guidata dall’Occidente, ma adesso Toynbee pluralizzava il concetto di civiltà. Infatti, in The

Western Question in Greece and Turkey, Toynbee rese plurale il temine “civiltà”, dando

ai Greci una loro peculiare civiltà (Near Eastern), differente da quella occidentale, che veniva definita in questi termini: “The term ‘Near Eastern’ is used…to denote the civilization which grew up from among the ruins of Ancient Hellenic or Graeco-Roman civilization in Anatolia and Constantinople, simultaneously with the growth of our civilization in the West. The two societies had a common parent, were of the same age, and showed the same initial power of expansion, but here the parallel ends”1. Inoltre la civiltà greca era differente da quella dei Turchi, che l’autore inglese presentava come

Middle Eastern civilization. Nello schema che egli andava elaborando, questa civiltà:

1

77 “… has grown up from among the ruins of the ancient civilizations of Egypt and Mesopotamia. Its parentage is not the same as ours, and it is not our contemporary but our junior by about six centuries”1. In questa pluralità di civiltà, il concetto di una comunanza morale svaniva o, per meglio dire, il termine civiltà perdeva quella connotazione di superiorità morale che aveva posseduto in precedenza e che era intrinsecamente collegata alla supremazia mondiale dell’Occidente. Su scala globale infatti non esisteva un singolo spirito di comunità, certamente non un Regno dei Cieli, ma quello che si profilava era piuttosto un sistema-mondo, sicuramente dominato dall’Occidente, ma privo di ogni superiorità morale e che mostrava una pluralità di soggetti che si muovevano sul confine della civiltà occidentale. Infatti i Middle Eastern

Turks, come i Near Eastern Greeks erano all’interno dell’Occidente e, allo stesso

tempo, all’esterno2.

Oltre a sollevare dubbi intellettuali3, questa sua visione gli procurò anche molti dissidi e dissapori. In particolare, nel novembre del 1921 ebbe un acceso scontro con sir Arthur Evans durante una conferenza4. Il noto archeologo pensava che i Greci e gli Inglesi facessero parte della stessa civiltà, e che per questo bisognasse sostenere la causa greca: “He was going to say that we and the Modern Greeks were co-heirs of the ancient Greek civilization, and that we - Western heirs of ancient Greece - ought to support people who shared this heritage with us against people who did not”5. Toynbee passò subito all’attacco, ma senza successo: “I put it to him that the right criterion for passing judgement on a dispute was not one’s respective degrees of affinity with the disputants but was the rights and wrongs of the case; but Sir Arthur had made up his mind”6. Emergeva da questo scontro l’originalità del pensiero di Toynbee sul significato e la

1

TOYNBEE, The Western Question in Greece and Turkey, cit., p.9

2

TOYNBEE, The Western Question in Greece and Turkey, cit., pp. 363,36, 345, 351 xxviii, 361, 322

3

McNeill, per esempio, ritiene che l'idea di dividere i Greci e i Turchi in due civiltà sia dovuta alla preminenza che Toynbee aveva dato all'aspetto linguistico rispetto ad altri fattori. Intervista a William McNeill, settembre 2012.

4

Arthur John Evans (1851- 1941), archeologo e storico britannico. Studiò a Oxford e a Gottinga. Dal 1884 al 1908 fu direttore dell'Ashmolean Museum di Oxford. Nel 1893 intraprese a Creta gli scavi che gli permisero di portare alla luce il palazzo minoico di Cnosso: vi furono rinvenute 3000 tavolette d'argilla recanti iscrizioni successivamente identificate come scritture lineare A e lineare B. Pubblicò poi l’illustrazione del palazzo in una serie di volumi che costituiscono un’antologia della civiltà minoica. Per una biografia essenziale si rimanda a J.L. MYRES, Arthur John Evans, in “Dictionary of National Biography”, 1941-1950, Oxford University Press, New York, 1993, p. 240-243 e Arthur John Evans in “The New Encyclopaedia Britannica”, vol. 4, The University of Chicago, Chicago, 1988, p. 614-615

5

TOYNBEE, Acquaintances, cit., p. 247

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classificazione delle civiltà, che appariva molto diverso da quello dello scopritore della civiltà minoica. Evans diede il suo appoggio alla causa greca motivandolo con l’appartenenza alla stessa civiltà della quale facevano parte anche gli Inglesi. Toynbee invece, oltre a confutare l’appartenenza a una stessa comune civiltà, quella dell’antica Grecia, si scagliò contro la pratica moralmente scorretta di appoggiare il contendente con il quale si aveva maggiore affinità culturale1.

Il dilemma su che valore dare al concetto di civiltà, ossia se esso fosse un concetto atto a rappresentare una superiorità morale oppure un mero termine finalizzato ad esplicare la natura del sistema, non si risolse però con queste riflessioni riguardanti il rapporto fra Greci e Turchi ma, anzi, si acuì nelle opere successive di Toynbee. In questi lavori egli arrivò a comprendere che il ruolo centrale della storia era ricoperto dalle molteplici civiltà che si erano susseguite nei secoli e che erano sorte in quasi ogni area geografica, e proprio il contatto fra le civiltà rappresentava “the greatest of all movements in the contemporary world”2

. Nessuna civiltà, né tantomeno quella occidentale, poteva quindi avanzare pretese di superiorità morale sulle altre. Infatti, come afferma lo storico Lang: “Western political economy had satured the globe, but outside its own geography, the West could gain no spiritual foothold”3. L’Occidente, a sua volta, appariva sospeso fra la sua stessa estensione mondiale materiale e la propria singola, specifica “communion” spirituale, per dirlo con le parole di Lang: “The vast field of international relations thus faces a stubborn and doubtful battle…a battle not fought by states with material weapons, like the war of 1914, but waged, within each nation, and within the souls of individuals, between opposing state of mind”4.

Il contesto nel quale Toynbee era cresciuto – il liberal internationalism e

l’evolutionary idealism – e il suo convincimento che la storia si basasse sulla pluralità di

civiltà che erano entrate in contatto fra di loro arrivavano, così, a cadere in contraddizione. Toynbee non riuscì mai veramente a chiarire se l’ordine mondiale fosse

1

Queste parole, scritte negli anni Sessanta, tengono conto anche dei terribili avvenimenti che accaddero qualche decennio dopo lo scontro con Evans: “The contention that one should support the party with