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Gli effetti dell’incontro dell’Occidente con le altre civiltà

2. L’APPROCCIO DI TOYNBEE ALLE RELAZIONI INTERNAZIONAL

2.4 Gli effetti dell’incontro dell’Occidente con le altre civiltà

Fernand Braudel fu molto critico nei confronti del lavoro di Toynbee. Come nei lavori dello storico inglese, in Braudel la comparazione giocava un ruolo centrale, in quanto spingeva a ritrovare le grandi costanti, le strutture invarianti della diffusione del capitalismo su scala globale. Partito, infatti, da uno studio dell’impero di Filippo II dal punto di vista militare e diplomatico3, egli ribaltò la prospettiva, avviandosi verso l’analisi dei grandi poli commerciali, in grado di costituire enormi spazi d’attrazione e d’omologazione non solo economica. Così ribaltò anche la visione consueta del

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Al rapporto cruciale fra le due civiltà verrà dedicato il terzo capitolo di questo lavoro.

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. VIII, p. 111

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F. BRAUDEL, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l'époque de Philippe II, Armand Colin, Paris,1949, tr. it., Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Einaudi, Torino 1953

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Mediterraneo, non più in preda al declino ineluttabile a favore del nuovo e più vasto spazio atlantico, ma ancora, nonostante alti e bassi, in una situazione di splendore, dato il suo potere d’irradiazione. Braudel abbandonò uno spazio preciso, una civiltà come soggetto della ricerca, per concentrarsi invece sulle traiettorie di diffusione del suo potere culturale, politico, economico. Di conseguenza la civiltà era un prodotto, non un soggetto, ed era il risultato dei fenomeni d’irradiazione, un insieme in senso matematico di linee d’espansione che ne disegnavano la fisionomia e i contorni. Per lui bisognava, dunque, invertire il modo di guardare alla storia: non più partire dalle unità come soggetti agenti, ma dalle azioni che definiscono gli agenti, quindi non più gli uomini, ma le grandi strutture. Il tema centrale era la diffusione, della civiltà occidentale: il suo potere d’irradiazione era stato un flusso ininterrotto, che era sfuggito al controllo di chi l’aveva innescato.

Egli criticò Toynbee per aver posto al centro della ricerca le civiltà piuttosto che tali flussi di diffusione: “I fenomeni di ‘diffusione’, tanto poco apprezzati da Toynbee, mi sembrano una delle migliori pietre di paragone per chi voglia giudicare della vitalità e dell’originalità di una civiltà. Nella definizione che noi adottiamo si afferma un triplice gioco: l’area culturale con le sue frontiere; l’imprestito; il rifiuto”1

. In realtà Braudel sembrava dimenticarsi che, dall’illustrazione delle interazioni fra la civiltà occidentale e le altre civiltà dell’ecumene Toynbee ricavava alcune leggi che regolavano la modalità generale di incontro fra differenti civiltà. Innanzitutto quando una civiltà ne incontrava un’altra, generava non solo una risposta che si esauriva nel momento stesso del contatto, ma una vera e propria reazione. Essa, poi, poteva essere di due tipologie attinenti a due sfere separate: una che riguardava la politica, l’altra che aveva a che fare con la spiritualità.

Del primo gruppo faceva parte la reazione che più sovente era apparsa nella storia degli incontri fra le civiltà, ed era il ricorso alla forza. Di fronte a una civiltà aggressiva, infatti, la civiltà minacciata rispondeva con la forza, come per esempio una moribonda civiltà siriaca aveva fatto nei confronti dei Crociati sbarcati in Terra Santa. Ma, nella maggior parte dei casi, l’aggressione di una civiltà generava responsi di tipo politico, ossia spingeva l’aggredito a formulare una risposta “istituzionale” più complessa ed articolata in modo da rispondere con successo alla sfida che si trova

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F. BRAUDEL, Ecrits sur l’histoire, Flammarion, Paris 1969, trad. it. Scritti sulla storia, Mondadori, Milano 1973, p. 269

153 davanti. I Fenici, per esempio, erano stati in grado di rispondere all’espansione della civiltà ellenica alleandosi e unendosi politicamente, così come i Russi erano stati in grado di rispondere alla pressione dello stato universale creato da Genghis Khan solo unendosi politicamente sotto la guida della Moscovia. Un'altra forma di risposta, molto più sottile ma anche molto più insidiosa, era quella dell’auto-isolamento, tipica dei popoli che si trovano in una situazione di diaspora. Il meccanismo dell’auto-isolamento, infatti, nasceva come tentativo di spostare il confronto fra due civiltà su un nuovo piano e aveva come effetto positivo la specializzazione economica, tipica dei Greci Fanarioti sotto il dominio dell’impero ottomano, o una risposta sul piano culturale, come avevano fatto i bramini al tempo della conquista mussulmana dell’India1.

Fra tutte queste risposte, la meno efficace era quella di ricorrere alla violenza, e il ricorso all’isolamento era meno efficace della specializzazione economica e culturale. In campo culturale, poi, una ricettività flessibile di fronte alla cultura dell’aggressore risultava migliore rispetto a una ricettività integrale, che portava alla schiavitù culturale dell’aggredito. Questi responsi venivano tuttavia superati in efficacia dalla risposta pacifica e positiva che aveva nella creazione di una religione superiore la sua manifestazione più lampante. L’entrata in scena della religione superiore significava, infatti, l’inizio di una nuova esperienza, con una trama e con degli attori differenti2. Toynbee riservava, però, la massima attenzione al fenomeno della diffusione e della ricezione della cultura fra due civiltà. Con un linguaggio preso in prestito dalla Fisica, Toynbee spiegava i processi di irradiazione e di ricezione in questi termini: “When one civilization does succeed in exerting a cultural influence on the life of a contemporary society, this spiritual event is accomplished through a process of give and take which may be called ‘cultural radiation’ on the agent’s part and ‘cultural reception’ on the reagent’s”3. Così l’irradiazione culturale poteva essere descritta come una sfida presentata alla civiltà da uno dei suoi vicini e la ricezione culturale come una predisposizione o un orientamento della parte che subiva la sfida alla mimesi, l’importante processo che stava alla base del trasferimento di una cultura da una civiltà all’altra.

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. VIII, p. 474

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. VIII, pp. 454-476

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Il processo in sé può essere spiegato con un certo successo dalla metafora che Toynbee aveva usato con maggior efficacia all’interno della sua opera, quello del raggio di luce. Infatti, la diffusione e la diffrazione di una cultura che avveniva quando una civiltà entrava in contatto con un’altra, era simile alla diffusione e alla diffrazione di un raggio di luce. Se un raggio passasse da un prisma, esso risulterebbe composto da tre elementi - culturale, politico, economico - ognuno dei quali con una differente carica energetica e capacità di penetrazione. Fino a quando essi si trovavano riuniti nello stesso fascio di luce, i tre elementi si muovevano all’unisono, con la stessa velocità e alla stessa distanza l’uno dagli altri. Quando invece venivano lasciati liberi di percorrere la propria strada, essi dimostravano nei fatti di avere una diversa capacità penetrativa e una differente velocità. Inoltre, quando una civiltà era in crescita, questi elementi viaggiavano insieme, mentre quando una civiltà era in disintegrazione l’elemento economico, che era quello con una carica energetica più alta, espandeva in maniera significativa la sua influenza sulla civiltà che incontrava sulla sua strada. Allo stesso modo, si poteva notare anche un aumento della carica energetica dell’elemento politico, che così appariva in grado di penetrare una civiltà con maggiore efficacia quando era lasciato libero di agire indipendentemente dagli altri elementi. Tuttavia questo aumento della capacità penetrativa degli elementi politici ed economici di una civiltà in disintegrazione era compensato dalla progressiva diminuzione della capacità penetrativa del terzo elemento, quello culturale. Quando una civiltà attraversava la sua fase di crescita, infatti, l’elemento culturale, intrecciato agli altri due, si muoveva ad una velocità maggiore del suo ritmo naturale, e in questo modo arrivava a diffondersi ben la di là della sua reale portata. In una società in disintegrazione, invece, l’elemento culturale, abbandonato dagli altri due, calava drasticamente il suo potere penetrativo e si ritrovava così a viaggiare a una velocità inferiore rispetto ai due e in un campo d’azione decisamente ridotto. Questa rappresentava un’amara constatazione, poiché questi tre elementi non erano uguali dal punto di vista qualitativo: l’elemento culturale, infatti, rappresentava l’anima, la forza vitale e spirituale, l’essenza di una civiltà, mentre gli elementi economici e politici - che erano quelli che maggiormente penetravano in un’altra civiltà quando essa si accostava ad una civiltà in disintegrazione - non potevano che apparire, agli occhi di Toynbee, come superficiali e triviali. E così, l’influenza di una civiltà su un'altra non aveva pienamente successo: “It is only is so far as it succeeds

155 in radiating itself out on the cultural plane that a civilization can genuinely and completely assimilate an alien body social with which it has come into contact; for the most spectacular triumphs of economic and political radiation are imperfect and therefore precarious. Accordingly it I more profitable, both for the society which is emitting the radiation and for the society which is receiving it, that an inch should be gained on the cultural plane than a mile on the political plane or a league on the economic”1.

La diffusione della cultura, ossia di quell’elemento che componeva il raggio di luce assieme all’elemento politico e a quello economico ma che, a differenza di questi, ricopriva un ruolo molto più importante nel mondo contemporaneo, permise a Toynbee di trovare quelle leggi che stavano alla base delle relazioni fra le civiltà. La prima, era che un raggio culturale si trasmetteva da una civiltà all’altra in relazione allo stato del corpo che trasmetteva, che era instabile e cambiava ogni momento proprio perché l’instabilità della cultura era qualcosa che faceva parte intrinsecamente della propria natura. La seconda legge era che nel momento in cui la civiltà che trasmetteva e quella che riceveva erano integre, erano possibili solo due esiti: che il raggio della cultura stesso venisse preso dalla civiltà ricevente in forme e gradi diversi a seconda delle sue capacità di assorbimento, oppure che venisse respinto nella sua totalità.

Ma la differenza di efficacia di un raggio culturale non dipendeva solamente dalla sua capacità di trasmettere energia, quanto anche dalla resistenza da parte della civiltà e dei suoi membri che si trovavano nella condizione di subire questo contatto. E così si ricavava una terza legge sui contatti e la trasmissione della cultura fra le civiltà: il potere di trasmissione energetica di un raggio culturale era inversamente proporzionale al suo valore spirituale. Questa legge aveva, a sua volta, come corollario che gli elementi superficiali si diffondevano più facilmente rispetto al cuore del raggio, quello culturale e spirituale. E così, nel mondo nel quale Toynbee viveva, che era quello del predominio globale dell’Occidente, i raggi politico-economici occidentali erano quelli che maggiormente colpivano le altre civiltà, mentre l’essenza stessa dell’Occidente, il suo spirito e i suoi valori, erano quelli che più faticosamente venivano esportati e attecchivano nelle altre civiltà. Ma un altro corollario di questa legge era che tanto più le altre civiltà trovavano attraenti gli elementi politici ed economici dell’Occidente, tanto

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più velocemente erano pronti a sostituirli quando trovavano qualcosa di meglio. Toynbee rilevava ciò nella facilità con la quale il comunismo aveva soppiantato i valori dell’Occidente in molte parti del globo, tanto da affermare che: “The transmission of the superficial elements of a culture, in isolation from the essence of this radioactive culture’s core, is as precarious as it is facile, whereas the religious quintessence of a radioactive culture, which penetrates an alien body social only with extreme difficulty, an even than at an extremely slow pace, is capable, if and when it does work its way into this alien body’s heart, of producing a spiritually deeper effect on the recipient society’s life than the sum of all the radioactive society’s meraly artistic or intellectual or linguistic or political or economic radiation when these superficial elements are transmitted apart from the religious life-blood of the migrant culture’s heart”1.

Trovate queste leggi sul contatto e sull’influenza fra civiltà, dunque, ci si poteva soffermare sulle reazioni che un contatto di tale genere produceva. Infatti il meccanismo di trasmissione di una cultura, per sua intrinseca natura, rendeva dunque molto difficile e traumatico il processo di avvicinamento fra culture. Ma questo processo era, come dicevamo prima, di per sé intrinsecamente rischioso, poiché nella maggior parte dei casi, l’accettazione, anche graduale, di elementi provenienti da una civiltà aliena suscitava diversi tipi di risposte nella società ricevente. La prima ricorrenza da evidenziare era che un elemento culturale che era stato innocuo o addirittura benefico nella civiltà originale, produceva effetti nuovi e devastanti quando veniva esportato singolarmente in una nuova civiltà. Questo era, ad esempio, il caso del nazionalismo, che da forza positiva all’interno della civiltà occidentale era stato adottato in molte civiltà senza che però assimilassero i valori e le tradizioni occidentali, trasformando così il nazionalismo in un forza devastante. Ancora di più, un elemento che veniva portato in un contesto alieno si trasformava in arma negativa quando si spostava da un piano all’altro dell’attività umana. Era questo il caso, per esempio, della struttura nomadico- pastorale euroasiatica che, introdotta in una società agricola, non svolgeva più la sua funzione economica ma diventava struttura politica, in quanto veniva presa come modello per la costituzione e il governo della società. Tuttavia le società agricole non

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157 erano mai state in grado di assimilare tali istituzioni, e ciò spiegava perché tanti imperi nomadi, nati dalle steppe, avessero avuto in realtà una vita molto breve1.

Un altro tipo di risposta era conseguenza della seconda legge, la quale affermava che un elemento culturale, che si era stabilito in una civiltà aliena, tendeva a portare con sé in una fase successiva anche gli altri elementi che contribuivano a formare il raggio culturale. In altre parole, si riscontrava nella storia delle civiltà che quando un elemento, di solito superficiale e quindi che si rifaceva alla sfera politica od economica, riusciva ad attecchire all’interno di una civiltà, esso con il tempo rendeva possibile l’inserimento di altri elementi, progressivamente sempre più importante e il cui valore spirituale era molto maggiore del primo elemento che era riuscito a fare breccia all’interno della società. Così quando le difese esterne di una civiltà erano crollate di fronte a un elemento dalla forte penetrabilità non potevano più opporsi all’introduzione di elementi meno penetrativi, ma più longevi e più forieri di cambiamento. Questo fenomeno, sintetizzabile con l’espressione “Da cosa nasce cosa”, dava conto di come spesso l’accettazione di elementi superficiali di una civiltà conduceva, attraverso un lento processo di sedimentazione e consuetudini, all’acquisizione anche di valori e istanze “spirituali” della civiltà che irradiava. Gli esempi erano molteplici, ma uno in particolare chiariva il concetto appena espresso. Nel 1839 Mehemet Alì, Pascià d’Egitto, invitò diversi tecnici occidentali a trasferirsi ad Alessandria per realizzare una marina da guerra all’avanguardia, su imitazione di quelle occidentali. I tecnici occidentali si trasferirono quindi nelle vicinanze del cantiere navale con le loro famiglie e, dopo molto discussioni con il Pascià, ottennero che venisse costruito anche un ospedale con medici occidentali presso il cantiere navale. Il primo reparto costruito fu quello di maternità, dove iniziarono a recarsi non solo le mogli dei tecnici occidentali, ma anche le donne musulmane della città, alle quali l’Islam proibiva ogni genere di contatto con altri uomini che non fossero i loro mariti. E così il desiderio del Pascià d’Egitto di creare una moderna flotta da guerra aveva messo in moto un meccanismo che, lentamente ma costantemente, minava i principi e i valori islamici sui quali si fondava la società dell’epoca in Egitto2. Questi tipi di responso attenevano tutti alla sfera sociale, ossia erano le risposte che le civiltà davano per quanto riguarda la loro composizione sociale di fronte all’aggressività di una civiltà e erano tutti, all’apparenza,

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TOYNBEE, A Study of History, cit., vol. VIII, pp. 430-542

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profondamente negativi per la civiltà che subiva un’aggressione. Infatti, essa non poteva che rassegnarsi all’eventualità che l’acquisizione anche di un solo elemento superficiale di un’altra civiltà portasse come conseguenza la capitolazione di tutti i valori della civiltà. Questo, naturalmente, quando la civiltà non trovava indigesti o pericolosamente mortali gli elementi che importava da un’altra civiltà, e quindi soccombeva velocemente.

Toynbee tuttavia identificava anche una seconda categoria di responsi, che non attenevano più alla sfera sociale ma riguardavano lo spirito. Essi erano di tutt’altra natura e spiegavano, con ancora maggior efficacia dei precedenti, la “risposta all’Occidente” che molti popoli e nazioni avevano formulato nel passato e stavano formulando ancora nel mondo del XX secolo. A dire la verità, una prima reazione dello spirito riguardava la classe dirigente della civiltà che aggrediva. Essa si trovava, infatti, al comando di una società completamente estranea, con le proprie tradizioni e i propri orientamenti sociali, e quindi era portata a pensare che il proprio successo fosse dovuto soprattutto ai propri meriti, o meglio alla propria intrinseca superiorità. I sudditi della nuova civiltà che si trovava temporaneamente a guidare venivano dunque deumanizzati e considerati inferiori per essersi fatti sottomettere. Infatti la causa di questa sottomissione veniva trovata non nella contingenza degli eventi ma nella natura degli individui, che venivano così considerati inferiori ai loro nuovi padroni. La storia ci racconta di moltissime situazioni come questa, dove la religione o la razza erano state considerate le cause della sconfitta di una civiltà. La discriminazione poteva avvenire attraverso la religione, con i sudditi costretti a convertirsi, oppure attraverso la distinzione fra cittadini e barbari o “indigeni”, che comportava per i sudditi l’impossibilità di acquisire lo status di cittadini a pieno diritto. Questa pratica tanto diffusa nel passato, aveva raggiunto, però, nel XX secolo il suo acme con il fascismo e il nazismo, dove il fattore razziale aveva preso il sopravvento, e nel quale: “… a Western White Man had deliberately repudiated a Western Christian spiritual heritage by reverting, like the Communist heirs of an Orthodox Christian spiritual heritage, to an idolatrous worship of Collective Humanity”1.

Più interessanti erano, però, le risposta delle vittime dell’aggressione di una civiltà, e che si discostavano decisamente dalla risposta che i conquistatori, inebriati

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159 dalla hybris avevano dato. Esse acquisivano tre forme, che riflettevano la diversità della sfida culturale subita. E qui Toynbee costruiva questa classificazione appoggiando ad una potente analogia, destinata a rimanere nella memoria dei suoi lettori e che influenzò molti studiosi dei problemi delle civiltà. Toynbee attingeva alla storia, in particolare alla reazione che l’ellenismo, durante la sua fase espansiva, aveva suscitato in una delle civiltà che aveva incontrato, quella giudaica. Queste risposte erano l’erodianesimo e lo zelotismo che, per il loro alto valore paradigmatico, fungevano da modello per spiegare le risposte di ogni civiltà di fronte all’aggressione di un’altra. Lo zelotismo prendeva il nome dagli zeloti, i membri di una fazione del popolo giudaico, convinti che se fossero stati in grado di mantenere le tradizioni del passato non cadendo nella tentazione di adorare gli dei stranieri che l’Ellenismo aveva portato nella Terra Promessa, avrebbero ricevuto da Dio la forza di respingere gli empi invasori. Dall’altra parte stavano invece