• Non ci sono risultati.

Finsider fra ripresa dei consumi e nuove politiche meridionalista (1966-68)

Capitolo 3. Finsider fra due piani di sviluppo (1960-69)

3.3 Finsider fra ripresa dei consumi e nuove politiche meridionalista (1966-68)

a) Il difficile avviamento di Taranto

Il nuovo polo a ciclo integrale esordì nel 1966 con una produzione di 2,2 milioni di t di acciaio grezzo, ma i problemi legati all’avviamento erano tutt’altro che risolti38. Scrivevano i tecnici Finsider nella relazione consuntiva del 1966: “è in corso di soluzione il complesso problema della movimentazione e del trasporto delle materie prime in entrata e dei prodotti e semilavorati in uscita”39, che incideva inevitabilmente sul rifornimento di coils per Novi Ligure, la “punta di diamante” della produzione di laminati piani del gruppo. Un problema di non poco conto riguardava inoltre l’acciaieria: si trattava del cattivo funzionamento delle caldaie, che implicava il periodico fermo dell’attività produttiva dei convertitori. Come rilevava una nota al Comitato di Presidenza Iri

38 Le grandi attese che il gruppo dirigente Finsider riponeva nel nuovo stabilimento sono ben espresse da Manuelli, 1965 e Marchesi, 1965

39 Asiri, Attività e risultati economici 1966, cit., p. 24. Per il problema della movimentazione dei materiali in entrata e uscita dal centro siderurgico v. anche A. Capanna, 1966, pp.15-27.

“(…) si sono verificate frequenti interruzioni per un complesso di 269 ore nel 1966 e di 220 ore nel periodo gennaio-agosto 1967. La perdita di produzione relativa, rapportata ad anno, può essere stimata in circa 100.000 tonn. di acciaio corrispondenti a circa 85.000 tonn. di coils. Sul piano economico questa minore produzione si traduce in un minor assorbimento di costi fissi ed oneri generali (che pertanto vanno a gravare sulle residue produzioni) e in un mancato utile, per un totale di circa 2,5 miliardi l’anno.”40

Con l’ulteriore previsto incremento della capacità produttiva a tre milioni di t/anno, l’incidenza delle fermate si sarebbe aggravata, con una perdita di 200 mila t/anno in termini di volumi e 500 milioni lire/anno di perdite.

Ulteriori problemi riguardavano infine il treno coils, giudicato dalla relazione consuntiva per il 1968 “punto critico dell’intera gestione”, dal momento che i difetti qualitativi dei prodotti finivano per ripercuotersi sulle lavorazioni a valle svolte negli altri stabilimenti Italsider41.

Tale situazione gravò in particolare sul laminatoio a freddo di Novi, che – soprattutto nei primissimi anni di attività della nuova unità a ciclo integrale – fu costretto a rifornirsi da Cornigliano con maggiore frequenza rispetto alle attese, scontando così una differenza significativa di costo dei coils, che a Taranto venivano prodotti da acciaio ricavato attraverso convertitori L.D., mentre nel centro ligure erano in funzione ancora i vecchi forni Martin (nel 1967 il costo unitario dell’acciaio di Taranto era di 30 lire/kg, mentre quello di Cornigliano assommava a 37,4 lire/kg)42. Fu probabilmente la combinazione dell’insufficienza e della scarsa qualità dei coils di Taranto a contenere l’espansione produttiva e commerciale dei laminati a freddo che si è richiamata sopra; in ogni caso, i risultati conseguiti dal complesso Cornigliano-Novi furono complessivamente inferiori a quelli fatti registrare nella prima metà del decennio (v. Grafico 8).

Di contro, Cornigliano riprese vigore rispetto alla fase immediatamente precedente: potendo contare su un assetto produttivo ormai completo riuscì a conseguire nuovi record in termini di volumi. La produzione di acciaio grezzo superò abbondantemente 2 milioni di t, garantendo così un tasso di sfruttamento ottimale degli impianti, mentre le stesse spedizioni di rivestiti aumentarono del 15% nel corso del periodo in questione. D’altra parte questa unità poteva contare sulla domanda espressa da Fiat – in forte ripresa dopo l’appannamento degli anni immediatamente precedenti –, che intercettava una parte significativa delle sue spedizioni di coils. Questi progressi permisero allo stabilimento ligure di riconquistare una situazione di crescente redditività.

40 Asiri, Numerazione Nera, busta AG/902, fascicolo 14, Comitato di Presidenza. Adunanza dell'11 ottobre 1967,

Installazione di un terzo convertitore a Taranto, 4 ottobre 1967, p. 1.

41 Asiri, Attività e risultati economici 1968, cit., p. 21. 42 Asiri, Nota sul bilancio Italsider1967, cit., p. 15.

Per quel che riguarda invece Taranto, i limiti che si sono messi in evidenza incisero in misura significativa sui risultati: nei primissimi anni di attività un certo equilibrio economico fu sostenuto in particolare dal tubificio, che fece registrare utili anche consistenti, compensando così le performance più modeste legate alle produzioni di laminati piani43; con la risoluzione del problema delle caldaie in acciaieria anche l’area a caldo assunse maggiore slancio a partire già dal 1968 (v. Grafico 8)44. Alla fine del decennio lo stabilimento jonico divenne così il più redditizio del gruppo: se nel 1966 il risultato faceva segnare ancora una perdita di poco superiore al miliardo, nel 1969 l’utile di competenza raggiunse 19 miliardi (risultato che scontava in ogni caso il notevole rincaro dei prezzi manifestatosi nel corso di quell’esercizio).

b) Un nuovo boom dei consumi siderurgici?

Il pieno dispiegamento delle potenzialità dell’unità pugliese era ostacolato tuttavia da una strozzatura fondamentale fra capacità produttiva d’acciaio e capacità di laminazione installata. Se la prima fu portata, a termine dei lavori di aggiustamento dell’acciaieria, a circa tre milioni di t/anno, la seconda avrebbe permesso di raggiungere un volume di produzione pari a circa quattro milioni di t con investimenti relativamente contenuti. In assenza di un ampliamento dell’area a caldo lo stabilimento fu quindi costretto fino alla fine del decennio a importare bramme e lingotti dalle altre unità del gruppo (in particolare Piombino e Bagnoli, ma anche – in un primo momento – Cornigliano) per raggiungere un output complessivo pari a circa 3,5 milioni di t in corrispettivo di acciaio grezzo45, un volume che in ogni caso non consentiva l’utilizzo ottimale degli impianti di laminazione.

L’espansione della capacità produttiva d’acciaio era dunque un’esigenza la cui soddisfazione avrebbe permesso di realizzare una compiuta integrazione dell’unità pugliese, massimizzando così le economie di scala. Un passaggio del genere tuttavia avrebbe dovuto essere giustificato da una significativa espansione della domanda di beni siderurgici (e di laminati piani, in particolare). A questo proposito i tecnici Finsider nel corso del 1967 svolsero un’analisi per elaborare una stima di crescita del consumo siderurgico nel corso degli anni seguenti. Ne risultò una previsione di crescita del fabbisogno di beni in acciaio nel mercato italiano che ipotizzava per il 1970 una

43 Nel 1966, a fronte di una perdita complessiva di 3,6 miliardi del centro siderurgico, il tubificio fece registrare un utile di 2,3 miliardi; l'anno successivo questo fu di 8,7, contro il guadagno di 1,5 miliardi realizzato dal resto dello stabilimento. V. Ivi, p. 20.

44 V. Asiri, Attività e risultati economici 1968, cit., p. 19. 45 V. Asiri, Nota sul bilancio Italsider1967, cit., p. 18.

domanda pari a 18 milioni di t, con un incremento del 28% rispetto al dato registrato nel 196646. Tale espansione sarebbe stata trainata in particolare dai settori delle costruzioni e da quello degli autoveicoli, i cui consumi di prodotti siderurgici sarebbero cresciuti di lì a fine decennio rispettivamente del 32 e del 28%47, facendo segnare un tasso di incremento medio annuo di 8,1 e di 6,25%. Ne sarebbe derivato, in particolare, un impulso all’utilizzo di laminati piani: il fabbisogno di lamiere sarebbe cresciuto del 52%, quello di coils per utilizzazione diretta del 62,5, mentre quello di lamierini del 30% circa48. A fronte di questa rapida espansione della domanda, la produzione avrebbe segnato il passo: stando agli investimenti elaborati fino a quel momenti, la siderurgia italiana entro il 1970 avrebbe garantito al massimo 16,6 milioni di t di acciaio grezzo; ne sarebbe derivato un incremento del saldo negativo della bilancia siderurgica, che si sarebbe così attestato intorno a 1,4 milioni di t49. Tale circostanza avrebbe gravato sul complesso della bilancia dei pagamenti del nostro paese, dal momento che

“se le materie prime necessarie a produrre una tonnellata di acciaio comportano un esborso valutario di circa $ 20, l’esborso per l’importazione di una tonnellata di semiprodotti è di circa $ 70 e per una tonnellata di prodotti di circa $ 100-120. L’alternativa produzione contro importazione comporta quindi un beneficio valutario dell’ordine di $ 70 per tonnellata di acciaio.”50

Vi erano dunque le circostanze favorevoli per varare un ampliamento di capacità produttiva. Questo avrebbe dovuto riguardare lo stabilimento di Taranto, per le ragioni che si sono richiamate nel precedente esame dei limiti tecnici di tale stabilimento, considerazioni che venivano riprese dai tecnici del gruppo

“la maggiore produzione di acciaio greggio deve essere destinata prevalentemente – secondo le indicazioni emerse dagli studi di mercato – alla produzione di laminati piatti, per i quali a Taranto esistono notevoli capacità di laminazione. Per tali prodotti non sono da attendersi sviluppi produttivi importanti da parte della siderurgia extra-gruppo.”51

46 Asiri, Situazione e prospettive della siderurgia, cit., p. 25. A una conclusione analoga giunse contemporaneamente Mario Bonel (in realtà nella sua stima si prevedeva un consumo di 19 milioni di ton. entro il 1971). V. M. Bonel 1967, p. 112. 47 Ivi, p. 26, Tab. 19. 48 Ivi, Tab. 18. 49 Ivi, p. 29. 50 Ivi, p. 35. 51 Ivi, p. 38.

A questo scopo veniva proposto l’ampliamento della capacità produttiva di acciaio grezzo dell’unità pugliese attraverso l’installazione di un nuovo altoforno e di un nuovo convertitore. Questi impianti avrebbero consentito di portare la producibilità a 4,5 milioni di t acciaio/anno. L’investimento complessivo, che prevedeva anche l’installazione di un treno di laminazione a freddo della potenza iniziale di 500 mila t/anno, sarebbe stato di 200 miliardi di Lire52.

Il progetto venne recepito inizialmente dal Piano Quadriennale 1968/7153, ma la dirigenza IRI, nella sua consueta lettera di valutazione del programma, precisò che

“sarà opportuno che il menzionato progetto di espansione dello stabilimento di Taranto sia mantenuto in un piano aggiuntivo fino a quando non siano realizzati i presupposti ai quali è subordinata l’attuazione.”54

I “presupposti” cui si riferiva la missiva erano le agevolazioni chieste da Finsider al governo per la realizzazione del progetto. Queste prendevano le mosse dall’analisi della situazione finanziaria del gruppo: “soltanto dal 1960 sono stati investiti 1.213 miliardi, cifra che salirà a 1.468 entro il 1970, con la completa ultimazione dei lavori ancora in corso.”55 La situazione congiunturale ancora in atto tuttavia non aveva consentito margini di redditività tali da permettere alle aziende del gruppo di ammortizzare il notevole sforzo di investimento. Di contro, la stessa siderurgia pubblica non aveva potuto giovarsi di alcun beneficio erogato dal governo italiano – a differenza di quanto accaduto negli altri paesi Ceca, come si ricorderà.

“sembrerebbe che fra tutti i Paesi della CECA, avrebbe dovuto essere l’Italia la più larga di agevolazioni verso la propria siderurgia, in rapporto all’eccezionale volume degli investimento effettuati.”

Invece, la Fisider aveva dovuto:

“- Intervenire direttamente nel settore delle infrastrutture, per sopperire alla carenza dello Stato;

- Ricorrere in maniera massiccia a mutui caratterizzati da una elevata onerosità – caratteristica del nostro mercato – in assenza di sufficiente capitale di rischio e di apprezzabili margini di autofinanziamento. Ne è derivata una fortissima incidenza dell’indebitamento sul totale del bilancio (…). Da questo fortissimo ricorso all’indebitamento deriva un gravissimo carico di interessi passivi. Nel 1966 gli oneri finanziari

52 Ivi, pp. 38-40. V. Capannna, 1968.

53 Asiri, Numerazione Rossa, busta R30, fascicolo 1, Finsider, Piano quadriennale 1968-71, 1967, pp. 72.75. 54 Ivi, Allegato, Appunto recante come titolo “FINSIDER”, s.d.

rappresentavano il 47,6% degli utili industriali lordi, incidenza che era del 23,4% nel 1964 e del 19,3% nel 1961”56

Per compensare questa situazione Finsider chiedeva al governo una serie di provvedimenti: in primo luogo, l’approvazione di un incremento dei diritti compensativi sui prodotti siderurgici importati dal 4,8 vigente al 5,5%.

“Tale aumento – argomentavano i tecnici del gruppo – non si ripercuoterebbe sul livello dei prezzi siderurgici all’interno, ma consentirebbe di limitare la pressione delle importazioni sul nostro mercato. Le nostre imprese potrebbero così aumentare i quantitativi venduti all’interno, con conseguente beneficio sui ricavi, attualmente depressi anche a causa del notevole volume di vendite che siamo costretti a fare all’esportazione”57.

Inoltre veniva chiesto il rimborso degli 8,5 miliardi anticipati al Consorzio Autonomo del Porto di Genova per la realizzazione della diga foranea e degli 8,3 miliardi anticipati al Consorzio Asi di Taranto per la realizzazione di infrastrutture58. Infine, si chiedeva alla Cassa del Mezzogiorno, a fronte dei 680 miliardi spesi per la realizzazione degli investimenti presso gli stabilimenti di Taranto e Bagnoli, a) un contributo più congruo dei 5,3 miliardi concessi fino a quel momento e b) 100 miliardi di crediti agevolati (al tasso del 5%) in aggiunta ai 65 miliardi riconosciuti fino ad allora (cui andavano a sommarsi gli 80 miliardi di incremento del fondo di dotazione deliberato subito dopo la decisione di avviare la costruzione di Taranto)59.

Oltre al riconoscimento di questi provvedimenti, Finsider chiedeva infine al governo di coprire in parte consistente anche la nuova spesa che ci si apprestava a fare presso il siderurgico jonico attraverso

“ - contributo a fondo perduto nella misura del 15%, pari a complessive L./mldi 30;

- contributo interessi – su mutui per 100 miliardi (da concedersi in due rate, di cui 50 nel 1967 e 50 nel 1968) con scadenza a 15 anni – per abbattere il costo del denaro al 3%.”60

Tuttavia, in quest’ultimo caso si sarebbe trattato di ulteriori condizioni di favore rispetto a quanto previsto dal Piano di coordinamento istituito con la nuova legge per il Mezzogiorno (717/1965), che 56 Ivi, pp. 44-45. 57 Ivi, p. 47. 58 Ivi, p. 48. 59 Ivi, pp. 48-49. 60 Ivi, p. 50.

prevedeva “contributi a fondo perduto fino a un massimo del 7,95%, e abbattimento del tasso di interesse ad un livello del 5-6%”61. Per autorizzare quelle concessioni sarebbe dunque stata necessaria una delibera ad hoc del governo. Era questa, in definitiva, la condizione sospensiva rispetto al varo dell’ampliamento della capacità produttiva di Taranto.

c) L’opportunità della nuova politica per il Mezzogiorno

A termine della seduta del 18 gennaio 1968, il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (Cipe), costituito un anno prima per coordinare l’attuazione del Programma Economico Nazionale62, deliberava l’approvazione dell’investimento relativo all’ampliamento della capacità produttiva del centro di Taranto, ma demandava a “un Comitato composto dai Ministri del Bilancio e della Programmazione Economica, del Tesoro, delle Partecipazioni Statali e per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, lo studio e l'approfondimento degli aspetti finanziari del piano di sviluppo del contro di Taranto”63. Nel corso della riunione tuttavia fu accettato

“il principio di un’applicazione più manovrata degli incentivi previsti dal Piano di coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno nel senso di utilizzare gli incentivi previsti e disciplinati dalla legge 26 giugno 1965, n. 717 in una misura anche diversa da quella indicata dal Piano di coordinamento, al fine di favorire la localizzazione di investimenti aventi caratteristiche particolari o blocchi di investimenti, atti a promuovere uno sviluppo integrato del Mezzogiorno”64.

Si trattava di un principio che avrebbe impresso alla nuova stagione della politica meridionalista un tratto peculiare: si decideva infatti di accelerare l’industrializzazione del Mezzogiorno promuovendo la realizzazione di grandi progetti industriali fra loro strettamente integrati65.

Sul tavolo di una successiva riunione dello stesso Cipe, tenutasi il seguente 8 febbraio, giunse un documento relativo alla situazione del settore siderurgico italiano, nelle cui conclusioni si avanzavano proposte concrete in relazione alle richieste avanzate da Finsider:

61 Ivi, p. 51.

62 V. Cipe, Delibera n. 2, 18/01/1968. Per la costituzione dell'organo interministeriale e le sue funzioni v. Carabba, 1977 e Ruffolo, 1973.

63 Ibid.

64 Asiri, busta R40, Cipe, Problemi e prospettive dell'industria siderurgica, Febbraio 1968, p. 92.

65 V. Cipe, 1968. Si trattava del tentativo di far uscire l'azione meridionalista dall'impasse in cui si era cacciata negli anni precedenti (v. De Rita, Collidà e Carabba, 1966). Gli investimenti realizzati fino a quel momento, infatti, erano stati insufficienti a colmare il divario territoriale che caratterizzava l'economia del paese (v. Graziani, 1973).

“- per quanto riguarda il finanziamento: il mutuo potrebbe essere di entità pari al 50% dell’investimento per una durata di 15 anni al tasso del 4% (…);

- per quanto riguarda il contributo in conto capitale: esso non dovrebbe essere inferiore al 12% dell’investimento stesso”66.

La proposta, che recepiva in buona parte le richieste di Finsider, venne accolta e deliberata dai ministri presenti. Il successivo decreto emanato il 23 marzo dal Ministro per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno elevava al 50% dell’investimento il finanziamento concedibile, e portava fino al 12% il contributo in conto capitale (art. 1), subordinando i benefici alla rilevanza almeno nazionale delle industrie da finanziare e ad altre condizioni (art. 2)67. Si trattava quindi di un provvedimento pensato ad hoc per le necessità di Finsider. Ma non solo di Finsider.

Contestualmente infatti un’altra società del gruppo Iri, l’Alfa Romeo, stava mettendo a punto un ambizioso investimento: la realizzazione di una produzione di autovetture di massa presso un nuovo stabilimento da realizzare a Pomigliano d’Arco – dove Alfa aveva già un impianto dedito alla realizzazione di motori per aeroplani. Il progetto mirava a portare un elemento di concorrenza importante all’interno del mercato automobilistico italiano, fino a quel momento dominato da Fiat. Il nuovo stabilimento infatti avrebbe prodotto di lì al 1975 241 mila autovetture/anno, in gran parte (170 mila/anno) modello berlina (a 2 o 4 porte o nella versione “giardinetta”) e per il resto coupé e spider68.

Questa nuova produzione sarebbe andata ad alimentare la crescente domanda di beni siderurgici proveniente dal settore automobilistico. Nel 1968 le stime relative all’evoluzione del consumo di acciaio vennero aggiornate con un esame dettagliato da parte dei tecnici Finsider delle dinamiche dei singoli comparti di utilizzatori di beni siderurgici. In relazione al mercato automobilistico si giunse alla conclusione che, a fronte di una crescita della produzione di autovetture del 5,3% in media all’anno di lì al 1973, il fabbisogno di laminati nel settore sarebbe aumentato del 7% l’anno (circa un punto percentuale in più rispetto alle stime elaborate l'anno precedente), passando dalle correnti 1,2 a 1,7 mln di t (un incremento complessivo del 41%). Il 64% dell’incremento avrebbe interessato la domanda di laminati a freddo.

La decisione di installare una linea di produzione di questo genere di beni presso lo stabilimento di Taranto venne dunque assunta anche per andare incontro alle esigenze della nuova unità di Pomigliano d’Arco. Tale circostanza indusse lo stesso Cipe a riconoscere a entrambi i progetti l’accesso alle condizioni di privilegio disposte dal decreto ministeriale del 23 marzo, con delibera

66 Cipe, Delibera n. 4, 8/02/1968. 67 V. Cerrito, 2010, p. 20.

approvata al termine della riunione del 17 giugno 196869. Infatti, fra le condizioni che permettevano il riconoscimento di quei benefici vi era, fra le altre cose, anche l’integrazione fra progetti industriali di diverso tipo, secondo la prospettiva dei “blocchi d’investimenti”70.

L’espansione dello stabilimento di Taranto nella fase che abbiamo appena descritto fu quindi il portato della combinazione di almeno tre fattori: le esigenze strutturali dello stesso centro jonico – che implicavano anche quelle delle unità di Cornigliano e Novi Ligure –; la tendenza all’espansione della domanda interna di beni siderurgici, sollecitata soprattutto del forte sviluppo dei beni di consumo durevoli; e il nuovo indirizzo di politica meridionalista inaugurato a partire dalla seconda metà degli anni ‘60. Volendo disporre in un ordine di priorità questi elementi, risulta chiaro dalla ricostruzione appena svolta che i primi due ebbero un ruolo fondamentale nell’orientare la decisione della dirigenza Finsider, mentre l’ultimo rappresentò un fattore di agevolazione per altro sollecitato dallo stesso gruppo. Riesce dunque difficile ammettere che in quella particolare fase l’ulteriore espansione del siderurgico jonico fosse per così dire eterodeterminata da volontà politica. Si potrebbe semmai sostenere il contrario, che l’intensificazione dell’intervento pubblico a favore delle iniziative economiche nel Mezzogiorno venne piuttosto sollecitato dall’intenzione di grandi gruppi industriali pubblici – Finsider e Finmeccanica (di cui Alfa Romeo faceva parte), in primo luogo – a localizzare in quelle regioni alcuni importanti investimenti. La volontà di questi gruppi di estendere al Sud la propria capacità produttiva sorgeva d’altronde da esigenze propriamente imprenditoriali – come si è detto Alfa Romeo aveva già una presenza a Pomigliano d’Arco, che le avrebbe consentito di ultimare in tempi relativamente brevi la realizzazione del nuovo stabilimento, per intercettare repentinamente la crescente domanda di autoveicoli espressa dal mercato italiano. Per quel che riguarda Finsider l’ampliamento di Taranto in quel momento si poneva come obbiettivo prioritario per dare solidità alla struttura concepita da Mario Marchesi e dagli altri dirigenti che con lui elaborarono il nuovo piano di espansione del gruppo a cavallo fra anni ’50 e ’60.

Data questa prospettiva, il progetto relativo alla trasformazione di Piombino in un centro di produzione di laminati piani non poteva essere perseguito. D’altra parte, questo era stato concepito intorno al 1962, in presenza di un’impetuosa crescita della domanda interna di beni siderurgici che lasciava presagire un’espansione durevole del mercato – il Piano stilato quell’anno stimava una

69 Cipe, Delibera n. 19, 19/06/1968.

70 V. Lavista, 2010. Sotto un certo punto di vista, i "blocchi di investimento" funzionarono: fra 1970 e 1975 per la prima volta dall'unificazione il Mezzogiorno crebbe a un ritmo più intenso rispetto alle regioni settentrionali (v. Del Monte e Giannola, 1978). Quella politica non fu tuttavia sufficiente a conseguire un riequilibrio strutturale fra le