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La siderurgia pubblica davanti alla crisi e il contesto europeo (1975-79)

Capitolo 5. La crisi della siderurgia pubblica e le strategie messe in campo (1970-79)

5.2 La siderurgia pubblica davanti alla crisi e il contesto europeo (1975-79)

La svolta del 1975 fu indubbiamente traumatica per la siderurgia pubblica. Il dato che emerse con maggiore rilevanza fu quello relativo al consumo interno, che si attestò ben al di sotto dei 25 milioni di t previste dal Comitato Tecnico Consultivo del 1969. L'evidenza tuttavia più drammatica per le aziende Finsider fu la secca contrazione dell'impiego degli impianti. All'apice della congiuntura, nel 1974, nei centri Italsider e Acciaierie Piombino questa risultava sfruttata al 92%, ma l'anno successivo il tasso di impiego crollò al 75%.

Il netto peggioramento delle aspettative di crescita del mercato che andò emergendo a seguito del crollo pose serie incognite sui progetti rimasti insoluti: l'ammodernamento di Bagnoli e la realizzazione del nuovo centro di Gioia Tauro. Inoltre, la stessa dinamicità dei due centri produttori di prodotti piani risultò fortemente appannata, in parte per via di importanti modificazioni intervenute nel frattempo sul mercato, in parte a causa di inefficienze e ritardi maturati nella gestione. Infine, la crisi fece esplodere le contraddizioni accumulatesi nel frattempo nel settore degli acciai speciali, dal quale la Finsider era praticamente uscita – con l'eccezione delle produzioni della Terni e, nella prospettiva dell'avvio del treno vergella, di Acciaierie di Piombino – a seguito della cessione della Breda all'Egam – l'ente autonomo fondato per gestire le risorse minerarie a disposizione del patrimonio pubblico, ma trasformatosi in breve in aggressivo operatore della siderurgia speciale. Questo insieme di fattori fece emergere un quarto enorme problema: l'ingente volume di indebitamento di cui si è detto nel precedente paragrafo.

Tali questioni vennero affrontate nel corso di un lungo percorso di revisione e aggiornamento tanto delle prospettive di evoluzione del settore quanto delle scelte strategiche e dei piani industriali del gruppo, mentre nello scenario europeo maturavano le strategie delle autorità comunitarie per far fronte alla crisi.

a) I Comitati Tecnici Consultivi del 1975-77

La percezione che ci si stesse inoltrando in una fase di sviluppo strutturalmente diversa da quella conosciuta nel quarto di secolo appena trascorso e la consapevolezza che questa avrebbe accentuato le debolezze già emerse negli ultimi anni portò l'Iri nel 1975 a costituire due nuovi comitati tecnici consultivi: uno incaricato di studiare l'evoluzione del mercato siderurgico nel medio e lungo termine alla luce delle modificazioni intervenute nei sistemi economici dei paesi più avanzati e negli

equilibri fra questi e le nuove realtà emergenti sullo scacchiere internazionale13; l'altro, con l'obbiettivo di esaminare le principali aree di perdita dell'Istituto – fra le quali venne individuato il siderurgico di Bagnoli14.

Le conclusioni dei lavori del Comitato sulle aree di perdita vennero presentate al Consiglio di Amministrazione dell'Istituto il 24 novembre dell'anno successivo. Le indicazioni espresse nella parte generale rigettavano seccamente l'idea dell'Iri come strumento di salvataggio di aziende tecnicamente sull'orlo del baratro; nondimeno raccomandavano che la copertura delle perdite assunte come inderogabili oneri sociali o politici venissero concentrate a livello di ente centrale, in modo da non gravare sulle aziende operative15. In breve, era in discussione la validità della “formula Iri”. Questa aveva avuto alla base il principio per cui lo Stato era chiamato a sostenere lo sviluppo di certe particolari realtà economiche considerate strategiche sotto il profilo del sistema nazionale, ma non assisterle; le aziende, in definitiva, avrebbero dovuto continuare a fare i conti col mercato. La crisi pose in discussione questo assetto, presentando il problema drammatico del dissesto di singole unità o interi complessi produttivi.

Nello specifico, le criticità espresse dallo stabilimento di Bagnoli vennero considerate di difficile superamento. Il centro campano, infatti, non aveva sofferto soltanto per un clima sindacale decisamente deterioratosi dalla fine degli anni '60 e per la mancata realizzazione delle innovazioni impiantistiche approvate dal Comitato Tecnico Consultivo del '69; il limite strutturale che avrebbe precluso il perseguimento di risultati positivi anche nel caso venissero adottate tutte le disposizioni previste prima che entrasse in gioco la vexata quaestio del Piano regolatore era individuato “in disfunzioni interne e nella dimensione produttiva dello stabilimento, che non [erano] in grado di assorbire adeguatamente la pesante struttura e non [consentivano] di conseguire le economie di scala tipiche di un moderno centro siderurgico”16. In definitiva, pareva che Bagnoli fosse destinato a costituire anche in futuro un'area di perdita – anche se di entità più limitata rispetto alla situazione corrente. Stando ai principi enunciati nella parte generale, sarebbe dunque spettato all'autorità

13 Asiri, Numerazione Nera, busta AG/819, fascicolo 1, Comitato di Presidenza. Adunanza del 25 settembre 1975 - ore 10.30, Componenti del Comitato tecnico consultivo per la siderurgia, settembre 1975, pp. 1-10. I componenti del nuovo Comitato erano: Romolo Arena e Veniero Ajmone Marsan per l'Istituto, Alberto Capanna e Duilio Colombo per la Finsider; Alberto Redaelli e Didimo Badile per l'Italsider; Tomaso Liberati per la Dalmine; Francesco Savioli per il CSM; Giuseppe Locatelli e Giovanni Gori per l'Assider; Carlo Ciampi per Banca d'Italia; Ernesto Manuelli per l'EGAM e Pasquale Saraceno per la SVIMEZ. Presiedeva Pietro Armani, membro del Comitato di Presidenza IRI. 14 Asiri, Numerazione Nera, busta AG/819, fascicolo 1, Comitato di Presidenzam Adunanza del 25 settembre 1975 - ore 10.30, Aree di perdita. I componenti erano: Vincenzo Storoni (Presidente), Pietro Armani, Pasquale Saraceno, Domenico Amodeo, Giuseppe Guarino, Romano Prodi, Luciano Morando (segretario).

15 Asiri, Numerazione Nera, AG/626, fascicolo 6, Consiglio di Amministrazione, Adunanza del 24 novembre 1976,

Rapporto conclusivo del comitato Tecnico Consultivo per le aree di perdita, 27 ottobre 1976, pp. 5-10.

politica decidere se reiterarne l'esercizio, fermo restando che l'Italsider avrebbe dovuto comunque essere sgravata dagli oneri aggiuntivi relativi a questa scelta.

Qualsiasi soluzione fosse stata stabilita per Bagnoli avrebbe inevitabilmente avuto ripercussioni sull'evoluzione dell'intero gruppo. La questione complessiva dello sviluppo futuro della siderurgia pubblica venne affrontata dal Comitato Tecnico Consultivo costituito ad hoc. Le conclusioni relative ai suoi lavori vennero inoltrate nel luglio del 1977. Nella prima parte della relazione finale vennero prese in considerazione le incognite che gravavano sul futuro del settore a livello mondiale. Nel complesso si sarebbe assistito a un progressivo riequilibrio fra le posizioni dei produttori tradizionali e di quelli emergenti. Il rincaro dei prezzi delle materie prime stava infatti già favorendo tentativi di valorizzazione da parte degli stessi paesi dotati di riserve notevoli. Ne sarebbe derivato un inasprimento della concorrenza sul mercato siderurgico mondiale, dovuta non solo all'offerta aggiuntiva proiettata dai paesi emergenti, ma anche a fenomeni strutturali relativi alle economie mature. In primo luogo, la modificazione radicale della struttura dei costi conseguente lo shock petrolifero – cui, in alcuni casi, si sommava il rapido incremento del costo del lavoro, dovuto al conseguimento di una situazione di piena occupazione – aveva infatti determinato forti movimenti inflazionistici. Per placarli le autorità monetarie sarebbero ricorse a misure restrittive, che inevitabilmente avrebbero avuto effetti depressivi sul sistema produttivo – e dunque sulla siderurgia, particolarmente sensibile agli andamenti del ciclo. Inoltre, l'avanzamento dei paesi emergenti avrebbe provocato la graduale contrazione degli sfasamenti fra i cicli economici dei diversi paesi, che fino a quel momento erano state alla base della vivace dinamica produttiva sia del centro – chiamato a rifornire le economie in via di sviluppo con beni di cui queste ancora non disponevano – che della periferia – spesso sollecitata da ambiziosi piano di sviluppo.

La rapida espansione delle capacità produttive e la stabilizzazione dei ritmi di crescita del consumo avrebbero provocato a livello globale una tensione che sarebbe andata a danno soprattutto dei produttori siderurgici tradizionali. Fra questi, soprattutto i paesi Cee, i quali avrebbero subito la concorrenza dei nuovi operatori e, al contempo, avrebbero visto contrarsi importanti sbocchi extra- comunitari – in parte per la stessa aggressività dei paesi emergenti, in parte per gli atteggiamenti protezionistici che già andavano assumendo alcuni governi (su tutti, quello USA). Ne sarebbe derivata un'accresciuta pressione sul mercato interno, che in definitiva avrebbe rischiato di danneggiare i partner più deboli, fra cui l'Italia17. Come si è visto nel precedente capitolo, tale prospettiva si verificò puntualmente alla fine degli anni ‘70; non resta che chiedersi se le soluzioni prospettate dal Comitato non fossero inadeguate alla sfida che andava delineandosi.

Nell'affrontare l'evoluzione della siderurgia italiana, il documento prese le mosse da un'ipotesi di sviluppo del consumo che cercava di indagare nel dettaglio l'andamento che avrebbero assunto i singoli segmenti della produzione. In linea generale, sulla base di stime dell'incremento del reddito del paese più basse rispetto a quella adottata dal precedente Comitato – 2,5/4,5% contro 5,85% in media annua –, i curatori del rapporto giunsero a ipotizzare un sostanziale “slittamento” di cinque anni delle previsioni formulate nel 1969. Il livello di consumo di 25 milioni di t sarebbe stato raggiunto nel 1980, mentre nel 1985 si sarebbe pervenuti a 30 milioni di t. Gli incrementi più consistenti li avrebbero manifestati ancora una volta i prodotti piani – soprattutto tubi saldati da lamiere e coils18.

L'estensione delle previsioni di sviluppo ai singoli prodotti permise soprattutto di valutare l'adeguatezza delle capacità produttive in essere e di quelle che si sarebbero venute a determinare a seguito della realizzazione dei piani d'investimento elaborati nel frattempo – e quindi di valutare l'opportunità di questi ultimi. A conclusione dell'analisi emerse che – considerando il completamento del centro di Gioia Tauro secondo l'impostazione approvata dal Cipe nel 1975 e l'adozione a Bagnoli del solo treno travi previsto dalla revisione del 1972 – nel 1985 si sarebbero venuti a determinare:

“- deficit di rotoli e nastri a caldo per circa 2,3 milioni di t, indotto in buona misura dal fabbisogno per il freddo di Gioia Tauro, oltre che dai programmi di espansione già visti nel campo dei tubi saldati;

-surplus di lamiere per 995 mila t, corrispondente, grosso modo, alla produzione prevista per Gioia Tauro;

- surplus di laminati a freddo per 730 mila t, all'incirca corrispondente, anche in questo caso, alla produzione prevista per Gioia Tauro;

- surplus di profilati pesanti e travi per un volume di circa 300 mila t;

- surplus per circa 1,2 milioni di t di tubi saldati per lamiere.”19

I surplus indicati avrebbero dovuto essere assorbiti dal mercato estero, ma nella situazione di tensione del mercato internazionale che si è descritta sopra ciò appariva quanto mai improbabile. Rinunciando, viceversa, al centro calabrese si sarebbe venuta a determinare una situazione molto più distesa: il deficit di coils sarebbe passato a 1,6 milioni di t, con la possibilità di vederlo ulteriormente contratto a seguito dell'ampliamento di un ulteriore milione di t delle capacità di dei treni di Taranto; nel frattempo, si sarebbero drasticamente ridotti i surplus di laminati a freddo e

18 Ivi, pp. 50-57. 19 Ivi, p. 100.

lamiere. Se poi contestualmente si fosse dato luogo alla ristrutturazione di Bagnoli sarebbe sensibilmente diminuito anche il previsto surplus di travi, mentre sarebbe emerso una lieve eccedenza relativa alla vergella20. Questa infatti era sensibilmente diversa dal progetto esaminato dal Comitato per le aree di perdita: si trattava di rinunciare al treno travi medie proposto nel 1972 installando soltanto un nuovo treno vergella in sostituzione di quello esistente e concentrando gli sforzi sul fronte dei profilati grossi nel potenziamento del laminatoio BK (già considerato obsoleto dal suddetto Comitato).

In definitiva, erano queste le proposte perorate dal Comitato per risolvere i nodi venutisi a determinare nel quinquennio precedente. Esse si scontravano tuttavia con ostacoli di non poco conto. Quelli relativi a Bagnoli li si è già descritti: qualora il Piano Regolatore di Napoli non fosse stato rivisto in modo da eliminare le prescrizioni che sarebbero entrate in vigore alla scadenza della variante, il Comitato non esitava a prospettare la chiusura del centro. Una sua eventuale delocalizzazione in area campana, come si è visto, sarebbe stata tuttavia improbabile; piuttosto si sarebbe potuta rivedere l'impostazione ipotizzata per Gioia Tauro, riconvertendola alle produzioni di lunghi – più opportune, dato che il nuovo centro sarebbe stato dotato di un forno elettrico.

Se tale opzione non si fosse rivelata realistica e, di conseguenza, si fosse dovuto rinunciare al progettato stabilimento calabrese, le resistenze da superare non sarebbero state marginali. Lo dimostrava la nota che Pasquale Saraceno, componente dello stesso Comitato, volle che fosse allegata alla copia del rapporto conclusivo inviata al presidente dell'Iri, Petrilli. In essa si esplicitavano alcuni “chiarimenti”, che in realtà esprimevano un vero e proprio dissenso rispetto alle conclusioni contenute nel documento ufficiale circa l'ipotesi di rinuncia al centro di Gioia Tauro. Saraceno sosteneva che tale prospettiva era da perseguire solo se le alternative industriali individuate per l'area in questione avessero avuto “rilevanti sviluppi”. Il presidente della Svimez, in breve, ribaltava l'impostazione maturata dal Comitato, ponendo come criterio dirimente della deliberazione relativa al nuovo centro questioni di carattere eminentemente sociale21. Nella lettera di accompagnamento firmata da Pietro Armani, presidente del Comitato, contro questo indirizzo venivano ribadite le conclusioni cui era pervenuto il Comitato sulle aree di perdita: le aziende Iri differivano da quelle nazionalizzate, per cui non avrebbero potuto assumersi oneri sociali di entità indefinita come sarebbe stato uno stabilimento che senz'altro sarebbe andato incontro a perdite più o meno consistenti22.

20 Ivi, p. 130.

21 Asiri, Numerazione Nera, AG/628, fascicolo 1, Consiglio di Amministrazione, Adunanza del 11 luglio 1977, Pasquale Saraceno, Postilla al Rapporto conclusivo del Comitato tecnico consultivo per la siderurgia, 5 luglio 1977. 22 Ivi, Lettera di Pietro Armani a Giuseppe Petrilli, 7 luglio 1977.

A ben vedere, la crisi stava mettendo in discussione il compromesso fra finalità sociali ed economicità di gestione formulato quasi vent'anni prima, dal quale era derivata l'ispirazione alla realizzazione del centro di Taranto. Di fronte a prospettive di crescita decisamente meno promettenti e ai rischi che andavano profilandosi sullo scenario internazionale i due obbiettivi andarono divaricandosi: da una parte, l'esigenza di garantire stabilità sociale soprattutto nelle aree più povere del paese – per Bagnoli si ponevano problemi analoghi a quelli emersi nel dibattito su Gioia Tauro –; dall'altra, la necessità di adattare le aziende a partecipazione statale alla nuova temperie economica. Il Comitato sembrò privilegiare quest'ultima alternativa. La sua analisi sulla siderurgia pubblica era infatti completata da un esame approfondito della situazione finanziaria che mise in evidenza le criticità che abbiamo evidenziato nel precedente capitolo: dal peso sempre più schiacciante della massa dei debiti alla crescente ristrettezza dei mezzi propri – danneggiati, oltre che dalle mancate integrazioni del capitale sociale, dalle cattive performance economiche. Nell'immediato risultava pertanto necessario che l'Iri provvedesse ad un apporto di capitale di rischio tale da riequilibrare lo stato patrimoniale del gruppo Finsider. Inoltre, l'opera di ristrutturazione avrebbe dovuto poter contare su specifiche disposizioni legislative nel quadro dei provvedimenti che le autorità politiche stavano definendo per favorire la ristrutturazione industriale23.

b) Le modificazioni del mercato dei coils

Sul piano propriamente industriale tuttavia il rapporto preparato dal Comitato non considerava che marginalmente il nucleo strategicamente più importante del gruppo: i due grandi stabilimenti specializzati nei prodotti piani. I problemi che già caratterizzavano tali unità vennero ulteriormente complicati dall'andamento che assunse il mercato dei prodotti piani nel corso della seconda metà degli anni '70. Fra 1974 e 1979 il consumo italiano di laminati a freddo subì una contrazione dell'8%, mentre quello di coils crebbe con notevole intensità (+ 75% circa)24. Vennero così seccamente smentite le previsioni elaborate dal Comitato, che ipotizzavano per lo stesso periodo una debole crescita della domanda di laminati a freddo e un incremento del 25% circa di quella di coils25. La dinamica assunta invece dal mercato prendeva le mosse dalle modificazioni intervenute nel frattempo al livello di sistema produttivo: la crisi, come si è detto, aveva colpito in particolare le produzioni di beni di consumo durevoli, tradizionalmente grandi consumatrici di laminati a freddo;

23 Asiri, Relazione del Comitato Tecnico Consultivo IRI, cit., pp. 140-45.

24 V. Asiri Programma finalizzato, cit., p. 80 (Tab.40) e Piano 1980-84, cit., pp. 38-41. 25 Asiri, Relazione del Comitato Tecnico Consultivo IRI, cit., p. 85 (Tab. 36).

contestualmente, nell'ambito della siderurgia privata, si ebbe l'apice del successo delle “miniacciaierie”. Fra queste, alcune si dedicavano alla produzione di tubi saldati utilizzando nastri e coils; tale applicazione aprì un nuovo tipo di mercato a quel tipo di prodotti – la domanda di quella categoria di tubi crebbe del 15% fra 1974 e 1979 (contro il 9% ipotizzato dal Comitato) , in gran parte soddisfatta da produttori privati nazionali (nel 1979 questi garantivano la copertura dell'80% del fabbisogno). Ma fra gli acquirenti di coils vi erano anche i “centri di servizio”, fioriti in Italia fra gli anni '60 e '70. Questi avevano un approccio spregiudicato al mercato: raccoglievano richieste estremamente dettagliate per qualità e quantità; intercettavano fra le produzioni di coils le offerte più convenienti; adattavano dunque lo stock acquistato alle esigenze degli acquirenti attraverso lavorazioni relativamente semplici – prevalentemente semplici tagli. Ciò gli consentiva di ridurre al minimo le scorte di magazzino e di servire just in time i clienti. Tale modo di operare introduceva tuttavia nel mercato dei coils atteggiamenti speculativi che fino a quel momento avevano rivestito un'importanza marginale26.

In ogni caso la produzione dei grandi stabilimenti Finsider specializzati nel comparto dei piani non poté che rivolgersi in prevalenza a quel tipo di prodotto. Per quel che riguarda Taranto la quota dei coils destinati alla vendita passò, fra 1974 e 1979, dal 50 al 67% sul volume complessivo dei prodotti finiti, mentre i laminati a freddo non solo videro restringersi il rispettivo peso specifico – da 20 a 14% –, ma regredirono anche in valori assoluti – l'apice produttivo conseguito nel 1974 non venne più raggiunto nel quinquennio successivo27. Nel complesso Cornigliano-Novi, a fronte di una contrazione sensibile del volume dei prodotti finiti (quasi un milione di t), si registrò una tendenza apparentemente opposta, dal momento che il peso dei coils sulla produzione totale passò da 40 a 32%, mentre quello dei laminati a freddo crebbe da 40 a 45%28. In realtà tale esito fu dovuto in gran parte al prevalere del centro pugliese su quello ligure nella fornitura di coils alla Fiat. In tutti i modi, la proporzione dei prodotti destinati alla società torinese diminuì nel corso del periodo in questione, passando dal 14 al 12% della somma delle produzioni complessive dei due centri; viceversa, la quota dei coils da indirizzare ad acquirenti terzi crebbe dal 31 al 43%. Tale evoluzione segnala una più generale modificazione della clientela dei due stabilimenti: non imprese orientate da piani d'investimento di vasta portata, interessate pertanto ad assicurarsi ampie forniture per lunghi periodi di tempo e perciò in grado di apprezzare le economie di scala dei grandi centri; bensì produttori o commercianti molto più sensibili agli andamenti a breve o brevissimo termine del mercato, le cui richieste assumevano di conseguenza carattere discontinuo ed erano orientate, più che dalla certezza

26 Balconi, 1991, pp. 276-280.

27 Asiri, Numerazione Rossa, busta R48, fascicolo 2, Finsider, Congiuntura siderurgica 1974, Scheda XII e busta R65, Finsider, Rapporto mensile sulla congiuntura siderurgica. L’attività del gruppo – gennaio 1980, X.

della fornitura – esito che, data la situazione di sovracapacità venutasi a delineare, era praticamente scontato –, dalla convenienza immediata della merce29.

Tale dinamica favoriva i diretti concorrenti esteri di Finsider nel mercato dei coils, i quali poterono contare per tutto il periodo in questione su una dinamica dei prezzi di gran lunga meno rapida di quella espressa dal gruppo, come mostra la Tabella 5.5.

Tabella 5. 5 – Andamento dei prezzi dei coils 1975-90 (indice 1975=100)

Francia Germania Italia Olanda

1975 100 100 100 100 1976 111 107 126 100 1977 116 107 143 100 1978 123 91 152 93 1979 129 108 184 95 Fonti: Eurostat, 1980

Il mutamento intervenuto nella composizione della domanda di un prodotto così importante incise dunque sull'equilibrio complessivo della siderurgia italiana – provocando l'intensa crescita delle importazioni di cui si è detto nel precedente paragrafo –, ma anche sulle performance dei due grandi produttori di prodotti piani. Infatti sia Taranto che Cornigliano non riuscirono ad esprimere una flessibilità di produzione e di prezzo tale da soddisfare le esigenze del nuovo tipo di clienti. Ne derivarono risultati estremamente negativi. Nel caso del centro pugliese, per tutti gli ultimi quattro anni del decennio la produzione di acciaio continuò ad oscillare fra 7 e 8 milioni di t senza tuttavia