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La siderurgia italiana negli anni ’60 e il ruolo di Finsider

Capitolo 3. Finsider fra due piani di sviluppo (1960-69)

3.1 La siderurgia italiana negli anni ’60 e il ruolo di Finsider

Fu nel quadro descritto sopra che andarono sviluppandosi gli sforzi della siderurgia pubblica nel corso degli anni '60. Come si è detto, i primi anni del decennio in Italia furono caratterizzati dal cosiddetto boom economico, che vide i consumi d'acciaio crescere a ritmo impetuoso (v. Grafico 3.1). Nel 1960 questi si attestarono a 8,9 mln di t, un livello persino superiore alle previsioni elaborate un quinquennio prima – e che il vertice di Finsider aveva giudicato allora eccessivamente ottimistiche. Solo pochi anni dopo, nel 1963, la domanda interna di beni siderurgici era aumentata di un ulteriore 55%, raggiungendo quasi 14 mln di t. Si trattava dell'espansione in assoluto più rapida nella storia della siderurgia italiana1. A determinare tale incremento fu, in primo luogo, la domanda di laminati piani, come emerge dalla lettura della Tabella 3.1.

Tabella 3. 1 – Andamento consumi di prodotti siderurgici in Italia 1960-65 (indice 1960=100)

Materiale ferroviario

Profilati

pesanti Vergella

Profilati

leggeri Coils Nastri Lamiere Lamierini

1960 100 100 100 100 100 100 100 100 1961 144 122 117 121 122 107 124 109 1962 145 101 116 149 159 116 175 126 1963 132 116 119 167 224 140 164 157 1964 127 91 104 144 209 128 134 143 1965 131 90 111 128 291 158 133 152 Fonte: Eurostat, 1984

A partire però già dagli ultimi mesi del 1963 iniziarono a farsi sentire le ripercussioni delle misure restrittive adottate nel frattempo dalle autorità di politica economica per contrastare il movimento inflazionistico originato dalla repentina (e disordinata) espansione del sistema2. Queste incisero

1 Balconi, 1991, pp. 80-81.

2 La direzione seguita in quella fase dalla Banca d'Italia fu al centro di intense discussioni; fra i più severi critici della politica di Palazzo Koch si distinsero Fuà e Sylos Labini, 1963. Un'ampia e approfondita ricostruzione delle cause e delle conseguenze di quella che in gergo giornalistico sarebbe stata definita "la congiuntura" è in Forte, 1966. Gli squilibri provocati dal boom furono in generale al centro del dibattito politico ed economico dell'epoca; contributi significativi in questo senso pervennero tanto da ambienti vicini alla maggioranza DC (v. Saraceno, 1963) quanto da personalità di area comunista, v. Napoleoni, 1962. Per una ricostruzione generale della fase in questione v. anche Nardozzi, 2004 e Petri, 2002.

profondamente sulla dinamica degli investimenti – che in realtà avevano preso a declinare (almeno per quel che riguarda la parte privata) già dal 1962, quando la combinazione fra incremento dei costi (in particolare del lavoro) e vincolo dei cambi fissi aveva provocato una pressione crescente sui margini di profitto3. Il consumo diminuì rapidamente, tornando su livelli inferiori a quelli del 1962 e permanendovi per tutto il 1965. Il fabbisogno interno d'acciaio sarebbe tornato a crescere solo dall’anno seguente.

Con la robusta flessione del 1964-65 la bilancia siderurgica italiana vide riaffermarsi un equilibrio che era stato profondamente scosso nel triennio precedente (v. Grafico 3.2). Come si è visto nel precedente capitolo, dall'inizio del decennio l'andamento del consumo interno d'acciaio – cresciuto a ritmi decisamente più rapidi rispetto alla media dell’area Ceca –, nonché l'insufficienza delle capacità produttive presenti nel nostro paese, determinarono il raddoppio delle importazioni – passate da 2,2 a 4,8 mln di t – , mentre le esportazioni rimasero su livelli sostanzialmente costanti. Nel biennio successivo la situazione si capovolse: anche grazie all'entrata in marcia di nuovi impianti (su tutti quelli del nuovo stabilimento di Taranto, che iniziò la sua produzione sul finire del 1964) le esportazioni crebbero rapidamente, mentre la contrazione dei consumi riportò i flussi in entrata sul livello del 1960: nell'ultimo anno del periodo in questione, il 1965, la siderurgia italiana conseguì così un attivo nelle proprie partite con l'estero: un traguardo che non veniva raggiunto dal 19584.

Come si è accennato, l’industria dell’acciaio del nostro paese nella fase di espansione non fu in grado di esprimere un'offerta tale da saturare la domanda proveniente dai settori utilizzatori. Osservando i dati relativi alle due principali voci dell'output siderurgico (laminati lunghi e piani, v. Grafico 3.3) si riesce anche a comprendere la ragione di questo deficit strutturale. Mentre la produzione di laminati lunghi crebbe di un milione di tonnellate fra 1960 e 1963 (realizzando così un incremento del 30%), quella di piani restò sostanzialmente stabile, aumentando contestualmente di appena trecento mila tonnellate (+11,5% rispetto a inizio decennio)5. Se si pone tale dato accanto alla considerazione richiamata in precedenza circa il forte incremento del fabbisogno di prodotti piani legato alle esigenze dei settori produttori di beni di consumo durevoli, è possibile concludere che la decisione di ritardare la realizzazione del nuovo centro siderurgico ebbe pesanti ripercussioni sull'evoluzione non solo a breve termine della siderurgia italiana: come emerso nel precedente

3 Graziani, 2011, p. 34. 4 Balconi, 1991, p. 83. 5 Ivi.

capitolo, il momento di più rapida espansione del consumo interno non andò a vantaggio della produzione nazionale (e, in particolare, del gruppo pubblico), bensì dei diretti concorrenti esteri.

In questo contesto la Finsider realizzò poco più della metà dell'incremento della produzione d'acciaio italiana (un milione di t circa, v. Grafico 3.4), integralmente grazie agli stabilimenti della più grande società del gruppo, la neo-costituita Italsider, che fra 1960 e 1963 vide la propria produzione di acciaio grezzo passare da tre a quattro milioni di t. A questa dinamica corrispose un incremento dei prodotti finiti circoscritto al solo comparto dei laminati piani, che conobbe un'espansione del 10,5%, passando da 1,9 a 2,1 mln di t (nel conto si considera anche la produzione di lamiere dello stabilimento Siac di Campi, passato definitivamente sotto Italsider nel 1963), mentre sul versante dei prodotti lunghi l’output rimase costante appena al di sotto del milione di tonnellate. In definitiva, la principale azienda del gruppo pubblico espresse uno sforzo produttivo molto modesto, se raffrontato con lo stato di tensione che caratterizzava in quel frangente il mercato siderurgico italiano. Solo con l’entrata in funzione del nuovo stabilimento di Taranto (a partire dal 1965) le performance migliorarono sensibilmente, ma si era ormai entrati in una fase congiunturale diversa.

Grafico 3. 4 – Produzione gruppo Finsider 1960-65 (in milioni di t)

Fonti: Asiri, Finsider, Dati statistici del gruppo. Materiale a stampa, anni vari

Dopo la contrazione degli anni 1963-65 il consumo di beni siderurgici nel nostro paese tornò a crescere intensamente. Nel 1967 venne conseguito un nuovo record: la domanda si attestò intorno a 16 milioni di t di acciaio grezzo, giungendo alla fine del decennio al di sopra di 19 milioni di t.

Complessivamente, fra 1966 e 1969, il consumo apparente di acciaio in Italia aumentò di circa il 40% (v. Grafico 3.5)6, a un ritmo di gran lunga più rapido rispetto alla media Ceca e allo stesso andamento prevalente presso i principali partner comunitari (v. Tabella 3.2)7. Contestualmente – se si eccettua l’arretramento del 1969, dovuto alle pesanti agitazioni sindacali verificatesi nell’ultima parte dell’anno – la produzione espresse una dinamica decisamente più vivace rispetto alla fase immediatamente precedente e alla stessa tendenza manifestatasi negli altri paesi Ceca8.

Grafico 3. 5 – Produzione e consumo di acciaio grezzo in Italia 1966-69 (in milioni di t)

Fonte: M. Balconi, 1991

Tabella 3. 2 –Produzione e consumo di acciaio grezzo nell’area Ceca 1966-69 (indice 1965=100)

1966 1967 1968 1969 Germania Consumo 97 91 108 127 Produzione 95,9 99,7 112 123,1 Francia Consumo 104 106 111 136 Produzione 100 100 104,1 114,8 Be-Lux Consumo 114 111 122 147 Produzione 96,4 89,1 119,7 133,6 Olanda Consumo 92 89 100 119 Produzione 109,7 106,5 119,4 141,9 Italia Consumo 111 134 139 156 Produzione 108,7 126,2 134,9 130,2 Ceca consumo 101 102 113 131 produzione 99 104,4 137,2 125 Fonte: Eurostat, 1984

6 V. Asiri, busta R32, fascicolo 3, Attività e risultati economici nel 1969-Prospettive per il 1970, 1970, p. 4.

7 V. Asiri, busta R54, Attività e risultati economici nel 1966-Prospettive per il 1967, 1967 e Attività e risultati

economici nel 1969.

Quest’ultimo elemento non arrestò l’incremento delle importazioni comunitarie verso il mercato italiano – le quali anzi nel 1967, in corrispondenza con la flessione dei consumi registratasi presso importanti paesi della Comunità, raggiunsero livelli prossimi ai picchi manifestatisi nella precedente fase di alta congiuntura (v. Tabella 3.3) –; tuttavia esso consentì di limitare il peso complessivo dell’import sul totale del consumo almeno fino al 1969 – quando la combinazione fra contrazione dell’offerta interna, rapido aumento dei consumi e pressione degli operatori extra-comunitari determinò un’espansione estremamente rilevante dei flussi provenienti dall’estero (v. Grafico 3.6)9. La quota del fabbisogno interno coperto da importazioni si contrasse dunque dal 25% del 1965 al 20% del 1968, per tornare l’anno seguente sui livelli di metà decennio.

Tabella 3. 3 – Andamento dell’import nel mercato italiano 1960-69 (indice 1960=100)

1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 Ceca 100 142,6 181,2 222 157,5 127,9 164,7 200,7 173,1 202,2 Extra Ceca 100 110,1 124,2 195,5 137,1 75 101,1 101,8 99,4 209,1 Totale 100 129,6 158,4 211,4 149,3 106,7 139,2 161,2 143,6 204,9 Fonte: Eurostat, 1984

Grafico 3. 6 – Scambi con l’estero della siderurgia italiana 1966-69 (in milioni di t)

Fonte: M. Balconi, 1991

9 Ibid.

In ogni caso, la concorrenza degli operatori esteri, comunitari ed extracomunitari, sul mercato italiano fu tale da determinare una intensa pressione sui prezzi dei beni siderurgici, che si attestarono così al livello più basso dell'intera Comunità.

Il miglioramento della posizione produttiva e commerciale della siderurgia italiana nella seconda metà degli anni ’60 fu dovuto in gran parte alle performance di Finsider. La produzione di laminati a caldo del gruppo aumentò del 28%, sospinta in particolare dalla crescita dei laminati piani (+ 30%). Meno tonico fu invece lo sviluppo dei laminati a freddo, che fece segnare un incremento del 22%.

Le spedizioni procedettero a un ritmo persino più intenso: quelle di laminati a caldo alla fine del decennio erano del 31% superiori al livello del 1966; in gran parte tale risultato fu dovuto alla forte espansione (+52%) delle vendite di prodotti piani. Contestualmente, i piani laminati a freddo aumentarono di appena il 15%. Nell’insieme, la quota di mercato nazionale del gruppo nell’area dei laminati piani crebbe significativamente a seguito dell’entrata in esercizio delle nuove unità produttive (v. Tabella 3.4), in particolare dei treni di laminazione di Taranto e Novi Ligure.

Tabella 3. 4 – Quote di mercato di Finsider nei laminati piani a caldo e a freddo 1963-69 (in migliaia di t)

Consumo laminati piani - Italia

Spedizioni laminati piani Finsider - Italia

Quota di mercato Finsider - Italia 1963 4838 1787 37% 1964 4283 2006 47% 1965 4735 2590 55% 1966 5564 3019 54% 1967 6333 3582 57% 1968 6924 4074 59% 1969 8007 4443 55%

Fonti: Eurostat, 1984; Asiri, Finsider, Attività e risultati economici, anni vari

La decisione del gruppo di concentrare lo sviluppo della produzione e delle vendite nel comparto dei laminati a caldo (coils e lamiere, anzitutto) era conseguente alla particolare struttura che la domanda italiana di beni siderurgici andò esprimendo nel corso del periodo in questione. Infatti il consumo interno di coils aumentò rapidissimamente per tutti gli anni ’60 (da 200 mila a 1,7 milioni di t), con un’accelerazione notevole nella seconda metà del decennio (v. Tabella 3.5). Nel 1969 la

domanda di quel genere di prodotti rappresentava il 21% del fabbisogno complessivo di laminati piani, contro il 7% del 1960.

Tabella 3. 5 – Consumo di prodotti siderurgici in Italia 1960-69 (indice 1960=100)

Materiale ferroviario

Profilati

pesanti Vergella

Profilati

leggeri Coils Nastri Lamiere Lamierini

1966 119 95 122 156 391 165 169 172

1967 96 116 139 194 526 164 193 192

1968 121 130 141 224 676 183 205 199

1969 115 119 153 240 847 201 228 230

Fonti: Eurostat, 1984

Gli sforzi realizzati dal gruppo in quel settore consentirono di limitare la penetrazione della concorrenza straniera sul mercato italiano. Se all’apice dell’alta congiuntura di inizio decennio (1963), il 28% del fabbisogno interno di laminati piani era stato coperto da importazioni (in gran parte di provenienza comunitaria), nel 1969 – altra data critica per la bilancia siderurgica del nostro paese – la quota relativa all’import sul totale dei consumi di quel genere di beni rimase circoscritta al 15% (v. Tabella 3.6).

Tabella 3. 6 – Importazioni di laminati piani a caldo e a freddo sul mercato italiano 1963-69 (in migliaia di t)

Import da paesi Ceca Import extra Ceca Totale % su consumo interno 1963 1013 333 1346 28% 1964 596 160 756 18% 1965 471 77 548 12% 1966 674 207 881 16% 1967 709 201 910 14% 1968 618 182 800 12% 1969 812 380 1192 15% Fonti: Eurostat, 1984

Se, da una parte, la strategia produttiva e commerciale perseguita dal gruppo permise di sfruttare le ampie capacità produttive appena installate, dall’altra Finsider dovette fare i conti con la difficile situazione intanto venutasi a determinare sui mercati di riferimento. L’intensificazione della concorrenza all’interno dell’area Ceca incise significativamente sull’andamento dei ricavi. Su

questo stesso versante va segnalato inoltre che i beni a maggiore valore aggiunto di cui il gruppo poteva disporre – i laminati a freddo prodotti dagli stabilimenti di Cornigliano e, soprattutto, Novi Ligure – mostrarono un ritmo di crescita meno sostenuto rispetto al complesso dei laminati piani anche a causa dei problemi tecnici che caratterizzarono le prime prove d’integrazione fra gli stabilimenti produttori (in particolare Taranto e Novi), come diremo a breve.

Contemporaneamente, le stesse aziende Finsider scontarono un incremento degli oneri legati al finanziamento dei corposi programmi di investimento realizzati fino a quel momento e sostenuti quasi integralmente attraverso l’aumento dell’indebitamento, dato il mancato apporto di capitale di rischio da parte di Iri e gli insufficienti risultati economici conseguiti. Infine, il difficile equilibrio economico fu conseguito solo grazie a una minuziosa opera di limatura dei costi resa possibile dalla conquista progressiva di ulteriori margini di efficienza degli impianti.

Questi elementi sono ben evidenziati dall’andamento della principale società del gruppo, l’Italsider. I ricavi unitari di quest’ultima restarono stabili intorno a 73 lire/t fra 1966 e 1967, per poi declinare a 70 l’anno successivo e finalmente risalire a 76 lire/t nel 1969. Tale dinamica fu causata prevalentemente dall’andamento dei prezzi (progressivamente declinante fra 1966 e 1968), che a sua volta incise sui risultati economici in misura significativa10. Nella fase di maggiore tensione sul mercato infatti la debolezza delle quotazioni determinò per la società più importante del gruppo una perdita di circa 10 miliardi – abbondantemente compensata dal guadagno di circa 40 miliardi verificatosi nell’ultimo anno del decennio. Dall’altra parte, gli oneri generali alla fine del periodo in esame provocarono ulteriori perdite per circa 50 miliardi, erodendo così un terzo dell’incremento del fatturato realizzato nel frattempo.

Questa tendenza tuttavia fu contrastata dalle buone performance ottenute sul piano dell’efficentamento degli impianti, che nello stesso frangente permisero di ottenere un risparmio di circa 64 miliardi (a fronte del guadagno di 50 miliardi conseguente l’incremento delle spedizioni). In questo modo Italsider riuscì a ottenere finalmente un risultato in pareggio già nel corso di un anno di intensa concorrenza come il 1968 (nel 1966 le perdite di esercizio avevano raggiunto il massimo storico di 13 miliardi circa), mentre il 1969 si chiuse con un attivo di 19 miliardi11.

10 La contrazione dei ricavi unitari di Italsider fu del 3,1% fra 1966 e 1968 (il periodo di più acuta tensione sui mercati); quelli dei coils e delle lamiere subirono però una riduzione ancora più forte: rispettivamente -6,6 e -7,3%. Anche i laminati a freddo, in realtà, subirono una tendenza analoga (-6,7%). V. Asiri, busta ISP/149, Note sul

bilancio Italsider 1967, 1968, p. 6 e busta ISP/151, Note sul bilancio Italsider 1968,1969.

Da quanto si è detto risulta evidente che la seconda parte del decennio 1960-70 fu per la siderurgia pubblica italiana un momento di assestamento. Ci si trovava di fronte alla sfida tutt’altro che semplice di avviare impianti appena ultimati in un contesto di mercato quanto mai teso. Alla luce di ciò vanno apprezzati i risultati conseguiti in termini di sostituzione delle importazioni nei segmenti dei prodotti piani, tanto più in quanto tale processo maturò in un contesto di ricavi unitari decrescenti. Sul gruppo gravavano tuttavia alcune incognite fondamentali: sul piano finanziario, gli oneri di servizio del debito andavano assumendo un peso crescente sui conti economici del gruppo, mentre sul versante sindacale l’esplosione della protesta operaia nel 1969 aveva mostrato i punti deboli connessi all’organizzazione del lavoro relativamente rigida caratteristica di stabilimenti fortemente integrati verticalmente. Era tuttavia sul fronte industriale che la sfida emersa nella seconda parte del decennio era stata in parte vinta; cionondimeno, era in quello stesso ambito che andarono manifestandosi alcuni problemi che minacciavano la tenuta futura del gruppo. Per giudicare i risultati ottenuti è necessario esaminare singolarmente le operazioni compiute sui diversi centri.