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Dal 27 d.C. può considerarsi iniziato il periodo di esilio di Tiberio. Come abbiamo visto, dopo essere giunto a Capri, isola che da sempre, al pari di Augusto333, aveva amato, non ne fece più ritorno, seppure in città il popolo lo aspettasse. Pertanto visse a Capri per ben dieci anni: dal 27 al 37 d.C.

Decise di trascorrere il suo tempo in quest’isoletta separata dal mondo e cinta da rupi altissime334 probabilmente poichè preoccupato di come si stava evolvendo la situazione a Roma e quindi deciso a evitare ripercussioni sulla sua persona o forse perché attratto dalla bellezza e dalla serenità che il luogo gli trasmetteva. In questo modo, circondato da quiete e benessere, ormai anziano e stanco poté dedicarsi oltre che a se stesso e alla propria cultura, anche agli interessi dell’Impero. Eppure, se si vuole seguire il contributo delle fonti, la vita di Tiberio a Capri fu tutt’altro che dedita alla meditazione o, almeno, non solo a

332 FEDERICO 1989, 431. 333 Si veda infra.

questo. Si rende necessaria a questo punto una precisazione che permetterà anche di valutare in modo più obiettivo quanto verrà scritto circa la condotta mantenuta durante l’esilio: come forse già si è potuto rilevare, gli autori antichi e in particolare Svetonio e Tacito, tendono a trasmetterci un’immagine negativa di Tiberio e fortemente ambigua, negli anni della sua attività politica e soprattutto durante la permanenza a Capri. Poco indulgente, in questo senso, il giudizio di Friedlaender, con il quale, comunque, mi trovo d’accordo: “Tacito era un nemico della gente Claudia e se pure egli dichiara che voleva scrivere con senso di giustizia –sine ira et studio- purtroppo non lo fece e deve essere considerato come un narratore non libero da intenzioni tendenziose. Svetonio è poi una fonte ancora più torbida. […] Ma egli stesso era abbastanza onesto da avvertirci che non è il caso di credere esattamente a tutto ciò che egli scriveva.”335

Una posizione meno netta è assunta da Cassio Dione, il quale comunque non nasconde la presenza di un atteggiamento artificiale del

princeps e tendente alla dissimulazione. In una diversa posizione si

colloca, infine, Velleio e con lui, seppure con toni meno enfatici, Strabone, Seneca, Plinio il Vecchio. Velleio, infatti, contemporaneo di Tiberio e con il quale militò come prefetto dei cavalieri e legato sia in Germania che in Pannonia, è sempre stato un suo estimatore, intento a trasmetterci l’immagine di un sovrano ideale e anzi modesto, che fin da principio si presentò come rispettoso di quanto Augusto aveva costruito e quasi restio ad occupare il posto di un così venerabile uomo.336

In generale, la tradizione è per lo più unanime nel fornirci notizie assolutamente negative riguardo la vita di Tiberio, rendendolo

335 FRIEDLAENDER 1989, 132. 336 Cfr. Vell., 2, 124, 2.

protagonista dei maggiori misfatti. “Fino al letto di morte e all’orlo della tomba lo accompagnò la umana maldicenza attraverso una falsa tradizione, formatasi posteriormente. Gli storici non gli permisero neppure di morire in pace.”337 È evidente che esse sono frutto di una propaganda ostile volta a screditare la figura del princeps e l’ideologia da lui propugnata.

Credo che sia necessario attribuire la giusta importanza a quanto ci è stato trasmesso: la critica moderna tende per lo più a rifiutare e bandire i racconti, trasmessi da Svetonio e Tacito, circa le oscenità e gli atteggiamenti lascivi cui l’imperatore si lasciò andare particolarmente negli ultimi anni della sua vita. Penso a Ciaceri che considera “favole” tutte le maldicenze createsi attorno a Tiberio, dimostrandosi un suo strenuo difensore.338 Ma anche a Maiuri,339 Seager340, Spinosa341 e Yavetz342 (seppure in misura minore) che sembrano credere ad un atteggiamento sincero ed esemplare del monarca o comunque a ritenere ‘leggende’ le versioni accreditate dai due storici. Infatti, “il racconto dei dieci anni trascorsi da Tiberio a Capri non può limitarsi alle sue scelleratezze più o meno fondate, verosimili o inverosimili che siano. Tutte le invenzioni o le esagerazioni di Tacito e di Svetonio sul suo conto trovano la spiegazione nel suo odio per lui, e ovviamente anche per Augusto, entrambi responsabili della morte della repubblica.”343

Eppure non manca chi, invece, propende per mantenere e dare credito ad una reale personalità ambigua e oscura di Tiberio. Più di tutto in 337 CIACERI 1944, 336. 338 CIACERI 1944. 339 MAIURI 1961. 340 SEAGER 1972. 341 SPINOSA 1985. 342 YAVETZ 1999. 343 SPINOSA 1985, 198.

questo senso mi ha colpito il lavoro di Paola Ramondetti la quale, basandosi sulla biografia di Svetonio riguardo il nostro personaggio, riflette sulla figura che ne emerge arrivando a parlare di ‘doppiezza’ di Tiberio.344 Si riscontrano, infatti, delle incongruenze, nella lettura dei passi svetoniani, e con questa interpretazione concordo: nel descrivere il figlio di Livia, lo storico non segue un quadro unitario. Potrebbe aver utilizzato due tradizioni diverse per Tiberio, consapevole di un lavoro non globalmente coerente e lasciando che i lettori traessero le proprie conclusioni in merito alla sua figura. Ciò che emerge è l’ipocrisia insita non solo nel figlio di Livia, ma già a partire dai suoi antenati.345 Si delinea, pertanto, un quadro ambiguo nel quale il nuovo princeps è accusato di falsità fin dal momento della presa del potere: egli finse di rifiutarlo, ma in verità già lo possedeva e di questo era assolutamente consapevole.346 Inoltre, dall’analisi della sua vita si può desumere con chiarezza un cambiamento radicale in senso negativo nel momento in cui egli deciderà di trasferirsi a Capri. Ciò che la studiosa vuole far emergere dal lavoro dello storico è la convinzione che in realtà Tiberio non abbia mai cambiato il suo atteggiamento, ma semplicemente avesse finora nascosto la sua vera natura e approfittò del luogo per manifestare le sue turpitudini a lungo dissimulate.347

344 RAMONDETTI 2000. Si veda supra l’accenno alla dissimulatio di Tiberio in relazione al suo ritiro a Rodi.

345 RAMONDETTI 2000, 21. 346 RAMONDETTI 2000, 57.

347 Si veda infra note della RAMONDETTI a proposito del cambiamento del princeps negli anni a Capri.

Ceterum secreti licentiam nanctus et quasi civitatis oculis remotis, cuncta simul vitia male diu dissimulata tandem profudit.

“Ma, con la libertà da ogni freno che gli era assicurata

dall’isolamento, perché in certo qual modo gli occhi dei cittadini erano tenuti lontani, diede finalmente libero corso a tutti insieme i suoi vizi, che per lungo tempo aveva malamente dissimulato.”348

“Anche quanto ai costumi, attraversò periodi differenti: uno eccellente, sia per condotta, sia per reputazione, finché visse da privato o tenne comandi sotto Augusto; un altro d’ipocrisia e di astuzia nel fingere virtù, finché durarono Germanico e Druso; con alternative di bene e di male fino alla morte della madre; di esecrabile ferocia, ma velando i suoi eccessi, finché predilesse Seiano o ebbe paura di lui; da ultimo precipitò nei delitti e nella vergogna insieme, dopoché, cessato ogni ritegno e ogni timore, si abbandonò unicamente ai propri istinti.”349

348 Svet., Tib., 42, 1. Trad. it. I. Lana.

349 Tac., ann., 6, 51, 3. Morum quoque tempora illi diversa: egregium vita famaque, quoad privatus vel in imperiis sub Augusto fuit; occultum ac subdolum fingendis virtutibus, donec Germanicus ac Drusus superfuere; idem inter bona malaque mixtus incolumi matre; intestabilis saevitia, sed obtectis libidinibus, dum Seianum dilexit timuitve: postremo in scelera simula ac dedecora prorupit, postquam remoto pudore et metu suo tantum ingenio utebatur. Trad. it. (a cura di) A. Arici.

Prima di partire per Capri Tiberio era riuscito a nascondere tutti i vizi presenti in lui, ma poi li fece prorompere tutti insieme.350 Risulta chiaro, allora, che “Svetonio non si propone di trattare un’evoluzione del personaggio: il suo Tiberio non conosce degenerazione dal bene al male. […] è un dissimulatore- neppure poi molto bravo […] - che ad un certo punto decide di togliersi la maschera.”351

Yavetz, invece, nel suo lavoro riporta il pensiero di G. Maranon, psichiatra e storico spagnolo che studiò attentamente la personalità di Tiberio. Ora, seppure le sue argomentazioni non abbiano riscontro in una prova dei fatti e nonostante sia alquanto rischioso azzardare un quadro psicologico di un personaggio antico, tuttavia ritengo estremamente brillante il tentativo. Il figlio di Livia era affetto da ‘resentimiento’. “Tale malattia”, scrive Yavetz riportando il pensiero dello psicologo, “si manifesta in individui che non capiscono la realtà in cui vivono e, come conseguenza di questa incomprensione, sono convinti dell’esistenza di una sproporzione enorme fra quello che essi pensano di se stessi e il giudizio degli altri, fra quello che sembra loro di meritare di ricevere e quello che essi possono veramente fare. Una simile sensazione nasce spesso in seguito ad un insuccesso sociale. Così accadde, appunto, a Tiberio, il quale si vide preferire da Augusto molte altre persone, prima che la scelta cadesse, per necessità, su di lui.” 352

Un’analisi, ripeto, forse estrema e che a mio avviso mette anche in luce la massima cautela con cui sarebbe necessario approcciarsi alla storia del personaggio che ora assume i tratti di perfido tiranno, ora di un

350 Così RAMONDETTI 2000, 21. Nell’analizzare il capitolo 42 di Svetonio, la studiosa reputa che la svolta nella condotta del princeps possa essere proprio messa in luce in questo punto della sua narrazione.

351 RAMONDETTI 2000, 23. 352 YAVETZ 1999, 13.

magnanimo imperatore. Vi è bisogno di mettere un ‘filtro’, pur non tralasciando il prezioso contributo di ciascuna fonte a nostra disposizione.