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Allo scadere della tribunicia potestas che rappresentava la sua copertura istituzionale e gli assicurava la sacrosantitas, nell’ 1 a.C., Tiberio chiese ad Augusto di rinnovargli il potere, ma questo non gli venne concesso. La madre Livia riuscì ad intercedere affinché fosse nominato quanto meno legatus del princeps, così da mantenere ancora un legame, “ma era un titolo e un titolo da poco, che solo voleva celare l’umiliante sua condizione.”229 Eppure l’imperatore apparve ancora sdegnato dal gesto di Tiberio, al punto che gli intimò di rimanere a Rodi. Infatti, senza senso di responsabilità aveva deciso di partire e altrettanto saggiamente ora doveva restare, dal momento che non si fece alcun riguardo nel lasciare i propri cari in quel modo230. Una scusa, in verità, per tenerlo distante il più possibile, ora che l’unico legame che Augusto aveva con Tiberio era Livia, essendo venuto

227 Così Svet., Tib. 11, 4. 228 Si veda supra. 229 SIDARI 1979, 61.

230 Svet., Tib., 11, 5. […] permitteretur revisere necessitudines, quarum desiderio teneretur. Sed neque impetravit ultroque etiam admonitus est, dimitteret omnem curam suorum, quos tam cupide reliquisset. “Chiese il permesso di tornare a vedere i suoi congiunti, di cui sentiva nostalgia. Però non solo non l’ottenne, ma fu per giunta ammonito a non darsi più alcun pensiero dei suoi, dal momento che era stato tanto bramoso di lasciarli.” Trad. it. I. Lana.

meno il matrimonio con Giulia e non potendo egli più essere tutore di Gaio e Lucio, che ormai raggiunsero la maggiore età.

Si ha dunque una ‘trasformazione’ dell’isola: da luogo di rifugio, a luogo del malessere, subìto contra voluntatem. Infatti, gli anni per Tiberio si susseguirono malamente, essendosi trovato a vivere in un ambiente che non accettava più e nel quale non si sentiva sicuro, ma di cui, anzi, aveva paura.231 La preoccupazione divenne maggiore nel momento in cui egli si recò a Samo per far visita a Gaio, impegnato nella campagna di Oriente e si accorse dell’influenza negativa che su quest’ultimo esercitava Marco Lollio232, homo novus cui era stato affidato il compito di guida e consigliere nella missione orientale. Lollio, acerrimo nemico di Tiberio, insinuò nell’animo di Gaio il dubbio che il patrigno tramasse contro di lui e così propose di sopprimerlo, offrendosi anche di portare la sua testa a Roma; ma poco dopo cadde in disgrazia e si uccise, mentre prese il suo posto P. Sulpicio Quirino.

La lontananza, dopo otto anni, cominciò a pesare e, in seguito a molteplici preghiere e richieste, Tiberio nel 2 d.C., quindi all’età di quaranta tre anni, ottenne il permesso da Augusto e da Gaio di rientrare in patria, dove “trovava ancor più avanzato quel processo di trasformazione del principato in monarchia ereditaria che forse lo aveva spinto ad allontanarsi”233, così come dimostrava il coinvolgimento di Gaio nella decisione del princeps. Il suo rientro fu subordinato alla condizione che non si occupasse più di politica, ma si ritirasse a vita privata, allo stesso modo in cui aveva fatto sull’isola. Tiberio accettò quest’umiliante richiesta e si tenne in disparte. Eppure

231 Così anche STORONI MAZZOLANI 1981, 72.

232 Cfr. anche Vell., 2, 102, il quale attribuisce a Lollio un giudizio negativo. 233 STORONI MAZZOLANI 1981, 73.

la fortuna si rese complice di un rovesciamento della sorte: Lucio Cesare, dopo aver ottenuto il comando delle legioni di Spagna, morì a Marsiglia proprio pochi giorni dopo il rientro di Tiberio; Gaio, invece, rimasto ferito in un agguato dopo la missione in Armenia, non riuscì a guarire completamente e ciò gli causò la morte sulla via del ritorno verso Roma nel 4 d.C.

Si è già avuto modo di mettere in discussione la casuale, e forse sospetta, morte dei due giovani. Rimane il fatto che ora Tiberio diventava l’unico punto di riferimento per Augusto, tralasciando il nipote Agrippa Postumo che allora non aveva l’età per governare e in seguito, dopo essere stato ritenuto inadatto al potere, fu fatto relegare a Pianosa con l’accusa di lesa maestà. Al sovrano, allora, non rimase che adottare Tiberio, il quale assunse il nome di Tiberio Giulio Cesare. Venne presentata come motivazione la scusa che lo faceva per lo stato (“hoc, inquit, Reipublicae causa facio”234), ma era evidente che “ormai non restava più scelta.”235 Vi era solo un’unica richiesta, che si caratterizzava più come un patto, “a stipulation”236 come scrisse Baker, volto a garantire una continuità della gens secondo le precise pianificazioni di Augusto237: che Tiberio adottasse il nipote Germanico, il quale poi nel 5 d.C. avrebbe dovuto sposare Agrippina, figlia di Giulia.

234 Vell., 2, 104, 1. Cfr. anche Svet., Tib., 21, 3: [iuraverit] rei pulicae causa adoptare. 235 SYME 1962, 433. Così anche STORONI MAZZOLANI 1981, 83.

236 BAKER 2001, 124.

237PANI 2003, 39. Lo studioso fa riferimento all’organizzazione di un vero e proprio piano successorio pianificato da Augusto e che potesse garantire sempre la possibile successione di un Giulio a fronte di un Claudio. Infatti Augusto adottò Tiberio ma anche Agrippa Postumo; in seguito, come accennato, fece adottare da Tiberio il nipote Germanico, il quale fu fatto sposare con Agrippina. Il 4 d.C. può essere, infatti, considerato l’anno dal quale si può supporre la creazione e la concezione di una reale domus Augusta.

La strada era, dunque, spianata. Il figlio di Livia ebbe l’occasione di riprendere la vita politica grazie anche alla restituzione del potere tribunizio per dieci anni invece di cinque, e all’imperium

proconsulare. Tutto ciò concorse a fare di lui ‘il secondo uomo dello

stato’. È da qui che, secondo la felice definizione di Storoni- Mazzolani, si innesterà quell’ “anello tra un regime d’emergenza e un sistema.”238.

2.5.

L’ISOLA DI RODI: STORIA DEL TERRITORIO