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Per quel che riguarda l’isola di Pandataria, ovvero l’attuale Ventotene appartenente alle isole ponziane, sappiamo ben poco. Notizie relative alla sua storia sono scarse o pressoché nulle. Senza dubbio fu la sede dell’esilio di Giulia Maggiore: ancora oggi si possono ammirare i resti della villa in cui risiedette, ma non possediamo altri dati certi circa il territorio e lo stato dell’isola a quel tempo. In verità, come precedentemente notato, molti autori antichi parlano di ‘isole’ e da questi riusciamo a ricavare la percezione che si aveva di questi luoghi considerati ‘marginali’, ma nessuno menziona Ventotene, se non in un fugace riferimento riservatole da Strabone, geografo dell’età augustea:

Tῶν δὲ σπηλαίων ἐν ὄψει μάλιστα πρόκεινται δύο νῆσοι πελάγιαι, Πανδατερία τε καὶ Ποντία, μικραὶ μὲν οἰκούμεναι δὲ καλῶς, οὐ πολὺ ἀπ’ ἀλλήλων διέχουσαι, τῆς ἠπείρου δὲ πεντήκοντα ἐπὶ τοῖς διακοσίοις.

“Proprio di fronte alla caverne ci sono, al largo, due isole, Pandataria e Pontia, piccole, ma ricche di belle abitazioni, non molto distanti fra loro, a circa 250 stadi dal continente.”167

Pur essendo una menzione veloce, è assolutamente preziosa. È possibile, infatti, ricavarne vari dati: per prima cosa si evince che la parte del mar Tirreno comprendente queste isole era stata esplorata, o per lo meno era conosciuta. Che poi si parli o meno dell’arcipelago dipende dall’importanza che esso ebbe nel complesso dei collegamenti marittimi del tempo o dall’incidenza che il luogo rivestì nella storia. Mi preme sottolineare che talvolta anche il silenzio riguardo un’isola, ovvero il mancato riferimento ad essa, è sinonimo di significato, traducibile nel fatto che “ogni luogo indistinto era escluso dalla descrizione del geografo, o inserito a costo di grandi sforzi.”168 Traina ricorda che, per esempio, le isole del Mediterraneo erano in gran parte conosciute, eppure la loro marginalità non dipende dal non riuscire a classificarle, così come poteva capitare per le foreste o le montagne, ma dalla sistematica volontà di lasciarle da parte.169

167 Strab., 5, 3, 6. Trad. it. (a cura di) A. M. Biraschi. 168 TRAINA 1986, 113.

In secondo luogo Strabone descrive le due isole come “piccole”. Da ciò si può forse comprendere il motivo del silenzio riguardo Pandataria, ma anche un ulteriore aspetto: Giulia venne relegata in un’isola-prigione, più propriamente a Punta Eolo (capo settentrionale dell’isola), i cui confini erano percepibili, la cui percorribilità era molto probabilmente attuabile in poco tempo: stando, infatti, ai dati rilevati da Liberti essa “nel punto più lungo non raggiunge i tre chilometri e in quello più largo gli 800 metri”170. Un vero e proprio luogo ‘chiuso’, limitato, una sorta di ‘isola nell’isola’.

Eppure le due isole erano “ricche di belle abitazioni”: un dato questo abbastanza singolare che sembrerebbe fare riferimento a una realtà più ampia, caratterizzata da un diffuso benessere suggerito da abitazioni confortevoli e di conseguenza è indice di un luogo urbanizzato e non poi così marginalizzato, escluso. A ciò si può trovare spiegazione con il fatto che, secondo quanto riporta il geografo, le due isole prese in esame non erano molto distanti fra loro e nemmeno dal continente:150 stadi, ovvero 93750 piedi, circa 28 km, secondo il computo romano. Anche questo mi consente di avanzare un’ipotesi: dal momento che Pandataria faceva parte di un arcipelago e non era un’isoletta dispersa in mezzo al mare, deduco che vi fossero rapporti con le altre realtà insulari e così anche con la terraferma. In questo modo si sfalda l’idea di un luogo ‘atemporale’, escluso dai contatti col continente e dai processi di ‘evoluzione’ ivi inseriti. Risulta evidente che, in ogni caso, rimane comunque un luogo marginale, lontano e senza dubbio di esclusione, dal momento che Augusto ricercava proprio questo per la figlia: un’isola di reclusione. Da non sottovalutare è anche il ruolo del mare, sinonimo di allontanamento dai miti più antichi ai giorni nostri.

Il mare era qualcosa di indefinito, non limitabile con contorni netti e per questo difficile da comprendere nel senso etimologico del termine, da afferrare con la mente. Ciò dava adito a più interpretazioni di esso: come luogo impervio, pericoloso, data la sua impossibilità di controllarlo, ma anche, se conosciuto, luogo di unione da un continente all’altro, luogo di scoperta, luogo di forza (basti pensare alle egemonie marittime dei Greci).

Pandotèira (colei che dona più di ogni cosa) è il nome che le diedero

i Greci e fu poi latinizzato dai Romani in Pandataria. Emersa a seguito di una serie di eruzioni vulcaniche, l’uomo arrivò sull’isola in piena età del Bronzo e la sua colonizzazione raggiunse l’apice in epoca romana. Sono visibili da subito, come accennato prima, i resti di Villa Giulia che prese questo nome proprio perché la figlia del princeps fu la prima donna ad essere esiliata nell’isola. Grazie a ciò che rimane è possibile immaginare che la residenza, fatta costruire proprio da Augusto per l’otium, si caratterizzasse come un piccolo paradiso disponibile a soddisfare ogni tipo di agio. Vi era la parte della domus

rustica, riservata per i servi, con le murature in opus reticolatum

disposte in modo tale da creare ambienti allineati e simmetrici e la parte della villa imperiale vera e propria. Quest’ultima, situata nella zona più bassa della costa, rendeva agevole l’accesso al mare. Era estremamente spaziosa, dotata di terrazze e di un’area termale, di cui è possibile notare i resti del frigidarium, tepidarium e calidarium, ossia delle stanza con delle piscinae di acqua fredda, tiepida o calda. Si noti, quindi, come per Augusto si rese necessario isolare Giulia, tenerla lontana dall’ Urbe, ma le condizioni di vita nell’isola erano in ogni caso estremamente agiate. Probabilmente non uguali a quelle cui lei era abituata, però ugualmente accettabili dal momento che, pur non

potendo usufruire dei suoi beni, visse comunque circondata dalla ricchezza.

Resta ampia traccia anche dell’antico porto romano, testimonianza della mobilità che avveniva nell’isola, luogo dunque di frequente approdo e punto strategico. Presente è, infatti, e ancora riconoscibile, l’antica peschiera, caratterizzata da una serie di vasche scavate nella roccia che permettevano il costante approvvigionamento di pesce agli isolani. Liberti ci informa che Pandataria passò sotto il dominio romano nel IV sec. a.C., ma che fu per un lungo periodo ‘dimenticata’ a causa della valorizzazione della vicina isola di Ponza (la Pontia di Strabone), per poi tornare in auge proprio nel I sec. a.C. come luogo di relagatio di molte donne considerate ‘scomode’ e pertanto confinate così da essere rese inoffensive.171 In epoca medievale il nome si modificò in Pantatera e poi in Ventatere; successivamente con l’arrivo dei Borboni si assistette ad un ulteriore processo di urbanizzazione, di cui si ricorda la prigione di Santo Stefano, fatta edificare dal re di Napoli Ferdinando IV e i cui lavori furono ultimati nel 1795, ma anche di spoliazione dell’isola: marmi, statue, fontane furono distrutti o portati via. La stessa Ventotene e, in egual modo, la vicina isola di Santo Stefano furono luogo di esilio, fino a poco tempo fa, di importanti uomini politici a partire da Gaetano Bresci, attentatore del re Umberto I, ma anche Sandro Pertini, Altiero Spinelli il quale elaborò, insieme ad Ernesto Rossi, il Manifesto di Ventotene, promuovendo una forma politica nuova e sostenendo l’unità europea. Tutt’ora l’isola è considerata una splendida meta turistica, una sorta di piccolo luogo paradisiaco incontaminato che dona meravigliose spiagge dal mare cristallino.172 Forse allora, il nome che le fu attribuito

171 Si veda infra.

non costituì una scelta casuale e sembra che abbia la sua ragion d’essere anche oggi.

1.11. IL CASO DI GIULIA E LA PSICOLOGIA