• Non ci sono risultati.

1.4. GIULIA COME ADULTERA E COSPIRATRICE

1.4.2. LA PROPAGANDA CULTURALE

La crescita della factio antoniana e la sua invadenza nello stato fu accompagnata, inoltre, da una precisa propaganda culturale che trovò anche impegno in campo letterario. Vennero elaborati alcuni scritti contrari alla politica augustea e che si prestavano a una lettura di ‘fronda’: sembra che Sempronio Gracco fosse l’autore del Tieste, scritto tragico di condanna della tirannide; circolava anche un anonimo

Carmen de bello Actiatico56; Iullo Antonio scrisse la Diomedea che si configurava come contraltare dell’Eneide, poiché le opere erano entrambe in dodici libri, esametrici e incentrati sulle gesta di un eroe.57 Il componimento di Iullo aveva giocato un ruolo chiave nella propaganda del tempo, in antitesi con l’intento augusteo. Infatti, all’eroe greco Diomede era riservato un ruolo di primordine nelle vicende della Roma antica, quindi, come sottolinea Zecchini, non solo dalle origini latino-etrusche della civiltà, ma anche e soprattutto elleniche, del tutto in armonia con l’ellenizzazione promossa da Marco Antonio e frenata da Augusto..58 Come fa notare Rohr Vio, “non è un caso che Orazio, vicino al governo augusteo, attraverso un’ode sollecitasse appunto Iullo a cambiare il soggetto delle sue composizioni letterarie, indirizzandosi ad argomenti più graditi al principe.”59 Ed è significativo il destino che quest’opera subì: di essa non è rimasta traccia né menzione, a parte in una nota dello Pseudo Acrone.60 È probabile che agì su di essa una censura tale da riuscire a eliminarla. D’altronde non sarebbe una novità se pensiamo che Augusto riuscì a far sparire anche gli scritti giovanili di Cesare, l’Edipo e le Lodi d’Ercole, ritenuti di dubbio valore letterario, ma pur sempre avvertiti come ‘ingombranti’ e di possibile utilizzazione polemica in contesti di clima teso e carico di tensioni. Davvero calzante è l’ipotesi secondo cui non avrebbe avuto senso censurare le opere più impegnative di Cesare, ossia i Commentarii e il Bellum Civile, a prescindere dal fatto che erano troppo diffusi perché l’operazione

56 Per approfondimenti si veda ZECCHINI 1987. 57 Sul tema anche COPPOLA 1990.

58 ZECCHINI 1987, 69. 59 ROHR VIO 2012, 83.

60 Così scrive lo Pseudo Acrone a proposito di Iullo: “Heroico metro Diomedias duodecim libros scripsit egregios, praterea et prosa aliquanta.”

riuscisse, ma soprattutto perché non costituivano pericoli di utilizzazione ideologiche, cosa a cui si prestavano più facilmente i testi poetici brevi poiché a causa della loro duttilità e praticità potevano essere forieri di messaggi ostili al pensiero corrente.61

Degno di menzione è anche Ovidio che con la sua Ars amandi, sfacciata e ribelle rispetto alle grandi leggi sociali, la cui redazione risale almeno al 13-10 a.C., si presentò come uno dei poeti più contrari al regime, al punto che anche per lui nell’8 d.C., caduto in disgrazia presso Augusto, vi sarebbe stata la relegatio a Tomi, piccolo porto sul mar Nero. Poco chiare appaiono essere le reali motivazioni di questo suo allontanamento e maggiori dubbi emergono dal famoso error a cui accenna lo stesso poeta, pur senza precisare esattamente di cosa si tratti: “poiché due colpe mi hanno rovinato, la poesia e un errore, deve essere da me taciuta la seconda accusa.”62 Quindi, probabilmente, Ovidio non si rese colpevole di nessun misfatto volontario, ma i suoi occhi videro ciò che non era lecito osservare;63 per questo motivo, Augusto intervenne con un edictum personale che prescindeva dal senato.64

Svetonio porta testimonianza di un grammatico, nato a Tuscolo e liberto del cavaliere romano Attico, che si servì della sua professione

61 ZECCHINI 1993, appendice 204-205.

62 Ov. trist., 208-209: Perdiderint cum me duo crimina, carmen et error, alterius facti culpa silenda mihi.

63 Ov. trist., 3, 25-28: Idque ita, si nullum scelus est in pectore nostro, principiumque mei criminis error habet. Nec breve nec tutum, quo sint mea dicere, casu lumina funesti conscia facta mali. “Così dev’ essere se nessun delitto pesa sulla mia coscienza e uno sbaglio è all’origine della mia colpa. Non sarebbe né breve né prudente raccontare per quale accidente i miei occhi siano venuti a conoscere un fatto tanto funesto.” Trad.it. (a cura di) F. della Corte.

64 Per approfondimenti sulla questione dell’error ovidiano si veda LUISI-BERRINO 2002, 7- 14; DELLA CORTE-FASCE 1986, 18-21.

per diffondere gli ideali antoniani: si tratta di Quinto Cecilio Epirota.65 Di lui sappiamo che visse in grande intimità con Cornelio Gallo, situazione che Augusto non condivideva e che anzi “rimprovera a Gallo come una delle sue maggiori colpe.”66 Epirota aprì, inoltre, una scuola e probabilmente fu il primo a tenere lezioni su Virgilio. Come altri poeti, letterati e grammatici, anche lui non era un sostenitore della politica augustea e l’unica possibilità di opposizione al regime consisteva nel far emergere, attraverso la propaganda, un velato pensiero che si caratterizzasse come ostile, seppure non apertamente. In ogni caso, dopo chiari o celati atteggiamenti di opposizione, la reazione del princeps non tardò ad arrivare: per evitare che i simpatizzanti di Antonio arrivassero a controllare le cariche dello stato, nel 5 a.C. ricoprì egli stesso il consolato per la dodicesima volta e lo stesso avvenne nel 2 a.C., in concomitanza con l’assunzione di un atteggiamento non più liberale e tollerante verso gli intellettuali, ma di maggior chiusura. Nel frattempo introdusse un’innovazione che prevedeva che circa a metà dell’anno subentrasse una coppia di

consules suffecti di modo che si riducesse il potere di quelli ordinari e

si potessero evitare ulteriori ‘scalate’ al potere come quella tentata dal gruppo antoniano tra il 10 e il 6 a.C. Ma questo non fu sufficiente a fermare il gruppo e tantomeno Iullo Antonio e Giulia. Quest’ultima esibiva con sempre maggior sfacciataggine il proprio comportamento in aperta antitesi con le leggi del padre. Si lasciava andare, come accennato, a sfrenatezze sessuali arrivando ad incoronare la statua di Marsia, simbolo non solo della libertà dei costumi ma anche di quella del popolo. Interessante la considerazione di Rohr Vio secondo cui

65 Svet., gramm., 16. F. Munzer SV Quintus Caecilius Epirota in RE, vol. III, 1, c. 1201, nr. 53, 1897.

Marsia era considerato il rivale di Apollo, a sua volta associato alla figura di Augusto. E quindi ciò potrebbe indicare che l’assunzione di Marsia come punto per le proprie sregolatezze potesse già essere un gesto rivelatore della ‘ribellione’ che Giulia voleva mettere in atto contro il padre, caldeggiando così il modello antoniano a sfavore del conservatorismo paterno.67

Le trasgressioni sessuali, l’ubriachezza, il richiamo ai culti Bacchici si configuravano, infatti, come echi della condotta di Antonio in Egitto. Il fenomeno bacchico era considerato sinonimo di un mondo alla rovescia, dove ogni cosa risultava sovvertita nella propria essenza e causava lo smantellamento dei costumi, delle norme, del quotidiano, del mos maiorum. Biffi scrive di un legame insito nel rapporto Antonio-Dioniso, per cui la divinità era assunta come punto di riferimento dal triumviro e ancor prima da Cesare, e dunque il suo culto veniva ancora praticato, seppure con una moderazione della carica ‘eversiva’ che prevedeva.68

Infine proprio nel 2 a.C., anno, come ricordavo, fondamentale per Augusto, tale (presunta o reale) congiura fu stroncata, tanto che Giulia insieme ai suoi cinque amanti fu condannata ufficialmente per aver trasgredito alla lex Iulia de adulteriis coercendis. Ma, come già accennato, non tutti i cospiratori subirono la medesima punizione. Mentre la maggior parte fu costretta all’esilio, Iullo Antonio fu indotto al suicidio e Sempronio Gracco venne esiliato, ma poi ucciso dai soldati mandati da Tiberio69. È evidente che questa disparità nella pena porta a riflettere. Probabilmente i primi furono ‘solamente’ amanti di Giulia, e quindi giudicati per tale reato; gli altri, tra cui per l’appunto

67 ROHR 2000, 233. 68 BIFFI 1996, 154-155. 69 Cfr. Tac., ann., 1, 53, 3-5.

Iullo e Sempronio, sembrerebbero essere i principali protagonisti dell’atto eversivo e, in quanto tali, anche i più pericolosi, visto che persero la vita. In particolare, è significativa un’espressione di Dione che, in riferimento alla condanna di Iullo, riporta che quest’ultimo agì “contro la monarchia”70: ciò suggerisce a suo carico non un’azione, ma un’iniziativa di carattere politico. Infine, se Tacito fa riferimento ad una eccessiva severità della punizione, Velleio, favorevole al principe, dichiara che quest’ultimo agì con correttezza perseguendo Giulia e i suoi compagni di licenze come avrebbe fatto con chiunque altro.71 Se dal 2 a.C. venne, per così dire, ‘smantellata’ la factio antoniana, non si esaurirono però i suoi progetti politici che furono portati avanti da Giulia Minore, figlia di Giulia Maggiore, da Germanico e anche da Caligola. In verità, la parte meno estremista che faceva riferimento a Messalla giunse ad una alleanza tra repubblicani ed Augustei; quella che seguì Iullo Antonio cadde in rovina.

1.5.

GIULIA INNOCENTE: IL POSSIBILE