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La “fortuna” dell'opera.

rispetto a Rosa di Sion

4.4 La “fortuna” dell'opera.

Prime piogge d'ottobre, posteriore di un anno rispetto al dramma Giuda119,

molto probabilmente non venne messo in scena fino al 1923, anno in cui vennero pubblicate diverse recensioni a proposito di tale rappresentazione. Anna Barsotti ne Il teatro novecentesco di Enrico Pea e i <<Maggi>> ci mette al corrente di una prima stesura dattiloscritta del testo ed intitolata

Prime piogge d'aprile120. L'autore, quasi sicuramente insoddisfatto di un

titolo che richiamava felici momenti naturali: la pioggia nella desertica Salonicco e la rinascita della primavera nel mese aprile, nettamente in contrasto con l'andamento della trama, lo cambiò prima di darlo alle stampe

119 Dramma pubblicato nel 1918, quando Pea si era già ristabilito da quattro anni in Italia. 120 Cfr. A. Barsotti, Il teatro novecentesco di Enrico Pea e i <<maggi>>, ne Il Ponte,

nel 1919 presso la Libreria della Diana di Napoli121.

Una seconda edizione di Prime piogge d'ottobre si ebbe il primo ottobre 1923, nella rivista teatrale <<Comoedia>> di Milano. A seguito di questa seconda pubblicazione l'opera fu sicuramente messa in scena ed ottenne una discreta risonanza. A sostegno dell'ipotesi riguardo ad una tardiva messa in atto del dramma potremmo prendere in considerazione l'informazione che Anna Barsotti riporta nel suo saggio quando afferma che Prime piogge

d'ottobre fu rappresentato per la prima volta al teatro sperimentale di

Bologna dalla compagnia di Virgilio Talli122, senza però specificare l'anno in

cui ciò avvenne; ma è certo che in un articolo dell'otto aprile 1923, apparso su <<Il Marzocco>>, Firenze, il critico Luigi Tonelli sostiene di aver assistito all'esecuzione del dramma operata dalla Compagnia Talli. Quindi una volta accertata la compagnia di esecuzione ingaggiata da Pea ed aver constatato l'assenza di testimonianze critiche antecedenti al 1923, possiamo affermare quasi con certezza che Prime piogge d'ottobre abbia visto la sua prima realizzazione teatrale soltanto dopo quattro anni dalla sua prima pubblicazione.

La critica, almeno inizialmente, non fu colpita favorevolmente dall'opera di Pea. Nel succitato articolo di Tonelli123, il critico si scaglia contro questo

tipo di tragedia da lui definita: tragedia erotico-familiare, la quale possiede a suo parere tutti gli elementi del drammone da arena. Tonelli non recepisce alcuna originalità nel dramma peiano, se non una nota di folklore, la quale ha però il demerito di posarsi su una società arcaica, facendo alitare su

questi detriti il soffio dell'anima moderna. Il critico non dovette apprezzare

la commistione tra il vecchio e il nuovo che Pea tentava di portare all'interno del dramma e che solo analizzando attentamente la trama è possibile comprendere: ciò che Pea intendeva mostrare con Prime piogge d'ottobre era come una società arcaica, intimamente connessa alle proprie secolari convenzioni, potesse mostrarsi fragile e priva di vere radici una volta messa a fuoco sotto la lente della razionalità moderna. Fabrizio può farsi portatore di un messaggio di rinnovamento, che confuta con la ragione tutto un

121 Pea non dovette mai esser pienamente soddisfatto del titolo dell'opera in quanto vi si riferisce sempre come a Prime piogge, tralasciando il resto.

122 La stessa notizia si trova anche in Emilio Paoli, La poesia della malizia, Carpena Editore, Sarzana, 1973, p.46

sistema di valori fondato sulla paura e sull'obbedienza. Tonelli, a proposito del dramma afferma che:

“[...] un torto evidente del bozzetto realistico è quello di rivelare incongruenze patenti, una volta che sia vagliato con la logica della vita che più o meno rimane la stessa in ogni tempo e in ogni luogo”.

In realtà Pea voleva dimostrare proprio il contrario: come la vita possa cambiare, insieme allo spazio e al tempo, se solo si riesce a liberarsi da quelle tradizioni secolari che incatenano l'uomo ai propri dettami. Sara, protagonista di questo dramma e, a detta di Tonelli, unico personaggio dai caratteri davvero concreti, non ci riuscirà. Ed ecco che Pea crea attorno a questa donna e al suo conflitto interiore un'aurea d'immobilità, proprio come immobile rimane la sua volontà sino all'ultima, ormai inutile, confessione. Tonelli individua questa inerzia nella ripetizione periodica della catastrofe che culmina in un finale stravagante che guasta l'atto dove a tratti sembra

raggiunta la fusione desiderabile dei diversi elementi124. Un'ultima lapidaria

osservazione di Tonelli va all'esecuzione della Compagnia Talli, accusata di aver abusato del ricordo della dannunziana Città morta per quanto riguarda l'elemento estetico ed esotico.

Dall'articolo risulta comunque difficile comprendere come, Tonelli a parte, il pubblico reagì a questa rappresentazione, dal momento che è lo stesso critico a dirci che l'opera sollevò un fragoroso consenso di plauso a cui si

oppose alla fine non meno violenta reazione di protesta. Come di consueto

con Pea ci troviamo di fronte ad un autore dall'estro originale, il cui senso complessivo dell'opera è difficile da discernere ad una prima visione o lettura, per la sua volontà di andare oltre alle apparenze e alla mera storia che viene rappresentata. Ogni personaggio o intreccio ha un elevato valore simbolico che può essere afferrato soltanto da chi desideri realmente comprendere ciò che si cela dietro una trama complessa.

A mettere causticamente in risalto l'incomprensione del pubblico è il critico teatrale Marco Praga che inizia così la sua cronaca su Prime piogge

d'ottobre:

“Il commediografo Enrico Pea ha voluto raccontare al pubblico una storiella ebraica; ma il pubblico ne ha capito poco e ci si è divertito

ancor meno”125 .

Praga mette ironicamente alla berlina l'eccessivo groviglio familiare della vicenda:

“[...] Dunque: Delila, moglie del Rabbino, è cognata di Sara, ed è l'amante di Ghersom, che di Sara è pure il cognato oltrechè il fidanzato. (Dio santo, che pasticci tra i cognati ebraici... di Enrico Pea!)”126.

Praga ironizza scetticamente anche sull'irrealtà di certi avvenimenti e superstizioni del dramma: quando Azaria muore nel giorno del Tekufà a causa dell'acqua rovesciatagli in testa - “per via di quella doccia che v'ho detto”-, quando il cristiano Fabrizio viene chiamato a costruire la sinagoga - “O che non hanno architetti tra di loro [ebrei]?”-, quando Delila origlia la confessione di Ghersom a Sara - “(perché ha il brutto vizio di star dietro le porte)”-.

Alla fine del “mordace” resoconto di Prime piogge d'ottobre Praga fa un'ultima considerazione complessiva:

“La storiella volgaruccia e sudicetta ch'è venuto [Pea] a raccontarci non poteva interessarci, né divertirci, né appassionarci. Anzi, per dir tutto, in quella veste ricercata, tra l'agreste di Versilia e l'imitazione dannunziana, ci riuscì anche un po' fastidiosa. Il dramma è messo insieme faticosamente, a pezzetti e pezzettini... così che lo spettatore brancica di continuo, non solo senza riuscire ad afferrare l'intima essenza dell'opera se pur ne ha una, ma senza comprendere quale ne sia il vero protagonista […] E il pubblico nostro a Enrico Pea ha detto di no. Il suo dramma non è piaciuto e non poteva piacere, né resse sul cartello più di due sere...”127.

Eppure non tutti i critici sono d'accordo se Olobardi definisce così Prime

piogge d'ottobre:

“[...] la miglior prova fatta finora da Pea nel teatro. Anche il linguaggio vi è molto più sobrio e aderente; e le oscurità sono minori per essere l'intreccio semplificato assai e, quindi, evitate le oscurità che potevano di lì derivare”128

Anche Gobetti ne Il teatro di Enrico Pea sostiene che questo dramma è:

125 M. Praga, Cronache teatrali: 1923, Treves, Milano, 1924, p. 194. 126 Ibidem, p. 196.

127 Ibidem, pp. 199- 200.

“[...] il tentativo più vicino alla sensibilità poetica di Pea, perché il peso dell'azione si risolve nella cristallina limpidità dei frammenti lirici. Qui anche l'intreccio, più accessibile, si ritira in secondo piano e lascia a combattersi le anime.”129

Non si può che concordare.

129 P. Gobetti, Il Teatro di Enrico Pea, in Rosa di Sion, Piero Gobetti editore, Torino, 1923, p. 45. Ora anche in Opere complete di Piero Gobetti, Torino, Einaudi, 1969.

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