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Personaggi e didascalie del dramma.

rispetto a Rosa di Sion

4.3 Personaggi e didascalie del dramma.

In Prime piogge d'ottobre, come già in Rosa di Sion, i personaggi che si alternano sulla scena sono pochi, eppure estremamente complessi, dotati ciascuno di un ruolo fondamentale all'interno del dramma, tanto da meritare un'analisi approfondita.

Figura portante del dramma è Fabrizio, l'uomo per il quale l'intero ordine familiare interno alla casa del Rabbino finirà per essere sconvolto. Sin dalle prime battute è evidente la carica innovatrice che Fabrizio porta all'interno di una famiglia totalmente conservatrice riguardo le proprie tradizioni religiose.

In terra straniera Fabrizio, che era giunto a Salonicco da ateo, riscopre la propria religione cristiana e ne mette a conoscenza Sara, la donna di cui è profondamente innamorato. Questo intenso scambio culturale turberà profondamente l'ebrea, che da quel momento in poi non riuscirà più a dimenticare le parole dell'uomo. Fabrizio, tenero e premuroso con Sara, assume ben altro atteggiamento di fronte al prepotente Ghersom, fronteggiandolo pacatamente, ma in modo deciso. Fabrizio difende fermamente le proprie scelte, riguardo alla costruzione della sinagoga, argomentando ogni decisione con la razionalità che è caratteristica portante di tutto il suo personaggio. Fabrizio è anche un uomo molto perspicace, in

grado di comprendere il significato di piccole malizie e sotterfugi che egli affronta con pacata ironia:

Fabrizio [a Delila, primo atto]: Ma sì che lo permette. Il signor

Ghersom è di buon umore oggi109.

[…]

Fabrizio [a Delila, secondo atto]: Ah! Cara signora, dove passa il

freddo può passare anche il caldo110.

[…]

Fabrizio: Il signor Ghersom non può offendere111.

Eppure l'architetto è anche un uomo di parola, sincero e schietto quando si tratta di affrontare argomenti che egli ritiene meritevoli: confessa così il proprio amore per Sara, la quale però lo rifiuta nel rispetto della legge di Halissà che la costringe a sposare il cognato. A Fabrizio allora non rimane che andarsene, ma all'ordine di Ghersom di farlo subito egli risponde:

Fabrizio: Me ne andrò domani di giorno, col sole! Non sono un ladro,

non sono entrato qui dentro col grimaldello, io!

Ancora una volta Fabrizio dimostra di aver agito in buona fede, difendendo la propria dignità, perché come egli stesso spiegherà di lì a poco, il suo intento non è stato quello di tentare una conversione, ma di strappare la donna amata ad una vita infelice. Il dispiacere e l'amarezza di aver fallito sono tangibili nelle ultime battute dell'uomo, il quale forse si rende conto di aver combattuto per una causa persa in partenza, dal momento che egli, con la propria carica innovatrice e sprovincializzante, si è insinuato tra secolari tradizioni, sconvolgendole. Cade in questo modo anche l'ultima speranza di essere compreso riposta da Fabrizio nel Rabbino, al quale l'uomo aveva sempre offerto il proprio rispetto, evitando di dargli grossi dispiaceri mettendolo al corrente della relazione tra Delila, sua moglie, e Ghersom:

Fabrizio: Se tutto questo si è scatenato per me, anch'io debbo dire

qualcosa... […] Ho troppo rispetto di me e troppo affetto al padrone di casa per dargli dispiaceri più grossi... […] Dirò quello che riguarda me

109 Battuta del primo atto riferita a Delila, la quale aspetta da Ghersom il permesso di rispondere ad una domanda. L'architetto allora, che ha da poco avuto un alterco con il Capo della Comunità, la esorta a parlare riferendosi ironicamente al “buon umore” di Ghersom.

110 Qui Fabrizio si riferisce ovviamente all'amante della donna, Ghersom, per il quale la porta era stata lasciata appositamente aperta, anche se Delila finge di non sapere il perché di quella dimenticanza.

111 Qui l'ironia è evidente dal momento che Ghersom, con il suo atteggiamento supponente, non manca mai di offendere qualcuno.

solo. […] Vi voglio troppo bene, rabbino... Altrimenti...

Se Fabrizio rimane corretto sino alla fine è dunque per rispetto, rispetto per se stesso e per coloro verso ai quali nutre un affetto, ma persa ogni speranza di riscattarsi dall'idea, ormai pressoché comune, che egli sia un sovvertitore

degli usi d'Israele, l'architetto abbandona la propria reticenza e si concede

uno sfogo carico di frustrazione:

Fabrizio: […] Ho pensato di trasformare in serpenti gli angeli che

impauriscono così tanto i figli d'Israele. E siccome, malgrado tutta la mia volontà, non avranno veleno in bocca, dite al signor Ghersom che pensi lui a quello, così sarà maggiormente benemerito alla sua razza.

Fabrizio ribadisce così la propria innocenza: egli ha solo tentato di portare qualcosa di positivo all'interno di una religione austera, troppo chiusa in se stessa al punto di calpestare la volontà altrui in ossequio alle tradizioni, ma il suo intento è stato male interpretato. Il vero veleno che ammorba la Comunità non è in Fabrizio, ma nell'ipocrisia di chi ne sta a capo, Ghersom. Fabrizio è forse l'unico personaggio del dramma a rimanere pienamente coerente a se stesso: egli non ha segreti da svelare, non è attraversato da idee divergenti le une dalle altre, non nasconde una doppia personalità. Fabrizio ama Sara, lo confessa e, una volta rifiutato, decide risolutamente di andarsene, senza lasciare alcun dubbio su di sé perché fino alla fine egli sostiene e argomenta ogni propria decisione con una pacatezza che trova forza nella sua potente razionalità. Egli è a suo modo un eroe che, senza arrivare a sfogare violentemente le proprie brame, riesce comunque a far intuire la propria volontà e decisione: nel suo amore ardito per Sara e nella forma “a croce” che egli conferisce al progetto della sinagoga. La più volte sottolineata razionalità di Fabrizio è comprovata anche dal fatto che egli sia architetto, ma mentre il progetto iniziale per cui egli è ingaggiato altro non è che la costruzione di una sinagoga, l'esito finale che si traduce in realtà è, pur senza volerlo, la sistematica distruzione di un'intera famiglia. Le arcaiche tradizioni di Salonicco non reggono di fronte alla carica innovatrice portata dal raziocinio e dalla coerenza di Fabrizio, un uomo che non sacrifica i propri desideri a convenzioni religiose.

La protagonista femminile del dramma è Sara, la vedova costretta dalla legge di Halissà a sposare il fratello del defunto marito. La donna è però

attratta da Fabrizio e dai suoi racconti cristiani che riescono a sollevarla, almeno momentaneamente, dall'oppresione che la donna sente gravare su di sé a causa del matrimonio indesiderato. E' Sara stessa a definirsi schiava delle convenzioni religiose del proprio popolo, a cui si sottomette soltanto per amore del figlio Azaria:

Sara: […] E che direste, Fabrizio, di una madre di oggi a cui morise lo

sposo, ed il cognato le dicesse: - Ho su di te diritto di consanguineità: ne uso: sarai mia moglie!

Fabrizio: Direi: è una schiava!

Sara: E se questa donna per amor della sua creatura si fa schiava?

La dolcezza che Sara riserva a Fabrizio, contrasta nettamente con il suo atteggiamento verso Ghersom, il futuro sposo: con lui Sara si mostra decisa, ostinata a difendersi fermamente dalle sue diverse accuse, disposta a tutto pur di proteggere il proprio figlio. Sara cerca la pace nel compimento del proprio dovere e per questo rifiuta il matrimonio con Fabrizio, ma la morte di Azaria rompe il velo delle convenzioni in lei a tal punto da farle sfogare tutto il proprio dolore, liberando finalmente ciò che ha nel cuore. Così si chiude il secondo atto, ma al terzo Sara torna sui propri passi, questa volta per amore del fratello, il quale verrebbe destituito dalla carica di Rabbino se lei se ne andasse con Fabrizio gettando nel fango il loro nome millenario:

Sara [al fratello]: Perdonami! Avrei violata la legge, ed ero contenta di

farlo. Adesso ti obbedisco perché non voglio trascinarti nel mio gorgo. Ma ieri mi pareva di veder tutto chiaro innanzi a me.

Non avevo mai avuto tanta gioia! Ero decisa a tutto. Mi batteva il cuore e tremavo, ma non avevo dubbio alcuno. Vedevo belle anche le cose che mi sono indifferenti. Vedevo tutto bene e non sentivo più dolore per la mia creatura morta. Ero come in un limbo: mi credevo già lontana dalle pene terrene. <<Rivedrai tuo figlio, se credi>>. Rabbino, questo tu non me l'hai mai detto. <<Rivedrai tuo figlio, se credi>> Fratello perché non è scritto nella Torah?

Sara per resistere all'impulso di raggiungere Fabrizio e quella religione in grado di consolare il suo immenso dolore per la perdita del figlio si fa legare con i tefilin. Fabrizio se ne va narrando la sua storia d'amore con Sara come se fosse una fola, affidando alla donna il rimedio per dimenticarlo. Delila si accinge allora a preparare il filtro, ma Sara, che inizialmente sembrava

accondiscendere all'idea di dimenticare l'uomo amato, improvvisamente grida:

Sara: No! Delila! Non lo fare! Chè se dimentico lui ti strozzo!...

Sara non può e non vuole dimenticare l'uomo amato, altrimenti la realtà della propria vita le sarebbe insopportabile; si scaglia contro Delila, con la quale dovrà condividere il letto di Ghersom, con un linguaggio brutale e pieno di astio. Sara, dopo la dichiarazione d'amore del capo della Comunità, accetta di sposarlo, obbedendo alla propria religione, ma non al proprio cuore; e infatti non appena Ghersom muore, subito grida in un urlo di

liberazione:

Sara: Fabrizio!.. Fabrizio!... Gli angeli di Azaria raffrenano le nuvole

piovane, adesso!

Mustafà: E' partito.

Sara: Fabrizio, la terra è ancora assetata di pianto... Mentre il cielo si

rasserena per scherno.

Questo sfogo finale di Sara lascia intuire come l'apparente rassegnazione della donna durante tutto il dramma, non fosse altro che una forma di lotta interiore contro i propri desideri. La rinucia di Sara a Fabrizio non è dunque una rinuncia rassegnata: la donna non può dimenticarlo, così come non può impedirsi di cercarlo non appena sono crollati tutti gli ostacoli al loro amore. Sara è la vera eroina di questo dramma, continuamente in lotta tra le pressioni esterne (il matrimonio indesiderato, il figlio, il fratello, Fabrizio) e la propria dimensione interiore che tende invano ad una pace liberatoria. In un certo senso la donna si fa consapevolmente bersaglio del contrasto tra le due religioni, la cristiana e l'ebrea, decidendo di non sfuggire al proprio destino112; decisione visualizzata anche nell'atto estremo della donna di farsi

legare materialmente i polsi. Sara incarna il sacrificio e la fedeltà di tutto il popolo ebraico alla religione, sentita dagli ebrei della diaspora come identità nazionale; abbandonarla è pressochè impossibile, per questo in una delle prime batture Sara dice a Fabrizio:

Sara: Siete, come gli ebrei, in esilio anche voi.

Perché quando si è lontani dalla propria patria, ogni elemento che ne porti il ricordo è fondamentale e difficile da accantonare: come Fabrizio ha

112 Sara: E voi [Fabrizio] non siete una povera donna che non mantiene le sue promesse e che promette senza perché... Perché non ha diritto di promettere nulla, perché non ha nulla di suo, manco la carne attaccata alle ossa...

riscoperto di essere cristiano e patriota in terra staniera, così Sara non può abbandonare il proprio credo perché significherebbe sradicarsi dalla propria identità.

Al contrario di Sara che aderisce alla legge di Halissà per volontà di adattamento ai valori morali e culturali del proprio popolo, Ghersom lo fa per ragioni pretestuose; mentre Sara rappresenta la componente più spirituale della tradizione, Ghersom dimostra di usarla solo a proprio vantaggio, in modo rigido e tirannico.

Sin dalla sua prima apparizione sulla scena, preceduta da un presagio funesto – l'aquilone di Azaria precipita-, il Capo della Comunità si presenta come un uomo arrogante, forte del proprio ruolo all'interno della società, avido del patrimonio del fratello morto, desideroso di sposare Sara usando a pretesto la legge di consanguineità:

Ghersom [a Sara]: E' una bella ricompensa per la memoria di quel

povero fratello che vi ha tolta in moglie, povera, vedova, e con un figliolo. Siete molto riconoscente anche a me, che potri farvi baciare la suola delle mie scarpe e mandarvi fuori di casa. Ma da quando in qua una cognata mette dei patti a chi ha su di lei tutti i diritti. […] La nomina di vostro fratello a rabbino si deve a me, che sono capo della Comunità.

Ghersom è subito pronto a recriminare a Sara il suo matrimonio precedente, la presenza stessa di Azaria, la nomina a Rabbino del fratello: e non solo, ma anche a deridere, come se fosse un'assurdità, il preteso diritto di libertà della donna. Eppure è nel suo rapporto con Sara che Ghersom mostra il suo lato più docile, sin dal primo atto infatti è Delila a rendere noto il sentimento dell'uomo verso la cognata:

Delila: […] Perché, vedi, Ghersom, rivedo te quando eri assiduo in

casa mia nei primi tempi. Veramente nei primi tempi non mi guardavi, le tue premure erano tutte per Sara, ed io ero gelosa di lei. Ma quando vedevo che Sara ti contraccambiava con villanìe, allora non avrei voluto, perché ti vedevo soffrire. [...]

Ghersom: […] I legami di consanguineità mi obbligano a questo

matrimonio che ormai io non desidero più: amo troppo te, Delila!... Ma dimmi, tu credi che il cristiano...

nel finale a Sara: egli l'ha sempre desiderata. La stessa Delila dalle sue parole fa trasparire la consapevolezza dell'interesse dell'amante verso la cognata, eppure Ghersom smentisce in fretta e cela nuovamente il suo desiderio di avere Sara in moglie dietro l'obbligo di consanguineità, ma non può fare a meno di tornare a ciò che lo preoccupa maggiormente: il rapporto della sua futura moglie con Fabrizio113. Sarà questo sentimento di desiderio,

possesso e gelosia a far precipitare la situazione. Al terzo atto, una volta uscito di scena Fabrizio, Ghersom confessa a Sara i suoi insospettabili sentimenti:

Ghersom: Non mi basta averti per legge...

Ti ho sempre desiderata.

Questa gran pena quasi è punizione di Dio, per averti amata quando non dovevo amarti.

Mi sono gravato di rimorsi per dimenticarti. Sono stato brutale.

Il destino ha accavallato ostacoli tra noi.

Adesso che per legge sei mia tremo come un fanciullo perché sento che il tuo cuore è lontano da me114.

A questo punto Delila, che non può accettare di essere stata ingannata da colui che ama, non riesce più a trattenere il proprio desiderio di vendetta, trasformandolo in violenza: così gli fà cadere un capitello addosso, uccidendolo. Il minaccioso e prepotente Ghersom si rivela nel finale un uomo innamorato, geloso della donna amata, incapace di dimostrarlo senza avvalersi della forza. Da questo punto di vista l'astio che il capo della Comunità ha manifestato sin dall'inizio nei confronti di Fabrizio, non può che essere gelosia, gelosia verso un uomo che è stato capace di conquistare la donna amata da entrambi. Ghersom, non avendo altri pretesti che quello del progetto della sinagoga per opporsi a Fabrizio, lo usa a suo vantaggio. Il capo della Comunità accusa Fabrizio di essere un sovvertitore degli usi di

Israele perché non può apertamente accusarlo di essere il sovvertitore del

cuore di Sara, quel cuore a cui lui stesso ambisce. La diversità di credo

113 Infatti Ghersom riporta subito l'attenzione su Sara e Fabrizio con la battuta: <<Ma dimmi, tu credi che il cristiano...>>. L'interesse del Capo della Comunità è sottolineato maggiormente dalla presenza dei punti di sospensione, che lasciano sottintendere ciò che egli stesso ha timore di ammettere.

114 In questa battuta colpisce la scelta tipografica degli a capo, operata da Pea e che conferma il legame con la dimensione tragica.

diviene il punto focale di una lotta tra due uomini che desiderano la stessa donna, ma di ciò non si ha consapevolezza fino alla fine del dramma, fino a quando il Capo della Comunità non si rivela per ciò che realmente è: un uomo innamorato e disposto a tutto per avere il suo sogno d'amore. Una medesima considerazione vale per l'atteggiamento di Ghersom nei confronti del Rabbino: se è vero che il Capo della Comunità rinfaccia al sottoposto la sua posizione, ottenuta grazie a lui, è anche vero che tra i due non c'è mai una reale rottura. Ghersom tenta di impaurire il Rabbino, minacciando di destituirlo dal suo ruolo per smuovere la compassione di Sara, che egli sa disposta a sacrificarsi per amore della propria famiglia; eppure non giunge mai ad uno scontro diretto con il Rabbino, in quanto costui resta pur sempre il fratello della sua amata. Ghersom è abile nello sfruttare a suo vantaggio tutte le pedine di un gioco che servono a far allontanare Fabrizio da Sara, in modo che quest'ultima sia obbligata a cedere al matrimonio con lui. Delila stessa funge da pedina, in quanto Ghersom, potente dell'influenza che sa di avere su di lei, le dichiara il proprio falso amore per renderla partecipe dei propri sotterfugi, volti alla scoperta dei sentimenti di Sara per Fabrizio: ecco che Delila è più volte scoperta ad origliare la conversazione tra i due. Ghersom è dunque un abile manipolatore, capace di minacciare, di giurare amore, di fingere spudoratamente per arrivare al proprio scopo, l'amore di Sara, ma tutti i suoi trucchi non potranno che portarlo soltanto alla morte. La stessa ambivalenza che caratterizza il capo della Comunità la ritroviamo nella figura di Delila. La donna, totalmente sottomessa alla volontà dell'amante, con il quale discorre in modo cauto e dolce, è supponente ed arrogante nei confronti della cognata Sara. Questa malcelata antipatia, come si vedrà nel finale, non è altro che gelosia: Delila non riesce a sopportare il fatto che la cognata dovrà sposare l'uomo di cui lei stessa è innamorata. Da questo punto di vista tutti i sotterfugi, l'origliare dietro la porta, l'insinuare in Ghersom il sospetto di una possibile relazione tra Sara e Fabrizio, non sono altro che stratagemmi di una donna innamorata pronta a tutto per evitare che il suo amato si sposi. Soltanto al terzo ed ultimo atto si assiste alla rivelazione della vera personalità di Delila, fino ad allora presentata come una donna infedele, succube dell'amante e astiosa nei confronti della cognata. Nella confessione a Sara la donna esprime tutta la sua frustrazione:

Delila [a Sara]: Perché dunque rimproverare a me una follia che in te è

male quasi mortale? […] Anch'io ho le mie scuse. Non amo tuo fratello. Non l'ho mai amato! L'ho sposato senza conoscerlo. Mi méssero in treno come una mercanzia, come una giovenca che si porta al mercato […] Adesso sono presa da questa passione insanabile. Ma prima ho tentato tutto! Ho invocato Iddio come tu hai fatto; non ha ascoltato me, come te non ha ascoltato!

Siamo imbrattate dello stesso fango, Sara!

E' grazie a questo monologo che Delila riacquista la propria dignità: nel suo amore per Ghersom lei è come Sara, una donna innamorata di un uomo che non può avere. Come Sara si definiva una schiava, così Delila si considera una mercanzia, ma quale che sia il paragone, ciò che conta è che entrambe le donne non hanno alcun diritto di esprimere la propria volontà e sono costrette a sposare uomini per i quali non provano alcun sentimento. A posteriori è dunque chiaro l'atteggiamento di Delila, la quale per i primi due atti non ha fatto altro che cercare di allontanare il proprio amante dalla cognata a causa della sua irrefrenabile gelosia. Atteggiamento, questo, funzionale anche a livello dell'intreccio, in quanto è grazie a Delila e alle notizie recepite mediante il suo origliare, se il lettore- spettatore può conoscere i risvolti più intimi della vicenda. L'esito del dramma non può che essere tragico. L'uccisione dell'amante da parte di Delila non può non

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