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Aspetti del teatro di Enrico Pea fra tragedia e dramma borghese

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione...1

1 -Enrico Pea.

1.1 - La vita, le opere...6

2- Il teatro di Pea.

2.1 - La ricezione critica...15

2.2 - Teatro e Maggio: due realtà distinte...19

2.3 - Il teatro “borghese”....…...22

2.4 - Enrico Pea operatore di teatro...27

3 -Rosa di Sion: scritture e riscritture.

3.1 – Sion...32

3.2 - Rosa di Sion...34

3.3 - La cugina ebrea...54

4 -Prime piogge d'ottobre: continuità e varianti rispetto a Rosa di

Sion

4.1 - Due drammi a confronto...65

4.2 - L'intreccio e i temi...69

4.3 - Personaggi e didascalie del dramma...76

4.3 - La “fortuna” dell'opera...91

Appendice iconografica...96

Conclusioni...102

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INTRODUZIONE

L'attività di autore teatrale di Enrico Pea è strettamente collegata alle sue esperienze di vita e, in particolar modo, al soggiorno in Egitto. Ad Alessandria d'Egitto Pea giunge poco più che diciottenne e qui compie la sua maturazione culturale e politica, scoprendo un mondo ben più complesso di quello della sua amata Versilia. Se la terra d'origine dell'autore era stata per lui la fonte primaria di una cultura non alfabetizzata, fatta di tradizioni orali, ad Alessandria egli si avvicina per la prima volta alla lettura1. Il testo che permette a Pea di emanciparsi dalla sua sola cultura

popolare è la Bibbia, nella versione tradotta dal lucchese Diodati:

“Era stata la Bibbia che m'aveva in parte avviato al gusto delle lettere. La nostalgia mi si placava, leggendo i fatti dell'Antico Testamento seppure in quella forma antiquata e prolissa ma tuttavia ricca e precisa, fiorita nei modi d'uso dl mio paese. Mi pareva di sentire narrare delle 'fole' da un contadino di Lucca...”2

Profondamente affascinato e al contempo quasi atterrito dai fatti narrati nell'Antico Testamento, Pea ritrova in questo testo secolare qualcosa delle proprie origini, le 'fole' della propria terra. In questo modo, avvicinando il mondo biblico al proprio mondo, fatto di feste paesane e 'maggi' cantati nelle piazze, Pea matura intimamente un'idea della religiosità che caratterizzerà le sue oper future e in particolar modo alcuni testi teatrali. Nasce così in lui, in terra straniera, l'idea di un dramma, Giuda, che comporrà nel 1918, una volta rientrato definitivamente in Italia. L'interesse per il mondo e la cultura ebraica testimoniato in quest'opera non era destinato ad esaurirsi con il compimento di questa prima tragedia, dal momento che le due opere teatrali successive, Sion (poi rielaborata ed intitolata Rosa di Sion) e Prime piogge d'ottobre, si svolgono nel medesimo ambiente e ampliano contenutisticamente alcuni dei nuclei tematici già presenti in Giuda.

Del resto non va dimenticato che per Gobetti Giuda, Rosa di Sion e Prime

piogge d'ottobre fanno parte di una trilogia d'ambiente ebraico in cui:

1 “Ho cominciato a leggere quando ero già operaio, in officine private, al porto e alle ferrovie dello Stato in Egitto”, E. Pea, Come leggo, in <<Rassegna Lucchese>>, n. 15, 1955.

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“[...si agita] il contrasto di un popolo chiuso al linguaggio dell'amore e della carità, torbidamente represso sotto un destino di austerità e di disperazione e di solitudine inacidita...”3

Una volta appurato l'interesse di Pea nei confronti di una cultura diversa, quale quella ebraica, sviluppato mediante la lettura della Bibbia e a contatto con un ambiente cosmopolita e pittoresco come quello di Alessandria d'Egitto, non si riesce comunque ad inquadrare totalmente l'opera dell'autore. Non esiste una tradizione letteraria capace di ospitare questo scrittore autodidatta, influenzato da differenti culture, profondamente attratto dalle tradizioni, ma anche spaventato dalla loro monotonia, lettore della Bibbia, ma soprattutto libero pensatore.

Pea non riesce, e forse è proprio questo il suo grande merito, a svincolarsi da ciò che più profondamente lo colpisce: la diversità. Ognuno è diverso, ognuno è unico, eppure siamo tutti contenuti sulla stessa terra, mescolati e costretti a convivere. Questo “miracolo dell'esistenza” affascina Pea, a tal punto da rendere protagonista dei suoi drammi il difficile affermarsi della dignità dell'uomo, contro l'ineffabilità del destino e la malvagità di chi è diverso, ma lo vorrebbe uguale a sé. Questa stessa mescolanza di tipi e generi differenti sembra attrarre a sé anche lo stile stesso di Pea, il quale combina all'interno delle sue opere tipologie narrative differenti che vanno dalla sacra rappresentazione alla tragedia, dal dramma borghese alla lirica. Non va dimenticato del resto che intento primario di Pea era l'idea di

un'opera di poesia per il teatro4.

Con il Giuda Pea inizia la propria attività teatrale, dedicandosi ad una tragedia di argomento biblico. Lo svolgimento del dramma è però tutt'altro che convenzionale, dal momento che la figura di Giuda subisce un drastico ripensamento da parte dell'autore che riesce a trasformare il celebre antagonista di Gesù in un personaggio di grande statura morale, definito attraverso le passioni contrastanti che agitano il suo animo. Se il dramma appare decisamente “sovversivo” dal punto di vista tematico, così non è per lo stile narrativo che lo caratterizza. Il Giuda contiene elementi propri della drammaturgia e della tragedia classica: le scene sono essenziali, le battute gravi e costellate da espressioni immaginose, metaforiche e talvolta

3 P. Gobetti, Il teatro di Enrico Pea, in: Rosa di Sion, Torino, Gobetti Editore, 1923, p. 40. 4 E. Pea, Vita in Egitto, Milano, Mondadori, 1949, p. 19.

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violente, la tragedia finale con la morte di Giuda è raccontata, ma non agita5

e lo stesso Giuda possiede la volontà eroica, tipica dei personaggi classici, della lotta contro il destino. Il Giuda, dal punto di vista formale, coincide con l'originale idea peiana di un teatro di poesia, in quanto la tradizione naturalistica francese è totalmente abbandonata per dare libero spazio alle suggestioni intimistiche dell'autore, che si riflettono poi nel protagonista stesso. Nonostante il successivo ripudio della tragedia, avvenuto nel 1919, Pea non smetterà mai di rapportarsi al suo primo dramma. E non è un caso se proprio i due lavori teatrali successivi riproporranno nuovamente storie d'ambiente ebraico, seppure si assista ad un percorso, dalla storia passata (Israele della conquista romana) alla contemporaneità (Israele della diaspora) :

“[...Israele della diaspora,] degli uomini senza patria, ancorati ad una tradizione culturale religiosa che portano con sé come realtà caratterizzante all'interno di altre, e diverse, società.” 6

Pea con i due drammi Rosa di Sion e Prime piogge d'ottobre concentra la propria attenzione sul problematico contrasto religioso tra ebraismo e cristianesimo. Questa volta però la chiave di lettura dei due testi non appare essere la tragedia, quanto piuttosto il dramma borghese, in quanto l'intento primario di Pea è calare la drammaticità del conflitto etico e culturale all'interno della quotidianità delle due famiglie protagoniste. In Rosa di

Sion, nonostante la forte intensità di alcuni momenti lirici7, il contrasto

religioso determina l'andamento degli eventi che volge inevitabilmente alla tragedia, ma tragedia che rimane essenzialmente domestica. Le dinamiche che portano la famiglia di Elia a disgregarsi sono e rimangono tutte interne: sono gli stessi personaggi a mettersi in crisi, ciascuno preso dalla propria passione personale. Il contrasto religioso non è che il pretesto per mostrare i conflitti soggiacenti all'interno famiglia, famiglia già profondamente disgregata da problematiche di ordine domestico e quotidiano, prima che religioso. Al dramma familiare si affianca anche il dramma sociale: il finale mette infatti in scena la rivolta degli operai, stanchi dei soprusi operati da

5 Per un'analisi in dettaglio si veda: A. Guidotti, Il Giuda di Enrico Pea: storia di una

tragedia, di un personaggio e di una lunga riflessione, Lucca, Pacini Fazzi, 2010.

6 A. Arslan- P. Zambon, Enrico Pea, Firenze, La Nuova Italia, 1983, p. 37.

7 Per momenti lirici intendo: quando Elia e Rosa recitano salmi della Bibbia, quando Elia confessa i propri sentimenti.

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coloro che si ritengono padroni di tutto, persino della loro stessa vita8. In

Rosa di Sion la drammaticità degli eventi non deriva da un destino avverso,

com'è proprio delle tragedie classiche, ma dagli uomini stessi.

Con Prime piogge d'ottobre Pea mette nuovamente in scena quello che lui vorrebbe si rivelasse ancora di più un dramma borghese, ma che ha in realtà incongruenze patenti con il genere prefissato. Qui il conflitto religioso non regge la portata tragica degli eventi e l'ambientazione borghese non è sufficiente a farne un dramma quotidiano. In Prime piogge d'ottobre i personaggi si trasformano in tipi e ciascuno rappresenta una categoria ben definita. Il conflitto in questo caso non è tra ebraismo e cristianesimo, come la trama farebbe pensare, ma a fronteggiarsi sulla scena sono piuttosto Bene e Male. Le stesse scelte tipografiche dell'autore rendono chiaro il legame del testo con la dimensione tragica. Non solo, c'è in questo dramma anche un certo richiamo alle sacre rappresentazioni, frutto di un'attenzione precisa da parte dell'autore a questo tipo di narrazione. In Prime piogge d'ottobre la quotidianità è subissata dai suoi stessi personaggi che altro non sono se non allegorie di sentimenti umani, rappresentati all'interno di una visione di

sogno che ha ben poco a che vedere con il dramma borghese.

Per quanto riguarda la tipizzazione dei personaggi operata da Pea in Prime

piogge d'ottobre è necessario notare che ciascun personaggio è dotato di un

nome “parlante” che richiama immediatamente le figure bibliche corrispondenti a cui Pea voleva ispirarsi. Tutto ciò concorre all'ipotesi che l'autore abbia scelto degli episodi biblici per farne degli exempla dal significato emblematico, quasi a significare quanto lo scorrere del tempo poco influisca sui sentimenti umani. Quello chi si evince dal Vecchio Testamento e, di riflesso, nelle opere di Pea è una visione spietata e violenta del mondo, in cui i rapporti umani sono sempre difficili perchè fruibili soltanto mediante una lotta, sia essa contro il destino o i propri simili. L'eperienza egiziana aveva mostrato a Pea vari aspetti della religione ebraica, religione dura eppure totalmente appassionante, tanto interessante da riuscire ad aprire un varco nell'animo di Pea in quanto l'ebraismo gli appare come una forma di asservimento incondizionato ad una fede, quella

8 Pea non era dunque estraneo alle dinamiche sociali che interessavano Pietrasanta in quegli anni nei quali gli operai stavano lottando per ottenere i propri diritti. Proprio a questo proposito pare che Salvatori, amico di Pea, avesse sconsigliato l'autore riguardo all'affrontare una tale tematica, ritenuta pericolosa a livello sociale.

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fede che per lui, ormai disilluso dalle proprie esperienze di vita, non è che fede nelle proprie capacità e nell'attività che più gli è congeniale: la scrittura.

Nonostante Pea subisca profondamente il fascino di questa religione, ne fa emergere, più o meno consapevolmente, una visione estremamente negativa. Il mondo ebraico pare chiuso in uno sterile formalismo, incapace di novità e di alcuna flessibilità, pienamente pago della propria staticità. A questo mondo fa riscontro la religione cristiana, forte della propria moralità e probabilmente corredata da episodi felici dell'infanzia dell'autore. Eppure la risultante di questa lotta tra fedi diverse non è una lotta tra religione migliore e religione peggiore. Ognuna ha le proprie peculiarietà, ma ciò che viene continuamente riproposta è l'attenzione all'elemento: tradizione. Pea per tutto l'arco della propria vita lotta tra il desiderio di appartenere ad una tradizione che lo faccia sentire parte di una comunità e l'insofferenza per qualsiasi sistema che tenti di racchiudere in sé l'uomo, negandogli il libero arbitrio.

Eternamente combattuto tra “anarchia ed integrazione”9 Pea mette in lotta

propri personaggi, ciascuno rappresentante di una parte di sé, sempre a contatto con le altre, eppure sempre in contraddizione.

9 Felice espressione di Simonetta Salvestroni adoperata in: Enrico Pea: fra anarchia e

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PRIMO CAPITOLO

Enrico Pea.

1.1 La vita, le opere.

Enrico Pea nasce a Seravezza il 29 ottobre del 1881, da Mattia Pea e da Giuseppa Gasparetti, nell'abitazione di via La Fucina, numero 18. Il padre lavorava come meccanico idraulico nelle segherie di marmo presso la Società Henraux, mentre la madre discendeva da una famiglia un tempo agiata, poi decaduta. Pare anche che Giuseppa componesse poesie, ma non ne rimane traccia. La vita di Enrico Pea fu influenzata tanto dalla figura del nonno paterno, Mattia, di origine corsa, costretto a fuggire dall'isola minacciato dalla taglia del governatore dell'isola per ragioni a noi ignote, quanto da quella del nonno materno, Luigi. Se il primo influì andando a creare una sorta di mito personale nella vita dell'autore, aumentandone il desiderio di una vita libera e girovaga, il secondo sarà una figura centrale soprattutto per la produzione letteraria del nipote. Luigi, gelosissimo della moglie Cleofe, venne internato nell’Ospedale psichiatrico di Frigionaja (Maggiano di Lucca) nel 1864, dopo aver tentato di squarciarsi il ventre, dove rimase per diciassette anni, tanto che la figlia crebbe in orfanotrofio e successivamente, una volta dimesso, vi ebbe solo sporadici rapporti.

Degli avvenimenti dell’infanzia di Pea ci rimane ben poco, ma sappiamo che all’età di tre anni, durante un gioco, rimase ferito all’occhio sinistro, disagio che si porterà dietro per tutta la vita. Nel 1885, alla fine di settembre, la casa dell’autore viene travolta dalle acque del Serra. Nello stesso anno, il 12 novembre, il padre di Enrico muore per un incidente sul lavoro. Giuseppa, a causa della morte del marito, si vede costretta a lasciare i figli per andare a lavorare come domestica a Lucca.

Enrico, dopo aver lavorato come garzone nella casa dello zio Ermengildo, va a vivere con il nonno al Baraglino (presso Querceta) nel 1890, mentre i suoi fratelli Gino, il maggiore e Tito, il minore, furono accolti rispettivamente dallo zio Giuseppe Pea, direttore di piazzale per la Società Henraux e da una vicina. Tito muore tragicamente a causa di una crisi epilettica il 23 dicembre 1889, morte che verrà narrata dal fratello in Moscardino. Dopo due anni al

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Baraglino (località presso Querceta), Pea e il nonno si trasferiscono sul Monte di Ripa, dove vivono in una casa dotata anche di una vigna. La vita con il nonno però si rivela dura e Pea sente il richiamo della strada, tanto da unirsi a compagnie di comici girovaghi e venditori ambulanti.

Intorno alla fine del 1893 Enrico Pea, sfinito da una vita vagabonda, incontra il cugino Luigi Pilade Alfredo che, resosi conto della situazione, lo fa ricoverare all'Ospedale Campana di Seravezza. Qui, assistito dalle amorevoli cure di una suora, scopre per la prima volta l'affetto materno che gli era stato negato dalla tragicità degli eventi e decide per questo di rimanere a lavorare lì come inserviente, non sapendo come pagare la retta. Proprio all'Ospedale Campana Pea assiste alla morte del nonno per un attacco di cuore, il 7 agosto 1894.

Senza più sostegni né affetti, Enrico, che fino ad allora non aveva frequentato alcuna scuola, comincia a frequentare le lezioni di don Raffaele Galleni, un giovane prete di campagna. Intanto, per mantenersi, lavora presso un fabbro specializzato nella cerchiatura delle ruote, apprendendo i rudimenti da maniscalco. A causa dell’occhio ferito, Pea non viene ammesso al monastero dei frati di San Torpè, a Pisa dove rimane come lavorante per una famiglia di contadini e poi come commesso presso un rigattiere. Occasionalmente viene impiegato come comparsa in quegli spettacoli popolari che saranno poi fondamentali per la sua produzione letteraria. Riprende la sua vita errabonda e il 25 novembre 1895 s'imbarca come mozzo sul Ciucciariello del comandante Aristide Aliboni, un mercantile che trasportava marmi per il Tirreno dove pare che Pea organizzasse degli spettacoli, molto simili ai Maggi, attori i marinai. Nel 1896 Pea lavora come meccanico apprendista presso i Cantieri Orlando di Livorno, dove ha contatti con la comunità ebraica locale; contatti di cui sappiamo poco, ma che probabilmente furono importanti per il suo futuro interesse all’ambito della religione. Nello stesso anno s'imbarca con il fratello Gino su un piroscafo della compagnia Rubattino, per raggiungere Alessandria d'Egitto che, dall'apertura nel 1869 del Canale di Suez, era diventata una città cosmopolita, dal grande fervore commerciale e meta di numerosi emigranti. Qui i due fratelli ritroveranno anche la madre che vi era emigrata già da tempo.

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Ad Alessandria Enrico lavora dapprima come inserviente in una casa privata, quella che ne Il servitore del Diavolo viene individuata come la “casa del Diavolo”, da cui si allontanerà non sopportandone gli eccessi di ribellione e violenza. Ad Alessandria d’Egitto Enrico ha i suoi primi contatti con l’ambiente anarchico di coloro che frequentano l’”Università popolare” alla Baracca Rossa10. Proprio in questo luogo troverà l’occasione per il suo

secondo impiego, la fonderia di Sloder, padre dell’amico Edmondo, conosciuto proprio alla Baracca. Dopo la chiusura delle fonderie Pea lavora come meccanico in un’officina di riparazioni navali, ma un incidente sul lavoro lo convince a cambiare. E’ la volta delle Ferrovie dello Stato egiziano, dove si occupa di riparare le locomotive, ma un nuovo incidente, più grave del primo, lo convince del tutto a lasciar perdere il lavoro manuale.

Nel 1901 rientra in Italia per sottoporsi alla visita di leva e, una volta rientrato in Egitto, avvia il commercio di marmi. La sede dei suoi affari è proprio la Baracca Rossa, che era già deposito di marmi e vini di pessima qualità. Il 5 febbraio 1902 Pea sposa Ada Caciagli, figlia di un mosaicista fiorentino emigrato ad Alessandria, dalla quale ebbe tre figli: Valentina (1903), Pia (1904) e Marx (1906). In seguito rileva l’ebanisteria del suocero, collocandone la sede sempre alla Baracca Rossa.

Proprio alla Baracca Rossa Pea conosce Giuseppe Ungaretti diciassettenne11,

la cui famiglia di fornai era emigrata da Lucca ad Alessandria per lavorare nei cantieri del Canale di Suez. Tra i due nasce un'amicizia forte e profonda, fatta di reciproci incoraggiamenti, consigli e consultazioni letterarie. Sarà proprio Ungaretti a sollecitare Pea a scrivere per il "Messaggero Egiziano" e a stendere i suoi primi versi, correggendo addirittura le sue prime prove letterarie. Grazie a questa stimolante amicizia e all’ambiente della Baracca, inizia a definirsi quel Pea drammaturgo tanto attento alle passioni umane. A questo sentimento di apertura e curiosità nei confronti della religione, contribuì senz’altro, oltre alla sua cultura folcloristica e popolare, la lettura

10Una baracca costruita in legno e ferro, tinta di minio scarlatto, deposito di vini e di marmi, ma anche ebanisteria, luogo d'incontro di anarchici, idealisti, santoni locali. Ne Il servitore

del diavolo Pea definirà la Baracca come "il polo intorno a cui giravano, anche senza averne

coscienza, le forze bestiali di un'umanità ghiotta di beni afferrabili"

11L’incontro tra i due risale al 1909, anno in cui un collega di Ungaretti al “Messaggero Egiziano”, non che dedicatario della poesia che apre Il porto sepolto, Mohammed Sceab, lo invita alla Baracca Rossa e gli presenta Enrico Pea.

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della Bibbia, trovata al bazar arabo del venerdì e acquistata nel 1906, dopo aver assistito, spinto dalla sua innata curiosità verso il mondo, alle funzioni religiose in un tempio protestante mentre passeggiava per la città. Pea, inizialmente affascinato soprattutto dalla traduzione ricca di termini toscani e versiliesi, compiuta dal lucchese Giovanni Diodati, inizierà poi una lunga meditazione intorno alla figura di Giuda che lo accompagnerà per tutta la vita e lo porterà a scrivere l’omonimo dramma.

Nel 1910 esce una raccolta di brevi prose liriche, le Fole con i tipi delle Industrie Grafiche di Pescara, grazie anche ai contatti e all’interessamento di Ungaretti. Tra il 1910 e il 1912 Pea e Ungaretti conoscono i fratelli francesi Jean-Léon e Henri Thuile, uno narratore e l’altro poeta, impiegati come ingegneri al porto di Alessandria; del loro rapporto fatto di amicizia, letteratura e solidarietà Pea scriverà ne Vita in Egitto. Il 5 gennaio 1912 al teatro G. Rossini di Livorno va in scena Sion, prima stesura di quella che sarà poi la futura tragedia Rosa di Sion e sempre nel 1912 viene pubblicata la sua seconda raccolta poetica, Montignoso. Ungaretti lascia Alessandria d’Egitto proprio quell’anno per trasferirsi a Parigi e seguire corsi alla Sorbona e al Collège de France; nonostante le varie attività e conoscenze fatte nel nuovo ambiente, Ungaretti, non mancò mai di informarsi sull’attività di Pea e di promuoverlo12.

Dal 1908 Pea ritorna con una certa frequenza in Italia per viaggi di lavoro, concernenti il commercio dei marmi, dove assiste al rapido cambiamento della Versilia, cha andava trasformandosi sempre più grazie alla fiorente industria dei marmi che faceva abbandonare le campagne ai contadini per andare ad incrementare la classe operaia13.

Alla fine di marzo del 1914 Pea lascia definitivamente l’Egitto con la

12Ungaretti chiese a Pea due copie di Montignoso da poter dare a due critici illustri: Charles Peguy e Alfred Jeanroy. Nel 1913 Ungaretti scrisse a Pea dell’interesse di Prezzolini per la pubblicazione de Lo Spaventacchio nei “Quaderni della Voce”.

13“La Federazione Edilizia di Torino promuove la costituzione di Leghe Operaie di Miglioramento e di Resistenza in Versilia, che nel 1903 conteranno oltre 1.100 associati residenti nei comuni di Seravezza, Pietrasanta e Stazzema. E’ del 1901 il primo sciopero dei cavatori; negli anni successivi, lunghe lotte ed interminabili scioperi caratterizzeranno l’attività politica delle Leghe e del loro Comitato Regionale in Seravezza, di cui era segretario il socialista Pietro Marchi”. Citazione tratta da Costantino Paolicchi in “Vita e morte”, Il Ponte, Rivista mensile di politica e letteratura fondata da Piero Calamandrei, a. XXXIV, nn. 7-8, La Nuova Italia, Firenze, 31 luglio-31 agosto 1978. Numero speciale dedicato a Enrico Pea nel ventennale della morte, a cura di S. Guarnieri.

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famiglia, affidando la sua attività al fratello Gino, per stabilirsi a Viareggio, dove diventa direttore ed impresario di una compagnia di Maggi fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Sono questi gli anni della Repubblica d’Apua, fondata intorno al 1910 dal poeta ligure Ceccardo Roccataglia Ceccardi; legati al gruppo sono anche Lorenzo Viani, Giuseppe Ungaretti e Luigi Salvatori. Nel cenacolo vanno maturando non soltanto teorie letterarie, ma anche una piena coscienza della nuova classe operaia e dei propri diritti. Pea, che con l’adesione al gruppo aveva assunto il titolo di “Sacerdote degli Scongiuri” per il contenuto esoterico dei suoi primi lavori, non partecipò mai attivamente alle gesta dei suoi compagni, che riteneva troppo eclatanti, le cosiddette “Apuanate”. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, molti furono chiamati al fronte e il gruppo si sciolse. Pea non poté partire a causa del difetto all’occhio e dal 1917 si dedica quasi interamente al teatro, recuperando la tradizione dei Maggi toscani. In quell’anno organizza le rappresentazioni di alcuni Maggi nella pineta retrostante la “Versiliana”, villa che D’Annunzio aveva abitato nell’estate del 1901, quando era ancora legato a Eleonora Duse. La rappresentazione del Maggio Balilla nel “Bosco Apuano”14 ebbe un certo successo e così nel

1918 Pea realizza un vero e proprio teatro all’aperto. L’impresario Alessandro Romanelli e lo scultore napoletano Raffaello Uccello si associano a lui, allestendo un palcoscenico con un tempio, le gradinate e le pareti di marmo. La platea, capace di ospitare diecimila spettatori, viene costruita in legno e un’iscrizione riporta le parole <<Per il culto del genio>>. La prima opera qui rappresentata è Oreste di Alfieri, inscenata dalla compagnia di Daniele Grillotti. Il 18 agosto dello stesso anno, la compagnia di Ermete Zacconi, Vitaliani, Annibale Ninchi, Celli e Barelli, mette in scena il Giuda.

Le rappresentazioni del Giuda vengono portate nei teatri di Pisa, Livorno, Genova e Venezia e, mentre negli ambienti cattolici l’opera è totalmente condannata, la critica e il pubblico laico tendono ad apprezzarla ed esaltarla. Infine Pea ripudia l’opera e tutte le recite verranno sospese, per non essere più riprese. La Confessione di Pea, posta a prefazione a La Passione di

Cristo e a L’anello del parente folle, fa riferimento alla rappresentazione del

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Giuda nel Bosco Apuano, durante la quale l’autore aveva iniziato a meditare

sul senso di tale testo. Il Giuda portava alla luce quel disagio, quella voglia di ribellione soggiacente in Pea che aveva trovato libera espressione grazie al contatto con gli anarchici della Baracca Rossa. L’autore aveva allora cercato di trasformare un personaggio fissato invariabilmente in millenni di religione e tradizione, in un personaggio dalla dignità umana, capace di combattere per il proprio popolo, per la libertà.

Nel 1919, contemporaneamente al pubblico ripudio di Pea per il suo Giuda, si ha una frattura nella sua amicizia con Ungaretti, forse a causa del rapporto ambiguo che quest’ultimo intratteneva con l’ambiente fascista di Ciano e Mussolini. Gli anni Venti vedono un Enrico Pea pronto a ritornare alla fede cattolica, con la pubblicazione del 1923 della sacra rappresentazione La

passione di Cristo15 e nel 1932 con L’anello del parente folle. Alcuni critici

hanno parlato di una sorta di conversione di tipo manzoniano, guidata dal cardinale Pietro Maffi, della Arcidiocesi di Pisa. Al cardinale sono infatti inviati i drammi successivi al Giuda, che lo stesso autore ammette di aver scritto per riparare alla sua prima, dissacrante, opera.

Nel 1921 Pea inizia ad occuparsi della gestione del Politeama di Viareggio, chiamato dai viareggini “cavallo di Troia” per la sua struttura in legno, leggermente bombata ai lati, in modo da ricordare la pancia dell’animale. Nel 1922 viene pubblicato Moscardino, il primo dei quattro romanzi che saranno riuniti dall’autore nel 1944 in un unico ciclo intitolato: Il romanzo

di Moscardino. Di questo ciclo fanno parte: Il volto santo (1924), Il servitore del diavolo (1929) e Magoometto (1942). L’elemento unificante di

questi testi è un autobiografismo di fondo, su cui si snodano le vicende dell’autore-protagonista nei due luoghi fondamentali della sua vita: la Versilia da una parte e l’Egitto all’altra.

Nel 1929 Pea acquista per pochi soldi il Politeama e associa un certo Rosano, figlio del ministro Rosano, originario di Napoli. Questa non fu una gestione sempre fortunata, ma comunque ebbe talvolta l’onore di accogliere sul proprio palco importanti compagnie, come quella di Pirandello. Nel secondo dopoguerra Pea farà intitolare numerose vie che dal viale a mare portano agli stabilimenti balneari di Viareggio, ai capi delle compagnie che

15La Passione di Cristo fu rappresentata in Piazza dei Miracoli a Pisa il 21 settembre 1924, con l’accompagnamento musicale dell’orchestra della Primaziale

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avevano recitato al Politeama. Contemporaneamente a questa attività, Pea non trascura i Maggi e nella domenica di Pentecoste del 1922 mette in scena il Maggio di Antioco, impersonato dal famoso capo-maggio Modesto Neri. Un certo successo riscosse anche il maggio La clemenza di Tito.

Il teatro all’aperto di Pea non era visto di buon occhio da alcuni amici che anni prima avevano fatto parte, insieme a lui, della “Repubblica d’Apua” e in particolare da Salvatori e da Viani. Salvatori dalla rivista “Versilia” del 10 agosto 1922 descrive il Teatro all’aperto del Bosco Apuano come un “casino

di campagna”, mentre Viani nel suo P.B. Shelley, pubblicato a Viareggio nel

1922, fa riferimento all’allestimento del teatro all’aperto, il quale secondo lui, deturpa l’ambiente naturale. La rottura con Salvatori era dovuta probabilmente alla diversa scelta ideologica, sappiamo infatti che Salvatori aveva acquisito sempre più coscienza negli anni, del suo ruolo a fianco del proletariato, mentre Pea aveva iniziato ad abbandonare quegli atteggiamenti esteriori di ateo ed anarchico. Con Viani la frattura fu meno definitiva, nonostante il disaccordo tra i due riguardo lo scenario del teatro all’aperto16

e alcune questioni di soldi (pare che Pea avesse prestato a Viani una somma mai restituita), i due furono sempre legati da un sentimento di affetto sincero.

Sul finire degli anni Venti, Pea è vittima di provocazioni mosse contro di lui da alcuni rappresentanti del regime, tra cui Carlo Scorza, il quale tentò addirittura di togliergli la gestione del Politeama, minacciando di dare alle fiamme il teatro. Fu in questo periodo che Pea assunse un atteggiamento di profonda avversione al fascismo.

Sul finire del 1931 vengono pubblicati a puntate su “Pegaso” La figlioccia e Il Servitore del Diavolo17, romanzo, quest’ultimo, che arriverà al secondo

posto alla seconda edizione del premio Viareggio per la narrativa nel 1932. Il Premio nacque a Viareggio nel 1929 su iniziativa di Leonida Repaci, Alberto Colantuoni e Carlo Salsa, ma venne assegnato per la prima volta nel 1930 e vide al secondo posto Viani. Nel 1932 il Premio è però ormai manovrato dai fascisti e il primo premio viene assegnato ad Antonio

16Viani attaccava il gusto borghese che stravolgeva la fisionomia urbanistica di Viareggio e sosteneva che gli scenari del teatro all’aperto fossero grossolani e grotteschi. A tale riguardo si rimanda alla descrizione fatta all’inizio di pagina 5.

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Foschini, simpatizzante verso il regime mentre Pea, al secondo posto, intasca le quattromila lire che gli spettano e se ne va denunciando lo scandalo. Pea tenta di nuovo nel 1938 con La Maremmana, ma è nuovamente battuto, stavolta da Oceano di Vittorio G. Rossi.

Nel 1933 esce a puntate sulla rivista “Scenario” Il maggio in Versilia, in

Lucchesia e in Lunigiana come l’ha visto Enrico Pea, poi nel 1935 esce La figlioccia, nel 1937 Il forestiero18 e nel 1938 La maremmana. Nel 1931 Pea

diventa nonno di Massimo, figlio di Pia, che nel ’34 darà alla luce anche Giovanni. Pea, nonno anche di Enrico e Paola (figli di Valentina) e di Alberto (figlio di Marx), è fortemente legato alla famiglia e ai nipoti.

Nel 1940 la casa editrice Morcelliana pubblica L’anello del parente folle, dramma che era stato rappresentato a Parigi, nell’Epifania del 1939, dai ragazzi delle scuole italiane all’estero. Mentre Vallecchi pubblica la raccolta di racconti Il trenino dei sassi, nel 1941 Sansoni dà alle stampe Solaio;

L’acquapazza è edita da Le Monnier e vince il Premio Angiolo Silvio

Novaro. Nel 1942 Magoometto è pubblicato da Garzanti e nel 1943 Falqui raccoglie un’antologia di liriche che sarà pubblicata da Vallecchi con il titolo

Arie bifolchine.

Nel 1941, nel periodo tra giugno e settembre, Ezra Pound19 traduce

Moscardino e rilascia un’intervista, trasmessa poi da Radio Roma, in cui

parla entusiasticamente di Pea lirico. Già apparso in “Nuova Antologia” del 1940, il romanzo Solaio viene nuovamente pubblicato nel 1941 presso Sansoni.

Nel 1943 Enrico Pea, dopo aver vinto il primo premio al concorso del “Giornale d’Italia” con Rosalia, è costretto a sfollare a Lucca in ottobre, lasciando in Versilia alcuni taccuini contenenti la prima stesura di Vita in

Egitto. Taccuini che verranno trafugati da una cassa dai tedeschi a seguito

del bombardamento che aveva distrutto il Politeama. A seguito di questo attacco Pea è costretto a vendere il Politeama a un tale Bertuccelli di Viareggio, di cui non abbiamo altre notizie. Anche da Lucca Pea, accusato di

18Stampato dall’editore Vallecchi, era già stato pubblicato nel ’32 a puntate da “La Nuova Antologia”, rivista diretta da Antonio Baldini che di Pea pubblica a puntate anche La

Maremmana e nel ’40 il romanzo Solaio

19Pe a e Pound si incontrarono a Viareggio il 12 settembre 1941 e ad agosto e settembre del 1942. Nel 1955 la traduzione sarà pubblicata in America nell’annuario New Directions, curato dall’editore James Laughlin.

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antifascismo, è costretto a fuggire. Si recherà a Lammari e a Massa Cinaia. Di queste vicende da fuggitivo tratta il racconto Storia della fuga, pubblicato in “La Fiera Letteraria” nel 1953 e dedicato alla nipote Anna, chiamata affettuosamente “La Cincia”, figlia di Pia, nata nel 1944. Alla fine di quest’ultimo anno Pea torna a Lucca, dove si stabilisce in casa della figlia Pia e ritrova le sue vecchie abitudini, le passeggiate intorno alle mura, gli spostamenti da un caffè all’altro, per finire al Caffè Caselli dove passa ogni pomeriggio, annotando impressioni e sensazioni su piccoli pezzi di carta. Ogni estate però ritorna alla sua Versilia dove diventa un assiduo prima del Caffè Fissi, poi, quando la curiosità per lui e i suoi compagni letterati porta una certa fama al locale che finisce per riempirsi di gente esibizionista, al Caffè Roma di Forte dei Marmi. Qui, sotto l’ombra del “quarto platano” si incontrano Ungaretti, Montale, Pavese, Carrà, Bo, Treccani, Gatto, Papini, Sacchetti, De Robertis, Moravia, Angioletti20. Spesso Pea, mentre attende gli

amici al Caffè si porta dietro le cartelle manoscritte o le bozze del suo ultimo romanzo e, coadiuvato dalla segretaria, l’insegnante Luisa Zucchetti di Forte dei Marmi, li corregge.

Nelle opere successive alla Seconda Guerra Mondiale, Lisetta (1946) e

Malaria di guerra (1947), è forte l’eco della recente tragedia bellica. Dal 31

maggio 1948, per accrescere i propri guadagni, Pea inizia a collaborare con il Corriere d’Informazione, con cui lavorerà fino al 1956, pubblicando elzeviri, novelle e articoli. Nel 1949 vince, grazie all’opera autobiografica

Vita in Egitto (edita da Mondadori), il Premio Saint-Vincent, mentre dal

1951 collabora in vario modo a trasmissioni Rai e scrive articoli per la rubrica radiofonica Arti e mestieri. Acconsente anche ad adattare radiofonicamente alcuni suoi lavori, è il caso de La figlioccia, ristampato da Sansoni in volume insieme a Rosalia, Stella Bissi e un discreto numero di racconti più brevi; la raccolta prenderà il nome La figlioccia e le altre donne, sottolineando la linea conduttrice di tali racconti incentrati su personaggi femminili.

La passione per i Maggi però non si è ancora esaurita e coinvolge anche alcuni amici del Quarto Platano. A Pietrasanta, Pea settantenne, cura la

20Angioletti, dopo la morte di Pea dirà: “pareva che sotto il quarto platano si riunisse intorno a Pea tutta l’Italia artistica e letteraria tanto che era possibile guardare al Roma come ad una piccola colonia di sopravvissuti” alla guerra.

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realizzazione della Passione del Signore, adattamento del suo dramma, La

passione di Cristo, con l’aiuto di Odelio Tognocchi, un marmista di Forte

dei Marmi in contatto con i capi-maggio delle ultime compagnie rimaste, quelle di Antona di Massa e di Casoli di Camaiore. La passione di Cristo, cantata dai maggiarini dell’Antona, viene registrata dalla Rai di Firenze (regista: Amerigo Gomez). Nel 1953 affida ai maggiarini di Casoli la messa in scena del Maggio Gerusalemme liberata, riscritta interamente da lui e rappresentata a Pietrasanta e a S. Carlo Po di Massa, dove il Maggio viene interamente ripreso nel corso di una trasmissione televisiva. Lo stesso anno accetta anche la parte di protagonista nel film di Giovanni Paolucci,

Orizzonti di sole, che vincerà i Festival dei Ragazzi a Venezia. Quest’ultima

esperienza ebbe degli effetti sulla sua salute, già cagionevole: l’alimentazione inadeguata, un peggioramento all’occhio a causa della intensa luce dei riflettori e soprattutto una caduta accidentale nelle fredde acque invernali, finirono per complicazioni polmonari.

Nel 1954 Pea abita per piccoli, ma frequenti periodi nella villa di Lerici dell’amico ed editore sarzanese Marco Carpena. Con Petronilli, Angioletti, Leone Piccioni, Renato Righetti e Carpena, Pea fonda il “Premio Alpi Apuane”, che sarà poi chiamato “Premio Lerici” e dopo la morte dell’autore “Lerici-Pea”.

Nel 1956 esce il romanzo Peccati in piazza, che vincerà il “Premio Napoli”. Gli ultimi anni di vita sono difficili: costretto ad allontanarsi dalla famiglia e dagli amati nipoti a causa dell’aggravarsi della tisi, diserta il Quarto Platano e frequenta il bar Riviera di Vittoria Apuana, vicino alla sua abitazione a Forte dei Marmi.

Nel 1958, il 30 aprile, muore la moglie Aida Caciagli; Pea la seguirà poco dopo. Muore l’11 agosto 1958.

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SECONDO CAPITOLO

Il teatro di Pea

2.1La ricezione critica

Per avere una panoramica completa delle opere teatrali di Enrico Pea è necessario stilare un elenco completo delle edizioni stampate in volume o su periodici:

Ircano, tragedia andata perduta, di cui Ernesto Travi ci dà notizia,

menzionando una lettera inviatagli a proposito da Ungaretti. Probabilmente la tragedia sarà poi pubblicata con il titolo Giuda.

Sion, tragedia in tre atti, rappresentata per la prima volta al Teatro G. Rossini

di Livorno il 5 gennaio 1912, il cui testo è andato in parte perduto.

Giuda, tragedia pubblicata nel 1918, Napoli, Libreria della Diana.

Prime piogge d'ottobre, tragedia pubblicata nel 1919, Napoli, Libreria della

Diana.

Prime piogge d'ottobre, in <<Comoedia>>, Milano, 1° ottobre 1923. Rosa di Sion, racconto tragico, Napoli, Liberia della Diana, 1920. Rosa di Sion, Piero Gobetti Editore, Torino, 1923

Parole di scimmie e di poeti, commedia in due atti e due prologhi, in: <<Il

Convegno>>, n.9, settembre 1922.

La passione di Cristo, sacra rappresentazione, Viareggio, Guido Pezzini

Editore, 1923.

La passione di Cristo- L'anello del parente folle, Brescia, Morcelliana, 1940. L'anello del parente folle, in <<Illustrazione italiana>>, n.52 del Natale

1932.

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Oscure>>, Quaderno VII, Mondadori, Roma, 1951.

Makarà, operetta in tre atti, libretto di Enrico Pea, musica di I. Sadun, a cura

di Enrico Lorenzetti, in <<Inventario. Rivista di critica e letteratura>>, n. 9, III quaderno, 1983.

La cugina ebrea, rifacimento di Rosa di Sion, ad oggi inedito.

Come emerge da questo breve elenco, le opere teatrali di Pea sono state quasi tutte edite soltanto una volta, per poi cadere nel dimenticatoio. Fatta eccezione per la trilogia di Moscardino e Vita in Egitto, i testi del serravezzino risultano difficilmente reperibili a causa di queste limitatissime edizioni. Di tale problema erano già a conoscenza i critici letterari Piero Gobetti e Giorgio Zampa, i quali scrivevano rispettivamente a Pea:

"[...] Faremo il teatro completo? [...] Dimmi quando conti che si possa preparare il tuo teatro completo21."

"[...] Dietro mio suggerimento, e in seguito a quanto anni fa dicemmo (ed eravamo rimasti, mi pare, d'accordo), la casa22 sarebbe felicissima

di poter presentare un volume con Tutto il teatro di Pea, riprendendo quanto apparve da Gobetti, sulla Diana, sul Convegno,- e gli inediti. Il volume lo curerei io [...]. Io sarei poi, per quanto mi riguarda, felicissimo di poter curare un volume che ritengo molto importante; questo lato della sua attività, voglio dire ai suoi lavori drammatici, non si è mai guardato con la considerazione che meritano, e questo forse anche a motivo della rarità o meglio della intovabilità dei lavori in questione23."

Da queste lettere appare evidente la difficoltà di reperire il materiale teatrale dell'autore quand'esso era ancora in vita. Non è chiaro perché questi progetti non siano andati in porto, ma è probabile che anche successivamente i parenti stessi di Pea abbiano ostacolato, a causa di disaccordi familiari, tali

21 Lettera scritta da Piero Gobetti a Enrico Pea, non datata e contenuta in: Caro Pea:

lettere e cartoline di corrispondenti ad Enrico Pea, 1909-1958, introduzione e cura di

M. Marsili, con premessa di G. Bellora, Lucca, Pacini Fazzi, 2004.

22 Probabilmente la “casa” a cui si riferisce Giorgio Zampa è il periodico quindicinale “Il

Mondo” (Firenze, 1945- 1947) diretto da A. Bonsanti, A. Loria, E. Montale, S.

Scaravelli con il quale Zampa collaborava l'anno in cui è scrisse la lettera a Pea: il 1946. 23 Lettera del 7 gennaio 1946 di Giorgio Zampa a Enrico Pea, estratta da: Caro Pea: lettere

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intenzioni.

Eppure, le prime rappresentazioni di Pea dovettero suscitare un vario e discreto interesse. Un’attenzione che è dimostrata dagli articoli pubblicati su vari giornali e riviste, non soltanto locali. Sfortunatamente anche in questo caso, trattandosi di riviste o giornali a pubblicazione giornaliera o semestrale, non è facile reperire tali articoli. In questa sede riporto i giudizi di Tonelli su Prime piogge, uscito su Il Marzocco, Firenze, l'otto aprile 1923 e di Baretti (pseudonimo di Piero Gobetti) su Rosa di Sion rappresentato al teatro Carignano il 5 settembre 1922, pubblicato due giorni dopo ne

L'Ordine Nuovo. Interessante è vedere come i due drammi siano stati

recepiti diversamente, oltre che dai due critici, anche dal pubblico. Tonelli scrive infatti:

"[...] Vediamo dunque in che consista l'originalità più esterna o formale, che intima o essenziale, dell'opera scenica che ha sollevato nel compassato pubblico del <<Niccolini>> così fragoroso consenso di plauso a cui si oppose alla fine non meno violenta reazione di proteste."

Questo articolo testimonia la varietà di opinioni suscitate dalla rappresentazione del dramma: da una parte un largo consenso, dall'altra le proteste. Il perchè di queste divergenti opinioni ce lo fornisce forse proprio Gobetti che, a proposito di Rosa di Sion, ci dice:

"[...] Le anime sempliciotte che chiedono di vedere subito chiaro come per incanto, non si troveranno certo in Rosa di Sion nel loro candido mondo. Le vette meno consuete e cotidiane son per ciò stesso più aspre e rupestri e talvolta inaccessibili. Al sacrificio dilettoso e forte chiedete luce e comprensione. In Rosa di Sion molti sono i grovigli e i sentieri scoscesi: se vi ci perdete con fiducia e collaborate con lo autore al ritrovamento e alla conclusione non avrete giocato il vostro tempo; e se il poeta non vi può dare la gioia di tutto il suo canto vi offre da galantuomo la sua sperienza che non mente."

Baretti-Gobetti individua dunque una difficoltà da parte del pubblico di capire a fondo le intenzioni ed il messaggio intrinseco all'opera di Pea. Caratteristica questa, ascrivibile non soltanto a Rosa di Sion in particolare, ma anche a quasi tutti gli altri drammi. Baretti giustifica quindi "le

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all'opera:

"[...] una confidenza più precisa e sconvolgente di quella che l'autore stesso non abbia preparato con la dignità del suo linguaggio e la solitudine della sua figurazione".

Le due recensioni risultano fortemente contrastanti e, pur prendendo atto che esse si riferiscono a due diverse rappresentazioni di due diversi drammi, credo che sia comunque valida l'opinione che, mentre Tonelli si è limitato ad un'analisi superficiale dell'opera, Gobetti sia andato cercando il senso stesso del dramma e, se gli è capitato di non trovarlo, ha comunque cercato di non pregiudicare l'opera a causa del suo personale limite interpretativo.

2.2 Teatro e Maggio: due realtà distinte

La passione per il teatro di Enrico Pea va senza dubbio connessa al ritrovamento di <<un pezzo di libro che doveva appartenere ad un intero trattato sul teatro>>, acquistato al Bazar arabo del venerdì, come lui stesso ammette in Bancarelle: <<Quel capitolo è stato l'inizio della passione che ho per il teatro>>24. Molti critici, se non tutti, ricollegano l'interesse di Pea per

il dramma alla rappresentazione dei Maggi a cui il giovane autore assistette nelle campagne della sua terra. A ben guardare, l'influenza maggiore sui drammi di Pea, sembra averla avuta la Bibbia, piuttosto che la tradizione popolare versiliese. Quasi tutte le opere teatrali di Pea si concentrano su temi religiosi: dal Giuda a L'anello del parente folle, il filo conduttore rimane la religiosità ed il conflitto interiore ed esteriore che ne consegue. Del resto è lo stesso Pea a dirci che la Bibbia è "il libro che mi ha invogliato alle lettere, rivelato l'universo e aperto la ragione"25.

Il teatro di Enrico Pea deve essere analizzato nella sua originalità, nell'impegno del suo autore autodidatta e negli esiti sorprendenti che ha prodotto. Più volte i drammi e le loro rappresentazioni sono state accostate al teatro dannunziano, non soltanto per il progetto di un teatro all'aperto comune ai due autori, ma anche per certe soluzioni stilistiche, di atmosfera,

24 E. Pea, Bancarelle e muriccioli, in L'acquapazza, F. Le Monnier, Firenze, 1969. 25 E. Pea, Il libro rivelatore, in L'acquapazza, Firenze, Le Monnier, 1969, pp. 37-45.

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di ripresa di elementi popolari e di suggestioni arcaiche. Si è anche detto che Pea colma i vuoti lasciati dall'estetismo dannunziano, con la morale26, ma

vedremo successivamente, analizzando le opere, come e quanto ci sia di vero in tutto ciò. Di fatto, pare che i critici non siano mai riusciti a far rientrare Pea in una categoria ben definita, lasciando che risultasse una voce fuori dal coro e fosse, per questo, dimenticato. Ecco forse perché le sue opere teatrali, così originali, spesso chiuse in un ermetismo intrinseco, hanno finito per essere accostate alle rappresentazioni maggesche: per essere meglio ricondotte a un genere in particolare che avesse già alle spalle una lunga tradizione in cui inserirsi.

Quello che Pea intendeva fare, in realtà, era un teatro di poesia, come testimoniano queste parole estratte da Vita in Egitto, riferite all'opinione dell'amico Ungaretti a proposito del teatro:

"A Ungaretti doveva dar noia proprio il teatro come tale: dialogo e cozzo di passioni. Un'arte che si complica in armonia con altre parti: poesia schiava e impura. Quel dovere affidare le parole per farle vivere a persone che le rendono approssimative sempre: le ricantano con la voce e con l'inflessione che nemmeno come suono non sono più quelle che vorresti fossero. E le accompagnano con gesti resi abituali, generici, anche questi dal mestieraccio istrione. Non è possibile un'arte tutta poesia, in un'opera da darsi al teatro come spettacolo e a Ungaretti, che allora stava accoccando le delicate corde sul suo strumento d'oro, dovette fare terrore l'idea di un'opera di poesia per il teatro.27"

Pea non parla, dunque, di un teatro come esito di tradizioni popolari, ma di poesia. Un teatro che si opponesse alla tradizione naturalistica francese, per lasciarsi andare a suggestioni intimistiche, guidate dai ritmi poetici.

Certo che le due forme, il dramma e il Maggio, hanno aspetti comuni: entrambe sono recitate, ma se nel primo caso c'è un copione e gli attori -perché qui di attori si tratta- vi si attengono scrupolosamente, nel Maggio la scena rappresentata è frutto di fantasia, di collaborazione da parte dei

26 G. Tuccini, Homo viator- per non dimenticare Enrico Pea drammaturgo (nel

cinquantennio della morte), in “Campi immaginabili”, n. 36-37, fascicoli I-II, 2007,

pp.223-256: “D'Annunzio aristocratizzava ciò che Pea s'impegnava a rappresentare in

modo istintivo e senza artificiosità...nell'opera del primo [Pea] l'etica decadente è soppiantata dalla morale, a rincalzo di un'irrefrenabile smania di libertà quale movente intimo alla base dell'azione drammatica”.

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Maggiarini, contadini e braccianti, che intervengono sul copione a loro piacimento. Se nel Maggio il lieto fine è d'obbligo, così non è per il dramma e infatti, delle sei opere teatrali di Enrico Pea, solo Tre alberi salva il finale dalla tragedia. Lo spettatore deve essere sì coinvolto, ma mentre nel Maggio partecipa con suggerimenti ed interventi, nel dramma ricopre soltanto il suo ruolo. Il Maggio è una rappresentazione all'aperto, con costumi e ambienti di scena improvvisati, il teatro è invece un ambiente chiuso in cui tutto è ben organizzato, dal copione, alle luci, al trucco. Quindi, aldilà di alcune somiglianze nei temi, non si può parlare di "...convivenza nell'opera di Pea di tragedia, sacra rappresentazione e cantar maggio" che testimonierebbero per Giona Tuccini "la cognizione di una realtà polimorfa inscindibile dal gusto del folclore"28.

I Maggi sono stati forse considerati precursori dei drammi teatrali peiani per la loro componente religiosa, in quanto come ci dice Pea stesso ne Il

Maggio, in Versilia, in Lucchesia e in Lunigiana29:

"[…] storie di Martiri cristiani furono quasi certamente, in principio, le sole trame dei Maggi. Poi gli argomenti cambiarono: le imprese guerresche e quelle di amore profano dovettero sostituire gli argomenti religiosi. Nè valse a frenarli dare nel tentativo gigantesco: lasciate le Madonne e i Santi nostrani, tornare alle trame tolte dal Vecchio Testamento. Come: <<Il Diluvio>>, <<Sansone>>, <<Antioco>>, ad esempio."

Come si vede, i Maggi trattano sì di argomenti prelevati dalle Antiche Scritture, ma a ben vedere, chi conosca bene le trame e le vicissitudini dei drammi peiani, vedrà che queste sono ben lontane da tali temi. Le opere teatrali di Pea mettono a nudo l'uomo, mostrandolo nelle sue debolezze più infime, eppure più umane. Non si tratta di Santi, ma di una religiosità piena di contrasti e tutta da combattere. Le battaglie più dure da affrontare nei drammi di Pea non sono contro il nemico, sia Moro o Cristiano, ma contro se stessi, contro il desiderio di essere liberi, ma senza essere soli, di appartenere a qualcosa o

28 G. Tuccini, Per non dimenticare Enrico Pea drammaturgo, in Enrico Pea – bibliografia

completa (1910- 2010) e nuovi saggi critici-, p.159.

29 E. Pea, Il Maggio in Versilia, in Lucchesia e in Lunigiana / come lo ha visto Enrico Pea, M. Carpena, Sarzana, 1954

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qualcuno, ma senza costrizioni. Ad una tradizione gioiosa come quella del Maggio, tutta da festeggiare all'inizio della bella stagione, si contrappone un teatro quasi intimistico, difficile da comprendere ad una prima lettura. A tal proposito Anna Barsotti in un breve saggio scrive: "[...] la passione dell'autore per il teatro non si esplica soltanto nella composizione di testi; ma anzi, e direi specialmente, nell'attività di impresario e divulgatore di <<maggi>> essa si realizza con pieno impegno e partecipazione"30.

Allo stesso modo Simonetta Salvestroni sostiene che:

"[... i] drammi rappresentano...un recupero e insieme un ribaltamento del mondo eroico, giusto e favoloso delle rappresentazioni popolari>>31.

Opinione diffusa è dunque che il teatro peiano sia la risultante finale del suo percorso maggesco, affrontato sia da ragazzo come spettatore e talvolta attore, sia da impresario. Ma forse, la verità è che le due forme di rappresentazione, il Maggio e il teatro, convivono nello stesso autore, integrandosi a vicenda, ma senza che l’una influenzi l’altra, a tal punto da esserne il modello. A sostegno di ciò credo sia lecito segnalare che dal punto di vista cronologico le opere teatrali sono precedenti ai Maggi. La prima rappresentazione di Sion è del 1912, mentre l’attività di Pea quale impresario e divulgatore di Maggi va dal 1921 fino alla fine della sua vita32 .

Non si può quindi parlare di una diretta derivazione o evoluzione del genere popolare dei Maggi a quello più complesso delle rappresentazioni teatrali. Sicuramente i Maggi, come ogni altra esperienza della vita di Pea, entrano a far parte delle sue opere, ma certamente non come modelli pre-drammatici.

2.3 Il teatro "borghese".

Il teatro, come gran parte delle produzioni peiane, trova riscontro nella biografia dell'autore: ne Il Volto Santo Pea scrive che il nonno, chiuso in manicomio, allestiva spettacoli teatrali per i degenti; Pea stesso a bordo del

30 “Il Ponte”, a. XXXIV, nn. 7-8, 1978. Numero speciale dedicato a Enrico Pea nel ventennale della morte, a cura di S. Guarnieri, p.832.

31 S. Salvestroni, Enrico Pea: fra anarchia e integrazione, Firenze, La Nuova Italia, 1976, p.122.

32 Nel 1953 Enrico Pea farà rappresentare a Pietrasanta il maggio della Gerusalemme

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<<Ciucciariello>> organizzava rappresentazioni con mozzi e marinai, forse le stesse a cui aveva assistito da bambino quando fuggiva di casa per unirsi alle compagnie di comici girovaghi.

Ammesso che il teatro sia stato, fin da bambino, una componente forte della vita di Pea, bisogna risalire agli anni vissuti ad Alessandria d'Egitto per trovare la vera radice dell'interesse di Pea. Proprio in Vita in Egitto le prime parole dell’autore si riferiscono alla gestazione della sua prima tragedia

Giuda:

L’idea di un Giuda Iscariota che avesse dentro di sé tutt’altri spiriti di quelli fissati nel carattere millenario di Giuda dalle Scritture, la ebbi in Egitto di buon’ora come ispirazione e non per aver letto libri torbidi, propriamente, su questo argomento, prima che l’idea mi balenasse subitanea in mente, quasi che qualcuno me la suggerisse d’improvviso negli orecchi: e udivo infatti, nei giorni che seguirono, anzi per anni, qualche volta, suggerimenti espressi proprio in parole.

Pea esprime quell'idea subitanea in mente di presentare una figura nuova di Giuda, una figura diversa da quella tramandata da millenni dalla Bibbia. In questa tragedia Pea vuole trasformare Giuda "da figura universale a figura personale", per dirla con Giona Tuccini33, cancellando la questione del

tradimento di Gesù, per concentrarsi sull’uomo in quanto tale. Angela Guidotti ne Il Giuda di Enrico Pea34 analizza approfonditamente tutti gli

aspetti di questa tragedia che, come lei stessa sottolinea, sarà una componente importante di tutta la produzione drammatica successiva dell’autore. La figura di Giuda, qui corredata da "un’identità anagrafica"35, è

quella di un ribelle: ribelle all’oppressore, ribelle a Gesù, ribelle ad un destino che sembra sopraffarlo. Dai numerosi spezzoni del dramma Angela Guidotti inserisce nel suo saggio e che riescono a dare un senso complessivo della vicenda, si evince nel protagonista un senso di angoscia che caratterizzerà poi quasi tutte le altre tragedie peiane. C’è in quest'opera, come nelle successive, un senso imperante di oppressione che ostacola un

33 G. Tuccini, Homo viator, p.238.

34 A. Guidotti, Il Giuda di Enrico Pea: storia di una tragedia, di un personaggio e di una

lunga riflessione, Lucca, Pacini Fazzi, 2010.

35 Ibidem, p.20. Pea stesso chiarisce questo punto alle pagine 26-27 in Vita in Egitto: “[...] la fantasia lavorava e già come in rivelazione avevo trovato la paternità di Giuda: gli avevo dato per padre un re. Un re disgraziato... la trovata che mi rendeva orgoglioso era questa: la paternità di Giuda Iscariota da me attribuita a Ircano II, ultimo re destituito e tenuto in cattività da Erode”.

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impetuoso desiderio di libertà.

Proprio l'ansia di rivendicare la propria individualità è il fulcro dei due drammi successivi: Rosa di Sion (rifacimento di Sion, rappresentata nel 1912 al teatro Rossini di Livorno, il cui copione è andato disperso) e Prime

piogge (1919). Entrambe le tragedie hanno come sfondo principale due

sistemi religiosi: da una parte quello ebraico e dall'altra quello cattolico, ma al fine della trama le differenze di credo contano ben poco, in quanto è la religione in generale a travalicare i propri confini e a farsi sistema sociale. Tanto Elia quanto Fabrizio sono ostacolati nel loro amore per le due donne, più che dal credo in sé, dai pregiudizi e dalle restrizioni metali che questo comporta su chi lo pratica. Le due trame mettono a nudo i contrasti e le ipocrisie di una religione seguita senza ragione. Conseguenza di questo smarrimento è il recupero della propria fede che, improvvisamente, acquista importanza, in contrasto con il credo dell'altro. Procedimento analogo a quello che lo stesso Pea sperimenta su se stesso in Egitto quando s'imbatte in una funzione religiosa al tempio:

[...] Ignota la lingua, sgradita la voce del pastore, odioso l'ordine: gente che prega Iddio a misura a peso e a orario: anche in questo evviva gli italiani, penso tra me. Scorgo il ridicolo in tutto. L'antipatia sociale36.

Al termine della messa che comprerà la Bibbia: testo che cambierà la sua vita e che influenzerà profondamente le sue opere. Rosa di Sion e Prime

piogge, trattando il tema religioso, sembrano anticipare quella che i critici

hanno chiamato "la conversione" di Pea e che va piuttosto intesa come un ritrovamento della propria fede. Del 1923 è infatti La passione di Cristo, seguita nel 1932 da L'anello del Parente Folle, riunite poi nel 1940 in un'unica edizione in cui Pea inserisce anche una Confessione, della quale vedremo il motivo.

Antecedente alle due rappresentazioni sacre è però Parole di scimmie e di

poeti (1922), una commedia in due atti e due prologhi, pubblicata sui numeri

9 e 10 dell'ottobre 1922 sulla rivista "Il Convegno" e mai rappresentata. Si tratta anche in questo caso di un'opera teatrale di non facile recezione. Ad una prima lettura potrebbe sembrare mero caos, fatto di assurdi battibecchi tra una scimmia e il suo padrone, il Poeta. Analizzerò puntualmente in altra sede l'intera opera teatrale, ma basti qui sottolineare come, anche in questa

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commedia, fulcro centrale della vicenda sia la libertà individuale, impedita da norme sociali e combattuta fino alla fine: il Poeta morirà per permettere ai due cugini, amanti, di fuggire insieme. A questo tema si intreccia anche quello dell'istinto, rappresentato dalla scimmia e quello della fantasia, incarnato dal poeta: due realtà che dapprima faranno fatica a convivere, ma che poi risulteranno inscindibili, rivelando una grande affinità.

La scelta di comporre due sacre rappresentazioni va ricollegata ai motivi che Pea espone nella Confessione premessa ai due testi nell'edizione del 1940, successiva dunque al ritrovamento della coscienza da parte dell'autore. Nella

Confessione Pea spiega il motivo del suo ripudio dell'opera Giuda e i motivi

che lo hanno portato a comporre le due opere di "riparazione"37.

La Passione di Cristo viene rappresentata la sera delle Ceneri al teatro

Mercadante di Napoli, nel 1923 e nel '24 a Pisa, sulla Piazza dei Miracoli. Con questo testo Pea voleva riavvicinarsi alla verità cattolica, abbandonando una volta per tutte le sue suggestioni più intime e fantasiose. In realtà molte delle caratteristiche dei personaggi mostrano chiaramente quanto questi siano poco tradizionali, ma decisamente originali. Gli episodi principali sono, diversamente da quanto accadeva nel Giuda, aderenti alle Antiche Scritture, come anche i gesti e le parole di Cristo. Nonostante questo la figura di Giuda resta problematica e, per dirla con Anna Barsotti "il nuovo

Giuda porta i segni del vecchio". Comunque la sacra rappresentazione si

conclude in modo fedele alla tradizione: Giuda morirà, dopo essersi pentito e Cristo risorgerà per poi salire al cielo.

Sanato a questo punto il giovanile errore di un dramma considerato quasi un' eresia, Pea può finalmente tornare al suo estro fantasioso per affrontare la narrazione dello sposalizio tra Maria e Giuseppe e la nascita di Gesù ne

L'anello del parente folle38. Il Parente Folle è un'originalissima invenzione

dell'autore, di cui Pea si serve per trasmettere il proprio messaggio

37 Nella Confessione Pea riporta il dialogo avuto con Don Raffaello Galleni, il parroco che lo aveva educato un poco da ragazzo. Quest'ultimo dispiaciuto per l'opera dissacrante del Giuda dice a Pea: “Ma ora, bisognerà riparare” e Pea continua: “Ecco da quale

spinta sono nate <<La Passione di Cristo>> e <<L'Anello del parente folle>>”.

38 Composto tra il settembre del 1924 e il marzo del 1925 apparirà nell' <<Illustazione italiana>> soltanto il 25 dicembre 1932. Diviso in tre parti ciascuna delle quali può anche essere letta come scena a sé: L'anello del parente folle, Le azzime degli angioli,

Ninna Nanna a Gesù. Fu rappresentato il giorno dell'Epifania 1939 a Parigi dagli allievi

delle Scuole Italiane. Il testo è stato emendato da Pea secondo i suggerimenti del Cardinale Maffi, al quale i era rivolto per chiarimenti su alcuni svolgimenti del Mistero.

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personale, esaltando i veri valori di virtù, fede e amore, contrapposti all'avarizia del Parente Ricco39 e all'ipocrisia del Dottore40. L'anello del

Parente Folle sembra distaccarsi nettamente dalla produzione peiana

precedente per questa sua "aria di soddisfatta sagra paesana, non tanto da

intendere come scelta lessicale, ma come esito di felici soluzioni e come avventura bella, quasi fosse una fiaba"41. Sta di fatto che anche quest' opera

venne calorosamente accolta dall'istituzione ecclesiastica, tanto che le due sacre rappresentazioni vennero trasmesse via radio più volte nel corso degli anni.

L'ultimo scritto teatrale di Enrico Pea è Tre alberi, del 1951. Si tratta di un'opera che si differenzia dalle altre, oltre che per alcuni temi, soprattutto per il tecnicismo che caratterizza le didascalie. Il titolo stesso menziona l'intera architettura compositiva dell'opera: Tre atti, un prologo e un dialogo

alla finestra, rendendo impossibile non sentire la presenza dell'autore alla

guida dell'azione. Il tema principale dell'opera è nuovamente la necessità dell'uomo di liberarsi dall'oppressione, sia questa familiare o sociale, ma questa volta Pea sorprende con il lieto fine: assistiamo al superamento di tutti quegli ostacoli che hanno caratterizzato tutte le prime composizioni teatrali dell'autore.

Per concludere questa breve panoramica del teatro di Pea terrei nuovamente a sottolineare quanto, uno scrittore autodidatta come Pea, possa risultare poliedrico pur basandosi su alcuni temi ricorrenti, riuscendo a svilupparli in svariati moduli rappresentativi. La Bibbia, nodo centrale della produzione teatrale dell'autore, è letta, analizzata e rielaborata sulla base di diversi modelli interpretativi. Da una parte c'è l'uomo Pea, restio alle imposizioni e restrizioni che una religione - o una sorta di misticismo religioso e popolare derivante da tradizioni secolari- può imporre e dall'altra c'è sempre lo stesso uomo, sradicato dai più elementari valori familiari, che cerca consolazione, un non sentirsi solo unicamente perchè si è parte di una comunità. C'è poi il

39 Il Parente Folle: “Tu chi sei più di me? [..] Che sono come te di David. Come te, ma con

meno servi, senza vigne e senza mandrie, è vero; ma una cosa a me basta: tesoro che tu non compri: Leggo nei libri di Dio, sui quali tu sei orbo; mandriano d'asini...”, in La Passione di Cristo.

40 Il Parente Folle: “Va via, con la tua saggezza! […] Domestico addottorato. Riduci la

sapienza uno straccio, per lucidare il mattonato della casa di un ricco”, in La passione di Cristo.

(28)

Pea politico, che lotta contro l'oppressione, sia religiosa o sociale, per garantire quella libertà che spetta ad ogni singolo. C'è il letterato che s'interroga sulla sua opera e, necessariamente, sulla sua persona per capire quale sia il centro nodale del proprio interesse, della propria ossessione. In ogni opera di Pea, e non mi riferisco solamente alle rappresentazioni teatrali, c'è ognuna di queste figure. A volte ne prevale una piuttosto che l'altra, ma tutte sono inscindibilmente legate al proprio autore, uomo prima di tutto, che ha inteso presentare con i suoi lavori un intero mondo di personaggi negli aspetti, nelle debolezze e nelle passioni più umane. Credo che ogni carattere, svincolato dall'opera in cui è inserito, sia in grado di essere comunque un grande personaggio, ben delineato e decisamente a tutto tondo.

2.4 Enrico Pea operatore di teatro.

Enrico Pea non fu soltanto autore di teatro, ma si occupò personalmente della messa in scena di alcune rappresentazioni, nonchè della gestione del teatro Politeama di Viareggio. Ritornato definitivamente in Italia Pea proseguì la sua attività culturale dedicandosi alla riscoperta e al recupero dei maggi in Toscana. Nel 1917 nel <<Bosco Apuano>> di Marina di Pietrasanta, organizzò le rappresentazioni dei maggi: Balilla e il Maggio di

Genoveffa (quest'ultimo rappresentato dai maggianti di Montignoso). Queste

messe in scena riscossero un successo tale da convincere Pea a realizzare un vero e proprio teatro all'aperto. Con l'aiuto dello scultore napoletano Raffaello Uccello e dell'impresario Alessandro Romanelli, venne allestito un palcoscenico con un tempio, le gradinate, le pareti di marmo e con una platea di legno, capace di ospitare diecimila spettatori. Qui Pea inscenò alcuni maggi con la compagnia di Daniele Grillotti e il 18 agosto 1918 vi fece rappresentare il suo dramma: Giuda. Ed è proprio a proposito di quest'ultima rappresentazione che l'autore ne La Confessione, premessa alle due sacre rappresentazioni La Passione di Cristo – L'anello del perente folle ed edita nel 1940, descrive la struttura da lui e per lui realizzata:

"[...] A giorno ero sceso nel frutteto, al margine del quale avevamo eretto, per lo spettacolo del <<Giuda>>, una mole che a un tempo poteva essere reggia o tempio: sull'architrave di quell'edificio avevo

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