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La forza di andare avanti Oliver, orfano per eccellenza

Senza famiglia

2. La forza di andare avanti Oliver, orfano per eccellenza

“Sì, Oliver. Quei bravi signori, che sono stati per te come dei veri genitori, stanno per fare di te un apprendista e ti avviano alla vita per fare di te un uomo, anche se tutto questo costerà alla parrocchia tre sterline e dieci scellini. Centoquaranta pezzi da sei pence, settanta scellini per un orfano buono a nulla a cui nessun può voler bene, pensa” (C. Dickens, Oliver Twist, BUR, Milano, 2013, p. 27)

“Quando Oliver apparve, per la prima volta, nel 1838 e fu molto letto e fece molto piangere e suscitò proteste e voglia di cambiamento, non si pensava certo che sarebbe giunto fino a noi così vivo, stimolante, collegato con le ultime notizie di cronaca sui giornali”467.

Tragica avventura ottocentesca, il romanzo di Charles Dickens, Oliver Twist, narra il la drammaticità della condizione infantile in un clima vittoriano e il progressivo riappropriarsi di una famiglia e di un casa da parte del protagonista, bambino orfano in una Londra dell’Ottocento. In questa città, dimora sia dell’ormai affermata middle class sia dell’umanità cenciosa e degradata, dipinta da Charles Dickens, Oliver voleva crescere, seppur orfano e senza il minimo aiuto di alcun adulto, bistrattato dalla società.

Il grande tema dell’infanzia orfana, abbandonata da una famiglia che si allontana sempre più da lei fino, quasi, a scomparire, è da sempre protagonista della letteratura per l’infanzia e per ragazzi. I nuclei tematici di questo grande romanzo della cultura inglese, riguardano prima di tutto la denuncia dello sfruttamento delle classi più povere da parte della middle class, la feroce critica alle istituzioni, tra cui la scuola, i tribunali, le prigioni, gli orfanotrofi, poichè inumane e portatrici degli ideali appartenenti alle classi sociali dominanti, la denuncia del sentimento di avidità per il denaro ed infine la critica a quei sentimenti infidi e immorali che dominavano indisturbati all’interno della società industriale dell’epoca.

Dickens, grande narratore, ha avuto la capacità di raccontare, attraverso lo sguardo dissacratorio dell’infanzia, dei temi così tragici e rilevanti importanti in una maniera irriverente. L’autore propone, attraverso le pagine del suo romanzo, una visione

dell’infanzia resiliente: i bambini, perennemente in balia degli adulti, riescono a trovare dentro loro stessi, pur tra mille difficoltà, una forza per difendersi, per allontanarsi dagli adulti e per eludere la loro, talvolta, malsana presenza.

Dickens ci racconta la storia di Oliver, orfano per eccellenza che trova la forza per andare avanti in un mondo che sembra andare perennemente contro di lui.

In questa condizione di orfanezza fin dalla nascita, il protagonista passa l’infanzia in un orfanotrofio parrocchiale capeggiato da un uomo inetto e avido: il signore Bumble. Gestito nell’ottica del risparmio e della repressione, l’orfanotrofio è il primo luogo di soprusi ed angherie a cui è sottoposto Oliver. In questo primo “luogo di non-accoglienza, come si vedrà poi in seguito in altri in cui viene trasferito, il bambino viene fatto quasi morire di fame, picchiato, venduto, maltrattato in ogni maniera-

Tra la “casa-non-casa”, definita così da Lorenzo Cantatore, e la casa vera e propria, luogo di affetti e di cura, “per Oliver c’è una tappa intermedia che è la casa-tana di Fagin, il vecchio malvivente che lo perseguita, capo di una banda di piccoli ladruncoli che infestano le strade di Londra”468.

Dimora in cui viene tentata un’educazione al furto nei confronti di Oliver, nella casa-prigione di Fagin a Londra vivevano tanti bambini ignorati e abbandonati dalla società, costituendo come una “famiglia allargata”. Nera di fuliggine e di sporcizia, diroccata, dalle finestre sempre chiuse per non farsi vedere o scoprire e con pochissimi, vecchi e laceri mobili, la casa dell’“ebreo” – così veniva definito il terribile Fagin – lo rappresenta sia a livello interiore che esteriore: “Oliver, aggrappato al compagno e procedendo a tentoni nel buio, salì con grande difficoltà le scale strette e diroccate mentre l’altro si muoveva con disinvoltura dimostrando di conoscere quel posto alla perfezione. Giunto in cima alla rampa, spalancò una porta e fece entrare Oliver in una stanza con le pareti affumicate e sporche.

Davanti al fuoco acceso nel caminetto c’era un grande tavolo con sopra una candela infilata in una bottiglia di birra, due o tre tazze di stagno, una pagnotta, del burro e un piatto. Un vecchio che sembrava un ebreo, girava con un forchettone delle salsicce che rosolavano in una padella appesa per una fune alla cappa del focolare.

468 L. Cantatore, Ottocento fra casa e scuola, in L. Cantatore (a cura di), Ottocento fra casa e scuola.

L’uomo indossava una palandrana di flanella unta e bisunta che gli lasciva scoperto il collo e sembrava dividere la sua attenzione tra la padella e un attaccapanni da cui pendeva una quantità di fazzoletti di seta. Sul pavimento erano disposti diversi rozzi giacigli fatti con vecchi sacchi. Seduti intorno al tavolo quattro o cinque ragazzi fumavano pipe di gesso e tracannavano liquori con aria da uomini fatti; subito si fecero incontro a Furbacchione che stava confabulando con l’ebreo; il vecchio si volse con un sogghigno a osservare Oliver”469.

A dispetto però di molte avventure crudeli e raccapriccianti vissute dal bambino, il suo animo ben poco si addice a quello di un perfetto ladruncolo, e di questo si accorgono, fortunatamente, alcune persone; primo fra tutti il gentile Mr. Brownlow, il quale adotterà Oliver e lo accoglierà come un vero e proprio figlio; in un secondo momento l’amorevole Rose Maylie, figure femminile di notevole importanza per il bambino, la quale difende Oliver a gran voce nel momento in cui egli viene ferito e catturato dalla servitù dell’anziana zia di lei, a seguito di una rapina non riuscita, nella quale il bambino era stato coinvolto suo malgrado.

Queste due figure assumono simbolicamente il ruolo di figure familiari che Oliver non ha mai avuto la possibilità di conoscere.

Il libro ha, come ogni opera di Dickens, un lieto fine: si può pensare ad un riavvicinamento ai temi del fiabesco poiché, già esistente nelle fiabe popolari in precedenza, anche Dickens propone il grande tema della lotta tra il Bene e il Male. Dopo molte disavventure affrontate dal protagonista, la vittoria del Bene sul Male è ineguagliabile e definitiva. Nel caso di Oliver il Male, rappresentato prima dai gestori dell’orfanotrofio e poi dai criminali incontrati lungo il suo cammino, viene sgominato ed il Bene, sotto forma di Mr. Brownlow e della famiglia Maylie, trionfa.

Nonostante il bambino non abbia mai conosciuta la madre, egli pensa continuamente a lei. La donna rappresenta la forza motrice di Oliver nei momenti più bui e non solo, nel vivere la sua vita, il bambino riscopre le sue origini e trova, simbolicamente, la madre perduta pur non avendola mai incontrata.

Questo attaccamento psicologico – poiché fisico non lo è mai potuto essere dopo la nascita del bambino –, sembra accennarci attraverso la storia Dickens, è rappresentativo di un affetto che il bambino sente di desiderare.

Pur non avendola mai conosciuta, Oliver esprime affetto nei confronti della madre, rammentando la sua immagine tra il sogno e la veglia, quasi come se il sonno li avvicinasse: “«Credo che lei abbia ragione. Il cielo è tanto lontano e lassù sono tutti troppo felici per venire giù al capezzale di un povero ragazzo. Ma se la mia mamma ha saputo che ero ammalato, anche dal cielo deve aver provato pietà per me. Anche lei è stata tanto male prima di morire». Oliver si interruppe, stremato, poi riprese: «ma forse lei ignora tutto. Se mi avesse visto così ammalato ne avrebbe provato un gran dolore; invece quando mi appariva in sogno era sempre sorridente e serena»”470.

Luogo di assenza e di incoscienza, il sonno di Oliver ricorda il “sonno profondissimo” di fiabesca memoria de La bella addormentata nel bosco. Quasi come una morte471, il sogno attraverso il sonno conduce il protagonista dickensiano in uno stato che lo rende più vicino alla madre, a quella figura materna morta, che lo aspetta sorridente nel between, oltre il confine del reale e verso l’ignoto e l’incerto del sogno, aldilà per antonomasia.

Oliver Twist, afferma Milena Bernardi, può essere considerato come un valido

esempio di “infanzia contaminata dal Male sociale e dalla malattia, infanzia disgraziata, infanzia ancora perduta, […] infanzia marginale, ed esclusa dalla parte più piacevole della vita”472. Sottolinea ancora, “la sfera dei sentimenti e l’espressività degli affetti fanno di

quest’opera un validissimo ritratto di un mondo infantile negato e soffocato nel suo vero essere, disagiato e fortemente deluso da quel mondo adulto che crede di poterlo governare e muovere a proprio piacimento, in nome di false tutele e ipocrite ideologie”473.

In Oliver, come in molti altri suoi compagni d’avventura, da Hansel e Gretel a Pollicino474, il desiderio di rivalsa nei confronti di un mondo così crudele ed insensato si fa però avanti e, ancora una volta, proprio l’infanzia fragile, sola, umiliata e maltrattata da tutti riesce a salvaguardare la proprio libertà di poter essere.

Certamente non senza difficoltà, tanto che prima di arrivare alla vera felicità, gli ostacoli che Oliver incontra sono numerosissimi: i soprusi degli adulti e il tema della

470 C. Dickens, Oliver Twist, BUR, Milano, 2013, P. 95

471 Cfr. M. Bernardi, Infanzia e fiaba, Bononia University Press, Bologna, 2005.

472 M. Bernardi, L’estasi nel tugurio, in E. Beseghi (a cura di), Specchi delle diversità, Mondadori, Milano, 1997, p. 43.

473 M. Bernardi, L’estasi nel tugurio, op. cit,

474 Cfr. M. Bernardi, Pin, Pin e Pollicino. Ritratti di bambini resistenziali e autenticità dell’infanzia, in E. Varrà (a cura di), L'età d'oro. Storie di bambini e metafore d'infanzia, Pendragon, Bologna, 2001.

malattia, estremamente dominante in tutto il romanzo. Il tema della diversità dell’infanzia affiora soprattutto attraverso i toni dell’affettività, dell’identità ferita, del corpo sbagliato e della malattia che incalza475. Malattia del corpo, che sfinisce Oliver e lo porta quasi sul punto di morte, che uccide la madre e lo rende orfano, ma anche alla malattia dell’anima, che impregna la società di quel tempo e la rende schiava di false libertà e malsani princìpi. In Oliver Twist si vede infatti come Dickens riproponga, pagina dopo pagina, la necessità dell’uomo di riappropriarsi di quella dimensione emotiva che ha perso, attribuendo un “valore salvifico alla supremazia dello spirito sul corpo […], rivelando attenzioni e sensibilità verso le condizioni di vita e di salute dell’infanzia”476, totalmente dimenticata.

Non solo ma, come sottolinea Milena Bernardi, il bambino dickensiano diviene portatore di quella condizione “divina” che lo eleva ad essere superiore e che lo investe di una forza salvifica solo sua, quasi a voler dimostrare come la vera forza non stia tanto in un mondo terreno corrotto ed ingiusto, quanto in un tempo ed in uno spazio lontani da esso e accessibili solo ai pochi, ai puri di spirito, ai veri detentori di forza, ai bambini. Essi infatti possono essere considerati “piccoli angeli caduti sulla terra in forma di bambini sofferenti […], messaggeri di una educazione sentimentale in cui è l’antropologia dei sentimenti ad essere protagonista: nell’immagine spirituale e altra del fanciullo angelico l’infanzia infelice si pone al servizio dell’anima congelata degli adulti”477.

Oliver, bambino piccolo, esile, minuto ci ricorda un suo fratellino di carta: Pollicino. Come lui, Oliver riesce a trovare una forza resiliente che non aveva mai saputo di avere, ma di cui era in possesso fin dalla nascita. È grazie a questa sua alterità che Oliver riesce a far fronte alle avversità che incontra lungo il suo cammino. Il grande tema della “miniaturizzazione dell’infanzia” ci parla di bambini piccoli, diversi, in possesso di uno sguardo che riesce a vedere le possibilità in un mondo che cerca solo di schiacciarli. Talmente piccoli che diventano quasi invisibili all’occhio degli adulti che, indifferenti, li superano e li scansano, abbandonandoli al loro destino; oppure, peggio, li sfruttano, oscurando e così, sopprimendo, quella “luccicanza” che li caratterizza.

La condizione di diversità si associa a quella di orfanezza. Si vede così, come afferma Milena Bernardi, che “Oliver è un bambino storico, il testimone di un’epoca

475 Cfr. M. Bernardi, Infanzia e fiaba, BUP, Bologna, 2005. 476 M. Bernardi, L’estasi nel tugurio, op, cit., pp. 45-46. 477 M. Bernardi, L’estasi nel tugurio, op. cit., p. 48.

controversa cui fanno buona compagnia altri personaggi dickensiani: David e Pip si muovono in atmosfere simili, anche loro sono orfani malinconici dediti alla lotta per la sopravvivenza, ragazzini spaventati da adulti grotteschi e violenti”478.

478 I. Filograsso, Bambini in trappola. Pedagogia nera e letteratura per l’infanzia, Franco Angeli, Milano, 2012, pp. 110-111.