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In fuga dalla famiglia

9. Una famiglia fast-food Matilde di Roald Dahl

Un altro autore di origini scandinave, Roald Dahl, ritorna sul tema delle bambine in fuga dalla famiglia, proponendo nuovi modelli e paradigmi educativi.

Per comprendere meglio i suoi personaggi occorre partire da alcuni dati biografici. Roald Dahl era alto, altissimo. Anzi, quasi un gigante.

Nato a Llandaff, nel 1916 in Galles da genitori norvegesi, ha passato la sua infanzia e la giovinezza con la sua famiglia in Inghilterra. La madre, Sofia Margareth Hesselberg, era la seconda moglie di Harald Dahl, essendo la prima moglie morta di parto nel 1907. La famiglia crebbe velocemente e in poco tempo, e in poco tempo conobbe presto anche il dolore della perdita. Nel 1920 perse prima la sorella di sette anni, Astri, che morì di appendicite. “Aveva sette anni, la stessa età della mia bambina più grande, Olivia, quando morì di morbillo quarantadue anni più tardi”228. Poche settimane dopo

morì anche il padre, di polmonite. Il padre di Roald, Harald Dahl, non si riprese più dalla tragica morte della figlia. “Astri era in assoluto la preferita di mio padre” scrive Roald in

Boy, “Lui l’adorava smisuratamente e la sua morte improvvisa lo lasciò letteralmente

senza parola per parecchi giorni. Era così sopraffatto dal dolore che, quando egli stesso, circa un mese dopo, si ammalò di polmonite, non si curò di vivere o morire”229.

Con il GGG, nel 1987230, Dahl inaugura la collana della Salani, gli “Istrici”. Scelto dalla curatrice della collana Donatella Ziliotto, il libro è dedicato alla figlia Olivia, morta all’età di sette anni, come sua sorella Astri. La storia parla di una bambina orfana rapita da un gigante, fortunatamente un gigante vegetariano, nell’Ora delle Ombre.

È difficile non notare quanto simili il gigante e Dahl siano, entrambi così fuori dalle regole, entrambi così “giganti”. Roald Dahl e la sua “grande creatura di carta gentile” sono dei “diversi” rispetto a mondo in cui vivono. Come scrive Donald Sturrock nella biografia sull’Autore: “gli inglesi lo trovavano strambo. Il suo migliore amico delle elementari ammise che era affascinato da Roald perché era “straniero”. In effetti era così:

228 R. Dahl, Boy, Salani, Milano, 1994, p. 21. 229 Ibidem

230 A. Faeti, Diamanti in cantina, Come leggere la letteratura per ragazzi, Il Ponte vecchio, Cesena, 2011.

sebbene fosse nato in Inghilterra e fosse cittadino inglese, sotto molti punti di vista Roald conservava la mentalità di un émigrè”231.

Inoltre, l’Autore, un gigante lo era davvero: era alto circa due metri ma, anche se così grande, egli non dimentica cosa vuol dire essere piccoli, ovvero cosa vuol dire essere bambini in un mondo di adulti: Sofia, protagonista de Il GGG, è un bambina in un mondo di adulti, lui è un gigante nel mondo di Sofia, il nostro naturalmente, ma è un “piccoletto” e un émigré, nel mondo dei giganti.

Dahl non si soffermava spesso sui primi traumatici anni della sua infanzia e, in genere, si prendeva gioco di eventuali collegamenti notati dalla critica tra la sua vita e le sue storie, ma i parallelismi, ciononostante, sono affascinanti. Nei suoi libri, per esempio, i lutti vissuti durante l’infanzia non sono mai lacrimevoli. I giovani protagonisti seguono sempre l’atteggiamento positivo che Roald, la madre – una donna norvegese molto forte ed autorevole, una guida costante e punto di riferimento – e le sue sorelle adottarono dopo la morte del padre. Ne Il GGG, Sofia ha vissuto in orfanotrofio da sempre, ma non se ne cura:

«“Io non può smettere di pensare” disse il GGG “ai tuoi poveri mamma e papà. A quest’ora sta certamente saltellando su e giù per la casa gridando: “Ohilì, ohilà. Sofia dove sta?” “Non ho né papà né mamma” disse Sofia. “Sono morti tutti e due quand’ero appena nata”. “Oh, povera piccirottola!” esclamò il GGG. “E ti manca terribilmente?” “In realtà no, perché non li ho mai conosciuti”»232

Era tipico dello stesso Dahl essere così pragmatico: forse perché non avendo mai conosciuto davvero il padre sembrava non aver sofferto troppo per la sua assenza.

Quest’atteggiamento contribuiva ad una concezione della famiglia senza sentimentalismi e spesso anticonformista, che si riflette prepotentemente nei suoi romanzi per l’infanzia. Il bambino si trova sempre al centro della narrazione e la sopravvivenza è spesso la sua unica motivazione.

Nelle storie di Dahl i nemici dell’infanzia provengono tanto dall’esterno quanto dall’interno della famiglia. A volte il nemico è rappresentato dai genitori stessi, soprattutto se sono noiosi o privi d’immaginazione. La maggior parte delle volte i genitori compaiono in veste di forza negativa che il bambino deve imparare a sopportare o

231 D. Sturrock, Roald Dahl. Il cantastorie, Odoya, Bologna, 2012, p. 28. 232 R. Dahl, Il GGG, Salani, Milano, 1987, p. 37.

tollerare, talvolta invece da cui sfuggire o destabilizzare. Per riuscirvi, di solito i piccoli protagonisti trovano un amico inatteso, che apprezza le sue qualità speciali e consente loro di vivere appieno la loro infanzia. Lo spirito affine di Sofia, la bambina de Il GGG è, per esempio, il buon gigante, anche se lei è orfana e non ha genitori da ripudiare. Matilde Dalverme, invece, protagonista dell’omonimo romanzo, Matilde, è una piccola bambina così geniale da imparare a leggere da sola all’età di tre anni e vive in una famiglia che ha per lei “la considerazione di una crosta”. Matilde ha due genitori che sembrano usciti dall’inferno: due idioti volgari e intrallazzatori che ignorano la figlia e che cercano di soffocare il suo amore per la lettura. Sono caricature comiche, ma sono anche capaci di un’insensibilità brutale, “così idioti e così chiusi nelle loro piccole, meschine abitudini” che Dahl dubita si sarebbero accorti di qualcosa se la figlia “si fosse trascinata a casa con una gamba rotta”233.

Nota Laura Tosi che “in un certo senso Matilda è orfana nella sua famiglia, da cui “divorzia” consensualmente alla fine del romanzo”234, scegliendo di restare nella sua città

e nella sua scuola e andando ad abitare con la sua nuova mamma, la signorina Dolcemiele. Matilde, come in altri romanzi dahliani, si allea con una figura adulta positiva e non aggressiva per contrastare il feroce mondo adulto.

Con Matilde, Roald Dahl ci racconta la storia di una bambina lettrice, così intelligente da avere una mente che sprizza magia, soprattutto contro gli adulti prevaricatori ed ignoranti, come i suoi genitori e la perfida direttrice della scuola, la signorina Spezzindue. Per fortuna c’è un’insegnante diversa, la signorina Dolcemiele, un’adulta che sia avvicina alla sensibilità infantile. Per Antonio Faeti “la poeticissima storia dell’amore di una bimba per la sua maestra, che è una ragazza molto sola, molto povera, molto perseguitata... Dahl dev’essere studiato tenendo conto anche della sua componente patetica”235.

L’eccezionale legame di Matilde con la sua insegnante, la signorina Dolcemiele, costituisce il nucleo emotivo della storia e, alla fine, la protagonista decide di abbandonare la sua famiglia disfunzionale per vivere con la sua nuova amica adulta.

233 R. Dahl, Matilde, Salani, Milano, 1995, p. 10.

234 L. Tosi, Non solo fantasy: generi e tendenze della narrativa contemporanea, in L. Tosi, A. Petrina (a cura di), Dall’ABC a Harry Potter. Storia della letteratura inglese per l’infanzia e la gioventù, Bononia University Press, Bologna, 2011, p. 351.

Matilde è l’emblema di un’infanzia che da sempre ha dovuto lottare contro il mondo degli adulti. Grazie all’intelligenza e a insperati poteri magici, la giovane protagonista riesce a sconfiggere solitudine e soprusi. Dal finale malinconico, Dahl ci racconta la storia, molto più simile al reale di quanto il lettore possa immaginare, con ironia. Certamente il quadro della famiglia Dalverme è estremizzato, tuttavia si avvicina molto alla realtà. Attraverso la lettura dei romanzi di Dahl si incontrano rappresentazioni di infanzie forti ma al tempo stesso melanconiche e, come succede per Matilde, raffigurata in una scena familiare desolante e allarmante.

Come afferma Sturrock, spesso i libri di Dahl sono dei “fantasiosi manuali di sopravvivenza”236 per bambini su come cavarsela nel mondo adulto che li circonda.

Offrono infatti l’immagine di un’esistenza libera dal controllo dei genitori, un mondo pieno di fantasia e piacere, dove tutto, o quasi, è possibile.

Una volta raggiunto l’obiettivo della vendetta sia contro i genitori – disonesti, arroganti ed ignoranti – che contro la terribile direttrice Spezzindue, i magici poteri di Matilde scompaiono e ciò che resta è ciò che caratterizza questo personaggio, quello per cui viene così amato dai lettori: le sue risorse salvifiche, la sua forza, il suo spirito indomito che riesce a non farsi sottomettere all’omologazione di un’esistenza alienata in una famiglia che vive tra schermi televisivi e slogan pubblicitari, fa di Matilde icona di una infanzia invisibile e resiliente.

E come afferma Sturrock, “forse il segreto di Dahl è di non aver mai dimenticato di portare dentro di sé il bambino (l’orfano di padre) che è stato, e che “la vita è piena di cose terribili e di persone terribili” ma tuttavia va affrontata e amata, scovando le strade giuste per difenderla, con la giusta generosità nella conquista degli alleati insieme ai quali avanzare. La consolazione arriva al termine di dure prove, ed è, lo sappiamo, provvisoria, chè domani altre prove e altri mostri ci aspettano, ma anche altre astuzie da escogitare, altri brividi da provare, altri incontri da godere”237

236 D. Sturrock, Roald Dahl. Il cantastorie, Odoya, Bologna, 2012, p. 49. 237 Ibidem, p. 11.

10. Claustrofobia domestica. Il dolore infantile