• Non ci sono risultati.

3. PERSONAGGI FINZIONALI: NON SOLO ESSER

3.3 La forza dell’ibrido

Il motivo dell’ibridismo, che ricorre in diverse occasioni nei racconti, pervade l’intera opera di Levi e si estende, al di fuori dei suoi libri, all’immagine che lo scrittore ha di sé. Non è una casualità che dal 1966 egli abbracci l’identificazione con il centauro, scegliendo la metafora dell’ibridismo per esprimere la propria condizione di uomo diviso, non solo tra scienza e letteratura:

Io credo proprio che il mio destino profondo (il mio pianeta, direbbe don Abbondio) sia l’ibridismo, la spaccatura. Italiano, ma ebreo. Chimico, ma scrittore. Deportato, ma non tanto (o non sempre) disposto al lamento e alla querela. Ecco, «a domanda risponde»: è permesso non essere sempre seri, ma qualche volta sì e qualche volta no? Secondo me è permesso, e io ne approfitto […].115

L’idea di una scissione profonda, inoltre, non si limita ad esemplificare la concezione che Levi ha di sé stesso, bensì si allarga fino a includere la sua concezione dell’uomo in generale. Anche in Argon, ad esempio, che è il primo capitolo del Sistema periodico, compare la figura del centauro: nel descrivere la

113 Pianzola, Le «trappole morali» di Primo Levi, cit., p. 288. 114 Ibidem.

115 G. Tesio, Credo che il mio destino profondo sia la spaccatura, «Nuovasocietà», 16 gennaio 1982,

90 lingua dei suoi avi l’autore rileva il contrasto tra sfondo piemontese e componente ebraica, e lo associa al contrasto più ampio connaturato nell’ebraismo della Diaspora, «teso fra la vocazione divina e la miseria quotidiana dell’esilio»; opposizione che, secondo Levi, riflette a sua volta quella insita nella condizione dell’essere umano «poiché l’uomo è centauro, groviglio di carne e di mente, di alito divino e di polvere».116 L’ibridismo, perciò, costituisce l’essenza degli uomini, di cui anche altrove l’autore esplicita la natura di «ibridi impastati d’argilla e di spirito».117 Per Belpoliti la radice dell’ibridismo in Levi è riscontrabile nella sua

visione antropologica, «nella doppia natura animale e razionale dell’essere umano di cui nel Lager egli ha sperimentato la valenza»;118 il centauro sarebbe proprio la rappresentazione di questa «instabile unione tra istintualità e raziocinio»;119

L’ibrido è l’uomo dopo Auschwitz, è l’umanità che ha conosciuto in modo radicale il proprio limite interiore ed esteriore. Si è ibridi perché la biologia, la zoologia, e l’etologia ci ricordano che l’uomo è solo un animale, un po’ più evoluto degli altri.120

La condizione di ibrido dà corpo ad un’opposizione tra forze contrastanti che non si escludono reciprocamente ma si mantengono in tensione tra di loro. Nell’opera di Levi, per di più, l’ibridismo non costituisce solamente la configurazione della spaccatura che egli percepisce nella propria persona e nell’essere umano; riguarda anche il frequente superamento dei confini delle discipline e del linguaggio, che diventa una delle pratiche più caratteristiche della sua scrittura: si pensi alle «incursioni»121 nella linguistica, nella zoologia e nell’astronomia dell’Altrui mestiere, agli originali accostamenti di autori proposti nella Ricerca delle radici, oppure all’ibridismo linguistico di Faussone, un misto di italiano e dialetto piemontese. La mescolanza e la convivenza di elementi discordi in un’unica entità, oltretutto, possono avere per Levi una valenza positiva, in quanto conferiscono una carica vitale all’esistenza. Levi, dunque, è affascinato dall’ibridismo non soltanto perché esso rispecchia la sua condizione di scrittore e la più ampia condizione umana – prima e dopo Auschwitz – ma anche perché senza impurità non potrebbe

116 P. Levi, Il sistema periodico (1975), in Tutti i racconti, cit., p. 369. 117 Idem, Il re dei Giudei, in Tutti i racconti, cit., p. 655.

118 Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 218. 119 Ivi, p. 376.

120 Ivi, p. 400.

91 esistere la vita. Quest’ultimo aspetto del suo pensiero è sviluppato in special modo nel racconto Zinco, nel Sistema periodico, in cui l’autore, studente universitario, ha a che fare con l’omonimo elemento chimico, proprio in un momento in cui «di purezza si faceva un gran parlare»:122

il così tenero e delicato zinco […] si comporta invece in modo assai diverso quando è molto puro: allora resiste ostinatamente all’attacco. Se ne potevano trarre due conseguenze filosofiche tra loro contrastanti: l’elogio della purezza, che protegge dal male come un usbergo; l’elogio dell’impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita. Scartai la prima, disgustosamente moralistica, e mi attardai a considerare la seconda, che mi era più congeniale. Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile. Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista; vuole tutti uguali e tu non sei uguale.123

L’idea che l’impurezza sia necessaria al mutamento, e di conseguenza alla vita, corroborata dall’esempio che essa sia fondamentale per rendere fertile la terra, si collega allo scenario di rinascita descritto in Quaestio de centauris e alle speranze di rinnovamento della protagonista di Disfilassi, che è sia donna sia pianta.

Il primo di questi racconti si trova nelle Storie naturali124 e narra, appunto, la nascita della vita dopo il diluvio universale e l’origine delle creature ibride, secondo i miti tramandati da una di tali creature, il centauro. I protagonisti del racconto sono il narratore e il centauro Trachi, a cui si aggiunge in un secondo momento una ragazza, Teresa De Simone. Il centauro vive con la famiglia del narratore da quando suo padre lo ha avuto in dono da un amico. L’atteggiamento del narratore verso di lui è ambiguo: mostra di ammirarlo ma allo stesso tempo di non comprenderlo pienamente, crede fermamente che nei centauri non si tramandi «la possa erbivora del cavallo, bensì la cecità rossa dello spasimo sanguigno e vietato, l’attimo di pienezza umano-ferina in cui furono concepiti».125 Le leggende dei centauri sulle proprie origini sono diverse da quelle considerate classiche e appaiono «più razionali» di quelle afferenti alla tradizione biblica. Il narratore riporta ciò che è venuto a sapere dai lunghi colloqui con Trachi: durante il diluvio universale, differentemente dall’episodio narrato nella Bibbia, vengono salvate nell’arca

122 Levi, Il sistema periodico, in Tutti i racconti, cit., p. 393. 123 Ivi, pp. 391-392.

124 Levi, Quaestio de centauris, in Tutti i racconti, cit., pp. 112-123. 125 Ivi, p. 115.

92 solamente le «specie-chiave», ad esempio l’uomo ma non la scimmia, il cavallo ma non l’asino; le altre specie animali nascono in seguito al ritirarsi delle acque:

Quando le acque si ritirarono, la terra rimase coperta di uno strato profondo di fango caldo. Ora questo fango, che albergava nella sua putredine tutti i fermenti di quanto nel diluvio era perito, era straordinariamente fertile: non appena il sole lo toccò, si coprì di germogli, da cui scaturirono erbe e piante di ogni genere; ed ancora, ospitò nel suo seno cedevole ed umido le nozze di tutte le specie salvate nell’arca. Fu un tempo mai più ripetuto di fecondità delirante, furibonda, in cui l’universo intero sentì amore, tanto che per poco non ritornò in caos.126

In questo periodo di «fecondità delirante» ogni unione è prolifica, anche un semplice contatto tra specie diverse:

Furono quelli i giorni in cui la terra stessa fornicava col cielo, in cui tutto germinava, tutto dava frutto. Ogni nozza era feconda, e non in qualche mese, ma in pochi giorni; né solo ogni nozza, ma ogni contatto, ogni unione anche fugace, anche fra specie diverse, anche fra bestie e pietre, anche fra piante e pietre. Il mare di fango tiepido […] era un solo talamo sterminato, che ribolliva di desiderio in ogni suo recesso, e pullulava di germi giubilanti.127 È così che hanno origine le specie “ibride”, come il delfino, figlio di un tonno e di una vacca, le farfalle, figlie di una mosca e di un fiore, le testuggini, figlie di un rospo e uno scoglio, gli ippopotami, figli di una cavalla e di un fiume, e molti altri esemplari. Così ha avuto origine ogni forma «oggi vivente o estinta», dai dragoni ai centauri, nati per la prima volta dagli amori di Cam con una cavalla di Tessaglia: «una progenie nobile e forte in cui si conservava il meglio della natura umana e della equina». Trachi, come tutti i centauri, sente nelle proprie viscere sotto forma di inquietudine «ogni geminazione, animale, umana o vegetale», ogni desiderio e ogni amplesso. La comparsa di Teresa destabilizza l’equilibrio in cui fino ad allora ha vissuto: sia il centauro che il narratore si innamorano della ragazza. L’innamoramento innesca in Trachi un’evoluzione, è il centauro stesso ad affermarlo: «sto mutando, sono mutato, sono diventato un altro».128 Dal «contegno» di Trachi nulla traspare della «tempesta» che lo agita, ma è proprio il narratore a causarne lo «scioglimento». Mentre Trachi è dal maniscalco, i due giovani passeggiano nel bosco, fino al punto più fitto, e lì la ragazza «si stringe» al narratore in un modo che gli toglie ogni dubbio. Il centauro non fa ritorno a casa e la sua

126 Ivi, p. 113. 127 Ibidem. 128 Ivi, p. 119.

93 vicenda è ricostruita faticosamente dal narratore: dalla bottega del maniscalco Trachi avverte qualcosa che lo turba fortemente, diventa sempre più inquieto finché non rompe le catene che lo immobilizzano e fugge. Come in preda ad una furia irrompe in diverse stalle e rapisce in ognuna una cavalla, che viene trovata sfinita in qualche bosco poco dopo. Attraversa l’Italia intera, da nord a sud, poi si perdono le sue tracce, salvo l’avvistamento di «un uomo a cavallo di un delfino» che si dirige verso levante, al largo di Corfù. Il narratore è consapevole di aver «male operato» nei confronti dell’amico centauro, ma si assume la responsabilità dell’accaduto solo parzialmente:

Eppure so che la mia colpa non è piena, né lo è quella di Teresa. Trachi era fra noi: eravamo immersi nella sua aura, gravitavamo nel suo campo. So questo, poiché io stesso ho visto, dove lui passava, schiudersi anzitempo i fiori, ed il loro polline volare nel vento della sua corsa.129

In tale considerazione è ravvisabile nuovamente il sentimento ambivalente del narratore: malgrado il centauro sia stato per anni un suo compagno di vita, resta per lui una creatura dotata di una forza sinistra, ancestrale e misteriosa. La narrazione, come è stato osservato da Pianzola, è impostata su un tono scientifico-didascalico nelle prime pagine e un tono cronachistico nell’epilogo; in questa esposizione apparentemente impersonale e «pseudo scientifica» si inseriscono degli spiragli che lasciano emergere il coinvolgimento emotivo del narratore, il suo trasporto verso l’oggetto del discorso. Ad esempio:

Temo che alcuni fra i lettori di queste note potranno rifiutare credenza a queste affermazioni, poiché la scienza ufficiale, imbevuta ancor oggi di aristotelismo, nega la possibilità di unioni feconde fra specie diverse. Ma la scienza ufficiale manca spesso di umiltà; infeconde sono invero tali unioni, […] ma quante volte è stata tentata la prova? […] Poiché non ho ragione di dubitare su quanto di se stesso Trachi mi narrò, devo dunque invitare gli increduli a considerare che vi sono più cose in cielo ed in terra di quante la nostra filosofia ne abbia sognate.130

Una dimostrazione del tono didascalico, invece, si può riscontrare nella sequenza in cui il narratore spiega il funzionamento dell’alimentazione dei centauri: fornisce una spiegazione che concilia l’evidenza del fabbisogno necessario alla loro grande mole con la prassi di assumere cibo tramite una piccola bocca, avvalorandola con

129 Ivi, pp. 120-121. 130 Ivi, pp. 115-116.

94 le testimonianze di opere altrui, secondo la tendenza di Levi a mettere a punto una creatura «che possa esistere». Quanto alla figura del centauro, se è vero che nel racconto è un personaggio a tutto tondo e dinamico, dalla psicologia complessa e difficilmente comprensibile, che si evolve al mutare degli eventi, è ugualmente innegabile che esso funga anche da simbolo. Si è già constatato che il centauro è l’immagine della coesistenza della parte razionale dell’uomo con la parte istintuale, così come il fatto che è l’emblema scelto da Levi per indicare sé stesso e il proprio rapporto con la scrittura. Soffermandosi accuratamente sull’elaborazione del simbolo del centauro, Pianzola nota che «la prima proposta di analogia tra uomo e centauro» risale al racconto Il sesto giorno, progettato nel 1946-47 e finito nel 1957 (pubblicato l’anno seguente),131 mentre il «valore di simbolo della condizione

umana» del centauro è sancito nel 1961 da Quaestio de centauris:

cronologicamente, dunque, è plausibile ritenere che il centauro sia il simbolo che Levi sceglie per dare fondamento al superamento dell’esperienza concentrazionaria e per consolidare il ruolo della propria attitudine scientifica in rapporto all’attività di letterato.132 Nonostante ciò, Pianzola ritiene che sia difficile accettare il centauro come simbolo definitivo dell’epistemologia e dell’etica di Levi, e che sia più opportuno considerarlo come «una tra le figure dell’enciclopedia della creazione, uno dei simboli di cui l’autore si serve per esemplificare la complessità della natura umana e delle relazioni con il mondo e con gli altri».133 Il centauro è «una figura di

compromesso» in cui si esprime la tensione continua «fra cupidigia e continenza, fra desiderio e razionalità»134 ed è, in aggiunta, «una forma dinamica che spinge

ogni essere umano che incontri tale simbolo a interrogarsi sulla propria esistenza».135 Quanto alla posizione autoriale evincibile dalla narrazione, Pianzola

rileva una continua oscillazione tra un’attitudine razionale, che aspira a spiegare ogni cosa, e una «fascinazione per la fecondità dell’unione di due alterità».136

Anche questo è un atteggiamento ambivalente che incarna bene la miscela di

131 In riferimento all’uomo: «Che sarà di questa creatura? Sarà duplice, sarà un centauro, uomo fino

ai precordi e di qui belva» in Levi, Il sesto giorno, in Tutti i racconti, cit., p. 151.

132 Pianzola, Le «trappole morali» di Primo Levi, cit., p. 309. 133 Ivi, p. 310.

134 Ivi, p. 326. 135 Ivi, p. 317. 136 Ivi, p. 312.

95 principi divergenti compresenti nell’uomo, e che di nuovo conduce ad esaminare l’ibridismo radicato in Levi. Il racconto di finzione, pertanto, è il luogo in cui si palesa la contraddizione tra ragione e immaginazione, ed è simultaneamente il palcoscenico in cui tale contrasto è neutralizzato, in cui i due opposti possono affiancarsi e convivere. La curiosità di Levi verso ogni combinazione possibile, verso la mescolanza e l’impuro, che gli deriva in parte dal suo mestiere di chimico, si riflette nella sua scrittura e nel suo interesse per la creazione di nuove forme di vita.

Al panorama di «panspermía» descritto in Quaestio de centauris, all’aura di fecondità che permette l’unione tra specie diverse persino per mezzo di un fugace contatto, alla storia delle origini delle creature ibride e al brulicare del desiderio, si collega inevitabilmente un altro racconto incentrato sull’ibridismo e in special modo sulla nascita degli ibridi, Disfilassi.137 Il racconto è ambientato circa un secolo dopo la fine del secondo conflitto mondiale,138 in un’epoca dominata dal fenomeno della «disfilassi», ovvero l’annullamento di ogni difesa immunitaria, compresa quella che impedisce l’incrocio tra specie diverse. La disfilassi è la conseguenza dell’abuso da parte dell’uomo dell’«ipostenone», una sostanza che elimina ogni forma di rigetto nei trapianti di organi, che una volta entrata nel ciclo vitale della natura è inestinguibile:

E così anche le difese immunitarie che un tempo impedivano gli incroci fra specie diverse erano deboli o nulle: nulla vietava di farti impiantare gli occhi di un’aquila o lo stomaco di uno struzzo […] ma in compenso qualunque seme, animale, vegetale o umano, che il vento o l’acqua o un incidente qualsiasi portassero a contatto con un qualunque ovulo, aveva buone probabilità di dare origine a un ibrido.139

Il tema della disfilassi sta particolarmente a cuore alla protagonista del racconto, Amelia, «di razza sostanzialmente umana», nelle cui vene scorre per un ottavo linfa vegetale: la sua bisnonna paterna ha commesso un’imprudenza ed è stata fecondata da polline di larice, per cui la nonna di Amelia, seppure prevalentemente umana, è una «disfilattica». All’inizio del racconto Amelia si prepara a sostenere un esame

137 Levi, Disfilassi, in Tutti i racconti, cit., pp. 675-682.

138 La nonna materna della protagonista Amelia era giovane nel «buon tempo antico» che ha

«regalato all’umanità due guerre mondiali»; Amelia riflette sul fatto che da più di un secolo l’umanità si è «ubriacata di profezie catastrofiche», tra cui la morte nucleare, la crisi energetica, l’esplosione demografica. Ivi, pp. 675 e 681.

96 di storia, che però non avrà un esito ottimale: il professore Mancuso le chiede di parlare di ciò che preferisce e lei sceglie il tema della disfilassi, argomento che non entusiasma il docente, che per di più ha dei comportamenti che ricordano quelli dei criceti (si muove convulsamente e rosicchia una noce durante l’interrogazione della ragazza). Per Amelia è ingiusto che non si parli abbastanza di questo fenomeno: Come potevano, i giovani d’oggi, conoscere se stessi se non conoscevano le proprie radici? Come potevano chiudersi a quello che a lei appariva aperto? […] eccitata e sorpresa, udiva la sua voce descrivere il fantastico universo di semi, di germi e di fermenti in cui l’uomo vive senza accorgersene, il pullulare di pollini e di spore nell’aria che respirano ad ogni istante, di potenze mascoline e femminine nelle acque dei fiumi e dei mari.140

Al termine dell’esame Amelia si incammina per un sentiero nel bosco, dove riesce a calmarsi e continua a riflettere. Nell’opinione della ragazza il mondo prima della disfilassi doveva essere «insipido», grigio e pieno di noia, mentre nel mondo attuale molti giovani sono come lei e «si accendono di desiderio» davanti «ai fiori, alle piante, a qualunque animale».

Certo c’erano anche i rosicchiamenti di Mancuso (forse non era che un maleducato), ma ogni anno, ogni giorno, nascevano specie nuove, più in fretta di quanto l’esercito dei naturalisti gli potesse trovare un nome […]. Perché non sperare nel meglio? Perché non confidare in una nuova selezione millenaria, in un uomo nuovo, rapido e forte come la tigre, longevo come il cedro, prudente come le formiche?141

Non è certo, quindi, se l’infrangimento delle barriere tra specie conseguente alla disfilassi sia un bene oppure un male, ma Amelia spera di sicuro nel bene, in un rinnovamento della specie umana che è anche un miglioramento. Pianzola sostiene, infatti, che Levi sfrutti il potenziale creativo del racconto di finzione «per rendere presente all’immaginazione un futuro in cui gli uomini hanno abbandonato una visione antropocentrica», in cui non hanno paura di ascoltare i propri desideri e riconoscono l’attrazione del diverso;142 il desiderio di cui parla Amelia, inoltre,

sarebbe il primo passo verso il dialogo e l’incontro tra nature differenti, come mostra il finale del racconto in cui la ragazza abbraccia un ciliegio che le sembra rispondere con una pioggia di fiori.143 La narrazione, in terza persona, è focalizzata

140 Ivi, p. 679. 141 Ivi, p. 681.

142 Pianzola, Le «trappole morali» di Primo Levi, cit., p. 336. 143 Ivi, p. 337.

97 sui pensieri di Amelia: la ragazza compare immediatamente nella frase d’apertura del racconto, direttamente con il nome proprio, e le informazioni sul contesto in cui si colloca la vicenda si presentano successivamente, secondo un meccanismo niente affatto dissimile da quello con cui è introdotto in Cena in piedi il canguro Innaminka:

Amelia sapeva bene che non tutte le ore del giorno si prestano ugualmente bene per studiare.144

Nella prima parte della narrazione figurano la nonna materna Letizia, che rimpiange il «buon tempo antico», e la nonna paterna Gianna, ormai defunta, con cui Amelia non aveva un buon rapporto: personaggi del tutto secondari che, però, hanno la funzione di inquadrare al meglio il contesto storico e famigliare della protagonista. Altri personaggi con cui Amelia interagisce sono il fidanzato Fabio, che si affaccia sulla scena brevemente prima dell’esame, e il professore Mancuso. Il primo non ha una vera e propria rilevanza per il proseguire dell’azione narrativa, ma completa il