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Umani e altri esemplari: personaggi finzionali e non finzionali nei racconti di Primo Levi

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

Umani e altri esemplari: personaggi finzionali e non finzionali nei

racconti di Primo Levi

CANDIDATO RELATORE

Alessia Manzo

Prof.ssa Cristina Savettieri CONTRORELATORE Prof. Raffaele Donnarumma

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1

INDICE

INTRODUZIONE

………...2

1. PRIMO LEVI SCRITTORE DI RACCONTI

………5

1.1 Le raccolte………..16

1.2 Fantascienza?...21

1.3 Accoglienza………....26

2. LA QUESTIONE DEL PERSONAGGIO NEI

RACCONTI

………...31

2.1 Metà uomini e metà fantasmi: breve storia della nozione di personaggio………37

3. PERSONAGGI FINZIONALI: NON SOLO ESSERI

UMANI

………..50

3.1 L’inanimato diventa animato………..51

3.2 Una presenza costante: gli animali……….65

3.3 La forza dell’ibrido……….89

4. PERSONAGGI UMANI

………...99

4.1 Personaggi finzionali………100

4.2 Personaggi non finzionali……….128

4.3 L’«autore-protagonista»: tra finzione narrativa ed esperienza………...160

CONCLUSIONI

………..171

(3)

2

INTRODUZIONE

Il presente lavoro si propone di analizzare le modalità di rappresentazione dei personaggi nei racconti di Primo Levi, uno scrittore poliedrico e complesso che a lungo è stato letto quasi esclusivamente in chiave testimoniale. Benché l’autore torinese si sia affermato innanzitutto come il testimone per eccellenza dello sterminio ebraico, all’interno del suo percorso letterario non si trova solamente l’esperienza concentrazionaria: oltre che un deportato e un sopravvissuto, Primo Levi è stato un chimico e uno scrittore, un narratore orale e un uomo di pensiero, un etologo a suo modo e un appassionato di linguistica. In tutto il suo itinerario di scrittore ha lavorato contemporaneamente su più versanti tematici e ha sperimentato molteplici generi testuali: si pensi, ad esempio, che di ritorno dalla prigionia ha scritto in primo luogo poesie e racconti di memoria, in risposta all’esigenza di liberarsi e di testimoniare, ma anche racconti d’invenzione. La narrazione breve, infatti, è la forma privilegiata della sua scrittura e la maggior parte dei suoi libri derivano dal montaggio di brevi tessere narrative o veri e propri racconti; molte di queste storie, inoltre, hanno un’origine orale o occasionale: non di rado la narrazione si dispiega intorno ad un dettaglio, un evento particolare oppure uno specifico personaggio. Se variegato è, quindi, il catalogo delle forme narrative impiegate di volta in volta dallo scrittore, altrettanto ricco è il campionario dei personaggi che popolano le opere di un autore nella cui produzione la scrittura autobiografica si alterna e si intreccia costantemente con la scrittura di finzione: nel paese letterario dei personaggi di Levi figure umane esistenti o realmente esistite convivono con innumerevoli figure immaginarie, tra le quali si annoverano persino entità non appartenenti al genere umano.

Nel primo capitolo si ripercorreranno le tappe dell’itinerario che ha condotto Levi ad essere riconosciuto – piuttosto tardivamente – come scrittore, si presenteranno le peculiarità della sua scrittura, insieme ai temi e alle forme che caratterizzano le sue raccolte di racconti e si considererà infine l’accoglienza riservata ad esse. A partire dal secondo capitolo, si introdurrà la questione del personaggio nei racconti di Levi e ci si soffermerà, prima di analizzare puntualmente i singoli personaggi, sulla storia della nozione di personaggio e sul suo significato. Dare una definizione precisa e univoca della nozione di personaggio, in effetti, è più difficile di quanto

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3 possa apparire: essa sembra sfuggire a categorizzazioni troppo nette ed è essenzialmente ibrida, compartecipe di una natura sia segnica che illusionistica. Alcune considerazioni generali sul personaggio saranno impiegate, in seguito, nell’analisi della costruzione dei personaggi dei racconti presi in esame: è questo il cuore della tesi, che si articolerà in un capitolo sui personaggi finzionali non umani e un capitolo sui personaggi umani, sia finzionali che non finzionali.

Il terzo capitolo, pertanto, è incentrato sui personaggi non umani, che possono essere classificati in tre diverse tipologie: l’animato che prende vita, gli animali, le creature ibride. Al primo gruppo appartengono le entità che più si allontanano da una concezione antropomorfica del personaggio: partecipano all’azione narrativa e interagiscono con i personaggi umani, addirittura fungono da loro antagonisti mettendoli in crisi; sono dei soggetti agenti, seppure visti sempre dall’esterno e attraverso un occhio umano. Un po’ diversa è la condizione dei personaggi del secondo raggruppamento, quello degli animali, di cui Levi adotta talvolta il punto di vista o a cui dona la facoltà di parola, cogliendo l’occasione per gettare uno sguardo inusuale sul mondo degli uomini. Quella degli animali è una presenza costante nelle opere di Levi, che fin da bambino prova curiosità per la zoologia: in alcuni racconti gli animali hanno significati simbolici o sono esclusivamente oggetto del discorso; in altri agiscono, sviluppano particolari forme di comunicazione per interloquire con gli esseri umani oppure rivolgono discorsi ai propri simili, rispondono alle domande dell’uomo in una serie di interviste immaginarie. Nel terzo raggruppamento dei personaggi non umani confluiscono, infine, creature che sono più vicine all’uomo, pur essendo degli ibridi: il centauro Trachi, uno dei protagonisti di Quaestio de centauris nonché personaggio a tutto tondo, ne è l’emblema. L’ibridismo, del resto, è presente ovunque nell’opera di Levi, che per primo si sente un anfibio e un centauro.

Partendo dall’osservazione del ruolo che occupano nella narrazione soggetti agenti con pochi tratti antropomorfici e passando in rassegna la costruzione di figure che hanno via via caratteristiche più vicine a quelle umane, la trattazione giunge finalmente ai personaggi umani, che saranno oggetto del quarto capitolo. La distinzione tra personaggi finzionali e personaggi non finzionali risulta portante, in quanto si riscontrano delle differenze nelle modalità di rappresentazione dei

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4 personaggi di queste due tipologie. Se una prima differenza è nel modo in cui personaggi finzionali e personaggi non finzionali richiamano le categorie del pensiero morale, certamente i personaggi di questi due gruppi si distinguono anche e soprattutto per la diversa autonomia di cui rispettivamente godono e per il differente grado di libertà che concedono all’autore. Per i personaggi finzionali umani poco cambia rispetto ai personaggi non umani; sono introdotti solitamente mentre svolgono un’azione oppure sono assorti in un ragionamento e sono caratterizzati progressivamente, non sempre in modo diretto: più che la storia alle spalle del personaggio contano le sue azioni in uno spazio narrativo abbastanza limitato. Nei riguardi delle figure non finzionali, invece, Levi ha degli scrupoli che non può ignorare: si preoccupa di fornire coordinate precise sulla storia generale del personaggio, sulla posizione che questo occupa nel contesto in cui è ambientata la narrazione, ad esempio nella gerarchia del Lager; ne osserva i comportamenti e il temperamento, si sofferma sovente su dettagli fisici. La sua mano è maggiormente vincolata, però, nella rappresentazione delle persone che sono ancora in vita, soprattutto se si tratta dei suoi famigliari: gli accenni saranno in tal caso veloci ed elusivi. Tra i personaggi non finzionali rientra, oltretutto, il narratore dei racconti su base autobiografica, cioè Levi stesso: alla singolare posizione dell’autore-protagonista sarà dedicato, perciò, l’ultimo paragrafo del capitolo sui personaggi umani.

Accanto alla riflessione sulla difficoltà di inventare un personaggio si pone, dunque, negli stessi racconti di Levi e negli elzeviri, oltre che nelle sue dichiarazioni in varie interviste, una meditazione continua sulla problematicità di trasformare una persona in un personaggio, sul rischio che la persona rappresentata non sia conforme all’uomo o alla donna a cui dovrebbe corrispondere, sulla traumaticità di vedersi ritratti in un’immagine diversa da quella che ci si aspetta. È questo un rischio insito nella trasposizione di una persona reale nella pagina scritta, un aspetto della dialettica tra scrittura e realtà che porta inevitabilmente ad indagare la flessibilità dei confini tra finzione narrativa ed esperienza: una questione insidiosa su cui Levi non smette di interrogarsi e su cui non possiamo fare a meno di interrogarci con lui.

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5

1. PRIMO LEVI SCRITTORE DI RACCONTI

È incontrovertibile la constatazione che a consacrare nel panorama culturale italiano uno scrittore poliedrico e fecondo quale Primo Levi sia stata, pur non nell’immediatezza della sua prima pubblicazione, un’opera memorialistica. Se questo è un uomo rappresenta una delle testimonianze più note e autorevoli dell’universo concentrazionario: un lucido resoconto della sopravvivenza nel Lager ma anche un prezioso documento di tipo storico e antropologico contraddistinto da un enorme valore letterario. Levi stesso ammette in diverse occasioni che senza Auschwitz probabilmente non sarebbe diventato uno scrittore;1eppure, la sequenza testimone-scrittore, che l’autore suggerisce e che si è imposta nella critica per decenni, offre una rappresentazione «limitativa e fuorviante dell’itinerario effettivamente seguito da Levi», come scrivono Fabio Levi e Domenico Scarpa nella presentazione del volume Lezioni Primo Levi (2019).2

Solo dopo i quarantacinque anni, infatti, Levi comincia a percepirsi come scrittore, precisamente in seguito alla pubblicazione del suo secondo libro (1963), quando il «mestiere di scrivere» - che tuttavia non considera un vero mestiere – inizia a prevalere sul suo «mestiere “ufficiale” di chimico».3 L’anno di pubblicazione del Sistema periodico, il 1975, segna poi un momento decisivo nel suo percorso letterario: è l’anno in cui va in pensione dalla Siva per potersi dedicare interamente alla scrittura.4 L’affermarsi dell’autore torinese innanzitutto come testimone per

eccellenza dello sterminio del popolo ebraico, tuttavia, si ripercuote sul suo essere riconosciuto come scrittore vero e proprio. Tale circostanza si verifica sia in Italia che negli altri paesi nei quali i suoi libri sono tradotti e diffusi, con l’eccezione degli Stati Uniti, in cui con la traduzione del Sistema periodico nel 1984 «il grande

1 Si considerino ad esempio le seguenti dichiarazioni: «mi sono trovato a scrivere per caso, com’è

noto […] perché avevo delle cose da raccontare» e «oso affermare che se non avessi vissuto la stagione di Auschwitz probabilmente non avrei scritto nulla», in P. Levi, Opere complete, III, a cura di M. Belpoliti, Torino, Einaudi, 2018, pp. 71 e 189.

2 Lezioni Primo Levi, a cura di F. Levi e D. Scarpa, Milano, Mondadori, 2019, p. V. Il volume

raccoglie le dieci lezioni annuali proposte a partire dal 2009 dal Centro Internazionale di Studi Primo Levi, pubblicate singolarmente tra il 2010 e il 2019.

3 P. Levi, Itinerario di uno scrittore ebreo (1984), in P. Levi, Opere complete, II, a cura di M.

Belpoliti, Torino, Einaudi, 2016, p. 1573.

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6 scrittore» si rivela prima che il racconto del testimone raggiunga il vasto pubblico.5 Dopo questa data, a partire dal successo americano del Sistema periodico, l’interesse verso l’opera di Levi si accresce anche al di fuori dei confini degli Stati Uniti. Quanto alla riflessione da parte della critica, piuttosto tardivamente e in modo particolare nell’ultimo ventennio è maturata la consapevolezza che Levi sia uno scrittore prima ancora che un testimone e che abbia operato su più fronti letterari parallelamente alla stesura delle opere testimoniali. Come rileva Daniele Del Giudice nell’introduzione ai volumi delle Opere di Levi, pubblicati per la prima volta nel 1997, se il testimone è un narratore sopravvissuto a quello che racconta, vale anche il reciproco: «il sopravvissuto sarà necessariamente un narratore testimone».6 Riconoscere in Levi un grande narratore e scrittore non significa, però, ridurre la portata della sua funzione testimoniale né escludere il riferimento al Lager nell’indagare le peculiarità della sua scrittura; vuol dire, invece, riconoscere la sua grandezza proprio in virtù di quello che ha raccontato e della forma in cui l’ha fatto; riconoscere, con le parole di Del Giudice, che Levi «è grande non a prescindere dal suo tema, da uno dei suoi temi, ma proprio per questo, e per la forma nella quale l’ha narrato».7

Che Levi sia uno scrittore a tutti gli effetti, e per di più un grande scrittore, è un’acquisizione ormai consolidatasi, in conseguenza del lavoro di una schiera di critici che hanno esaminato e valutato la sua opera prestando eguale attenzione al testimone e al narratore. Le riletture dell’opera leviana iniziano all’indomani della sua scomparsa: ai saggi di Cesare Cases, Cesare Segre e Pier Vincenzo Mengaldo, che tra il 1987 e il 1990 accompagnano la pubblicazione dei testi di Levi nella collana einaudiana della «Biblioteca dell’Orsa», si affiancano diversi studi, tra cui quelli di Giovanni Tesio e Giuseppe Grassano, che confluiscono nel 1997 in un’antologia della critica curata da Ernesto Ferrero. Nel medesimo anno la rivista «Riga» dedica al Levi scrittore, narratore e poeta un volume curato da Marco Belpoliti, a cui collaborano Mario Porro, Stefano Bartezzaghi, Alberto Cavaglion, Domenico Scarpa e molti altri: è il tredicesimo numero della rivista, che raccoglie

5 Lezioni Primo Levi, cit., p. V.

6 D. Del Giudice, Introduzione (1997), in P. Levi, Opere complete, I, a cura di M. Belpoliti, Torino,

Einaudi, 2016, p. XIII.

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7 alcuni testi e conversazioni dell’autore, insieme a numerosi contributi sui vari aspetti della sua scrittura e i suoi molteplici campi di interesse. Con l’avvio del lavoro di «Riga», Belpoliti – che è anche il curatore dei volumi delle Opere, ristampati e aggiornati come Opere complete – comincia a riflettere sull’unicità e la straordinarietà della scrittura di Levi in un’ottica che va oltre la figura del testimone; il frutto del lavoro ventennale di Belpoliti sull’opera dello scrittore confluisce poi nella stesura di un vasto profilo critico, in cui prova a mettere a fuoco tutte le facce di quel «poliedro» che è Primo Levi:

Se si prova a elencare in modo sommario solo alcune di queste facce, bisogna parlare di lui come di un testimone e insieme di uno scrittore, del chimico e del linguista, dell’etologo e dell’antropologo; poi ci sono le facce del diarista e dello scrittore autobiografico, del narratore orale, dello scrittore politico, dello scrittore ebraico, dell’autore italiano e di quello piemontese; e ancora ci sono: il poeta, l’autore di racconti e quello di romanzi e di aforismi.8

Nell’itinerario di scrittore di Levi, oltre all’esperienza di Auschwitz, un ruolo fondamentale occupa la sua esperienza di chimico. Come l’autore dichiara in una conferenza del 1976, al mestiere di chimico, che ad Auschwitz gli ha permesso di lavorare «al coperto» negli ultimi mesi, deve la vita;9 dalla chimica Levi non ha ricavato solamente un bagaglio di nozioni pratiche, ha anche imparato a confrontarsi con le due esperienze che fanno maturare l’uomo – il successo e l’insuccesso – e ha tratto una serie di abitudini mentali che si ritrovano nelle sue opere: osservare, analizzare, misurare, pesare. È dal mestiere di chimico che l’autore afferma, oltretutto, di aver appreso a «scrivere in modo economico», cioè «preciso e conciso».10 Anche in questo caso la sequenza chimico-testimone-narratore, che cronologicamente sembrerebbe ineccepibile, può essere ridimensionata: secondo Del Giudice, infatti, Levi riesce a dare al suo primo libro la forma che gli dà «non perché è un chimico, ma al contrario perché è fin da subito un narratore, uno scrittore, formato, certo, anche scientificamente, che “scrive” mentalmente l’esperienza del Campo nel tempo stesso in cui la vive».11 Nella

8 M. Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo (2015), Milano, Guanda, 2019, p. 15. 9 Lo scrittore non scrittore (1976), in Opere complete, II, cit., p. 1393.

10 M. Mentasti, «Non sono uno scrittore che scrive per sé, ma per chi mi legge», «Azione», 28

giugno 1984, in Opere complete, III, cit., p. 458.

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8 scrittura di Levi, che non esita a dipingersi come un uomo diviso che si identifica con la figura del «centauro», la scienza si incontra con la letteratura, la zoologia con la linguistica, la memoria con l’invenzione. Nella sua persona convergono inclinazioni e identità differenti, l’italiano e l’ebreo, il chimico e lo scrittore, il deportato e il superstite, il testimone e il narratore: un narratore che è prima orale e poi scrittore, principalmente un narratore breve e di conseguenza uno scrittore di racconti.

Su quest’ultimo punto si sofferma in misura considerevole Belpoliti, il quale sostiene che Levi sia «prima di tutto uno scrittore di racconti, che predilige la scrittura di brevi tessere narrative»12 e afferma che fosse già tale prima di essere deportato ad Auschwitz:

Che Levi sia uno scrittore di racconti è evidente anche dalla lettura di Se questo è un uomo e La tregua; lui stesso ha più volte dichiarato di averne scritti già prima della deportazione ad Auschwitz, di uno conosciamo anche l’argomento: «un uomo che viveva fuori del tempo, penetrava nel tempo, veniva trascinato nel tempo».13

Anche le opere memorialistiche, infatti, mettono insieme all’interno di una cornice ben definita capitoli parzialmente conchiusi che hanno l’ossatura del racconto breve. Di ritorno dal Lager, Levi sente il bisogno intenso di raccontare quello che ha vissuto, sia per soddisfare l’urgenza di liberarsi sia per assolvere al dovere di testimoniare: un’esigenza che si manifesta fin dai giorni della detenzione nei sogni dei prigionieri, che subito si trasformano in incubi per il timore di non essere ascoltati e creduti.14 Inizia a raccontare, quindi, prima a voce e poi attraverso la scrittura; l’autore stesso considera “racconti” le pagine sul Lager che ha scritto in seguito al ritorno dalla prigionia, quando ancora non si rende conto che quello che gli sta crescendo tra le mani può diventare un libro:

12 Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 129.

13 Ivi, p. 203. Belpoliti cita da F. Camon (1987). Levi parla di questo racconto giovanile, rimasto

incompiuto, in una delle ultime conversazioni con G. Tesio, in Opere complete, III, cit., p. 1055.

14 Levi stesso riferisce che questo sogno lo ha angosciato più volte nel Lager e che era comune a

molti prigionieri, ad esempio in P. Levi, Se questo è un uomo (1958), in Opere complete, I, cit., pp. 182-183 e P. Levi, I sommersi e i salvati (1986), in Opere complete, II, cit., p. 1147.

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9 Avevo scritto dei racconti al ritorno dalla prigionia. Li avevo scritti senza rendermi conto che potesse essere un libro. I miei amici della Resistenza dopo averli letti mi dissero di “arrotondarli”, di farne un libro.15

A conferma di ciò verte il fatto che alcuni capitoli di Se questo è un uomo e persino i rispettivi sottocapitoli sono stati pubblicati su «L’amico del popolo» separatamente; per di più, non sono stati scritti secondo l’ordine cronologico degli episodi narrati ma secondo l’«ordine di urgenza», come Levi afferma in un’autopresentazione comparsa su «L’Italia che scrive» nell’ottobre del 1947.16 Il

lavoro di raccordo all’interno di una struttura più ampia, in effetti, è stato svolto «su piano ed è posteriore»,17 si pensi ad esempio che il capitolo che è posto per ultimo nel libro è in realtà stato scritto per primo: il dattiloscritto di Storia di dieci giorni porta la data, di pugno dell’autore, di febbraio 1946. Considerazioni analoghe valgono per La tregua, costruito riunendo i racconti sul viaggio di ritorno fatti prima oralmente e poi per iscritto, come è accaduto per Se questo è un uomo, con la differenza che adesso Levi ha la consapevolezza di scrivere un libro. A tal riguardo possiamo notare, con Belpoliti, che i capitoli che risultano scritti per primi nella cronologia del quaderno su cui Levi ha composto La tregua stanno in piedi anche da soli, come singoli racconti (Il greco e Una curizetta).18

Una volta rientrato dal campo di sterminio, dunque, le prime prove letterarie dello scrittore sono poesie e racconti, sia relativi all’esperienza concentrazionaria sia d’invenzione. I Mnemagoghi, ad esempio, racconto posto ad apertura delle Storie naturali (1966), è scritto nel 1946 e pubblicato sull’«Italia Socialista» nel 1948; nello stesso anno, sulla medesima rivista esce Maria e il cerchio, che con qualche ritocco confluirà nel Sistema periodico con il titolo di Titanio, mentre i racconti che fungono da anticipazione di Se questo è un uomo compaiono nel 1947 su «L’amico del popolo».19 Ancora Belpoliti fa presente che i compagni di università di Levi ricordano di aver ascoltato un racconto a voce riguardo alla storia di un atomo di

15 Intervista collettiva intitolata Come ho pubblicato il mio primo libro (N. Orengo, 1985), citata in

Belpolti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 36.

16 Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 39.

17 Ibidem.

18 Ivi, pp. 142-143.

19 Il viaggio, 29 marzo 1947; Sul fondo, 5 aprile 1947; Häftling, 17 maggio 1947 (nel libro sarà un

sottocapitolo di Sul fondo); Le nostre notti, 24 maggio 1947; Un incidente, 31 maggio 1947 (sarà parte del capitolo Ka-Be).

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10 carbonio;20 un accenno al progetto della stessa, inoltre, è presente in una lettera del 1946 di un compagno di prigionia, Jean Samuel (il «Pikolo» di Se questo è un uomo),21 segno ulteriore che la vocazione narrativa di Levi sia precedente all’esperienza concentrazionaria. La storia dell’atomo di carbonio diventerà l’ultimo capitolo del Sistema Periodico ma, come anticipato, non è l’unico caso di inclusione all’interno del libro di un’idea esposta a voce o di un breve testo già edito: oltre al racconto orale sull’atomo di carbonio e a Maria e il cerchio, va incontro ad un’identica sorte Turno di notte, pubblicato su «L’Unità» nel 1950, che diventerà il capitolo Zolfo, laddove La carne dell’orso, apparso su «Il Mondo» nel 1961, formerà il nucleo centrale di Ferro.

D’altronde molti dei racconti messi insieme nelle Storie naturali sono pubblicati precedentemente sulle pagine del «Mondo» o del «Giorno», così come le storie di Lilít e altri racconti (1981), prima di essere raccolte in volume, sono pubblicate su riviste e quotidiani. Levi, effettivamente, scrive brevi pezzi narrativi e saggistici per l’intero corso della sua vita, dando una forma a quella ispirazione che con lui possiamo definire «intuizione puntiforme»,22 senza rinunciare tuttavia a raccoglierli e sistemarli in seguito in progetti dalla struttura ben meditata. A tal proposito, sempre Belpoliti nota che fino a Se non ora quando? (1982) i libri narrativi di Levi sono tutti composti di racconti, sono il risultato del montaggio di testi pensati e scritti precedentemente, riadattati secondo un disegno generale maturato con lentezza;23 la tendenza di Levi a perseguire la raccolta e a inventare cornici in cui «racchiudere» le sue storie sarebbe, in aggiunta, una conferma del suo essere un «autore di novelle».24 La propensione a scrivere testi di breve lunghezza e in sé conclusi, dunque, è un tratto caratteristico della tecnica narrativa di Levi, tanto quanto l’abitudine a conferire alla propria opera, in un secondo tempo, una configurazione ordinata. Spesso la narrazione nasce da precisi dettagli o singoli personaggi intorno ai quali si dispiega il filo della storia; un buon numero di

20 Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 352.

21 Lettera di J. Samuel a P. Levi, 24 aprile 1946. Citata in M. Barenghi, Perché crediamo a Primo

Levi? (2013), in Lezioni Primo Levi, cit., p. 183: «Que devient le roman de l’atome de C, que je n’ai

jamais oublié?».

22 L’espressione compare nella lettera di Levi riportata nella presentazione sul risvolto di copertina

della prima edizione delle Storie naturali. In Opere complete, I, cit., pp. 1507-1508.

23 Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 203. 24 Ivi, p. 353.

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11 racconti, poi, è messo per iscritto su consiglio di amici e può vantare un’origine orale, è legato ad un’occasione specifica dell’esperienza personale dell’autore, ad un momento di riflessione o ad un incontro particolare: è nella molteplicità di forme narrative dei racconti che l’autore riesce a ordinare l’esperienza e rivelare, anche attraverso il velo dell’invenzione, verità che riguardano l’essere umano, valide dentro e fuori dal Lager.

Tra le opere leviane che si possono annoverare come libri di racconti un posto singolare occupa certamente il Sistema periodico: un’opera principalmente autobiografica, in cui la voce dello scrittore di memoria e quella dello scrittore d’invenzione si ibridano all’interno di un’architettura incentrata su un tema specifico, il confronto dell’uomo con la materia. Nei ventuno capitoli di questo libro – che nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto essere un libro sul mestiere del chimico – racconti autobiografici e di impianto saggistico si affiancano a veri e propri racconti di finzione. Sebbene intorno alla metà degli anni Sessanta Levi dichiari a Edoardo Fadini di aver tentato di scrivere racconti sulla propria vita in fabbrica con scarsi risultati,25 a distanza di un paio di anni il progetto di quello che sarà il suo quinto libro sembra essersi delineato: come egli afferma in un’intervista rilasciata a Mladen Machiedo, sarà un libro sulle sue esperienze di chimico.26 In tale intervista, del 1968, Levi allude a due racconti che ha già composto per questo proposito, Idrogeno e Carbonio: non si tratta però dei primi due capitoli del futuro libro, bensì del secondo e dell’ultimo. Le storie che costituiscono il Sistema periodico, in verità, hanno una gestazione piuttosto lunga e complessa: in quest’opera confluiscono, come abbiamo osservato, racconti pubblicati oltre vent’anni prima, che non hanno per protagonista l’autore, e idee risalenti ad un tempo altrettanto lontano; non soltanto l’idea della storia dell’atomo di carbonio risale agli anni Quaranta, ma anche Argon, che stando alle dichiarazioni dello scrittore sarebbe stato abbozzato nel 1946:27 il Sistema periodico è, come Levi lo

definisce, un «disseppellimento di cose viste e pensate e, a volte, già scritte».28

25 E. Fadini, Primo Levi si sente scrittore «dimezzato», «L’Unità», 4 gennaio 1966, in Opere

complete, III, cit., p. 18.

26 M. Machiedo, La parola sopravviverà, «Republika», 1969, in Opere complete, III, cit., p. 33. 27 L. Zargani, Il sistema periodico (conversazione del 1975), «Lettera internazionale», 2007, in

Opere complete, III, cit., p. 913.

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12 Anche La chiave a stella (1978) – libro “gemello” del Sistema periodico, perché a Levi i libri vengono «gemellati», cioè a coppie29 – è in fin dei conti un libro di racconti racchiusi in una cornice narrativa precisa; al centro di quest’opera non è la chimica ma l’etica del lavoro e, a differenza del Sistema periodico, l’invenzione è preponderante: il protagonista è un personaggio immaginario, il montatore Libertino Faussone, che racconta al narratore episodi della sua carriera di operaio specializzato. Solamente due capitoli, tuttavia, sono anticipati su «La Stampa» nell’anno precedente alla pubblicazione del libro:30 è il segno che il tempo di

composizione di quest’opera è stato relativamente breve e che qualcosa è cambiato per il Levi scrittore da quando si è congedato dal suo primo mestiere, quello del chimico.

Quanto alle raccolte di racconti propriamente dette, esse hanno un carattere eterogeneo sia per la quantità di temi trattati che per quella delle forme narrative impiegate: Levi utilizza ogni genere a sua disposizione, dal racconto realistico a quello fantascientifico, dalla memoria autobiografica alla novella drammatica, lo “scherzo”, il pastiche, la lettera, il resoconto scientifico, il saggio narrativo. Sperimenta moduli diegetici diversi, dando prova di fine umorismo, affiancando elementi scientifici e mitici, fantasie etologiche e scenari distopici. Tra i modelli dei suoi racconti, l’autore annovera in un’intervista del 1972 Verne, Wells, Swift e Butler, accanto a cui si potrebbero citare anche Conrad e Melville, che egli nomina in altre occasioni,31 e senza dubbio la letteratura scientifica: numerosi spunti sono tratti dalla lettura della rivista «Scientific American», sia nella versione originale che nella versione italiana «Le Scienze».32 Con sconcerto dei critici, per di più, lo scrittore indica come suo modello letterario il rapporto di fabbrica di fine settimana:

29 Cfr. alcune dichiarazioni di Levi in Opere complete, III, cit., pp. 83, 114, 380. Il gemello del

Sistema periodico doveva essere un libro sul mondo della chimica organica, di cui Carbonio

costituisce idealmente il primo capitolo, ma il proposito non va oltre pochi appunti e il titolo: Il

doppio legame.

30 «Meditato con malizia» e La coppia conica sono pubblicati su «La Stampa» rispettivamente a

marzo e agosto del 1977.

31 A. Barberis, Nasi storti, «Corriere della Sera», 27 aprile 1972, in Opere complete, III, cit., p. 50;

nomina Conrad e Melville insieme ad altri scrittori in Opere complete, III, cit., pp. 563, 600, 787.

32 E. Mattioda, Levi, Roma, Salerno Editrice, 2011, pp. 88-99: Mattioda rintraccia le fonti ispiratrici

dei racconti fantascientifici compiendo uno spoglio delle annate della rivista «Scientific American» dal 1966 al 1983.

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13 La matrice scientifica impone i suoi diritti. Ho talvolta scandalizzato i critici confessando che il mio modello letterario, in fondo, è il «rapportino di fine settimana» in uso nell’industria, dove bisogna dire tutto nel minor spazio possibile, e in modo che sia comprensibile a inferiori e superiori. Concisione e precisione.33

La scrittura di racconti, dunque, permette a Levi di «tenere aperte le diverse vocazioni narrative che sente proprie»,34 è il laboratorio in cui si esprime la ricerca

di un’identità narrativa, lo spazio in cui sembra palesarsi per la prima volta la scissione tra la sua immagine di testimone e quella di scrittore di finzione. Buona parte dei racconti compresi nella sua prima raccolta, infatti, sono composti precedentemente o contestualmente alla Tregua (1963): l’autore ritiene, tuttavia, che la loro eventuale pubblicazione in volume in contemporanea col suo secondo libro sarebbe un «gemellaggio poco comprensibile».35 Quest’ultimo è anche uno dei motivi per cui Storie naturali vede la luce nel 1966 sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila. Al momento della pubblicazione del volume, quando La tregua è sul mercato librario da pochi anni, Levi accoglie la proposta del direttore commerciale dell’Einaudi, Roberto Cerati, di apporre un altro nome sul frontespizio della raccolta; lo pseudonimo finirebbe per avere «una carica simpatica e utile»:

Simpatica perché sottintenderebbe nell’autore un vezzo, un estro, una ritrosia, un gentile

pudore che, lungi dal relegare una qualsiasi parte del suo ingegno ad una scala di valori minori o maggiori, semplicemente li diversificherebbe sul piano della offerta ai suoi amici lettori. […]

Utile perché è ben più facile fare leva e presa sul lettore della Tregua con uno

pseudonimo-fantascienza, che viceversa. Del resto, non sarebbe possibile vendere un Levi-fantascienza ammiccando ad un Levi-Tregua.36

Alla base di tale decisione risiede plausibilmente una convinzione più generale, che sarà superata col passare degli anni, ovvero che i racconti di finzione di Levi non siano all’altezza delle sue opere testimoniali. Sono definiti, non a caso,

33 G. Martellini, Io sono un centauro, «Il Gazzettino», 12 giugno 1984, in Opere complete, III, cit.,

p. 452. Lo afferma già in una conferenza del 1976: Lo scrittore non scrittore, cit., in Opere complete, II, cit., p. 1394.

34 Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 205.

35 P. M. Paoletti, «Sono un chimico, scrittore per caso», «Il Giorno», 7 agosto 1963, in Opere

complete, III, cit., p. 11.

36 Lettera di R. Cerati a P. Levi, 1° agosto 1966. Citata in F. Cassata, Fantascienza? (2016), in

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14 «divertimenti» nella quarta di copertina e nella prima riga del risvolto, di mano di Italo Calvino, che lascia comunque trapelare la vera identità dell’autore:

I quindici «divertimenti» che compongono questo libro ci invitano a trasferirci in un futuro sempre più sospinto dalla molla frenetica del progresso tecnologico, e quindi teatro di esperimenti inquietanti o utopistici, in cui agiscono macchine straordinarie e imprevedibili. Eppure non è sufficiente classificare queste pagine sotto l’etichetta della fantascienza. […] L’autore è un chimico, e la sua professione traspare dall’interesse per come sono fatte le cose dentro, per come si riconoscono e si analizzano.37

Certamente più significative sono, però, le parole di una lettera dello stesso Levi all’editore, citata nel medesimo risvolto:

Parlare dei miei racconti mi mette in un certo imbarazzo; […] Ho scritto una ventina di racconti e non so se ne scriverò altri. Li ho scritti per lo più di getto, cercando di dare forma narrativa ad una intuizione puntiforme, cercando di raccontare in altri termini (se sono simbolici lo sono inconsapevolmente) una intuizione oggi non rara: la percezione di una smagliatura nel mondo in cui viviamo, di una falla piccola o grossa, di un «vizio di forma» che vanifica uno od un altro aspetto della nostra civiltà o del nostro universo morale. […] Certo, nell’atto in cui li scrivo provo un vago senso di colpevolezza, come di chi commette consapevolmente una piccola trasgressione. Quale trasgressione? […] io sono entrato (inopinatamente) nel mondo dello scrivere con due libri sui campi di concentramento; non sta a me giudicarne il valore, ma erano senza dubbio libri seri, dedicati ad un pubblico serio. Proporre a questo pubblico un volume di racconti-scherzo, di trappole morali, magari divertenti ma distaccate, fredde: non è questa frode in commercio? […] Ebbene, non le pubblicherei se non mi fossi accorto (non subito, per verità) che fra il Lager e queste invenzioni una continuità, un ponte esiste […].38

Se da un lato l’autore manifesta la consapevolezza della distanza di Storie naturali dai suoi primi due libri e teme di fare un torto ai suoi lettori, provando imbarazzo ed un vago senso di colpa, dall’altro mostra di riconoscere contemporaneamente una continuità tra di essi. Quella incentrata sulla continuità tra il Lager e i racconti fantascientifici è una posizione difensiva a cui, secondo Francesco Cassata, Levi è indotto dal cortocircuito fra scelte editoriali e ricezione critica.39 Nelle interviste successive alla diffusione della raccolta, in effetti, Levi non manca di rimarcare questa vicinanza dei racconti al Lager. Ad esempio, in un’intervista del 12 ottobre 1966 per il quotidiano «Il Giorno», posteriore di pochi giorni alla pubblicazione di Storie naturali, afferma di aver accettato l’idea dello pseudonimo pur non

37 Note ai testi, a cura di M. Belpoliti, in Opere complete, I, cit., p. 1507. 38 Ivi, pp. 1507-1508.

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15 percependo, da parte sua, alcuna contraddizione tra i due temi: anzi, i segni del Lager in alcuni racconti sarebbero facilmente ravvisabili.40 Tale parentela tra i «racconti-scherzo» e le pagine dedicate al campo di sterminio, per di più, non è passata inosservata agli occhi della critica, che frequentemente ha insistito su questo aspetto in maniera totalizzante.

Che Levi sia andato oltre la testimonianza, sia per non aver scritto esclusivamente del Lager sia per aver ricercato linguaggi diversi, è evidente per Robert Gordon, il quale ravvisa comunque tra la scrittura testimoniale di Levi e la sua attività di «saggista, giornalista occasionale, scrittore di fantascienza e romanziere» un dialogo ravvicinato e «reciprocamente illuminante», uno scambio vivace e costante.41 Per Gordon, Levi ha scritto con partecipe curiosità del vasto mondo dei suoi interessi senza mai dimenticare i punti di contatto con l’Olocausto;42 col

narrare «racconti morali in sfida ad Auschwitz» ha ingaggiato una lotta drammatica per la conservazione della nozione di valore.43 In definitiva è un «moralista», ma non nel senso conservatore e convenzionale:

Levi è un moralista nella misura in cui è un osservatore analitico del costume e dell’abitudine (da qui la sua inclinazione per l’antropologia e la zoologia, o meglio l’etologia), e in quanto egli apporta alle sue osservazioni un insieme di valori riconoscibili, racchiusi nella sua scrittura.44

Tali valori lo accompagnano in tutti i suoi scritti, sia di memoria che di finzione, in qualità di «linfa vitale delle sue storie e dei suoi saggi».45 I suoi racconti, infatti, sono anche e soprattutto delle «trappole morali» – così li addita l’autore nella lettera citata – oppure «racconti morali travestiti da racconti di fantascienza».46 Su questo

aspetto dell’opera di Levi insistono molto Gordon e Federico Pianzola, l’uno

40 L’ha ispirato un’insegna, «Il Giorno», 12 ottobre 1966, in Opere complete, III, cit., p. 20. 41 R. S. C. Gordon, Primo Levi: le virtù dell’uomo normale, traduzione di D. Bertucci e B. Soravia,

Roma, Carocci editore, 2004, pp. 21-22.

42 Il termine “Olocausto” peraltro non piace a Levi in quanto il suo significato letterale si riferisce

ai «sacrifici di animali fatti agli dèi»; così dichiara in un’intervista con M. Vigevani del 1984, in

Opere complete, III, cit., p. 442.

43 Gordon, Primo Levi: le virtù dell’uomo normale, cit., pp. 22-23. 44 Ivi, p. 22.

45 Ibidem.

46 Occhiello redazionale che introduce L’ordine a buon mercato su «Il Giorno» (22 marzo 1964), in

Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 213. Levi parla dei suoi testi fantascientifici usando l’espressione «racconti morali travestiti» nell’intervista rilasciata a Paoletti nel 1963, in

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16 facendone il perno del suo saggio sulle “virtù dell’uomo normale”, l’altro cogliendo le implicazioni etiche dell’uso del mito e dell’invenzione fantastica nei racconti;47 del resto, che Levi sia uno «scrittore etico» oltre che uno «scrittore di racconti» è ribadito ugualmente da Belpoliti.48

1.1 Le raccolte

Abbiamo già parlato delle circostanze della pubblicazione della prima raccolta di racconti di Levi: si intitola Storie naturali e fa la sua comparsa sotto la firma di Damiano Malabaila, nel 1966. In un primo momento Levi pensa di aver scelto questo soprannome casualmente, in seguito si rende conto che è il nome di un esercente davanti alla cui bottega passa ogni giorno e che il significato di «Malabaila», cioè «cattiva balia», non è poi lontano dal sapore di «latte girato a male», di «contaminazione e di malefizio» che hanno i suoi racconti.49 La raccolta è formata da quindici storie, di cui dodici sono racconti e tre radiodrammi: per essere precisi, Il Versificatore, La bella addormentata nel frigo e Il sesto giorno sono i tre atti unici radiofonici commissionati a Levi dalla Rai, rappresentati dalla Compagnia del Teatro delle Dieci di Massimo Scaglione all’inizio del 1966. Tra i racconti confluiscono i testi già divulgati su «Il Mondo» tra il maggio del 1960 e il 1962 (Il Versificatore, Censura in Bitinia, Il centauro Trachi che diventerà Quaestio de centauris, L’amico dell’uomo e Angelica Farfalla), insieme a quelli frutto della collaborazione con il quotidiano «Il Giorno» tra 1964 e 1966 (L’ordine a buon mercato, La moglie in duplicato che diventerà nella raccolta Alcune applicazioni del Mimete, La misura della bellezza, Versamina, La scoperta del pieno impiego che sarà semplicemente Pieno impiego). Il titolo del volume è ironico, ricorda quello del noto trattato naturalistico di Plinio il Vecchio, Naturalis historia, ma è tratto da un passo sarcastico del Gargantua, in cui Rabelais menziona l’opera di Plinio a proposito delle nascite strane e “contro natura”.50 L’umorismo è

47 F. Pianzola, Le «trappole morali» di Primo Levi: miti e fiction, Milano, Ledizioni, 2017. 48 Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 130.

49 L’ha ispirato un’insegna, cit., in Opere complete, III, cit., p. 21.

50 F. Rabelais, Gargantua, libro I, cap. VI. La citazione in francese è posta in esergo nelle Storie

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17 la chiave fondamentale per la comprensione delle storie della raccolta che, in effetti, sono meno “naturali” di quanto il titolo lasci immaginare: narrazioni di creature fantastiche come i centauri, tavole rotonde di divinità che discutono della creazione dell’Uomo, cupe storie di «perversioni» prodotte dall’uomo contro l’uomo,51

sbalorditive e alienanti invenzioni tecnologiche. Un piccolo nucleo è costituito dal radiodramma e dai cinque racconti legati al personaggio di Simpson, rappresentante per l’Italia di una società americana chiamata NATCA, creatrice di articoli sempre all’avanguardia e modernissimi. Queste sei vicende (Il Versificatore, L’ordine a buon mercato, Alcune applicazioni del Mimete, La misura della bellezza, Pieno impiego e Trattamento di quiescenza) sono collegate l’una all’altra da una trama che si infittisce episodio dopo episodio e dal ripresentarsi dei medesimi personaggi, di cui si scoprono gradualmente sfaccettature inattese. Lo svolgimento di questa trama attraversa il volume nella sua interezza, dato che i racconti in questione occupano posizioni non contigue, e accompagna il lettore fino alla fine del libro: l’ultimo testo della raccolta illustra appunto il fatale esito cui il signor Simpson, ormai in pensione, perviene dopo aver sviluppato una dipendenza da una delle invenzioni della ditta per cui ha lavorato per anni.

La seconda raccolta vede la luce nel 1971 e riprende nel titolo, Vizio di forma, quella sensazione della presenza di una «smagliatura» nel mondo, a cui Levi fa riferimento nella lettera posta nel risvolto di copertina di Storie naturali. Il titolo avrebbe dovuto essere originariamente «Disumanesimo», termine emblematico e un po’ pessimista, che allude secondo Belpoliti alle «questioni legate al Lager, ai campi di sterminio e all’uso della scienza nel mondo contemporaneo».52 Il libro, di cui un

solo racconto appare in rivista precedentemente, è caratterizzato, rispetto alla prima raccolta, da maggiore omogeneità. Se affiora la sfiducia e la preoccupazione dell’autore verso le conseguenze di uno smodato progresso tecnologico e della crisi della civiltà industriale, è pur sempre nella tecnica che egli individua l’elemento che può emendare il “vizio di forma”. Le catastrofi con cui si concludono molti dei suoi racconti sono «catastrofi ironiche» e «condizionali», come Levi le designa in un’intervista del 1971 firmata da Luca Lamberti, nome dietro cui si cela Ernesto

51 Mattioda, Levi, cit., p. 75.

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18 Ferrero: tali catastrofi possono accadere, ma l’uomo ha i mezzi, l’ingegno e la forza di provvedere; l’avvenire dipende dal ritorno dei tecnici alla coscienza.53 È questo

lo spirito dei venti racconti del volume, confermato dalla presentazione sul risvolto di copertina:

Al di là del velo di ironia, si accosta ai suoi libri precedenti: vi si respira un’aura di tristezza non disperata, di diffidenza per il presente, e a un tempo di sostanziale fiducia nel futuro. L’uomo fabbro di se stesso, inventore e unico detentore della ragione, saprà fermarsi in tempo nel suo cammino «verso occidente».54

Nelle ultime due righe della presentazione appena citata è facile cogliere l’allusione a due racconti di Vizio di forma. Il primo, Il fabbro di se stesso, è dedicato a Calvino ed è la narrazione in prima persona dell’evoluzione dell’uomo, della sua capacità di adattarsi, del suo rinnovarsi volutamente e coscientemente, dalla creatura acquatica di un miliardo di anni fa al bipede in grado di usare le mani e costruire le armi. Il secondo, che nella disposizione dei testi nel volume si trova tra i racconti iniziali, è Verso occidente: due naturalisti studiano il suicidio di massa dei lemming e cercano di capirne le motivazioni; quando sembrano aver trovato la soluzione al loro interrogativo, uno dei due muore travolto dalla foga dei roditori nel tentativo di arrestarne la marcia verso la morte con una sostanza appositamente creata. Enrico Mattioda sostiene che il significato di questo racconto sia rapportabile al massacro degli ebrei operato dai nazisti: Verso occidente sarebbe un momento di svolta nella struttura della narrativa di Levi, l’incarnazione dell’impossibilità di proporre spiegazioni deterministiche per arrivare alla soluzione della narrazione. Per Cassata invece la chiave dell’interpretazione del racconto è ecologica: il racconto è «un’irrisolta investigazione sulla precarietà degli equilibri ecosistemici nel mondo contemporaneo».55 In realtà, Levi dichiara in un’intervista del 1972 che nei

lemming – e nella tribù degli Arunde che è il loro corrispettivo umano – ha inteso rappresentare uno stato d’animo che in molti uomini si alterna con quello “normale”, cioè quello per cui «l’uomo normale in condizioni normali» non è

53 L. Lamberti, Vizio di forma: ci salveranno i tecnici, «L’Adige», 11 maggio 1971, in Opere

complete, III, cit., p. 37. Luca Lamberti è uno pseudonimo editoriale usato in Einaudi da vari autori,

in questo caso da Ernesto Ferrero.

54 Risvolto editoriale di Vizio di forma, probabilmente scritto o ispirato da Levi. In Note ai testi, cit.,

in Opere complete, I, cit., pp. 1513-1514.

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19 consapevole della vanità della vita.56 Il tono di questa seconda raccolta, comunque, intende essere «stridulo, sbieco, dispettoso, volutamente antipoetico» e «disumano», come l’autore lo definisce nella stessa intervista con Lamberti-Ferrero.57 Nella lettera prefatoria alla seconda edizione di Vizio di forma, del 1987, Levi ammette che i racconti di questo volume – scritti tra il 1967 e il 1970 – sono legati ad un tempo triste per l’Italia, per il mondo e per sé stesso, ad una visione apocalittica e rinunciataria. Ciononostante, afferma che rileggendoli a distanza di anni e malgrado il parere sfavorevole della critica, che accusa il libro di non essere abbastanza catastrofico,58 riesce a trovarvi qualcosa di buono; qualcuna delle sue fantasie si è persino avverata, quella dei bambini creati in provetta ad esempio. Composito è il ventaglio delle trame dei racconti di Vizio di forma: narrazioni innestate su tematiche attuali e serie, quali la presenza del male nel mondo (Procacciatori di affari), la violenza gratuita (Knall), la fame (Recuenco: la Nutrice e Recuenco: il rafter59) e l’omologazione (In fronte scritto), accanto a cui non mancano racconti orientati verso il fantastico o il gioco metaletterario (Lavoro creativo e Nel parco), nonché storie fantascientifiche ispirate particolarmente alle scoperte di «Scientific American».

Il versante fantastico e fantascientifico è esplorato nuovamente nella seconda e terza sezione di Lilít e altri racconti. Pubblicata nel 1981, benché un cospicuo numero di racconti sia comparso prevalentemente su «La Stampa» dal 1976, consta di trentotto racconti ripartiti in tre sezioni: Passato prossimo, Futuro anteriore, Presente indicativo. Mattioda, che peraltro non cela il proprio mancato apprezzamento verso questa raccolta, ritiene che porre come titoli i tempi verbali significhi «trasformare le loro definizioni in evocazioni di tempi storici».60 Per la precisione, non sembra improprio affermare che la tripartizione e il riferimento ai tempi verbali rifletta la materia della raccolta. I racconti della prima sezione, legati al campo di

56 C. Toscani, Incontro con Primo Levi, «Il ragguaglio librario», marzo 1972, in Opere complete,

III, cit., pp. 44 e 48.

57 Lamberti, Vizio di forma: ci salveranno i tecnici, cit., in Opere complete, III, cit., p. 36.

58 Per esempio, è questo il parere di Paolo Milano: «Il lettore ne esce, dopo momentanee apprensioni,

in sostanza purtroppo rassicurato». P. Milano, Il vizio di forma e l’errore di sostanza, «L’Espresso», 25 aprile 1971, citato in Lezioni Primo Levi, cit., p. 402.

59 Questi due racconti sono complementari giacché la stessa vicenda è narrata da due punti di vista

opposti: quello della popolazione che vede arrivare la Nutrice e quello degli uomini che dal rafter (cioè la Nutrice) elargiscono il nutrimento.

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20 concentramento, appartengono ad un passato che è «prossimo» perché grava ancora sul presente: testi di impianto saggistico e brevi episodi della prigionia in cui l’autore è sia narratore che personaggio, frammenti di momenti di tregua dalle atrocità della vita nel Lager, che hanno per protagonisti per lo più figure di cui Levi non ha parlato nei primi due libri. La seconda sezione e la terza, invece, presentano le narrazioni più disparate: racconti che sembrano proseguire l’andamento delle raccolte precedenti, scenari futuri e atmosfere fantastiche, ma anche situazioni più vicine al tempo presente, che ricordano le storie di chimica e del lavoro del Sistema periodico e della Chiave a stella, infine altre due memorie dell’autore. Nei racconti di queste due sezioni il narratore è spesso esterno e indefinito, specialmente nella sezione del futuro, anch’esso compromesso con l’anteriorità; se è interno, coincide con l’autore solamente in poche eccezioni, tutte nell’ultima sezione, quella del Presente indicativo: si pensi a Decodificazione oppure a Fine settimana, vero e proprio ricordo di una gita in montagna con l’amico Silvio, finita ancora prima di cominciare.

Tale alternanza di racconti di memoria e racconti di finzione è una costante nella produzione di Levi ed è ravvisabile, per concludere, nella raccolta delle sue ultime prove narrative: nel 1986 esce per «La Stampa» ed è distribuito attraverso il giornale Racconti e saggi, una collezione di pezzi saggistici e racconti, che comprendono ulteriori narrazioni sul Lager, racconti fantastici e cinque racconti di Lilít. Ad eccezione di questi ultimi, tali racconti saranno inclusi, insieme ad altri che l’autore ha congedato in svariate sedi e plausibilmente non ha fatto in tempo a riunire in volume, nella raccolta postuma intitolata L’ultimo Natale di guerra (2000), per un totale di ventisei storie. Tra queste si annoverano per l’appunto memorie del campo di concentramento o di persone connesse ad esso (Auschwitz città tranquilla e Pipetta da guerra, per nominarne qualcuno), ricordi d’infanzia e dell’adolescenza dell’autore (Meccano d’amore, Ranocchi sulla luna, Fra Diavolo sul Po), una serie di simpatiche interviste ad animali, di nuovo fantasie, mondi stravolti e improbabili invenzioni.61

61 Solamente due racconti restano fuori dalle raccolte citate: Fine del Marinese, pubblicato su «Il

Ponte» nel 1949 e La carne dell’orso, pubblicato su «il Mondo» nel 1961. Di entrambi troviamo echi nel Sistema Periodico.

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1.2 Fantascienza?

Una delle prime dichiarazioni di Levi sulla vena scrittoria da cui scaturiscono i suoi racconti di finzione compare nel 1963, in un’intervista televisiva con Luigi Silori:

La mia esperienza grossa è messa in nero su bianco, non avanza più nulla. Ho scritto qualche racconto di genere mal definibile, di genere fantastico, direi. E mi diverto molto a scriverne. Penso che se ne avrò ancora voglia, non dico ispirazione, perché è una parola troppo grossa… se ne avrò ancora voglia continuerò e forse li pubblicherò, per adesso sono ancora troppo pochi.62

Sebbene a questa altezza cronologica abbia già scritto dei racconti che si potrebbero ricondurre al genere fantascientifico, come Il Versificatore e Angelica Farfalla, Levi mostra un certo riserbo nel catalogare apertamente i suoi racconti sotto un’etichetta precisa, scrupolo che supererà dopo qualche anno, quando pubblicherà alcuni racconti all’interno di antologie dedicate alla fantascienza.63 Nell’intervista

rilasciata a Edoardo Fadini nel 1966, in occasione della messa in scena dei tre atti unici di La bella addormentata nel frigo, Il Versificatore e Il sesto giorno, qualche mese prima dell’uscita di Storie naturali, Levi precisa quale tipo di fantascienza sia quella dei suoi racconti, storie in fin dei conti più possibili di tante altre:

No, non sono storie di fantascienza, se per fantascienza si intende l’avvenirismo, la fantasia futuristica a buon mercato. Queste sono storie più possibili di tante altre. Anzi, talmente possibili che alcune si sono persino avverate.64

Confessa, inoltre, di sentire che la fantascienza rispecchia il suo destino di «anfibio» e «centauro», il suo essere diviso in due metà, la chimica e la scrittura; è la prima volta che Levi parla di sé stesso come di un centauro e della sua «spaccatura paranoica»:

Io sono un anfibio, un centauro (ho anche scritto dei racconti sui centauri). E mi pare che l’ambiguità della fantascienza rispecchi il mio destino attuale. Io sono diviso in due metà. Una è quella della fabbrica, sono un tecnico, un chimico. Un’altra, invece, è totalmente distaccata dalla prima, ed è quella nella quale scrivo, rispondo alle interviste, lavoro sulle mie esperienze passate e presenti. Sono proprio due mezzi cervelli. È una spaccatura paranoica (come quella credo, di un Gadda, di un Sinisgalli, di un Solmi).65

62 L. Silori, L’approdo, 27 settembre 1963, in Levi, Opere complete, III, cit., p. 16.

63 Nel maggio del 1965 La misura della bellezza figura in Quindici grandi racconti di fantascienza;

nell’agosto Cladonia rapida in Interplanet, n. 6;

64 Fadini, Primo Levi si sente scrittore dimezzato, cit., in Opere complete, III, cit., p. 17. 65 Ibidem.

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22 Sono due parti talmente separate, aggiunge, che su una di esse, la sua vita in fabbrica, non riesce a scrivere; è l’altro mondo quello che – per il momento – si realizza nei suoi libri: le esperienze giovanili, la discriminazione razziale, il Lager. Tutto ciò sono i miei libri […]. Ma tutto si è svolto al di fuori della mia vita di tutti i giorni. Stando così le cose, mi pare, è naturale che uno scriva di fantascienza. Queste Storie

naturali sono inoltre le proposte della scienza e della tecnica viste dall’altra metà di me

stesso in cui mi capita di vivere.66

Cinque anni più tardi, nel 1971, nell’intervista a Lamberti-Ferrero introduce un’altra ragione del suo accostamento alla fantascienza: asserisce di percepire di essersi «bruciato» come testimone, ma di avere ancora alcune cose da dire e di non poterle esprimere che con un altro linguaggio.67 L’anno seguente, sulla stessa linea, alla domanda di Alfredo Barberis sul perché ad un certo punto della sua carriera si sia dedicato alla fantascienza risponde in questo modo:

Ho esordito come scrittore «d’occasione»: alcuni importanti avvenimenti della Storia mi hanno coinvolto, mi hanno reso testimone di fatti che non potevo tenere per me, mi hanno imposto di scrivere. Quando questa mia funzione si è esaurita mi sono accorto di non poter insistere sul registro autobiografico, e insieme di essere stato troppo «segnato» per poter scivolare nella narrativa ortodossa: mi è sembrato allora che un certo tipo di fantascienza potesse soddisfare il desiderio di esprimermi che ancora provavo, e si prestasse ad una forma di moderna allegoria. D’altronde la maggior parte delle mie Storie naturali è stata scritta prima della pubblicazione della Tregua.68

In realtà, successivamente Levi si renderà conto che la sua esperienza di Auschwitz è ben lontana dall’essersi esaurita: vi tornerà nelle storie della prima sezione di Lilít e negli altri racconti sparsi, per non menzionare ovviamente il capolavoro saggistico dei Sommersi e i salvati (1986). Per quanto concerne, invece, la natura dei suoi racconti fantascientifici e la loro interpretazione, è singolare la risposta dell’autore ad uno studente in un intervento all’interno di un’iniziativa di un gruppo di insegnanti pesaresi («Il gusto dei contemporanei», 5 maggio 1986). Alla richiesta di delucidazioni su come vadano intesi i testi fantascientifici di Lilít, Levi replica sorprendentemente di non prenderli troppo sul serio, adducendo come motivazione

66 Ivi, p. 18.

67 Lamberti, Vizio di forma: ci salveranno i tecnici, cit. in Opere complete, III, cit., p. 36. 68 Barberis, Nasi storti, cit., in Opere complete, III, cit., p. 50.

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23 l’occasionalità in cui li ha scritti, la possibilità di interpretazioni plurime, la loro affinità con i sogni:

Sono racconti che ho scritto sotto sollecitazioni diverse da volta a volta. In più vorrei dire una cosa: a mio parere un libro, o anche un racconto, ha tanto più valore quanto più numerose sono le chiavi in cui può essere letto e quindi sono vere tutte le interpretazioni, anzi più interpretazioni un racconto può dare, più un racconto è ambiguo. Insisto su questa parola, ambiguo: un racconto deve essere ambiguo se no è una cronaca, perciò vale tutto, vale la razionalità, vale il mondo fantascientifico e vale anche la sensazione dei sogni. Alcuni di questi racconti, devo confessarlo, sono veramente dei sogni, sogni nel senso stretto della parola, sogni notturni che […] contengono resti diurni, ma contengono anche tracce profonde della personalità di chi sogna.69

Della scoperta di questa vena notturna, di una vera e propria dimensione inconscia della scrittura, l’autore ha già parlato nella Ricerca delle radici – l’antologia personale messa insieme per Einaudi nel 1981 – contrapponendola al lavoro diurno, lucido e consapevole, della scrittura in prima persona. Per Belpoliti la fantasia del Levi «novelliere»70 è frutto di qualcosa di profondo e oscuro, è inquieta e inquietante, in primo luogo per lui; ed è tanto più inquietante quanto più egli parla «di creature fantastiche, cambiamenti di stato, metamorfosi, invenzioni strane o inconsuete» e quando dà voce agli animali.71

La prima raccolta di racconti di Levi compare sul mercato librario con una fascetta gialla con la scritta «Fantascienza?», interrogativo ben comprensibile se si pensa che l’ascrivibilità al genere fantascientifico non vale per tutti i racconti del volume. Lo stesso discorso è applicabile alle altre raccolte: nella scrittura d’invenzione di Levi non c’è solo la fantascienza; non a caso Calvino, in una lettera a Levi del 1961 conia per alcuni di questi racconti l’aggettivo «fantabiologici».72 L’origine della

fantasia di Levi risiederebbe, dunque, secondo Belpoliti nel «bios», cioè nel tema della vita, e metterebbe in comunicazione «i temi biologici e sociali di Se questo è un uomo con le fantasie narrative delle novelle».73 Stefano Bartezzaghi, invece,

pone l’attenzione sul prefisso «fanta-», che sarebbe da intendere con un’accezione

69 L. Costantini e O. Togni, Il gusto dei contemporanei, 1990, in Opere complete, III, cit., pp.

752-753.

70 Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 603. 71 Ivi, p. 602.

72 Lettera di I. Calvino a P. Levi, 22 novembre 1961. In I. Calvino, Lettere 1940-1985, a cura di L.

Baranelli, Milano, Mondadori, 2000, p. 695.

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24 particolare, poiché quella di Levi è una «fantasia con i piedi per terra», vicina alla realtà.74 Secondo Roberta Mori, inoltre, la qualità peculiare della fantascienza dello scrittore torinese consisterebbe nel felice connubio tra la trasposizione fantastica dell’elemento scientifico e l’analisi dei comportamenti umani.75 Senza dubbio

appartengono al filone fantascientifico le storie che riguardano le anomalie causate dall’uomo che valica o distorce le frontiere della scienza e della natura; analogamente quelle in cui sono scandagliati gli effetti incredibili di stravaganti scoperte tecnologiche sulle vite dei personaggi che le esperiscono: basti pensare a quanto accade nella serie di racconti delle Storie naturali incentrati sulla figura del signor Simpson, che passa da promotore a vittima di suddette sperimentazioni, o ai terribili esperimenti condotti rispettivamente dal dottor Leeb e da Kleber in Angelica Farfalla e Versamina; fantascientifici sono senz’altro gli scenari di mondi diversi dal conosciuto, o forse futuri, come quelli di Protezione e Lumini rossi in Vizio di forma; infine quelli in cui un oggetto artificiale sfugge al controllo dell’uomo, ad esempio le automobili in Cladonia rapida e la rete telefonica nel racconto A fin di bene.

L’errore, o meglio il “vizio di forma”, avvia i meccanismi del racconto e innesca le dinamiche della narrazione, lasciando frequentemente il lettore con interrogativi di natura etica. A stuzzicare la fantasia di Levi non sono solamente i limiti dell’uomo, ma anche i confini tra tutte le specie: Disfilassi in Lilít è il trionfo dell’abbattimento di ogni barriera che impedisca la compenetrazione dei corpi e l’incrocio tra specie umana, animale e vegetale. Nella narrazione del possibile e dell’impossibile la fiction avventurosa si mescola alla realtà, concorrendo alla messa a punto delle «trappole morali»; storie realistiche si mescolano ad ambientazioni completamente inventate, le vite degli uomini si intrecciano con quelle degli animali, creature dotate di parola ed intelletto. Alcuni racconti sviluppano maggiormente il motivo biologico, altri l’aspetto fantastico (tra gli ultimi pubblicati, nel 1986, Il fabbricante di specchi e Il passa-muri), altri ancora esplorano ad arte il tema della creazione e dell’evoluzione, talvolta utilizzando ironicamente dei moduli biblici (si veda

74 S. Bartezzaghi, Una telefonata con Primo Levi (2012), in Lezioni Primo Levi, cit., p. 148. 75 R. Mori, L’altra metà del centauro: La ricezione della fantascienza di Primo Levi (1966-87),

2018: https://www.fantascienza.com/anarres/articoli/43/l-altra-met-del-centauro-la-ricezione-della-fantascienza-di/.

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25 l’iconico titolo Il sesto giorno). Rinvii ad una medesima area semantica ricorrono da un racconto all’altro senza mai ripetersi uguali: è il caso del tema del tempo, fulcro di racconti quali La bella addormentata nel frigo e Scacco al tempo (1986), l’uno a vent’anni di distanza dall’altro, o delle ali, nelle opposte declinazioni di Angelica Farfalla e La grande mutazione (1983).

Molteplici sono le situazioni e i personaggi proposti dall’inventiva dell’autore nei suoi racconti di finzione: grande è lo spazio occupato dall’immaginazione nell’opera di uno scrittore a cui per molto tempo non sembrava concesso scrivere “cose d’invenzione”. La possibilità di inventare offre allo scrittore l’opportunità di sperimentare una maggiore libertà rispetto alla narrazione delle vicende che ha vissuto: può scegliere, ad esempio, di ambientare la storia in ogni epoca e in tutti i luoghi, che siano «immaginati, immaginari, immaginabili, non immaginabili».76 Per Levi, oltretutto, l’invenzione – in tutti i suoi sensi, compreso quello classico – è intrinseca allo scrivere:

non si scrive nulla di valido senza «invenire», senza trovare qualcosa di nuovo, che non c’era prima: quindi, non c’è libro senza invenzione.77

È questo un lato inaspettato del «poliedro» Levi, il quale è ben consapevole della problematicità di conciliare esperienza e narrazione, testimonianza e scrittura letteraria. La scrittura, persino quella su base autobiografica, è soggetta ad un certo grado di finzione narrativa: Levi stesso non può non interrogarsi sulla veridicità delle proprie narrazioni, sulle discrepanze tra narrazione e realtà. Del resto, come nota Belpoliti, l’istanza fantastica è presente in tutte le sue opere, «anche in quelle più testimoniali», tanto da far pensare al fantastico «come a una delle vene narrative più forti della sua intera opera»:

Si pensi ad esempio alla galleria dei personaggi presenti in La tregua, dove l’attenzione al dettaglio fantastico sembra spesso forzare il quadro «realista» del racconto. Per questo possiamo dire che accanto allo scrittore testimoniale esiste sempre uno scrittore fantastico o fantascientifico.78

76 P. Levi, Scrivere un romanzo, in P. Levi, L’altrui mestiere (1985), Torino, Einaudi, 2012, pp.

159-160.

77 «…Un romanzo storico, costruito secondo i modelli classici…», «Uomini e libri»,

novembre-dicembre 1982, in Opere complete, III, cit., p. 321.

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1.3 Accoglienza

Sul rapporto tra Primo Levi e la critica letteraria italiana, come abbiamo osservato, ha influito per lungo tempo il suo affermarsi primariamente come testimone. I suoi libri di racconti, in particolare, hanno stentato parecchio a guadagnare l’approvazione dei critici, ottenendo in qualche caso addirittura delle “stroncature”. Nel 1958, anno della seconda edizione di Se questo è un uomo, Paolo Milano nel recensire il libro su «L’Espresso» menziona i racconti fantascientifici, non ancora riuniti in volume, stimandone alcuni ottimi, altri meno felici.79 Nel 1961 Levi riceve la risposta di Calvino riguardo ai racconti che ha sottoposto alla sua lettura tempo addietro, un gruppo eterogeneo che include sia storie sul Lager che storie fantascientifiche; se le prime non sembrano pienamente convincenti, per le seconde accade il contrario:

Caro Levi,

ho letto finalmente i tuoi racconti. Quelli fantascientifici, o meglio: fantabiologici, mi attirano sempre. Il tuo meccanismo fantastico che scatta da un dato di partenza scientifico-genetico ha un potere di suggestione intellettuale e anche poetica, come lo hanno per me le divagazioni genetiche e morfologiche di Jean Rostand. Il tuo umorismo e il tuo garbo ti salva molto bene dal pericolo di cadere in un livello di sottoletteratura, pericolo in cui incorre di solito chi si serve di stampi letterari per esperimenti intellettuali di questo tipo. Certe tue trovate sono di prim’ordine […].

Naturalmente, ti manca ancora la sicurezza di mano dello scrittore che ha una sua personalità stilistica compiuta […].80

Sebbene Calvino sottolinei il fatto che Levi non abbia ancora trovato una propria identità narrativa, il suo giudizio sui racconti fantascientifici è positivo: non li considera «sottoletteratura»; anzi, incoraggia l’autore a proseguire nella direzione dei racconti «fantabiologici» e a trovare una sede dove possa pubblicarli con continuità, stabilendo un dialogo con un pubblico che sappia apprezzarli.81 Nonostante ciò, i primi due libri di racconti di Levi sono accolti prevalentemente con perplessità dai recensori: pareri positivi non mancano ma costituiscono una minoranza. Le critiche mosse a Storie naturali vertono, di circostanza in circostanza, su diversi argomenti, primo fra tutti il pregiudizio che Levi abbia

79 P. Milano, La guerra quella di sempre, «L’Espresso», 21 aprile 1958. Citato in Belpoliti, Primo

Levi di fronte e di profilo, cit., p. 448.

80 Lettera di Calvino a Levi, 22 novembre 1961, in Calvino, Lettere 1940-1985, cit., p. 695. 81 Ivi, p. 696.

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