3. PERSONAGGI FINZIONALI: NON SOLO ESSER
3.2 Una presenza costante: gli animali
Una presenza costante nell’opera di Levi è quella degli animali, che figurano in tutti i suoi libri, talvolta in senso metaforico o come termine di paragone dell’uomo, talaltra come oggetti del discorso o veri e propri personaggi. Il “bestiario” dello scrittore torinese è vastissimo: include un campionario che va dai più piccoli e quasi invisibili insetti e parassiti, ai più grandi canguri e giraffe, ai più comuni cani, gatti, galline e cavalli, ai più bizzarri animali, frutto interamente della sua immaginazione. La zoologia è una grande passione di Levi, non a caso lo scrittore dedica ad essa ampio spazio negli elzeviri riuniti nell’Altrui mestiere: come nota Calvino
, «
tra gli oggetti dell’attenzione enciclopedica di Levi, i più rappresentati66 nel volume sono le parole e gli animali»
.
39 In uno di questi articoli, Romanzi dettati dai grilli,40 l’autore esplora il legame tra la scrittura e l’osservazione del mondo animale a partire dal ricordo di alcune affermazioni di Aldous Huxley. Ad uno studente che si rivolge a lui per qualche consiglio su come diventare scrittore, Huxley raccomanda di «comperare una coppia di gatti, di osservarli e di descriverli» e aggiunge che gli animali sono come gli esseri umani, ma «senza coperchio», perciò la loro osservazione è «preziosa per il romanziere che si accinge a scandagliare le motivazioni profonde dei suoi personaggi».41 Levi, però, ritiene che la situazione non sia tanto semplice: se il consiglio di Huxley è giusto, ne è errata la spiegazione, poiché l’etologia insegna che gli animali sono diversi fra loro e rispetto all’uomo, che ogni specie segue delle leggi proprie e che queste leggi in accordo con le teorie evolutive preservano la specie, non sempre l’individuo. D’altro canto, quanto alla raccomandazione di Huxley al suo discepolo, Levi ammette che obbedirebbe volentieri, perché ne trarrebbe un arricchimento sia della propria sensibilità sia in generale della propria visione del mondo:e mi riempirei la casa di tutti gli animali possibili. Farei ogni sforzo non solo per osservarli, ma anche per entrare in comunicazione con loro. Non farei questo in vista di un traguardo scientifico (non ne ho la cultura né la preparazione), ma per simpatia, e perché sono sicuro che ne trarrei uno straordinario arricchimento spirituale e una più compiuta visione del mondo.42
In seguito, richiama una constatazione antica già ai tempi di Esopo, secondo la quale negli animali si trovano tutti gli estremi, relativamente alle dimensioni e ad ogni altra qualità, non soltanto fisica; esistono animali minuscoli o enormi, forti o deboli, veloci o lenti, astuti o sciocchi, splendidi o orrendi:
lo scrittore non ha che da scegliere, non ha da curarsi delle verità degli scienziati, gli basta attingere a piene mani in questo universo di metafore. Proprio uscendo dall’isola umana, troverà ogni qualità umana moltiplicata per cento, una selva di iperboli prefabbricate.43
39 I. Calvino, I due mestieri di Primo Levi, «la Repubblica», 6 marzo 1985, posto come introduzione
nell’edizione Einaudi. Levi, L’altrui mestiere, cit., p. VI.
40 Pubblicato nel 1976 sul «Notiziario della Banca Popolare di Sondrio» con il titolo Lo scrittore e
gli animali, poi su «La Stampa» nel 1979 e confluito nell’Altrui mestiere col titolo Romanzi dettati dai grilli. Levi vi fa riferimento nella conversazione con P. Valabrega del 1981, in Opere complete,
III, cit., p. 895.
41 Levi, Romanzi dettati dai grilli, in L’altrui mestiere, cit., p. 64. 42 Ivi, p. 65.
67 Il mondo animale, pertanto, può essere sfruttato dallo scrittore come un repertorio di figure; del resto anche in un’intervista del 1984 Levi riprende l’idea di Huxley che «il romanziere dovrebbe essere uno zoologo» e ribadisce che «negli animali c’è l’enorme e il minuscolo, la saggezza e la follia, la generosità e la viltà», che ognuno di loro è «una metafora, un’ipostasi di tutti i vizi e di tutte le virtù degli uomini».44
In Romanzi dettati dai grilli, inoltre, prosegue notando che se molte di queste metafore animali e iperboli risultano stanche, «sfiancate dall’uso di tutti i linguaggi», le scoperte dei naturalisti moderni hanno «aperto» di recente per gli scrittori una «vena di idee» ancora da sfruttare:
Nelle memorie di «Nature» e dello «Scientific American», nei libri di Konrad Lorenz e dei suoi discepoli, si annidano i semi di uno scrivere nuovo, ancora tutto da scoprire, che aspetta il suo demiurgo.45
E in effetti abbiamo già messo in luce precedentemente che alcuni dei racconti di Levi prendono spunto proprio dai temi trattati negli articoli di «Scientific American». L’interesse per le novità del mondo scientifico si affianca alla curiosità per il regno animale che lo accompagna fin da bambino, come si evince dal racconto Ranocchi sulla luna, pubblicato su «La Stampa» il 15 agosto 1985.46 Il racconto, in realtà, è una memoria dell’infanzia dell’autore, un ricordo delle vacanze in campagna con i genitori e la sorella. I mesi estivi trascorrono «lenti, sereni e noiosi» tra l’«abominio sadico dei Compiti per le Vacanze» e un sempre nuovo contatto con la natura: erbe e fiori ma anche uccelli, insetti, ragni, una sanguisuga, un pipistrello, un grillotalpa, tribù di formiche di cui è «affascinante studiare le astuzie e le ottusità». Un giorno l’autore porta a casa una dozzina di girini, «chimere, bestie impossibili, tutte testa e coda», li pone in una bacinella d’acqua e ne osserva la muta:
Che fosse un periodo drammatico, si notava a prima vista. Era una brusca e brutale pubertà: la bestiola diventava inquieta, come se avvertisse in sé il travaglio di chi cambia natura, e ne è sconvolto nella mente e nei visceri; forse non sapeva più chi era […]; non erano più
44 G. Tesio, «Le occasioni? La memoria, un ponte, una ragnatela», «Tuttolibri», 17 novembre 1984,
in Opere complete, III, cit., p. 477.
45 Levi, Romanzi dettati dai grilli, in L’altrui mestiere, cit., p. 66.
46 Poi confluito nel volume dell’Ultimo Natale di guerra. Levi, Ranocchi sulla luna, in Tutti i
68 larve, erano ranocchi bruni grossi come una fava, ma ranocchi, gente come noi, con due mani e due gambe, che nuotavano «a rana» con fatica ma con stile corretto.47
L’attività di allevatore di girini non è facile, molti di essi finiscono per morire annegati una volta perse le branchie o trovano una sorte anche peggiore se, per lo stesso inspiegabile istinto che ha spinto l’uomo sulla luna, si allontanano dallo specchio d’acqua – in questo caso la bacinella – in cui hanno compiuto la muta: il racconto si chiude con l’immagine di uno di questi ranocchi mangiato in un boccone da un pettirosso, ghermito a sua volta dalla gatta che se lo porta in un angolo «per giocare con la sua agonia».48 È la narrazione di un ricordo apparentemente dal sapore leggero che si chiude, però, con una visione amara, con una raffigurazione della darwiniana lotta per la vita che, insieme alla forza incontrastabile del caso e all’incidenza delle «piccole cause»49 sulle storie individuali, Levi imparerà a
conoscere fin troppo bene nel corso della sua esistenza.
La forte presenza degli animali nella scrittura di Levi ha origine da quello che egli in un’intervista del 1981 denota come «un amore non corrisposto per la biologia e la zoologia».50 Pur non essendo un esperto, dichiara nella stessa intervista di aver
sempre letto libri divulgativi sugli animali e riconduce la tendenza ad usare gli animali come termini di riferimento nella descrizione dei suoi personaggi sia ad una sua attitudine spontanea che al «riferimento culturale» ad Huxley.51 In aggiunta, se da un lato Levi confessa di divertirsi molto nel trovare i «riferimenti incrociati» tra comportamento umano e animale, dall’altro dice di avere interesse per quanto c’è di animale nell’uomo e, in particolare, nei nazisti:
È un interesse che ho per un problema così rilevante: per quanto c’è di animale in noi, quanto c’era di animale nei nazisti. Penso ancora adesso che una delle radici del nazismo fosse zoologico: quello che racconta Lorenz di cosa capita a un ratto di una certa tribù che viene introdotto nel territorio di un’altra tribù di ratti è agghiacciante, son le camere a gas insomma.52
47 Ivi, p. 851. 48 Ivi, p. 853.
49 Levi, Pipetta da guerra, in Tutti i racconti, cit., p. 844. Nel racconto (del 1985) l’autore discute
con un gruppo di amici sull’influsso delle piccole cause sul corso della storia e soprattutto sulle storie individuali. Ciò lo porta a raccontare ancora una volta la «piccola causa» che gli ha cambiato l’esistenza: il non aver contratto la scarlattina da bambino, e dunque l’averla contratta ad Auschwitz.
50 P. Valabrega, Conversazione con Primo Levi, 1981, in Opere complete, III, cit., p. 895. 51 Ibidem.
69 Su quest’ultimo punto e su come la disumanità del sistema nazista determini la degradazione del prigioniero al rango di animale torneremo in seguito, nella sezione dedicata ai personaggi non finzionali, mentre ci concentreremo adesso sulla comparsa degli animali nei racconti di finzione.
Il primo racconto in cui gli animali ricoprono un ruolo significativo, Censura in Bitinia, appare su «Il Mondo» nel 1961 e occupa la seconda posizione nel volume delle Storie naturali.53 Il racconto è condotto sotto forma di una trattazione sulla
soluzione posta al «problema della censura» nel paese immaginario che ha il nome della storica regione dell’Asia Minore, la Bitinia. Gli animali entrano in scena verso la fine ma conferiscono al racconto un esito inaspettato. Il nucleo centrale consiste nell’esposizione dei modi in cui si è cercato di sopperire alla carenza di personale negli uffici addetti alla censura, in seguito alla dimostrazione clinica che il lavoro del censore porti col passare degli anni a disturbi dell’apparato sensorio, ad anomalie e perversioni psichiche. Si ricorre inizialmente alla meccanizzazione dell’attività censoria, ma l’espediente si manifesta controproducente in alcune situazioni. Una svolta si verifica con la pubblicazione di uno studio sulla psicologia degli animali domestici: se «opportunamente educati», sarebbero in grado di apprendere facili lavori di trasporto e ordinamento, ma anche di «eseguire vere e proprie scelte». Il resoconto spiega poi che non sono adatti per questo compito i mammiferi o gli animali più intelligenti e sensibili (cani, scimmie e cavalli), mentre si ottengono risultati «sorprendenti» con le galline.
Le galline, oltre a tutto facilmente reperibili, e di costo moderato sia come investimento iniziale, sia come manutenzione, sono capaci di scelte rapide e sicure, si attengono scrupolosamente agli schemi mentali che vengono loro imposti, e, dato il loro carattere freddo e tranquillo e la loro memoria evanescente, non vanno soggette a perturbazioni. È opinione diffusa in questi ambienti che entro pochi anni il metodo verrà esteso a tutti gli uffici censoriali del paese.54
Dopo questa aperta lode delle galline, con cui si conclude la trattazione, il lettore è colto di sorpresa dal trovare a capo, dopo uno spazio bianco, la firma-impronta della zampa di gallina accanto alla frase «Verificato per censura:».55 Secondo Belpoliti questo racconto appartiene alla «vena satirica che affiora di quando in quando nella
53 Levi, Censura in Bitinia, in Tutti i racconti, cit., pp. 14-17. 54 Ivi, p. 17.
70 produzione narrativa» di Levi e sarebbe stato scritto, stando ad una dichiarazione dell’autore del 1977, contro la censura del ministro democristiano Mario Scelba.56
L’immagine degli animali, in special modo delle galline, che svolgono l’attività censoriale, dunque, è usata da Levi per alludere sarcasticamente ad una realtà che trascende il testo. Ciò che sollecita una riflessione ulteriore nel lettore è proprio la firma-impronta di gallina che appare alla fine: un colpo di scena alla luce del quale andrà ridimensionata la lettura dell’intero testo, un dettaglio certamente non irrilevante se si pensa che è stato aggiunto in un secondo momento (nella prima versione del racconto – quella comparsa su «Il Mondo» – non era presente). La gallina che concede il lasciapassare allo scritto può essere considerata, allora, un personaggio? Gli animali sono nominati nel testo all’interno delle argomentazioni che espongono il nuovo studio: anche le galline vi compaiono come insieme collettivo in una sequenza descrittiva che lascia evincere la predilezione verso di loro. La presenza della zampa di gallina al termine del racconto non rimanda ad un personaggio della trattazione, in quanto non si riportano le azioni di una gallina particolare né di altri individui specifici: è riconducibile piuttosto ad un personaggio che nella finzione narrativa agisce sul testo stesso e si colloca al medesimo livello testuale della voce narrante, dell’autore fittizio. La gallina che funge da censore, che evidentemente sa leggere e probabilmente scrivere, non agisce nel testo ma agisce su di esso e in una certa misura anche sul narratore. L’impronta di gallina dovrebbe avere il valore di una conferma, ma più che una risposta al problema della censura lascia il lettore con una domanda: l’autore dell’articolo avrebbe lodato ugualmente le qualità delle galline se a revisionare il testo fosse stato un altro animale?
Un altro racconto in cui gli animali sono chiamati in causa per sostituire l’uomo è Pieno impiego, in Storie naturali.57 Questo racconto, che ha tra i personaggi il
signor Simpson, è un po’ diverso da quelli della serie di cui fa parte, appunto per il ruolo che vi ricoprono gli animali, preferiti in questa occasione addirittura alla macchina. All’inizio della vicenda il narratore e il signor Simpson discutono sulla nuova invenzione della NATCA e sulle difficoltà del mestiere di venditore: è
56 Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., p. 212. 57 Levi, Pieno impiego, in Tutti i racconti, cit., pp. 124-135.
71 Simpson a suggerire che le macchine non siano la soluzione migliore per tutti i problemi e che si possano trovare alternative al tentativo di riprodurre artificialmente il cervello umano. Simpson allora mostra al narratore e a sua moglie come sia riuscito a comunicare con le api e a stipulare, grazie alla loro mediazione, dei patti con gli altri insetti. Nomina i «geniali lavori» di Karl von Frisch sul linguaggio delle api,58 a cui dice di essersi appassionato dodici anni prima e da cui è partito per provare a comunicare con loro. Spiega come funziona questo linguaggio, che si basa sul tracciare segni attraverso una danza a otto, e quale sia il suo patrimonio lessicale: numerosi sostantivi per indicare condizioni atmosferiche o nomi di piante, verbi per esprimere le azioni principali, molti sinonimi riguardo al volo, un lessico vasto per gli insetti ma molto povero per gli altri animali. Simpson ha imparato, per l’appunto, a comunicare tramite «la danza a otto»: per mezzo delle api che «si prestano a fare da mediatrici con grande entusiasmo, quasi come se si divertissero», riesce a trattare con altri insetti sociali quali le formiche e, dopo che queste si sono «lagnate» per gli agguati dei formicaleoni, le libellule. È in trattativa con mosche e zanzare, mentre i contatti sono difficili con gli insetti non gregari proprio per la loro presunta incapacità di comunicare. Simpson, per di più, non si è limitato a stipulare solamente contratti agevoli per la manutenzione della propria casa ma ha iniziato a sperimentare l’impiego degli insetti sotto compenso in ambiti scientifici e medici; impiego che permette all’uomo di sfruttare un’immane forza lavoro a costi per lui irrisori e che ha fatto nascere da parte delle formiche «un problema sindacale», benché Simpson pensi di poterlo risolvere facilmente. Nell’azione narrativa le api compaiono come soggetti agenti sotto lo sguardo del narratore soltanto in un’occasione:
Mi mostrò un alveare in cui aveva sostituito la parete anteriore con un vetro smerigliato. Tracciò col dito alcuni otto inclinati sulla faccia esterna del vetro, e poco dopo un piccolo sciame uscì ronzando dalla portina.59
Eppure, nella costruzione della trama hanno un ruolo fondamentale: sono gli unici insetti che comunicano direttamente con il personaggio umano, pur nel proprio
58 Il riferimento cronologico di Simpson rimanderebbe all’anno della traduzione inglese dell’opera
principale di K. von Frisch, The Dancing Bees (1954), come nota Cassata in Fantascienza?, cit., in
Lezioni Primo Levi, cit., p. 344.
72 linguaggio, ed è grazie alla loro mediazione che si sono potute concretizzare le situazioni che Simpson espone al narratore. Nel resto del racconto il narratore riporta ciò che Simpson gli ha descritto oppure è lo stesso Simpson a riferire la condotta sia delle api che degli altri animali. In entrambe le circostanze, sono spesso attribuiti agli insetti qualità e comportamenti umani: ad esempio, le api si entusiasmano, le formiche si lagnano, le libellule sono «intelligenti», le mosche «stupide»; nel momento in cui Simpson parla dell’assemblea che ha convocato con questi insetti o dei contratti di lavoro che ha stipulato con loro inevitabilmente si serve di termini che designano concetti e dinamiche della società umana. Si veda il caso delle formiche:
Ho insegnato in estate a una squadra di dieci, e loro hanno fatto scuola a tutte le altre. […] Ne è nato un problema sindacale, si capisce, ma queste cose si accomodano sempre; loro sono soddisfatte, su questo non c’è dubbio. Ricevono una retribuzione in natura, suddivisa in due partite: una per così dire personale, che le formiche consumano nelle pause del
lavoro, e l’altra collettiva, destinata alle scorte del formicaio, che esse immagazzinano nelle
tasche ventrali […].60
Gli insetti partecipano attivamente all’azione narrativa, sebbene ad eccezione di api e libellule si presentino solamente nelle spiegazioni di Simpson: sono soggetti agenti e coprotagonisti dei personaggi umani, hanno persino più spazio di alcuni di essi, quali la signora Simpson e la moglie del narratore. La narrazione, comunque, come non di rado avviene nei racconti di Levi, non si chiude con una nota positiva: un socio di Simpson ha usato questo tipo di comunicazione per servirsi delle anguille per un traffico di droga. Nonostante tale risvolto oscuro della vicenda, dal racconto emergono due dati non trascurabili: l’interesse di Levi per il problema della comunicazione dell’uomo con altri esseri viventi e la sua ammirazione verso gli animali sociali. Simpson, ad esempio, definisce le api «un popolo di grande dignità» in una sequenza del racconto che ricorda Nozze della formica (posteriore di circa dieci anni). Nelle opere di Levi gli insetti si presentano in un numero considerevole di occasioni, non solo negli scritti narrativi ma anche negli articoli dell’Altrui mestiere e nelle poesie;61 per di più, la loro valenza può essere sia
«positiva» che «negativa»: si pensi all’immagine delle formiche, solitamente
60 Ivi, p. 133 (corsivo mio).
61 Per gli articoli si considerino Romanzi dettati dai grilli, Il salto della pulce, Le farfalle, Paura dei
73 emblema di operosità, in Schiera bruna rappresentazione dei deportati. Nel caso specifico delle api, Belpoliti osserva che sono «animali positivi per via del giusto equilibrio tra logica sociale e logica individuale»62; inoltre constata che quel che Levi ammira negli animali sociali (sia formiche sia api e scoiattoli), che definisce animali «non incauti del futuro», è la «capacità di pensare al domani».63
La comunicazione tra uomo e animale, invece, è al centro di un altro racconto delle Storie naturali, L’amico dell’uomo.64 Il linguaggio preso in esame in questo
racconto è una particolare forma di espressione riscontrata nella tenia, data nello specifico dall’ordinamento delle cellule epiteliali del parassita. La narrazione è in terza persona e si sviluppa con andamento didascalico. Un assiriologo di nome Bernard W. Losurdo, osservando le fotografie del mosaico formato dalle cellule della tenia, nota nella disposizione una correlazione con le terzine dantesche; in seguito ad una lunga opera di decifrazione scopre nei vari mosaici questa particolare «prosa ritmica», una forma espressiva complessa e primitiva in cui si intrecciano scrittura alfabetica e acrofonetica, ideografia e scrittura sillabica, come se vi si ripercuotesse «l’antichissima dimestichezza del parassita con la cultura del suo