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4. PERSONAGGI UMANI

4.1 Personaggi finzionali

Nei racconti di finzione di Levi, come constatato finora, non sempre l’uomo ricopre il ruolo di personaggio principale, di indiscusso protagonista; in qualche racconto non figura per nulla – si pensi a Erano fatti per stare insieme (1977) – oppure compare unicamente in qualità di ipotetico destinatario del testo, un oggetto di interesse e di paragone nell’ottica di un narratore non umano, come si verifica in Le fans di spot di Delta Cep (1986). Nel Sesto giorno, oltretutto, ancor prima di aver assunto le fattezze che comunemente lo caratterizzano, l’uomo appare esclusivamente come oggetto del discorso, o meglio come una «mozione», una questione burocratica da risolvere: la «questione Uomo», su cui discute il concilio di divinità incaricato della creazione di una nuova «specie animale», che si distingua da tutte le altre e risponda a requisiti specifici.3 Ciò non significa, tuttavia, che i personaggi umani nei racconti di finzione di Levi siano una minoranza o di scarsa rilevanza: al contrario, essi offrono un vasto campionario di caratteri e comportamenti, nonché di occasioni per sviluppare tematiche precise e sperimentare soluzioni narrative diverse. Narrazioni in terza persona e narrazioni in prima persona si alternano nelle varie raccolte; le peculiarità di ogni personaggio possono trasparire direttamente dalle sue parole o da quelle del narratore ma anche attraverso l’immagine che ne hanno gli altri personaggi, mentre lo sguardo puntato sul mondo umano, per l’appunto, spesso non proviene dal suo interno. L’uomo, dunque, può vestire nel racconto sia il ruolo di protagonista, che si muove in un mondo tutto umano, sia i panni di un co-protagonista o personaggio secondario, che agisce in un mondo in cui è possibile il dialogo tra persone e animali, l’interazione tra essere umano ed extraterrestre, tra uomini e creature fantastiche.

Un esempio ulteriore di questo incontro dell’uomo con l’Altro si riscontra nella vicenda dei Costruttori di ponti, in Lilít,4 in cui Levi si serve ancora una volta del

procedimento narrativo dello straniamento. In questo racconto l’uomo ricopre un ruolo marginale in relazione alla prospettiva narrativa, ma fondamentale sul piano dell’azione. Il personaggio principale, Danuta, è introdotto immediatamente:

3 Idem, Il sesto giorno, in Tutti i racconti, cit., pp. 136-154. 4 Idem, I costruttori di ponti, in Tutti i racconti, cit., pp. 687-692.

101 Danuta era contenta di essere stata fatta come i cervi e i daini. Le spiaceva un poco per l’erba, i fiori e le foglie che era costretta a mangiare, ma era felice di poter vivere senza spegnere altre vite, come invece è sorte delle linci e dei lupi.5

Il lettore potrà comprendere in seguito, correlando gli elementi che ottiene dalla narrazione con la citazione posta in esergo al racconto,6 che Danuta è una gigantessa. La narrazione è in terza persona ed è focalizzata per lo più su di lei, una «ragazza» buona, ingenua e molto curiosa, che vive con il padre Brokne nella foresta, dimora di animali, unicorni e minotauri. Prima che l’uomo si manifesti nella vita della gigantessa, quest’ultima si imbatte nelle sue tracce, senza avere idea di quale creatura le abbia lasciate:

Il pascolo preferito di Danuta era una valle verde e profonda, ricca d’erba e d’acqua; il fondo era percorso da un rio, e questo era scavalcato da un ponte di pietre. Danuta passava lunghe ore a considerare il ponte […]. Non poteva averlo scavato l’acqua, né poteva essere caduto così dalle montagne. Qualcosa o qualcuno lo doveva avere costruito, con pazienza, ingegno, e mani più sottili delle sue […].7

Dopo la misteriosa costruzione del ponte, un faggio abbattuto con un taglio preciso stimola l’interesse di Danuta, che riesce finalmente a scoprirne l’artefice:

un animaletto che fuggiva a tutta forza verso la balza delle caverne. Era dritto e correva con due gambe; buttò a terra un arnese lucente che lo impacciava nella corsa, e s’infilò nella caverna più vicina.8

È evidente che si tratta di un uomo, che ha mani «più sottili» della gigantessa, corre «con due gambe», è ingegnoso e si serve di «un arnese lucente» che senza dubbio è una scure. È però altrettanto lampante che Danuta non conosce l’esistenza della specie umana: è incuriosita dal «piccolino» e lo segue da lontano, finché non riesce a catturarlo.

Era piccolo ma fiero: aveva con sé quel suo arnese lucente […]. Neppure Brokne sapeva che farsene. Brontolò che lei era proprio una ragazza fantastica; il bestiolino mordeva, pungeva e non era buono da mangiare, che Danuta gli desse il largo, altro da fare non c’era. […] Ma Danuta non volle sentire ragione […] era intelligente e carino, voleva tenerselo per giocare, e poi era sicura che sarebbe diventato domestico. […] Danuta ne approfittò per 5 Ivi, p. 687.

6 Una frase di Isak Dinesen, tratta da Sette racconti gotici: «… Boris aveva ricordato l’antica ballata

della figlia del gigante che trova un uomo nella foresta, e sorpresa e deliziata se lo porta a casa per trastullarsi; ma il gigante le ordina di lasciarlo andare, poiché tanto non farebbe che mandarlo in pezzi». Ibidem.

7 Ivi, p. 688. 8 Ivi, p. 689.

102 osservarlo con calma e da vicino, ed era veramente molto grazioso: aveva viso, mani e piedi minuscoli ma ben disegnati, e non doveva essere un bambino, perché aveva la testa piccola e il corpo snello. Danuta moriva dalla voglia di stringerselo contro il petto.9

I due giganti credono di trovarsi davanti ad un piccolo animale: Danuta spera persino di poterlo “addomesticare”, cerca di nutrirlo con erba e ghiande ma si rende conto che è «uno di quegli animali che quando si sentono prigionieri rifiutano il cibo». Mossa dalle più tenere intenzioni prova a metterlo in una gabbia fabbricata da Brokne, per poi lasciarlo andare con molto dispiacere. La vicenda si conclude con la sorte peggiore per la gigantessa e suo padre, che restano a loro volta “prigionieri” di un incendio appiccato dall’uomo:

Lungo tutta la cresta delle montagne, sui due lati della valle, bruciavano fuochi, ed altri fuochi occhieggiavano molto più vicini, fra tronco e tronco. Brokne si levò in piedi brontolando come un tuono: eccoli dunque all’opera, i costruttori di ponti, i piccoli e solerti.10

A questo punto l’uomo, la creatura che secondo lo sguardo inesperto di Danuta è un animaletto scaltro e grazioso, rivela tramite le conseguenze delle sue azioni la sua essenza di “costruttore di ponti”, di portatore di civiltà e devastazione allo stesso tempo. L’uomo, quindi, di cui Levi parla nel racconto senza mai nominarlo esplicitamente, dei cui limiti e della cui potenza offre un’immagine chiara, risulta decisivo per lo sviluppo e la chiusura dell’azione narrativa: è descritto attraverso una prospettiva estranea alla società umana, ma le sue azioni parlano in modo inequivocabile, non danno adito a dubbi né sul suo statuto di personaggio, per quanto apparentemente secondario, né su quello di essere umano.

Un tratto frequente nella presentazione dei personaggi nei racconti di Levi è la loro immissione nella narrazione direttamente nel mezzo dello svolgimento di un’azione, seguita dall’apparizione in piccole dosi delle informazioni che li riguardano. Nei racconti che hanno un andamento meno descrittivo i personaggi principali compaiono solitamente nella frase con cui si apre la narrazione, immediatamente con il nome proprio oppure con un pronome personale o possessivo, come si verifica nelle seguenti occasioni:

9 Ivi, p. 690. 10 Ivi, p. 692.

103 Il dottor Morandi (ma non era ancora abituato a sentirsi chiamare dottore) era disceso dalla corriera con l’intenzione di conservare l’incognito almeno per due giorni, ma vide ben presto che non ci sarebbe riuscito.11

L’ultima persona al mondo a cui un duplicatore tridimensionale avrebbe dovuto finire in mano è Gilberto;12

Mio padre lo teneva in stalla, perché non sapeva dove altro tenerlo.13

Marta finì di rassettare la cucina, mise in funzione la lavatrice, poi accese una sigaretta e si stese sulla poltrona, seguendo distrattamente la televisione attraverso la fenditura della visiera.14

Il suo era un lavoro tranquillo: doveva stare otto ore al giorno in una camera buia, in cui a intervalli irregolari si accendevano i lumini rossi delle lampade spia.15

Antonio Casella, essendo uno scrittore, sedette alla scrivania per scrivere.16 Sinda si era levato alla prima luce per portare le capre al pascolo.17

Alle nove del mattino, quando Enrico entrò, sette altri stavano già aspettando.18

Boero discuteva con se stesso, nella solitudine del laboratorio, e non ne veniva a capo.19 Nicola se ne sarebbe stato a casa molto volentieri, e magari a letto fino alle dieci, ma Stefania non volle sentire ragioni.20

Il dottore della mutua non lo aveva preso sul serio.21

Wilkins e Goldbaum da due giorni si erano allontanati dal campo base […].22

Umberto non era più tanto giovane.23

Fino ad Alessandria lo scompartimento era rimasto vuoto, e Riccardo si preparò per la notte: dormire seduto in treno gli piaceva, e ci era abituato da molto tempo.24

11 Levi, I mnemagoghi, in Tutti i racconti, cit., p. 5.

12 Idem, Alcune applicazioni del Mimete, in Tutti i racconti, cit., p. 66.

13 Idem, Quaestio de centauris, in Tutti i racconti, cit., p. 112 (corsivo mio). Il pronome personale

oggetto «lo» si riferisce al centauro Trachi, protagonista del racconto insieme al narratore.

14 Idem, Protezione, in Tutti i racconti, cit., p. 181.

15 Idem, Lumini rossi, in Tutti i racconti, cit., p. 239 (corsivo mio). Il pronome possessivo «suo» si

riferisce al protagonista Luigi, il cui nome comparirà in seguito.

16 Idem, Lavoro creativo, in Tutti i racconti, cit., p. 266. 17 Idem, Recuenco: la Nutrice, in Tutti i racconti, cit., p. 305. 18 Idem, In fronte scritto, in Tutti i racconti, cit., p. 345. 19 Idem, Ottima è l’acqua, in Tutti i racconti, cit., p. 355. 20 Idem, I gladiatori, in Tutti i racconti, cit., p. 664.

21 Idem, Self-control, in Tutti i racconti, cit., p. 693 (corsivo mio). Il pronome personale oggetto

«lo» introduce il protagonista, Gino.

22 Idem, Gli stregoni, in Tutti i racconti, cit., p. 739. 23 Idem, La ragazza del libro, in Tutti i racconti, cit., p. 763. 24 Idem, Breve sogno, in Tutti i racconti, cit., p. 789.

104 Da parecchi giorni Isabella era inquieta: mangiava poco, aveva qualche linea di febbre, e si lamentava di un prurito alla schiena.25

Memnone aveva perso il conto dei giorni e degli anni.26

Si potrebbero ancora citare, oltre a questi, numerosi incipit dello stesso genere: si guardi – non solo tra i personaggi finzionali umani – ai già menzionati casi di Disfilassi, I costruttori di ponti, Cena in piedi, in cui figurano rispettivamente Amelia, Danuta e Innaminka. In tali circostanze, dunque, è la presenza del singolo personaggio a dare impulso alla narrazione; manca un cappello introduttivo che informi il lettore sulla sua storia, sul suo passato: precisazioni e chiarimenti a riguardo si paleseranno se funzionali allo sviluppo dell’intreccio. Nei Gladiatori, ad esempio, sul passato dei due protagonisti, Nicola e Stefania, sono fornite solamente le informazioni pertinenti all’episodio centrale del racconto: lo spettacolo dei gladiatori – gladiatori moderni che lottano contro macchine – a cui i due giovani assistono.27

La tendenza di Levi a procedere “per indizi” si riscontra di frequente nei suoi racconti, sia in quelli di finzione che in quelli su base autobiografica: non raramente le sue narrazioni sono state accostate alle detective story. Calvino, infatti, ritiene tali le storie chimiche del Sistema periodico28 e Belpoliti ribadisce in più di

un’occasione che la detective story è una delle forme narrative che Levi adotta nei racconti;29 a tal proposito, di nuovo Belpoliti nota che l’attività narrativa di Levi,

oltre che al mestiere di chimico, è legata alla sua «qualità di osservatore di indizi» e che alcuni dei suoi racconti hanno «uno svolgimento quasi da thriller, con una rivelazione rallentata degli indizi e con la costruzione di un finale».30 Si potrebbe

dire, in effetti, che tale «rivelazione rallentata degli indizi» caratterizzi anche la modalità di presentazione dei suoi personaggi finzionali. A seconda che il narratore sia interno o esterno, che prenda parte all’azione narrativa in quanto personaggio oppure la riferisca soltanto, cambierà il tipo di focalizzazione adottato nel testo. Nel caso del narratore esterno, è di solito il punto di vista del personaggio principale a

25 Idem, La grande mutazione, in Tutti i racconti, cit., p. 816. 26 Idem, Il passa-muri, in Tutti i racconti, cit., p. 858. 27 Idem, I gladiatori, in Tutti i racconti, cit., pp. 664-668.

28 Calvino, I due mestieri di Primo Levi, cit., in L’altrui mestiere, cit., p. VI. 29 Per esempio in Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, cit., pp. 205 e 352. 30 Ivi, p. 384.

105 prevalere, ma ciò non implica che la prospettiva non possa essere spostata: la focalizzazione sarà su un personaggio o sull’altro, i cui pensieri saranno esplorati di volta in volta, mentre lentamente affioreranno i rispettivi tratti psicologici. Anche la caratterizzazione fisica dei personaggi principali è strettamente correlata con l’intreccio del racconto: può non emergere affatto oppure delinearsi progressivamente, svelando dettagli rilevanti tanto per il proseguire della vicenda quanto per una sua completa comprensione, come accade per il canguro di Cena in piedi e per la bambina nella Grande mutazione (1983).31 In questo racconto la

narrazione è in terza persona e la protagonista è una bambina di nome Isabella, sul cui corpo insorgono dei cambiamenti insoliti in seguito a febbre e prurito alla schiena:

la madre si accorse che la pelle era ruvida: si stava coprendo di peli, fitti, rigidi, corti e biancastri. Allora si spaventò, si consultò col padre, e mandarono a chiamare il medico. L’indomani tornò […] quei peli erano ramificati e piatti: non erano peli, anzi, ma penne che stavano crescendo.32

La bambina, infatti, ha contratto il virus della «Grande Mutazione» e presto le spuntano le ali:

alla fine dell’anno scolastico, le ali di Isabella erano ben formate e molto belle da vedere. Erano intonate con il colore dei capelli (Isabella era bionda): in alto, verso le spalle, macchiettate di bruno dorato ma le remiganti erano candide, lucide e robuste.33

È proprio il tema delle ali e del volo a costituire il fulcro del racconto. Non è approfondita la psicologia degli altri personaggi – dei genitori per esempio – né è fornita una loro descrizione fisica; qualche informazione in più su alcuni di loro si palesa nel momento in cui interagiscono con Isabella: il medico era «giovane e simpatico», la fisioterapista svedese «capiva male l’italiano, niente le andava bene, e faceva fare a Isabella una serie di esercizi noiosissimi». Anche in altri racconti nei quali prevale il punto di vista di un determinato personaggio, la descrizione degli atteggiamenti o dell’aspetto degli altri personaggi appare nel momento in cui questi si trovano ad interagire con il primo; esemplificativo di tale modalità di presentazione del personaggio è l’incontro di Dessauer e Dybowski, in Versamina:

31 Levi, La grande mutazione, in Tutti i racconti, cit., pp. 816-820. 32 Ivi, p. 816.

106 Jakob Dessauer, zoppicando leggermente, salì gli otto scalini ed entrò dopo dodici anni d’assenza nell’atrio dell’Istituto […] l’unica faccia nota era quella del vecchio Dybowski. Dybowski no, non era cambiato: lo stesso cranio calvo, le stesse rughe fitte e profonde, la barba mal rasa, le mani ossute dalle macchie multicolori. Anche il camice grigio, rappezzato, troppo corto, era quello.34

La rappresentazione del personaggio, pertanto, può essere filtrata secondo la percezione di un altro personaggio, o anche di più personaggi nel corso di un unico racconto. Questo gioco di prospettive è messo a nudo, di fatti, nel Fabbricante di specchi (1985), il cui protagonista, Timoteo, realizza uno specchio che «non obbedisce alle leggi dell’ottica, ma riproduce la tua immagine quale essa viene vista da chi ti sta di fronte».35 Timoteo proviene da una famiglia di fabbricanti di specchi

e fin da ragazzo si cimenta nella creazione di specchi non del tutto ordinari: Che cosa fa uno specchio? «Riflette», come una mente umana; ma gli specchi usuali obbediscono a una legge fisica semplice e inesorabile; riflettono come una mente rigida, ossessa, che pretende di accogliere in sé la realtà del mondo: come se ce ne fosse una sola! Gli specchi segreti di Timoteo erano più versatili.36

Lavorando in gran segreto, riesce finalmente a realizzare la sua ambizione di ottenere uno «specchio metafisico»: crea dei campioni di piccole dimensioni di questo specchio da applicare sulla fronte delle persone per vedere la propria immagine riflessa. L’espediente di uno specchio dalle proprietà straordinarie permette a Levi di costruire l’immagine del protagonista proprio in virtù della “decostruzione” del suo ritratto, ovvero attraverso il delinearsi di ritratti differenti in base al punto di vista di ogni personaggio. Timoteo collauda il primo campione attaccandolo al muro, ma non vede nulla di diverso dal suo solito riflesso, un «trentenne già stempiato, dall’aria arguta, trasognata e un po’ sciatta». Decide di far provare la sua invenzione innanzitutto ad Agata, che ha interrotto in precedenza il fidanzamento con lui proprio a causa di uno specchio. Non sorprendentemente l’immagine che riflette lo specchio posto sulla fronte di Agata non coincide con quella che Timoteo ha di sé ed è oltretutto «poco lusinghiera»:

34 Levi, Versamina, in Tutti i racconti, cit., p. 74.

35 Idem, Il fabbricante di specchi, in Tutti i racconti, cit., pp. 854-857. 36 Ivi, p. 854.

107 Non era stempiato ma calvo, aveva le labbra socchiuse in un sogghigno melenso da cui trasparivano i denti guasti (eh sì, era un pezzo che rimandava le cure proposte dal dentista), la sua espressione non era trasognata ma ebete, e il suo sguardo era molto strano.37

Dopo Agata, con cui è evidente che la rottura sia definitiva, fa provare lo specchio alla madre:

Si vide sedicenne, biondo, roseo, etereo e angelico, coi capelli ben ravviati e il nodo della cravatta all’altezza giusta: come un ricordino dei morti, pensò fra sé.38

Infine, prova il terzo campione su Emma – «minuta, pigra, mite e furba», «meno intelligente di Agata» ma anche meno dura – che è solita stare a guardarlo per ore «con occhio incantato» mentre lavora:

Sulla fronte liscia di Emma, Timoteo vide un Timoteo meraviglioso. Era a mezzo busto e a torso nudo: aveva il torace armonioso che lui aveva sempre sofferto di non avere, un viso apollineo dalla chioma folta intorno a cui si intravedeva una ghirlanda di lauro, uno sguardo a un tempo sereno, gaio e grifagno.39

Non senza umorismo l’autore offre al lettore, attraverso la visione di Emma, un ritratto che è ben più lusinghiero di quello delineatosi con Agata e molto diverso persino da quello – più credibile – che concepisce di sé il protagonista; come se non bastasse, grazie all’esperimento dello specchio su Emma, Timoteo si rende conto di amarla «di un amore intenso, dolce e duraturo». In seguito, prova lo specchio sui suoi amici più cari e nota che «non due immagini coincidono tra loro: insomma, un vero Timoteo non esiste».40 Alla fine tornerà a fabbricare specchi piani, non potendo sfruttare l’idea dello specchio metafisico a fini commerciali perché sono troppo pochi i clienti soddisfatti del riflesso della propria immagine. Nel racconto di finzione del Fabbricante di specchi Levi problematizza, declinandola in chiave fantastica, una questione che non riguarda soltanto la rappresentazione dell’aspetto fisico di un personaggio. È la non coincidenza tra l’immagine che una persona ha di sé stessa e quella che ne hanno gli altri: un problema che si presenta in più occasioni nell’opera leviana, specialmente per ciò che concerne la costruzione dei personaggi non finzionali, e si lega alle riflessioni sulla traumaticità di essere ritratti in un modo che non è quello che ci si attribuisce o, viceversa, il rischio di ritrarsi in

37 Ivi, p. 856. 38 Ibidem. 39 Ivi, p. 857. 40 Ibidem.

108 un modo che non corrisponde alla realtà.41 È una questione che, come suggerisce lo scrittore in una dichiarazione del 1986, apportando l’esempio del ritratto di Sandro Delmastro, sarebbe «di pertinenza di Pirandello»:

Ora la questione è pirandelliana, è chiaro che un essere umano non ha una sola faccia, ne ha tante ed io ho percepito le cose che ho detto. […] Pirandello lo ha scritto in Uno, nessuno,

centomila; ognuno di noi viene percepito dai propri interlocutori in molti modi diversi,

alcuni opposti, qualche volta. […] Il relativismo nelle cose umane è un ingrediente necessario […].42

Il tema pirandelliano del soggettivismo e della mutevolezza della rappresentazione di un personaggio in relazione al punto di vista si ritrova in altri due racconti di