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di Francesca Scotto Lavina

Nel documento Miti d'oggi. L'immagine di Marilyn (pagine 111-115)

Tra le star degli anni Cinquanta che in termini ideologici1 ridanno vigore al sogno

americano con un conseguente imborghesimento del cinema2, gli Studios impiantano

il fenomeno divistico di Marilyn come prodotto destinato a un consumatore maschio3.

Se da un lato il matrimonio è imposto nell’ottica di un regime simbolico, quanto con- sumistico, dall’altro, sesso, economia e politica si intrecciano e trovano compimento nei ruoli da dumb blonde di Monroe, che ne costituiscono il tipo pin-up4 e si pongono

in continuità con la sua immagine divistica in quanto icona sessaule: Marilyn è inter- prete del proprio personaggio di star, di cui i suoi film sono “veicolo”5, favorendone il riconoscimento e i processi identificativi attraverso il rapporto divistico6.

L’analisi dell’immagine di Marilyn, nella sua complessa totalità, mette tuttavia in evidenza le sue contraddizioni rispetto al “tipo”, soprattutto nell’ultima parte della sua carriera in concomitanza con la crisi di Hollywood e dello star system, rafforzandone l’aspetto “polisemico”7.

In The Misfits (Gli spostati, 1961, di John Huston), ultimo film, le cui riprese sono portate a termine da Monroe, l’attrice interpreta un personaggio, quello di Roslyn Taber, ex showgirl newyorkese trapiantata a Reno, che presenta un’adesione proble- matica all’immagine divistica8, rivelata da variazioni nell’iconografia e nei segni di performance9 rispetto al tipo monroeiano. Arthur Miller, allora marito di Marilyn, la omaggia della sceneggiatura del film per esaltarne le capacità drammatiche, de- siderio più volte espresso dall’attrice, che l’aveva portata ad abbracciare il Metodo di Lee Strasberg. Il risultato del lavoro di Miller e Huston è quello di una sovrapposi- 1 Richard Dyer, Stars, Star, tr. it. Kaplan, Torino, 2009, p. 53.

2 Edgar Morin, Le Star, tr. it. Olivares, Milano, 1995.

3 Laura Mulvey, Gli uomini preferiscono le bionde, Anita Loos, Howard Hawks, Marilyn Monroe, in Veronica Pravadelli (a cura di), Cinema e piacere visivo, Bulzoni, Roma, 2013.

4 Il tipo monroeino, definito dall’età, dal genere e dal sex-appleal (cfr. Richard Dyer, Heavenly

Bodies. Film Stars and Society, Routledge, London, 2004) è il tipo massimizzato dell’oca bionda.

Id., Star, cit. p. 124. 5 Ivi, p. 87.

6 Ivi, pp 121-130. Cfr. Christian Metz, Cinema e psicanalisi: il significante immaginario, tr. it. Marsilio, Venezia, 1980, p. 81.

7 Cfr. Richard Dyer, Star, p. 89, p. 157. 8 Ivi, pp. 154-158.

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zione del personaggio di Roslyn alla Marilyn privata, ossessionata dalla solitudine e dall’abbandono (proprio come Roslyn) e che patisce la propria icona e al contempo ne è dipendente e vittima.

La prima immagine di Marilyn nel film la mostra allo specchio, di spalle, in casa di Iz, amica e testimone del suo imminente divorzio da un marito sempre assente. Lo specchio riflette l’immagine dell’icona in lingerie sexy, mentre si trucca e indossa la propria maschera di sex-symbol10. Appena Roslyn volta le spalle alla toilette, a favore

di un primo piano, il viso sofferente rimanda al disagio reale, che “recitare” il proprio ruolo procura alla diva Marilyn11 (enfatizzato anche dalle battute di Roslyn, restia a

pronunciare in tribunale false accuse contro il marito, come suggeritole da Iz). Il con- sueto sorriso e la voce suadente, a cui la star ci ha abituato fin dai suoi esordi, fanno po- sto a un tratto più cupo, evidente nell’esitazione della voce, lo sguardo tremante rivolto verso l’alto, lo sbattere delle ciglia, l’espressione desolata. La recitazione impostale dal Metodo, infatti, è protesa al recupero radicale delle emozioni della vita dell’attrice, che diventano in Gli spostati particolarmente evidenti, data la forte componente autobio- grafica del personaggio di Roslyn. La ricerca di una se stessa autentica sfocia in una performance con esiti intermittenti, alla continua ricerca di gesti e micromovimenti del volto e degli occhi. Huston sceglie dei piani ravvicinati che esaltano l’insicurezza e la fragilità della donna Marilyn, sovrapposte a quelle di Roslyn. L’iconografia del personaggio rinuncia in parte a quella del tipo monroeiano. Quando esce da casa di Iz, Roslyn indossa un abito scuro sobrio, ha i capelli raccolti, perde la sua camminata ancheggiante, che secondo Groucho Marx avvicinava Marilyn a Mae West, Theda Bara e Bo Peep insieme. Nel corso del film Marilyn ha più volte i capelli raccolti e in- dossa jeans e camicetta (come è descritta da Miller nel quotidiano)12 soprattutto nelle

sequenze con Gay, il cowboy molto più anziano di lei con cui intreccia una relazione, sebbene sembri inizialmente riluttante.

A partire dalle sequenza dell’Harras Club e nelle successive sequenze a casa di Guido (il pilota, amico di Gay) o in quelle che precedono il Rodeo, Roslyn, invece, si riavvicina ai canoni che l’icona Marilyn impone ai suoi personaggi: ritorna quella fusione di erotismo e innocenza, che riafferma una sorta di continuità col tipo mon- roeiano13. Ed è proprio in quanto oggetto dello sguardo erotico (dei personaggi, a cui

quello dello spettatore si allinea)14 che la Marilyn più autentica emerge15. Si pensi alla

10 Il trucco è parte integrante dell’iconografia monroeiana. Cfr. Maria Schiavo, Amata dalla

luce, Ritratto di Marilyn, Libreria delle Donne, Milano, 1996, pp. 71-72.

11 Cfr. Andrea Martini, Alice allo specchio, la Marilyn di Miller, in Giulia Carluccio (a cura di), La

bellezza di Marilyn, Kaplan, Torino, 2006, pp. 59-90.

12 Arthur Miller, Svolte. La mia vita, tr. it. Mondadori, Milano, 1988. 13 Richard Dyer, Star, cit., p. 45.

14 Laura Mulvey, Piacere visivo e cinema narrativo, in Veronica Pravadelli (a cura di), Cinema e

piacere visivo, cit., pp. 29-42.

15 Cfr. Mariapaola Pierini, Attori e metodo, Montgomery Clift, Marlon Brando, James Dean e Marilyn Francesca Scotto Lavina

113 sequenza, in cui Roslyn balla da sola sotto lo sguardo di Gay e Guido nella campagna notturna davanti alla casa di quest’ultimo o a quella della colazione con Gay e ancora quando è palpeggiata dagli avventori del saloon, mentre ancheggia nel colpire una pallina con la racchetta da ping pong prima del rodeo: gli abiti di scena ne esaltano la fisicità e le movenze e con esse tutta la sua carica sensuale di attrice, molto più istintiva che razionale. Huston in queste scene vira a favore di inquadrature distanziate, che ne esaltano i modi ingenuamente provocanti.

Nelle successive sequenze questa continuità tende di nuovo a slabbrarsi: le emozio- ni di Marilyn diventano addirittura “ingombranti”, quando Roslyn empatizza forte- mente con il dolore altrui. Ciò è evidente nei singhiozzi causati dalla caduta di Perce (il terzo cowboy, di cui ella è oggetto di desiderio) durante la sequenza del rodeo, o nel pianto dirotto per Gay, che ubriaco immagina di vedere i suoi figli. Gli stati emotivi si dispiegano in un crescendo, complice anche la continua oscillazione identificativa tra la propria persona e il personaggio interpretato, raggiungendo il culmine nella sequenza in cui Roslyn è costretta a subire “lo spettacolo della cattura” dei cavalli. Il volto manifesta il disagio con uno sguardo costantemente sofferente, il corpo compie nervosi scatti fino alla corsa nell’inutile tentativo di impedire a Gay di domare lo stal- lone del branco e la conseguente crisi isterica contro i tre cowboy.

A causa delle discontinuità nella performance di Monroe, Roslyn decade da ideale drammatico a cui tendere, a evoluzione incompiuta dei suoi personaggi di commedia. All’immagine della diva è dunque impedita una definitiva emancipazione dalla pro- pria icona, essendo questa l’ultima pellicola completata prima della morte nel 1962.

La costruzione del personaggio di Roslyn pone la questione del femminile, rifiu- tando di corroborarne la tipica costruzione sociale maschile, in maniera differente dai precedenti personaggi interpretati da Monroe16. Se da un lato l’analisi femmini-

sta radicale di Mellen, pone Roslyn non solo preda e oggetto del desiderio maschile, ma sua vittima sacrificale17, dall’altro ella rivendica un ruolo attivo nel persuadere

Gay a non uccidere i cavalli. Considerando le posizioni sviluppate da Mulvey18, la

figura di Roslyn è una principessa atipica, che offrirà a un antieroe spostato la ricom- pensa edipica del matrimonio in una forma ambigua a causa del finale aperto. Ciò apre la pellicola ai canoni del cinema moderno, che non prescrivono una corretta femminilità tramite l’inserimento nel testo di figure che esemplifichino la «funzione matrimonio, che sublima l’erotico»19 secondo i canoni del regime simbolico. Roslyn Monroe, Zona, Arezzo, 2006, p. 147. cfr Cristina Jandelli, Sulla recitazione di Marilyn Monroe. La recita della seduzione, «Acting Archive», III, 5, Maggio 2013, pp. 64-77.

16 Richard Dyer, Star, cit., p 189.

17 Joan Mellen, Marilyn Monroe, tr. it, Libri Edizioni, Milano, 1979.

18 Laura Mulvey, Riflessioni su Piacere visivo e cinema narrativo ispirate a Duello al sole, in Veronica Pravadelli (a cura di), Cinema e piacere visivo, cit., pp. 45-54.

19 Ivi, p. 51. Ciò accade, invece, in Duel in the Sun (Duello al sole, 1946) o in Stella Dallas (Amore

sublime, 1937), entrambi di King Vidor.

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oscilla dunque dal desiderio di emancipazione dal maschio, al bisogno che questi colmi le proprie carenze emotive fino all’abnegazione del sé, elemento che non può non intrecciarsi intimamente all’immagine pubblica di Marilyn e alle sue tormen- tate vicende sentimentali.

Lo spettatore e la spettatrice a loro volta slittano dall’identificazione con l’icona di Marilyn, a quella con il personaggio di Roslyn e con il personaggio Marilyn Monroe. Lo spettatore oscilla tra il piacere scopofilo e la dimensione empatica lega- ta all’intreccio tra personaggio e persona. Questa prospettiva è condivisa in misura maggiore dalla spettatrice, che si affranca in parte dall’identificazione narcisistica con l’icona20, riconoscendosi con la fragilità tipicamente femminile del personaggio

grazie a una connettività emotiva21 alle vicende private di Marilyn.

Il film, che secondo Miller avrebbe dovuto affrancare l’immagine della diva Marilyn dalla propria icona, da un lato ne diventa, invece, il suggello, dall’altro inizia il processo di umanizzazione e vittimizzazione della star, la cui fine tragica porterà a definitivo compimento: la dumb-blond si eleva a icona di un animo femminile tormen- tato e profondo.

20 Mary Ann Doane, The Desire to Desire: The Woman’s Film of the 1940s, Indiana University Press, Bloomigton, 1987.

21 E. Ann Kaplan, «Camera Oscura», 20-21, 1989, p. 97. La studiosa esprime tale concetto in merito al dibatto intrapreso con Linda Williams intorno alla questione di Stella Dallas. Si veda anche E. Ann Kaplan, The Case of the Missing Mother: Maternal Issues in Vidor’s Stella Dallas (1983), in Patricia Erens (a cura di), Issue in Feminist Film Criticism, Indiana University Press, Bloomigton, 1990.

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Nel documento Miti d'oggi. L'immagine di Marilyn (pagine 111-115)