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I fratelli Sereni, Enrico, Enzo ed Emilio, tre maschi tutti con l’iniziale del nome “E”, come se fossero una dinastia, con la medesima lettera perché crescessero uniti. Ci sono spesso riferimenti nel testo al “tipo” dei fratelli Sereni che, infatti, almeno nell’infanzia, furono davvero quasi in simbiosi. In realtà, però, Emilio venne da sempre chiamato Mimmo riconoscendogli, o imponendogli, in qualche modo un tratto di diversità rispetto ai fratelli; e il bisogno che sente lui stesso di essere differente da loro è vitale.

10 Ivi, p. 113.

11 Ivi, p. 116.

76 Il contesto familiare in cui crescono i ragazzi Sereni è particolarmente vivace e fecondo. Il nonno materno è Pellegrino Pontecorvo, proprietario di alcuni stabilimenti industriali pisani attivi nel settore tessile e facoltoso esponente dell’alta borghesia ebraica. Il padre Samuele, detto Lello, è il medico della casa Reale. Clara Sereni, in Casalinghitudine, lo descrive come un uomo non molto alto, con il pizzetto bianco, l’occhio vigile e un portamento signorile. Uno dei suoi maggiori meriti è stato quello di formare una generazione di madri esperte di puericultura. Lo zio Angelo è presidente della comunità ebraica romana e filantropo, come la moglie Ermelinda, donna elegante e raffinata, la quale si preoccupa che i nipoti vengano istruiti al meglio, non solo per quanto riguarda l’ebraico e la Torà, ma anche le lingue straniere.

I Sereni vivono a Roma, ma d’estate trascorrono le vacanze a Forte dei Marmi. Frequentano altre famiglie eminenti dell’epoca, come gli Ascarelli, i Colorni, i Milano. Tra i compagni e amici dei ragazzi ci saranno future personalità importanti come Manlio Rossi-Doria, Eugenio Colorni, Enzo Tagliacozzo, Attilio Milano.

Ne Il gioco dei regni le personalità dei fratelli Sereni si delineano progressivamente, in particolare quelle di Enzo ed Emilio che, legati da un affetto più che fraterno, finiranno per dividersi in età adulta a causa di obiettivi differenti, di una diversa visione politica e del modo di raggiungere la felicità personale e collettiva. L’autrice, nel raccontare la loro infanzia e prima giovinezza riesce a mostrare come, già dai piccoli gesti quotidiani, si intuissero le inclinazioni e i destini dei due futuri uomini.

Nella scrittura di Clara Sereni ricorre spesso la metafora del filo e della tessitura. La prima occorrenza si trova ne Il gioco dei regni e vuole esprimere unità: alla nascita del primo figlio di Samuele e Alfonsa, Enrico, il padre

prese in mano una Bibbia dalla rilegatura consunta, con le pagine ingiallite e smangiate dagli anni e dall’uso: la aperse, lesse in ebraico di sé e dei suoi. Suo padre il rabbino, e suo nonno, e il bisnonno prima di lui, sulle pagine bianche che precedevano il testo sacro avevano annotato i fatti salienti della famiglia: nascite, matrimoni, morti […] Per ogni evento, buono o cattivo che fosse, una benedizione, un salmo o un motto o un proverbio: di padre in figlio il filo delle generazioni li aveva uniti, in una rete che le pastoie dei ghetti e delle persecuzioni avevano reso salda e riconoscibile. Ma Samuele […] era venuto al mondo con lo Stato unitario: la genealogia cui intendeva dar corpo era fatta non di ebrei, ma di uomini. Si alzò, ripose la Bibbia in uno scaffale alto, prese un quaderno di fogli bianchi e nuovi e, in grafia oscura di medico, scrisse semplicemente: “Addì 14 aprile 1900 mia moglie Alfonsa ha partorito un figlio, cui sarà dato nome Enrico”.13

77 La scelta di Samuele di interrompere la tradizione di appuntare le notizie riguardanti i suoi figli su di una Bibbia ed optare per un semplice quaderno, recidendo, così, il filo che aveva unito le generazioni precedenti attraverso il “sacro”, la religione ebraica, e decidendo di iniziare a tessere una rete nuova, diversa, laica per legare la progenie futura, così come nuovo era il secolo che cominciava, e laico lo Stato in cui si viveva e a cui si era pronti a dare il proprio contributo, provoca una prima smagliatura nella rete precedentemente costruita che la forza della tradizione aveva preservato indenne nonostante gli urti della storia. I figli di Samuele e Alfonsa sono, comunque, educati alla tradizione ebraica. La lingua del popolo ebreo diventa per Enzo ed Emilio l’idioma degli affetti e dell’intimità, quello che usano per comunicare soprattutto nel periodo in cui il fratello più giovane è a Napoli per svolgere il servizio militare, mentre il maggiore è già partito per la Palestina, dove Mimmo dovrebbe raggiungerlo presto. I fratelli, nelle lettere che si inviano, si firmano con i nomi ebraici che si sono scelti, Uriel e Chaim. Per Enzo l’ebraismo è stata una scelta laica, che ben si amalgamava con l’utopia di uno stato nel quale sarebbero potuti convivere ebrei, sia laici che ortodossi, e arabi. Mimmo studia scienze agrarie a Portici con l’obiettivo di fondare la prima azienda agricola in Palestina. In questo periodo della sua vita l’ortodossia religiosa è una rete che lo aiuta a tenere insieme le diverse parti della sua personalità, del suo essere: l’ebraismo gli sembra contenga tutte le risposte. Per raccontare il percorso, gli studi, le letture che lo porteranno ad aderire al comunismo e a staccarsi definitivamente dal fratello, scegliendo di non seguire il progetto che avevano fatto insieme, Clara Sereni ricorre nuovamente alla metafora del filo, che questa volta è, però, da recidere: «Solo i libri possono riempire il grande vuoto che Mimmo si sta scavando dentro: fatto di eliminazioni progressive, di nodi troppo dolorosi per essere sciolti e che dunque non si può che tagliare di netto. Con una lama fatta di parole»14.

Per comunicare alla madre la sua decisione di non partire più, Emilio sceglie un momento in cui la donna sta rammendando, attività nello svolgimento della quale viene spesso ritratta nel libro. Anche Ermelinda è solita lavorare con l’ago, ma, a differenza di Alfonsa che lo fa per soddisfare le necessità della sua famiglia, la sorella cuce in modo creativo, ricamando o costruendo vari oggetti di stoffa, spesso non utili a livello pratico, ma per decorare e abbellire la casa.

78 Le scelte di vita dei fratelli Sereni, soprattutto di Enzo ed Emilio, si possono intravvedere analizzando alcuni episodi accaduti loro durante l’infanzia. Ad esempio quando, al ritorno dalla vacanza a Forte dei Marmi, la famiglia Sereni, appena scesa dal treno, si imbatte in un corteo di operai in sciopero. I bambini notano quanto siano magri i loro coetanei e le facce degli uomini brutte e sciupate. Mimmo, che sta imparando in quel periodo a leggere, individua la parola “esilio” tra le scritte sui cartelli dei manifestanti e pensa siano ebrei come loro. Una volta rientrati a casa i bambini si interrogano circa l’agitazione del nonno Pellegrino che sentono parlare di sciopero, telai fermi per un puntiglio, gendarmi a cavallo. L’incertezza dei piccoli aumenta dopo aver letto sul dizionario il significato di quella parola ricorrente nei discorsi degli adulti, “sciopero”, e aver scoperto che è lo strumento principale della lotta di classe: non capiscono perché gli operai del nonno dovrebbero lottare contro di lui che è sempre stato un padrone buono. Solo le parole della madre li rassicura, ma Enrico ricorda il rumore dei telai, i vapori delle bacinelle e le condizioni di ragazzi, poco più grandi di lui, visti durante una visita in una delle fabbriche di Pellegrino a Pisa. Questo contatto, seppur breve, con una realtà così distante dalla loro e dal benessere in cui sono cresciuti, lascerà un segno nelle loro intelligenze.

Un episodio che riguarda Enzo, invece, accade durante una passeggiata a Venezia, dove si trova con la famiglia in visita ad alcuni cugini. Il ragazzo si isola dal gruppo, favorito dalla nebbia calata improvvisamente sulla città verso sera. I fratelli, non vedendolo più, lo chiamano accorati, soprattutto il piccolo Mimmo che ha la voce rotta dal pianto; ma Enzo, in un primo momento, non risponde assaporando quell’istante che percepisce come un’assoluta libertà per la «possibilità di decidere fra presenza e fuga, fra solitudine e adesione»15 che gli si offre. Questa frase contiene un chiasmo che focalizza i termini chiave di presenza-adesione e fuga-solitudine, che sintetizzano i concetti su cui si baserà la sua vita adulta: l’adesione completa al sionismo lo costringerà ad una vita trascorsa in solitudine, lontano soprattutto dal fratello minore tanto amato. La disperazione che proverà Mimmo nel momento in cui gli comunicheranno la morte di Enzo nel campo di concentramento è, invece, anticipata dal pianto del bambino che, vedendosi sottratto, anche se solo per un istante, il fratello prediletto, punto di riferimento forte nella sua vita, precipita nell’angoscia.

79 La metafora della rete si ripresenta verso la fine del romanzo, quando Clara descrive la chiusura del padre in se stesso dopo gli eventi traumatici che lo hanno investito: «La morte di Loletta, la fine di Stalin: la rete nella quale aveva voluto avvolgere il mondo mostrava buchi vistosi, voragini. Mimmo lavorò di rammendo perché, per lui, non c’era altra scelta. Volle credere ancora alla salvezza nelle parole, per tutti e per il suo dolore. Volle credere che le maglie di quella sua rete fossero intercambiabili. Sbagliava, ma cominciò a dirselo solo moltissimo tempo dopo, e intanto poté sopravvivere»16. E ancora: «Quando gli strappi alla sua rete, sommandosi, gli resero irriconoscibile il mondo, si separò da tutti i suoi libri, se li allontanò: e fu come farsi cieco»17.

Nell’opera di Clara Sereni ricorrono, inoltre, alcune espressioni che fanno parte del suo lessico familiare. «Ha tutte le membrucce in regola»18 è la frase che viene ripetuta alla nascita di ogni figlio, dopo che il medico, solitamente Samuele, l’ha visitato, per comunicare alla madre il buon stato di salute del neonato, ma è anche pronunciata dopo le visite periodiche che il padre fa ai figli, insieme ai vaccini. Per la prima volta venne sussurrata dalla serva Dalinda ad Alfonsa dopo la nascita di Enrico.

Un’altra espressione tipica del lessico familiare dei Sereni è Zusammen und zu Füss, ovvero “insieme e a piedi” motto secondo il quale Pellegrino aveva cresciuto i suoi figli e che Alfonsa perpetua con i propri. Enzo ed Emilio trascorrono spesso intere giornate passeggiando per Roma, ammirando la città. Seduti su un prato, poi, si ristorano e leggono appoggiati agli alberi. Infine, discutono di ciò che era accaduto loro, della scuola, degli amici, delle letture che avevano fatto, il tutto con un gran risparmio di parole perché, tra loro, è sempre stato sufficiente un solo accenno per capirsi.